E' nullo l'accordo concluso da due coniugi senza prole che abbiano deciso di fare testamento lasciando tutto il patrimonio ai rispettivi nipoti, in modo da evitare che i beni vadano al coniuge sopravvissuto

In riferimento agli articoli 42 e 29 della Costituzione è manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'articolo 540 del Cc, anche in riferimento all'articolo 458 del Cc, sotto il profilo che in base al combinato disposto delle norme sopra ricordate è da ritenersi nullo l'eventuale accordo con cui - come nella specie - due coniugi senza prole abbiano deciso di fare testamento lasciando tutto il patrimonio ai rispettivi nipoti, in modo da evitare che i beni vadano al coniuge sopravvissuto. (Corte di Cassazione, Sezione 2 Civile, Sentenza del 3 aprile 2007, n. 8237)



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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione notificato il 22 gennaio 1980 Ma.Ma., premesso che con testamento olografo del 7 aprile 1979 il coniuge Ag.Ca. aveva disposto di tutto il suo patrimonio in favore dei germani Ad.Ca. ed El.Ca., della nipote Ma.So. in Ma. e delle pronipoti Ma.Ga. ed An.Ma. conveniva in giudizio i predetti dinanzi al Tribunale di Sulmona per sentire:

dichiarare che la quota di metà del patrimonio era riservata all'istante ex art. 540 cod. civ.;

disporre la riduzione delle disposizioni testamentarie lesive;

dichiarare aperta la successione e nulla la divisione testamentaria ai sensi dell'art. 575 cod. civ. con la determinazione della quota a lui spettante sull'intero asse ereditario.

I convenuti chiedevano il rigetto della domanda.

A seguito del decesso di Ad.Ca. il giudizio veniva riassunto dall'attore; deceduto successivamente il Ma., si costituiva in giudizio la sorella Ma.Ma. depositando comparsa.

Con sentenza non definitiva del 9 dicembre 1982 il tribunale, respinta l'eccezione di nullità della procura alle liti conferita da Ma.Ma. con la comparsa di costituzione, dichiarava:

a) manifestamente infondata l'eccezione di illegittimità costituzionale dell'art. 540 cod. civ. sollevata dai convenuti in relazione agli artt. 41 e 42 Cost.;

b) aperta la successione di Ag.Ca.;

c) riservata all'attore la metà del patrimonio della moglie, accogliendo la domanda di riduzione delle disposizioni testamentarie;

Avverso tale decisione proponevano appello i convenuti.

Con sentenza non definitiva del 3 luglio 1984 la Corte di appello di L'aquila, disattese le eccezioni di inammissibilità dell'impugnazione e quella di estinzione del giudizio di primo grado, confermava la decisione impugnata nella parte in cui:

1) era stata disattesa l'eccezione di nullità della procura conferita da Ma.Ma.;

2) aveva dichiarato manifestamente infondata la questione di illegittimità dell'art. 540 cod. civ.;

3) aveva ritenuto compresi nella massa ereditaria i buoni postali fruttiferi cointestati alla de cuius, a Ma.So., a Ma.Ga. ed An.Ma.;

riformava la sentenza gravata laddove non aveva ammesso l'interrogatorio formale di Ma.Ma. in ordine all'esistenza di titoli di Stato acquistati in comune da Ma.Ma. con la moglie, disponendo la prosecuzione del giudizio.

Per quel che ancora interessa, i giudici di appello, nel respingere l'eccezione di estinzione del processo sollevata dalle appellanti che avevano dedotto che nessuno era stato citato come erede di Ad.Ca. e che la mancata integrazione del contraddittorio incideva sulla validità della riassunzione, rilevavano che, essendo eredi di Ad.Ca. celibe e senza prole-gli stessi convenuti, la riassunzione nei loro confronti nella indicata qualità aveva consentito la corretta ripresa del processo; d'altra parte, una volta riassunto il giudizio nei confronti degli eredi, sarebbe stato onere posto a carico dei medesimi eccepire e dimostrare l'omessa citazione di altri eredi, mentre irrilevante era l'estraneità di alcuni dei convenuti all'eredità.

