La successione mortis causa a titolo universale

Qualora un soggetto, per testamento o per legge, sia chiamato a succedere nella totalità delle situazioni di carattere patrimoniale di pertinenza del de cuius, si parla di successione mortis causa a titolo universale e colui che subentra nella titolarità di detti rapporti assume la qualità di erede.

A seguito della morte di una persona fisica è necessario regolare la titolarità dei rapporti patrimoniali già facenti capo alla stessa mediante l'apertura di una successione.

Qualora un soggetto, per testamento o per legge, sia chiamato a succedere nella totalità delle situazioni di carattere patrimoniale di pertinenza del de cuius, si parla di successione mortis causa a titolo universale e colui che subentra nella titolarità di detti rapporti assume la qualità di erede.

Nel caso in cui, invece, il soggetto sostituisca il defunto esclusivamente con riferimento a situazioni specifiche e determinate, si apre la c. d. successione a causa di morte a titolo particolare ed il beneficiario del lascito prende il nome di legatario.

Peraltro, talvolta risulta difficile distinguere le due forme di successione suddette; nella prassi, infatti, spesso la linea di demarcazione tra istituzione di erede e legato appare assai sottile, soprattutto qualora si tenga conto del fatto che occorre attribuire significato ad un negozio giuridico, quale è il testamento, senza che l'autore di esso possa offrire alcun ausilio all'interprete.

L'art. 588 c. c., invero, prevede che si abba successione a titolo universale sia quando un soggetto subentra nell'universalità dei beni del de cuius, sia quando vengono attribuiti allo stesso singoli ed individuati beni, intesi, però, dal defunto come quota parte del suo patrimonio: in quest'ultimo caso, sussiste la c. d. institutio ex re certa. Ogniqualvolta, invece, il conferimento al successore di beni determinati non sia accompagnato dalla volontà del testatore di collocare tale soggetto nella medesima posizione di diritto propria del de cuius, seppure limitatamente ad una porzione dell'asse ereditario, si verificherà un'ipotesi di successione a titolo particolare.

Peraltro l'assunzione della qualità di erede anziché di legatario determina la produzione di effetti ben diversi tra loro, come si avrà subito modo di chiarire.

 

L'accettazione dell'eredità

Allorché un soggetto sia chiamato a succedere ad un altro a titolo universale, egli acquista il diritto di accettare l'eredità entro il termine ordinario di prescrizione di dieci anni dall'apertura della successione. Tuttavia, chiunque vi abbia interesse può esercitare un'actio interrogatoria, domandando all'autorità giudiziaria di fissare un termine più breve entro il quale i chiamati all'eredità dovranno dichiarare le proprie intenzioni; in difetto, essi decadranno dal diritto di accettare.

Nel momento in cui il soggetto chiamato manifesta la propria volontà di accettare o meno l'eredità, gli effetti di tale dichiarazione si fanno decorrere, attraverso una finzione giuridica, dal momento stesso della morte del de cuius, cosicché sia sempre possibile individuare il titolare delle situazioni patrimoniali già facenti capo al defunto.

Il nostro codice civile, peraltro, prevede due diverse forme di accettazione dell'eredità, a cui sono ricollegabili effetti ben distinti: si tratta dell'accettazione pura e semplice (artt. 470 e segg. c. c.) e dell'accettazione con beneficio d'inventario (artt. 484 e segg. c. c.).

L'accettazione pura e semplice, che può essere tanto espressa quanto tacita, comporta la confusione del patrimonio del de cuius e di quello personale dell'erede.

Peraltro l'individuazione di una forma tacita di accettazione nel comportamento tenuto dal chiamato non può che essere rimessa ad un mero apprezzamento di fatto del giudice di merito: per esempio, la domanda di voltura catastale in capo al chiamato di beni immobili già di proprietà del defunto è stata intesa dalla Suprema Corte come chiara espressione della volontà del richiedente di succedere al de cuius (cfr. Cass. civ., sez. II, n. 5226 del 12 aprile 2002).

Ogniqualvolta l'erede intenda mantenere la massa ereditaria separata dai propri beni, dovrà accettare con beneficio d'inventario, manifestando tale volontà mediante dichiarazione resa dinanzi ad un notaio o al cancelliere del tribunale del luogo in cui è stata aperta la successione. Detta dichiarazione, inoltre, dovrà essere inserita nel registro delle successioni del medesimo tribunale; essa dovrà essere altresì preceduta o seguita dalla redazione di un inventario dei beni facenti parte del compendio ereditario.

Ai sensi degli artt. 471-473 c. c., peraltro, talune categorie di soggetti, e precisamente i minori, gli interdetti, gli emancipati, gli inabilitati e le persone giuridiche, non possono accettare che con beneficio d'inventario, in quanto l'ordinamento intende assicurare loro una più intensa tutela. In particolare, statuisce la Cassazione, il rappresentante legale del minore deve necessariamente accettare, previa autorizzazione del Giudice Tutelare, in forma beneficiata, dovendosi dichiarare nulla qualsiasi accettazione avente forma diversa. Il minore, inoltre, è comunque legittimato a rinunciare all'eredità entro un anno dal compimento della maggiore età, non potendo essere addossate a suo carico le spese relative alla predisposizione dell'inventario.

Tuttavia, nonostante l'accettazione venga effettuata nel rispetto delle formalità stabilite dalla legge, l'erede può decadere dal beneficio d'inventario qualora si renda responsabile di talune omissioni e infedeltà, per esempio alienando alcuni beni ereditari senza previamente ottenere le prescritte autorizzazioni giudiziarie: in tal caso egli tornerà ad essere un erede puro e semplice.

