Ai fini della salvezza dei diritti acquistati dal terzo per effetto di convenzione a titolo oneroso contratta con l'erede apparente, è necessario che lo stesso terzo fornisca prova della propia buona fede

In tema di petizione ereditaria, ai fini della salvezza dei diritti acquistati dal terzo per effetto di convenzione a titolo oneroso contratta con l'erede apparente, è necessario che lo stesso terzo, ai sensi dell'art. 534, comma secondo, cod. civ., assolva all'onere di provare la sua buona fede all'atto dell'acquisto, consistente nella dimostrazione dell'idoneità del comportamento dell'alienante ad ingenerare la ragionevole convinzione di trattare con il vero erede, nonché dell'esistenza di circostanze indicative dell'ignoranza incolpevole di esso acquirente circa la realtà della situazione ereditaria al momento dell'acquisto

Corte di Cassazione Sezione 2 Civile, Sentenza del 4 febbraio 2010, n. 2653



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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROVELLI Luigi Antonio - Presidente

Dott. GOLDONI Umberto - Consigliere

Dott. ATRIPALDI Umberto - Consigliere

Dott. MAZZACANE Vincenzo - rel. Consigliere

Dott. CORRENTI Vincenzo - Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

ZO. AL. C.F. (OMESSO), ZO. LO. C.F. (OMESSO), elettivamente domiciliati in ROMA, VIA VITTORIA COLONNA 40, presso lo studio dell'avvocato DANTE ENRICO, che li rappresenta e difende unitamente all'avvocato CORRENTI GIOVANNI;

- ricorrenti -

contro

AN. RO. C.F. (OMESSO), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DELLA MERCEDE 52, presso lo studio dell'avvocato MENGHINI MARIO, che lo rappresenta e difende unitamente all'avvocato PATRIARCA FELICE;

- controricorrente -

avverso la sentenza n. 1216/2004 della CORTE D'APPELLO di TORINO, depositata il 28/07/2004;

udita la relazione della causa svolta nella Udienza pubblica del 15/12/2 009 dal Consigliere Dott. MAZZACANE Vincenzo;

udito l'Avvocato ENRICO DANTE difensore dei ricorrenti che ha chiesto di riportarsi agli atti;

udito l'Avvocato CINZIA DE MICHELI con delega dell'avvocato MARIO MENGHINI difensore del resistente che ha chiesto anch'essa di riportarsi agli atti;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. RUSSO Rosario Giovanni che ha concluso per il rigetto del ricorso con condanna alle spese.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione notificato il 12 e 16/10/1998 An. Ro. evocava in giudizio dinanzi al Tribunale di Vercelli Zo. Lo. e Zo.Al. e, premesso che a seguito del decesso del padre An.Ma. , avvenuto il (OMESSO), si era aperta la successione per quote uguali in favore dei figli Ro. e An. Ro. e della moglie Fo.Gi. , esponeva:

- con atto di divisione del (OMESSO) i figli del "de cuius" avevano diviso una parte dei beni ereditari, con esclusione delle partecipazioni di An.Ro. nella societa' Vi. An. nella quale An.Ma. deteneva il 99.86% del capitale sociale;

- con atto di cessione del 13/5/1997 An.Ro. e Fo.Gi. , dopo aver dichiarato di essere le uniche socie della predetta societa', avevano ceduto le proprie quote ad Zo. Al. ed a Zo.Lo. , figli di An.Ro. ;

- questi ultimi avevano acquistato da eredi solo apparenti la quota societaria di pertinenza dell'esponente delle compartecipazioni del "de cuius".

L'attore chiedeva pertanto la restituzione ex articolo 534 c.c. o, in subordine, ex articolo 948 c.c. della quota societaria ricevuta in eredita' dal padre.

I convenuti costituitisi in giudizio assumevano di aver acquistato le quote sociali in buona fede, atteso che l'attore non era indicato come socio nelle scritture contabili dell' Az. Vi. An. s.r.l.; chiedevano comunque di chiamare in manleva An. Ro. e Fo.Gi. .

Con sentenza del 23/3/2002 il Tribunale adito condannava i convenuti in solido alla restituzione all'attore del 33.29% delle quote della suddetta societa' oltre ai frutti maturati dalla data dell'acquisto a quella della effettiva restituzione.

Proposto gravame da parte di Zo.Al. e Zo.Lo. cui resisteva An.Ro. la Corte di appello di Torino con sentenza del 28/7/2004 ha rigettato l'impugnazione.

Avverso tale sentenza Zo.Al. e Zo.Lo. hanno proposto un ricorso per Cassazione affidato ad un unico motivo cui An.Ro. ha resistito con controricorso; i ricorrenti hanno successivamente depositato una memoria.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con l'unico motivo formulato i ricorrenti, denunciando errata applicazione della legge e vizio di motivazione, censurano la sentenza impugnata per aver affermato che fosse onere degli esponenti provare l'iscrizione del proprio titolo onde poter usufruire dell'applicabilita' dell'articolo 534 c.p.c., comma 2.

Essi, premesso che la controparte aveva introdotto la propria azione non contestando la qualita' dei convenuti di soci della suddetta s.r.l., rilevano come dato pacifico e comunque risultante dal registro delle imprese che al 31/12/1993 i soci della Az. Vi. An. erano An.Ro. e Fo. Gi. , e aggiungono che d'altra parte il notaio che aveva rogato l'atto di cessione delle quote in favore degli esponenti non avrebbe potuto procedere in tal senso senza prima accertare chi fossero i titolari delle quote stesse come emergenti dal libro soci e dal registro delle imprese; pertanto non sussisteva alcun obbligo ulteriore a carico di Al. e Zo.Lo. "rispetto a quanto gia' realizzato in sede di acquisto delle azioni dalle cedenti", cosicche' la motivazione resa dal giudice di appello in ordine alla pretesa inapplicabilita' dell'articolo 534 c.c., comma 2 si rivelava illogica e contraddittoria; inoltre lo stesso An. Ro. avrebbe dovuto e potuto sapere sin dal 31/12/1993 che le quote relative alla suddetta s.r.l. erano intestate a An. Ro. e Fo.Gi. .

