E' reato compiere atti sessuali con minorenni dietro la promessa di vitto e alloggio

Il delitto di cui all'articolo 600-bis, comma 2°, del Cp sussiste anche nell'ipotesi in cui l'autore del reato abbia indotto soggetti minorenni ad avere rapporti sessuali in cambio di mera ospitalità, posto che fornire vitto e alloggio e, cioè, gli indispensabili mezzi di sussistenza quale corrispettivo delle prestazioni sessuali, equivale a corrispondere un'utilità, non solo economicamente valutabile,ma anche direttamente economica, soprattutto in un paese come la Thailandia ove la condizione di indigenza della popolazione e, in specie, dei bambini è tale che un tetto e un pasto costituiscono per tanti un vero e proprio miraggio.
E' quanto stbilito dal Tribunale penale di Milano con sentenza del 19 luglio 2007, n. 2761.



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omissis
3. I reati contestati

Prima di affrontare l'esame delle diverse ipotesi criminose contestate all'imputato appare opportuno premettere alcuni brevi cenni sulla ratio delle incriminazioni introdotte con la legge 269/1998 in materia di pornografia minorile, legge che - così come modificata dalla novella 228/2003 - è quella che trova applicazione nella fattispecie.
I fatti contestati al sig. (A) sono stati commessi, al più tardi, sino al giugno 2005 (data del rientro in Italia dell'imputato dall'ultimo soggiorno in Tailandia) e non possono essere assoggettati alla disciplina introdotta con legge 38/2006 successiva alla loro consumazione e che deve essere ritenuta, sia complessivamente considerata sia valutata in riferimento ad alcune delle ipotesi oggi ascritte al prevenuto, meno favorevole della precedente. Ma di ciò si dirà meglio in seguito.
Al momento va ricordato che, come osservato dalla Suprema Corte, con la normativa in esame «l'ordinamento appresta una tutela anticipata della libertà sessuale del minore, reprimendo quei comportamenti prodromici che» ne mettono a repentaglio il libero sviluppo personale con la mercificazione del suo corpo e l'immissione nel circuito perverso della pedofilia» (Cass. S.U. 31 maggio-5 luglio 2000, n. 13).
In tal senso, del resto, è l'espressa intenzione del legislatore che, all'art. 1 della legge 269/1998, indica quale obiettivo della normativa «la tutela dei fanciulli contro ogni forma di sfruttamento e violenza sessuale a salvaguardia del loro sviluppo fisico, psicologico, spirituale, morale e sociale» con ciò uniformandosi ai principi delle convenzioni e delle deliberazioni internazionali in materia (Convenzione dei diritti del fanciullo di New York del 1989, ratificata in Italia nel 1991 e dichiarazione della Conferenza mondiale di Stoccolma del 31 agosto 1996).
La precisazione appena effettuata non è di stile atteso che, come si vedrà affrontando i problemi interpretativi posti dalle fattispecie contestate, è a tali principi che il Tribunale si è attenuto nell'affrontarli e risolverli.
Passando ad esaminare le diverse ipotesi criminose si ritiene di trattare per ultime quelle ex art. 600 ter, rispetto alle quali occorre affrontare questioni più complesse e di prendere le mosse dalle altre, che pongono minori problemi in punto di diritto e di valutazione della prova e, segnatamente, da quella contestata al capo 4) che è, peraltro, l'imputazione rispetto alla quale anche la difesa in sede di conclusioni non ha sollevato dubbi in punto di diritto o pregnanti obiezioni in tema di prova limitandosi ad alcune annotazioni relative alla asserita difficoltà di ricondurre con certezza all'imputato la disponibilità del materiale pedopornografico.
(...) omissis
La natura delle immagini che si è descritta in precedenza esime il collegio dall'affrontare la questione, pure dibattuta in dottrina prima della riforma del 2006, delle caratteristiche che il materiale deve avere per essere considerato penalmente rilevante. Qui non si discute, certo, di bambini vestiti che abbiano un atteggiamento ammiccante idoneo a sollecitare l'erotismo dell'adulto, ovvero nudi ma non impegnati in espliciti atti sessuali. Qui si parla di minori impegnati in interazioni sessuali di vario genere, anche con più persone, ovvero in coiti orali con un uomo adulto ed, a volte, con la bocca sporca del suo liquido seminale, di bambine penetrate con il pene, con le mani, con oggetti vari, con frutta e, perfino, di due bambine che praticano sesso orale ad un cane.