Rituale era stata la costituzione di Ma.Ma., quale erede dell'attore, avvenuta con comparsa assimilabile a quella prevista per l'intervento del terzo.

Veniva ritenuta infondata l'eccezione di incostituzionalità dell'art. 540 cod. civ. con riferimento agli artt. 41 e 42 Cost., trattandosi di disposizione rientrante nelle scelte demandate al legislatore e compiute nel rispetto dei principi posti a base dell'ordinamento del matrimonio e della famiglia.

Oggetto dell'atto introduttivo della lite era la divisione dell'intero asse ereditario e quindi anche dei buoni postali, anche se al momento della proposizione della domanda l'attore non era conoscenza della loro esistenza: i giudici osservavano che l'erede dell'intestatario, subentrando nella medesima posizione soggettiva del de cuius, non è terzo rispetto al contratto di debito pubblico.

Deceduta nelle more El.Ca. e riassunto il giudizio, con sentenza definitiva del 9 ottobre 2001, emessa nei confronti di Gi.We., Gi.We. ed En.We., quali eredi di Ma.Ma. nel frattempo decedutala Corte di appello di L'aquila, respingendo la proposta impugnazione, esaminava la residua questione relativa all'esistenza di titoli di Stato, di natura non meglio definita, dell'importo di L. 124.500.000, che sarebbero stati acquistati con risparmi comuni dai coniugi Ma. e, perciò, da computarsi-secondo le appellanti-nell'asse ereditario quanto meno per la metà.

La circostanza formava oggetto del giuramento decisorio deferito dalle appellanti alla Ma. che, dopo il differimento determinato dalla assenza della giurante all'udienza al riguardo fissata per l'espletamento, veniva prestato in senso negativo.

La sentenza, dopo avere ritenuto giustificato l'impedimento, respingevano le eccezioni con cui le appellanti avevano dedotto il carattere non decisivo del giuramento secondo la formulazione dei capitoli ammessi dalla Corte, nel caso di prestazione negativa, tenuto conto che il capitolato andava inteso nel senso che indicava il minore o il maggior ammontare dei titoli eventualmente ricevuti in eredità da Ma.Ma. e provenienti esclusivamente da acquisti compiuti da Ma.Ma. insieme con la moglie; in ogni caso, mentre la parte può sempre chiedere la modifica del capitolato, l'eventuale non decisorietà del giuramento avrebbe comportato- la revoca del mezzo istruttorio, con la conseguenza che comunque sarebbe stato onere probatorio delle appellanti dimostrare che i beni in oggetto facessero parte del compendio ereditario, prova che non era stata in alcun modo fornita.

La sentenza quindi condannava le appellanti al pagamento delle spese processuali in proporzione delle rispettive quote ereditarie.

Avverso entrambe le sentenze propongono ricorso per cassazione Ma.So. e Ma.Ga.Ma. sulla base di sei motivi.

Resistono con controricorso Gi.We., Gi.We. ed En.We., proponendo altresì ricorso incidentale affidandone l'accoglimento a un unico motivo.

Non ha svolto attività difensiva An.Ma.

Ma.Ga.Ma. ha depositato memoria illustrativa.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Preliminarmente il ricorso principale e quello incidentale vanno riuniti, ai sensi dell'art. 335 cod. proc. civ., essendo stati proposti nei confronti della medesima sentenza.

Va innanzitutto disattesa l'eccezione dì inammissibilità del ricorso sollevata dai resistenti in considerazione della genericità delle indicazioni della procura rilasciata dalle ricorrenti all'avv. Ru. a margine del ricorso.

La procura rilasciata a margine del ricorso per cassazione, formando un corpo unico con questo, esprime di per sé il necessario riferimento all'atto impugnatorio, assumendo così il carattere di specialità nel senso richiesto dagli artt. 365 e 371, comma 3, cod. proc. civ. anche se formulata genericamente e senza uno specifico riferimento al giudizio di legittimìtà-peraltro nella- specie menzionato-salva la presenza nella procura medesima di espressioni tali da univocamente escludere che sia stata conferita per proporre ricorso per cassazione (Cass. 15605/2006).