I ricorrenti sotto ulteriore profilo rilevano che la Corte territoriale, nell'affermare la mancanza di idonea prova da parte degli appellanti circa la propria buona fede nell'acquisto delle quote per cui e' causa, ha rafforzato il proprio assunto richiamandosi allo stretto rapporto di parentela tra coloro che avevano ceduto le quote e gli esponenti; orbene in proposito Al. e Zo.Lo. sostengono che, se era indubitabile tale legame, si sarebbe dovuto trarre le stesse conclusioni per quanto riguardava lo strettissimo rapporto parentale tra la teste An.Gi. e An.Ro. di cui era la figlia; invece la sentenza impugnata, mentre ha attribuito piena attendibilita' alla deposizione della suddetta teste, non ha prestato alcuna credibilita' alle affermazioni, documentalmente provate, degli esponenti.

Il motivo e' infondato.

La Corte territoriale, premesso come elemento emergente documentalmente che An.Ro. era erede di An. Ma. e titolare di una quota pari ad un terzo delle compartecipazioni sociali del "de cuius" nella s.r.l. An. Vi. , e confermato l'inquadramento della domanda proposta dall' An. nell'ambito della petizione ereditaria conformemente a quanto gia' ritenuto dal giudice di primo grado, ha rilevato che gli appellanti non avevano fornito idonea prova ai sensi dell'articolo 534 c.c., comma 2 della ricorrenza della loro buona fede incolpevole al momento dell'acquisto delle suddette quote; a tal fine la sentenza impugnata ha ritenuto insufficiente il riferimento alla mancata iscrizione dell' An. nel libro soci, atteso che cio' non escludeva l'applicabilita' del menzionato articolo 534 c.c. e che tale mancata iscrizione non costituiva indice assoluto della buona fede del terzo.

Il giudice di appello poi, ritenute non determinanti le deposizioni richiamate dagli appellanti, ha anzi evidenziato alcuni elementi probatori - gia' rimarcati dal giudice di primo grado a riprova della malafede degli Zo. - correlati al loro coinvolgimento nelle vicende della s.r.l. Antoniolo desumibile dalla documentazione in atti, ai rapporti familiari esistenti tra le parti nonche' alle risultanze evincibili dalla deposizione resa dalla figlia dell'appellato An.Gi. , attestante la consapevolezza degli appellanti circa le ripetute richieste avanzate dal di lei padre di iscrizione nel libro soci.

Infine la sentenza impugnata ha rilevato comunque la mancanza di prove in ordine alla inescusabilita' della pretesa ignoranza addotta dagli Zo. con riferimento alla perdurante intestazione delle quote, nella misura di un terzo, in capo all' An. .

Orbene alla luce delle argomentazioni sopra riportate offerte dalla Corte territoriale occorre rilevare che quest'ultima ha proceduto ad un accertamento di fatto in ordine alla assenza di buona fede da parte di Al. e Zo.Fi. all'atto dell'acquisto delle quote della suddetta s.r.l. sorretto da congrua e logica motivazione, come tale insindacabile in questa sede, dove i ricorrenti da un lato non appaiono sufficientemente consapevoli dell'onere probatorio posto a loro carico dall'articolo 534 c.c., comma 2 e dall'altro tendono inammissibilmente a prospettare una diversa valutazione delle risultanze probatorie ad essi piu' favorevole.

Sotto un primo profilo invero ai sensi della disposizione ora menzionata il terzo avente causa a titolo oneroso dall'erede apparente (come nella specie Al. e Zo.Lo. per quanto riguarda l'acquisto della quota societaria di cui era titolare l' An. ) ha l'onere di provare la sua buona fede, consistente nella dimostrazione dell'idoneita' del comportamento dell'alienante ad ingenerare la ragionevole convinzione di trattare con il vero erede, nonche' dell'esistenza di circostanze indicative dell'ignoranza incolpevole di esso acquirente circa la realta' della situazione ereditaria al momento dell'acquisto (Cass. 9/7/1980 n. 4376); pertanto e' ininfluente l'affermazione dei ricorrenti circa la conoscibilita' da parte dell' An. del fatto che le quote della predetta s.r.l. erano intestate fin dal 31/12/1993 a An. Ro. e Fo.Gi. , laddove invece il punto decisivo della controversia e' costituto dalla dall'onere probatorio a carico degli Zo. in ordine alla loro buona fede nei termini sopra chiariti.

Per il resto le censure dei ricorrenti trascurano il potere discrezionale del giudice di merito in ordine alla individuazione ed alla valutazione delle fonti di prova ritenute piu' convincenti alla ricostruzione in fatto delle vicende rilevanti al fine della decisione della controversia, sempre che dell'esercizio di tale potere egli abbia offerto una logica motivazione, come nella fattispecie; tale potere, in particolare, si estende anche al giudizio circa la maggiore o minore attendibilita' della deposizione di un teste; puo' comunque rilevarsi che la valutazione delle dichiarazioni della teste An.Gi. configura soltanto uno dei diversi elementi probatori richiamati dalla Corte territoriale a sostegno del proprio convincimento.

Il ricorso deve quindi essere rigettato; le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

LA CORTE

Rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti in solido al pagamento di euro 200,00 per spese e di euro 2500,00 per onorari di avvocato.
 

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