Nessun problema pone, anche, l'esame della fattispecie contestata al capo 1) non apparendo fondate le questioni sollevate dalla difesa in fatto - questioni che sono facilmente superabili alla luce della ricostruzione della vicenda processuale sopra effettuata e della indicazione delle prove e dei criteri di valutazione adottati - ed in diritto.
Sotto il primo profilo va detto che non ha alcuna rilevanza che la minore vittima del delitto ex art. 600 bis non sia stata identificata attesi gli elementi raccolti che dimostrano con certezza la sua esistenza, la relazione di convivenza che aveva avuto con il (A) e i rapporti che aveva intrattenuto con lui.
Sul punto si ricorda che più volte l'imputato ha parlato (cfr. intercettazioni, filmato de Le Iene, testimonianze sopra esaminate) della ragazzina di 14/15 anni con la quale aveva convissuto precisando anche che la piccola conduceva una vita ritirata, che quando l'aveva presentata agli amici la sua tenera età era così evidente da procurargli l'accusa di pedofilia, che alcuni gli avevano chiesto di avere rapporti sessuali con lei, che a tali proposte aveva reagito riaffermando il suo diritto esclusivo di possesso e, con ciò, chiarendo la natura dei rapporti sessuali che aveva con lei («io la scopo, io glielo metto tutto dentro, solo io»).
E, del resto, era certamente abitudine del sig. (A) convivere con giovanissime tailandesi se è vero, come è vero, che in un video acquisito in atti si possono osservare, all'interno dell'appartamento del prevenuto, questi ed una ragazzina (sulla cui età non sono stati raccolti elementi ma che appare certamente giovane) impegnata nello svolgimento di faccende domestiche.
La bambina infrasedicenne di cui si parla al capo 1) era stata avvicinata dall'imputato con le stesse modalità che (A) consiglia ai suoi diversi interlocutori (B), (C) di adottare per approcciare bambini, portata a casa e qui tenuta per un periodo di tempo apprezzabile. In cambio dell'accudimento personale e della casa nonché delle prestazioni sessuali la piccola riceveva vitto, alloggio e piccole somme di denaro consegnatele per acquistare abbigliamento (comprati una gonnellina, una braghetta) ovvero, quando accompagnava l'imputato a fare la spesa, qualche giocattolo (la bambolina).
Alla fine, però, il sig. (A) si era risolto - seppur a sentir lui con dispiacere - ad allontanarla temendo di essere scoperto e perseguito per la sua relazione con una bambina (cfr. filmato de Le Iene).
(...) omissis
Né si può dire, come ha fatto la difesa, che da un punto di vista logico non è sostenibile che una persona con interessi sessuali di tipo pedofilo si congiunga anche con ragazze maggiorenni.
In proposito, per sgombrare il campo da qualsiasi dubbio, vale la pena di ricordare quale sia lo stato attuale della scienza in materia.
(...) omissis
È proprio tenendo conto della difficoltà di formulare una diagnosi di pedofilia ed, anche, di dare un concreto contenuto a tale perversione che il legislatore del 1996 e, successivamente, quello del 1998 non hanno introdotto nel nostro sistema un reato di «pedofilia» limitandosi a sanzionare condotte aggressive della sfera della libertà sessuale e della riservatezza del corpo dei minori da qualsivoglia adulto poste in essere. Il che equivale a dire che, nel nostro ordinamento, è pedofilo chi ha rapporti sessuali con un bambino.
Da un punto di vista scientifico, invece, il discorso che si è fatto tende a chiarire che non è possibile una diagnosi certa di pedofilia che comportamenti pedofili possono essere sicuramente tenuti da persone che intrattengono anche relazioni sessuali con adulti e, quindi, che pulsioni sessuali di tipo pedofilo sono compatibili con una sessualità che si estrinseca anche in interazioni sessuali normali.