Con il primo motivo le ricorrenti, lamentando violazione e falsa applicazione dell'art. 303 cod. civ. cod. proc., anche con riferimento all'art. 2697 cod. civ., nonché motivazione insufficiente e contraddittoria su un punto decisivo della controversia (art. 360 n. 3 e 5 cod. proc. civ.), censurano la sentenza non definitiva del 3 luglio 1984 emessa dalla Corte di appello di l'aquila, deducendo l'inefficacia della riassunzione del giudizio effettuata dall'attore a seguito della morte di Ad.Ca., posto che nessuno degli eredi di quest'ultimo erano stati citati in giudizio: la qualità ereditaria delle parti convenute non era stata in alcun modo dimostrata ma soltanto affermata dall'attore, che nell'atto di riassunzione aveva fatto riferimento alla circostanza che il de cuius era celibe e senza figli.

La Corte, nel rigettare l'eccezione di inefficacia della riassunzione e di conseguente estinzione del procedimento, aveva erroneamente ritenuto onere posto a carico delle originarie convenute dimostrare il fatto negativo di non essere eredi, assolvendo così l'attore dall'onere di provare che l'Ad. fosse morto ab intestato, che non avesse figli o parenti di grado poziore rispetto alla sorella e alla figlia dell'altra sorella premorta, confondendo la delazione ex lege con l'accettazione dell'eredità, necessaria per l'acquisto dell'eredità.
La censura è infondata.

La sentenza impugnata ha ritenuto che l'atto di riassunzione era stato notificato alle persone indicate come eredi di Ad.Ca. (individuati nelle persone degli stessi convenuti), avendo raggiunto la finalità prevista dalla legge. I giudici di appello, nel disattendere l'eccezione al riguardo formulata dalle convenute, secondo cui "nessuno è stato citato come erede di Ad.Ca. e che nessuno è stato richiesto di rispondere del patrimonio di costui", hanno precisato che l'eventuale omessa citazione di alcuno degli eredi non potesse incidere sulla integrità del contraddittorio: sarebbe astato onere dei soggetti evocati in giudizio dimostrare l'esistenza di altri eredi.

La sentenza, nell'interpretare le domande e le eccezioni formulate dalle appellanti, ha ritenuto dimostrata la qualità ereditaria almeno di alcune delle convenute, correttamente desumendo, ai sensi dell'art. 116 cod. proc. civ., argomenti di prova dal comportamento processuale dalle medesime tenuto in base a una valutazione di fatto riservata al giudice di merito e, come tale, insindacabile in sede di legittimità: la citazione in giudizio anche dì soggetti -estranei all'eredità non avrebbe potuto incidere sulla integrità del contraddittorio, assumendo rilievo eventualmente in relazione alla decisione del merito.

Con il secondo motivo le ricorrenti, denunciando violazione e falsa applicazione dell'art. 83 cod. civ. cod. proc., anche con riferimento agli artt. 2699 cod. civ., 105, 106 e 107 cod. proc. nonché motivazione insufficiente, e contraddittoria su un punto decisivo della controversia (art. 360 n. 3 e 5 cod. proc., civ.), censurano la sentenza non definitiva che aveva considerato valida la procura conferita con la comparsa di riassunzione con cui Ma.Ma. era subentrata nel processo all'attore nelle more deceduto.

La Corte, formulando una non consentita interpretazione analogica dell'art. 83 cod. proc. civ., aveva erroneamente ritenuto che la procura alle liti possa essere rilasciata a margine o in calce di atti diversi da quelli tassativamente indicati dalla citata norma, assimilando l'atto di riassunzione con la comparsa di intervento: in ogni caso i giudici di appello non avevano neppure esaminato l'eccezione di inefficacia dell'autentica della sottoscrizione compiuta dall'avvocato in un atto diverso da quelli di ci all'art. 83 cod. proc. civ.

La censura è infondata.