Analizziamo ora più precisamente gli effetti del beneficio d'inventario, così come indicati dall'art. 490 c. c.: tenuto conto della separazione esistente tra il patrimonio del de cuius e quello personale dell'erede, quest'ultimo conserverà verso l'eredità tutti i diritti e gli obblighi che aveva in vita verso il defunto e sarà tenuto al pagamento dei debiti ereditari e dei legati non oltre il valore dei beni pervenutigli. I creditori dell'eredità ed i legatari, inoltre, avranno la preferenza rispetto ai creditori dell'erede per soddisfare le loro ragioni sulla massa ereditaria.

 

L'eredità giacente

Quando i chiamati all'eredità non sono in possesso dei beni ereditari e non hanno ancora esercitato il diritto di accettare, occorre individuare un soggetto in grado di amministrare adeguatamente le sostanze del de cuius, provvedendo anche a pagare i debiti ereditari. In tal caso si è dinanzi ad un'ipotesi di eredità giacente, in attesa, cioè, di essere acquistata dai successori del defunto.

Il legislatore, dunque, all'art. 528 c. c., prevede che chiunque vi abbia interesse (chiamato successivo, legatario, creditore della massa, ecc.) possa proporre istanza al tribunale del circondario ove si è aperta la successione del de cuius perché venga nominato un curatore dell'eredità giacente, titolare di ampi poteri volti alla gestione e alla valorizzazione dei beni ereditari, nonché legittimato a rappresentare in giudizio l'eredità stessa. Peraltro, fin dal 1987, la Corte di Cassazione ha precisato che è possibile richiedere la nomina del curatore dell'eredità giacente anche qualora semplicemente non si sia a conoscenza dell'esistenza in vita di chiamati alla successione che siano in possesso di beni ereditari.

La curatela viene a cessare in coincidenza con l'accettazione dell'eredità da parte di almeno uno dei chiamati; portato a termine l'incarico, il curatore è tenuto a presentare il rendiconto del proprio operato.

 

La rinuncia all'eredità

Colui che per testamento o per legge viene chiamato all'eredità può disporre del proprio diritto di accettare l'eredità stessa dichiarando di rinunciarvi con effetti retroattivi al momento dell'apertura della successione.

L'atto di rinuncia, peraltro, a differenza dell'accettazione, può anche essere oggetto di revoca. La revoca, comunque, avrà effetto soltanto qualora il soggetto chiamato a sostituire il rinunciante non abbia nel frattempo accettato l'eredità in luogo di questi.
La rinuncia, infatti, escludendo l'autore di essa dal novero degli eredi del de cuius, consente ad uno o più soggetti di subentrare nella successione.

Innanzitutto, dunque, succederanno, in virtù del meccanismo di rappresentazione previsto dall'art. 467 c. c., i discendenti del rinunciante, a meno che il testatore non abbia espressamente designato nel proprio atto di ultima volontà il sostituto.

Qualora, peraltro, l'istituto della rappresentazione non possa operare e manchi un'espressa indicazione del de cuius in tal senso, troverà applicazione, nel caso in cui più chiamati concorrano all'eredità, il meccanismo dell'accrescimento della quota in favore degli altri chiamati.

Se, infine, nessuno di tali correttivi potrà trovare attuazione, si ricorrerà alla successiva chiamata ex lege.

 

La petizione di eredità

L'ordinamento giuridico italiano tutela l'erede la cui qualità venga contestata da un altro individuo in possesso dei beni ereditari mediante l'azione giudiziaria della petizione di eredità, disciplinata dagli artt. 533-535 c. c.

La finalità della petitio hereditatis, come la Corte di Cassazione ha chiarito, è prevalentemente recuperatoria: tale strumento processuale è infatti diretto, previo accertamento della vocazione ereditaria dell'attore, a recuperare i beni già appartenenti al de cuius e posseduti da terzi estranei. Sotto il profilo dello scopo perseguito, dunque, l'azione in commento è stata qualificata dalla giurisprudenza di legittimità come azione di natura reale, volta a garantire, in caso di accoglimento della domanda attorea, l'acquisto della disponibilità dei beni ereditari posseduti da terzi..

Qualora, poi, il giudice decida la petitio hereditatis riconoscendo la qualità di successore universale in capo all'attore, tale riconoscimento non può più essere oggetto di contestazione se non nei limiti della revocazione della sentenza, stabiliti dagli artt. 395 e segg. c. p. c. (Cass. civ., sez. II, n. 5920 del 15 giugno 1999).
Ciò detto, a tal punto è opportuno chiarire che il rimedio della petizione di eredità può presentare alcune affinità con l'azione di rivendica, posta dal nostro legislatore a tutela delle ragioni del proprietario i cui beni siano stati sottratti da terzi.

Tuttavia, una differenza fondamentale dev'essere ricordata: laddove la petitio hereditatis ha ad oggetto l'accertamento della qualità di erede di un soggetto e l'appartenenza di uno o più beni all'asse ereditario, nella rei vindicatio viene dedotto in giudizio il diritto di proprietà su una cosa vantato da una parte nei confronti dell'altra. Tale distinzione, già affermata in giurisprudenza, ha trovato una definitiva consacrazione nella sentenza della Cassazione civile, sezione II, del 26 maggio 1998, n. 5225.

La petizione di eredità, peraltro, può essere esercitata esclusivamente dall'erede, e non anche dal semplice chiamato, contro il possessore di beni ereditari, con o senza titolo, il quale comunque contesti la qualità ereditaria dell'attore.
Detta azione, inoltre, è imprescrittibile, salvi gli effetti dell'usucapione sui singoli beni del patrimonio del defunto.

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