L'elencazione, contenuta nell'art 83, terzo comma, cod. proc. civ., degli atti su cui può essere apposta la procura alle liti, non ha carattere tassativo (Cass. 10251/2003; 5393/1999, posto che la ragion d'essere della norma è di indicare gli atti processuali che, determinando l'ingresso della parte in giudizio, esigono il conferimento della procura ad un determinato difensore. Pertanto, è valida la procura apposta sulla comparsa di riassunzione con cui la parte si sia costituita in giudizio subentrando quale successore alla parte deceduta nel corso del giudizio, giacché essa assolve allo stesso scopo della procura conferita nell'atto introduttivo del giudizio, alla cui natura e funzione l'atto di riassunzione partecipa (Cass. 2674/1978). Ne consegue che, in tal caso, deve essere riconosciuto al difensore il potere di autenticare la sottoscrizione di cui all'art. 83 cod. proc. civ.

Con il terzo motivo le ricorrenti, lamentando insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia ed ultrapetizione in riferimento all'art. 360 n. 3 e n. 5 cod. proc. civ., censurano la sentenza non definitiva che, essendosi limitata ad affermare che tra le cose oggetto della domanda di divisione dovessero essere compresi i buoni postali anche se non indicati nell'atto di citazione, non aveva spiegato le ragioni per le quali gli stessi fossero da dividere una volta che il Ma. li aveva consegnati ad una delle cointestatarie che li aveva riscossi: il medesimo avrebbe potuto agire semmai ex mandato nei confronti di chi aveva omesso di consegnargli la metà del provento della riscossione e dei quali la de cuius non aveva disposto per testamento.

Il motivo è infondato.

Contrariamente a quanto ha formato oggetto della specifica censura, l a sentenza ha rilevato che l'erede dell'intestataria non è terzo rispetto al contratto di debito pubblico, subentrando al de cuius nella medesima situazione giuridica, così ritenendo che relativamente alla quota intestata alla Ca. il Ma. era erede legittimo, essendosi evidentemente aperta la successione ab intestato relativamente ai beni di cui la de cuius non aveva disposto per testamento. Al riguardo i giudici di appello, nel respingere l'eccezione di ultrapetizione formulata dalle appellanti, avevano chiarito che ai fini della divisione andavano considerate tutte le situazioni rilevanti ai fini dello scioglimento della comunione determinatasi a seguito della morte della Ca.

Con il quarto motivo le ricorrenti, denunciando violazione e falsa applicazione degli artt. 237, 239 e 356 cod. proc. civ. nonché motivazione insufficiente e contraddittoria su un punto decisivo della controversia (art. 360 n. 3 e n. 5 cod. proc. civ.), censurano la sentenza definitiva del 9 ottobre 2001 con riferimento al giuramento decisorio deferito a Ma.Ma. relativamente all'esistenza o meno di titoli di Stato per 124.500.000 che sarebbero stati acquistati congiuntamente alla moglie da Ma.Ma. e rimasti in esclusivo possesso di quest'ultimo.

In particolare lamentano che:

a) il Consigliere Istruttore non aveva il potere di decidere in ordine all'esistenza di un valido impedimento della Ma. a presentarsi all'udienza fissata per la prestazione del giuramento, spettando la decisione al Collegio;

b) il provvedimento al riguardo si era rivelato contraddittorio, giacché-pur rilevando che il certificato medico prodotto non fosse formalmente corretto-il giudice aveva ritenuto giustificata l'assenza; la sentenza era contraddittoria laddove aveva ritenuto valido il certificato pur essendo stato oggetto di contestazioni, mentre del tutto irrilevante doveva essere la produzione della lettera con cui la Ma. aveva confermato la volontà di presentarsi a rendere il giuramento;

c) la prestazione- del giuramento da parte della Ma. era da ritenersi invalida, avendo la medesima recitato la formula di rito dichiarata, con efficacia ex tunc, illegittima con la sentenza della Corte Costituzionale del 18 ottobre 1996 n. 334.

Con il quinto motivo le ricorrenti, denunciando violazione e falsa applicazione degli articoli, 233 e ss., 239 e 356 cod. proc. civ. nonché motivazione contraddittoria e insufficiente su un punto decisivo della controversia (art. 360 n. 3 e 5 cod. proc. civ.), censurano la sentenza definitiva che aveva disatteso l'eccezione sollevata dalle appellanti in ordine alla non decisori età del giuramento nel caso di risposta negativa, che non avrebbe escluso la possibile esistenza di titoli di tato per importi maggiori o inferiori.

Il quarto e il quinto motivo, essendo strettamente connessi, vanno esaminati congiuntamente.

1) Secondo la disciplina anteriore alla novella di cui alla legge n. 353 del 1990 nel giudizio di appello spetta all'istruttore decidere in ordine alle questioni relative all'assunzione e all'espletamento dei mezzi istruttori, mentre il Collegio è investito della decisione in ordine all'ammissione delle prove e delle questioni insorte al riguardo.

2) La Corte di appello, nel confermare l'ordinanza al riguardo emessa dall'istruttore che aveva ritenuto l'esistenza di un valido impedimento alla prestazione del giuramento, ha ritenuto che la patologia da cui era risultata affetta la Ma. era tale da giustificare il differimento del mezzo istruttorio.

Al riguardo occorre considerare che l'art. 239 secondo comma cod. proc., civ., disponendo che, nel caso di mancata comparizione della parte che deve prestare il giuramento, il giudice istruttore provvede a norma del precedente articolo 232 secondo comma cod. proc. civ., consente al detto giudice di rinviare ad altra udienza l'assunzione del giuramento ove egli, in base al suo discrezionale apprezzamento, ritenga fondati i motivi che hanno determinato l'assenza della parte, sicché qualora all'udienza fissata per il giuramento la parte non si sia presentata adducendo un impedimento ed il giudice abbia differito l'incombente ad altra udienza, deve ritenersi che egli abbia implicitamente considerato fondato il motivo dell'assenza facendo uso del potere conferitogli dal menzionato articolo 239 cod. proc. civ. Ne deriva che alla nuova udienza il giudice deve limitarsi ad accertare se il giuramento sia stato reso o no e decidere conformemente la causa, restandogli precluso di esaminare nuovamente la fondatezza della già ritenuta ragione giustificativa dell'assenza e di considerare quindi non prestato il giuramento per la mancata presenza della parte all'udienza originariamente fissata a tal fine (Cass. 5827/1996)

3) Le ricorrenti non hanno interesse a fare valere la invalidità del giuramento decisorio, dedotta come si è detto in relazione alla formula di rito dichiarata incostituzionale e al carattere non decisorio del capitolato.

La sentenza impugnata ha, tra l'altro, osservato che l'eventuale inefficacia del prestato giuramento, non muterebbe lo stato delle risultanze processuali sfavorevoli alle appellanti che, non essendo state in grado di assolvere l'onere di dimostrare che nell'asse ereditario facevano parte i titoli di stato de quibus, si erano viste costrette ad articolare l'interrogatorio formale e deferire poi il giuramento decisorio.

Tale considerazione appare assorbente di ogni altra, essendo del tutto irrilevante che le appellanti avessero presentato istanza di esibizione, posto che comunque la stessa non è stata accolta (e neppure è stata lamentato il mancato accoglimento).

Con il sesto motivo le ricorrenti ripropongono l'eccezione di illegittimità costituzionale dell'art. 540 cod. civ. disattesa dalla sentenza non definitiva, anche in riferimento all'art. 458 cod. civ. per contrasto con gli artt. 42 e 29 Cost., sostenendo che in base al combinato disposto delle norme citate è da ritenersi nullo l'eventuale accordo, con cui-come nella specie-due coniugi senza prole abbiano deciso di fare testamento, lasciando tutto il patrimonio ai rispettivi nipoti, in modo da evitare che i beni vadano al coniuge sopravvissuto.

L'art. 458 cod. civ. si pone così in contrasto: con l'art. 42 Cost. secondo comma, perché condiziona gravemente la disponibilità dei beni e con l'art. 29 Cost., perché ostacola chi voglia garantire l'unità familiare anche attraverso il momento economico della conservazione dei beni.

In realtà, l'art. 540 cod. civ., letto con riferimento all'art. 458 cod. civ., e calato nella fattispecie di coniugi coetanei e senza figli, reintroduce la figura dell'heres suus e necessarius, ripudiato dall'ordinamento, giacché, come non può esservi divieto di liberalità fra coniugi, così neppure può esservi obbligo di reciproci lasciti.

Le ricorrenti sottolineano la rilevanza della questione dal momento che la domanda di riduzione proposta dal Ma. non potrebbe essere accolta ove venissero espunte dall'ordinamento le norme di cui si è detto.

Il motivo va disatteso.

La questione di incostituzionalità è, per un verso manifestamente infondata e, per l'altro-nei termini formulati per la prima volta con il ricorso per cassazione-inammissibile perché ininfluente ai fini del decidere.

Occorre osservare che le norme sulla successione necessaria, nel derogare al principio dell'autonomia privata e della libera disponibilità dei beni, hanno la finalità di tutelare il bene supremo della famiglia a stregua proprio dei valori garantiti dall'art. 29 Cost., secondo cui: "La repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio.

Il matrimonio è ordinato sull'eguaglianza morale e giuridica dei coniugi, con i limiti stabiliti dalla legge a garanzia dell'unità familiare".

La posizione di erede legittimario (oltreché legittimo) attribuita al coniuge superstite dall'ordinamento costituisce una scelta operata dal legislatore nell'ambito della discrezionalità conferita dall'art. 42 ultimo comma Cost. in materia di successioni. Ed invero, proprio in attuazione del precetto costituzionale di cui al citato art. 29 Cost., il nuovo diritto di famiglia (legge n. 151 del 1975), rivalutando sotto il profilo etico e costituzionale la posizione del coniuge, gli ha riconosciuto la qualità di erede e non più solo di legatario ex lege come previsto dalla disciplina anteriormente vigente, che gli attribuiva l'usufrutto di una quota del patrimonio ereditario.

Per quanto concerne il profilo dell'incostituzionalità dell'art. 458 cod. civ. sotto l'aspetto denunciato con il ricorso per cassazione, appare necessario rilevare che-a stregua degli accertamenti compiuti dal giudice di merito -non è in alcun modo emersa la fattispecie considerata (patto successorio) che, essendo stata prospettata per la prima volta in sede di legittimità, comporta indagini di fatto nuove e, come tali, inammissibili in cassazione.

Il ricorso và rigettato.

Con l'unico motivo del ricorso incidentale Gi.We., Gi.We. ed En.We. denunciano l'errore compiuto dalla sentenza impugnata relativamente alla statuizione delle spese processuali poste dalla sentenza definitiva a carico delle appellanti in proporzione delle rispettive quote ereditarie anziché in solido.

Il motivo va disatteso.

La portata precettiva del dispositivo va necessariamente interpretata alla stregua della motivazione. Al riguardo la sentenza ha stabilito la condanna delle appellanti alla rifusione integrale delle spese processuali secondo le rispettive quote: in tal modo i giudici hanno inteso precisare esclusivamente il criterio di ripartizione interna fra le obbligate che, essendo tenute per l'intero, erano da ritenersi condannate in via tra loro solidale.

Infine, è inammissibile la richiesta di correzione dell'errore materiale denunciato dai resistenti in ordine alle indicazioni relative alla sentenza del Tribunale di Sulmona, atteso che gli errori materiali in cui sia incorso il giudice del merito, suscettibili di correzione con la procedura di cui agli artt. 287 e 288 cod. proc. civ., non possono essere dedotti come motivo di ricorso per cassazione, dando questo origine ad un giudizio diretto al solo controllo di legittimità delle decisioni impugnate (Cass. 3656/2006).

Anche il ricorso incidentale va rigettato.

Tenuto conto della diversa incidenza nell'economia della presente decisione della soccombenza delle ricorrenti rispetto a quella, del tutto marginale, dei resistenti, le prime vanno condannate al pagamento in via tra loro solidale delle spese della presente fase.

P.Q.M.

Riunisce i ricorsi e li rigetta. Condanna le ricorrenti al pagamento in favore dei resistenti delle spese relative alla presente fase che liquida in euro 4.100 dì cui euro 100 per esborsi ed euro 4.000 per onorari di avvocato oltre spese generali ed accessori di legge.

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