Tornando ad esaminare le questioni sollevate dalla difesa in relazione alla contestazione di cui al capo 1) va detto che, come infondate appaiono quelle in punto di fatto di cui si è sin qui parlato, parimenti privi di fondamento si palesano quelle in punto di diritto.
Il difensore, in proposito, ha rilevato che nella specie il delitto ex art. 600 bis, comma 2, c.p. non è configurabile difettando l'utilità economica che il legislatore ha previsto come corrispettivo degli atti sessuali compiuti su minore degli anni 16. Ciò che viene, difatti, contestato all'imputato è di aver fornito alla bambina ospitalità in cambio delle prestazioni sessuali, ospitalità che al più può essere considerata una forma di utilità economica indiretta in quanto consente all'ospite di non affrontare le spese del suo mantenimento.
Proprio tale ultima affermazione priva di pregio l'argomentazione difensiva poiché fornire ad un minore vitto e alloggio e, cioè, gli indispensabili mezzi di sussistenza in cambio delle sue prestazioni sessuali equivale a corrispondere allo stesso una utilità, non solo economicamente valutabile, ma direttamente economica soprattutto in un paese come la Tailandia ove - come è pacificamente emerso al dibattimento - la condizione di indigenza della popolazione e, soprattutto, dei bambini è tale che un tetto ed un pasto costituiscono per tanti un vero e proprio miraggio.
Né è superfluo ricordare che, perfino in relazione alla diversa ipotesi di sfruttamento della prostituzione del maggiorenne previsto dall'art. 3, comma 2, n. 8, legge 75/1958 la giurisprudenza di legittimità è concorde nel ritenere che l'utilità che lo sfruttatore deve ricevere affinché sia integrato il delitto può consistere in qualsiasi utile derivante dall'accordo illecito intervenuto con la prostituta di beneficiare della sua attività e, quindi, nell'alloggio, nel vitto, nel vestiario.
Le due fattispecie, ovviamente, non sono comparabili atteso che nello sfruttamento della prostituzione del maggiorenne si richiede l'esercizio di un'attività di meretricio dalla quale l'agente tragga utili e non rileva se questi intrattenga relazioni sessuali con la vittima, mentre rimane fuori del precetto penale la condotta del cliente che si congiunge carnalmente con la prostituta. Nel reato ex art. 600 bis, comma 2, invece, è proprio l'agire del cliente che viene in risalto ai fini dell'integrazione della fattispecie.
A ben guardare tale previsione è proprio un'applicazione dell'intento del legislatore espresso nell'art. 1 legge 269/1998 «la tutela dei fanciulli contro ogni forma di sfruttamento e violenza sessuale a salvaguardia del loro sviluppo fisico, psicologico, spirituale, morale e sociale». A differenza delle parallele ipotesi ex art. 609 bis e quater c.p., infatti, quella di cui ci si occupa appresta una tutela più incisiva in favore dell'infrasedicenne prevedendo che sia sanzionata la condotta di chi compie, con lui, atti sessuali anche con il suo consenso ma in cambio di denaro od altra utilità senza che sia necessario che la condotta dell'agente come richiesto dall'art. 609 bis c.p. sia connotata da violenza, minaccia o realizzata in presenza delle altre condizioni previste dalla norma, né che tra l'autore e la vittima sussistano come stabilito dall'art. 609 quater,, n. 2, c.p. rapporti di familiarità o soggezione che dimostrano l'assenza di un consenso valido.
Le considerazioni che precedono consentirebbero di pervenire ad un giudizio di colpevolezza anche in assenza di un'ulteriore circostanza emersa al dibattimento. Si è, difatti, accertato che l'imputato corrispondeva alla sua piccola convivente somme di denaro, certo molto modeste, ma per lei importanti.
(...) omissis
Passando ad esaminare il merito della imputazione sub 3) va ricordato che al dibattimento si è raggiunta la prova che la minore - raffigurata nelle fotografie effettuate dall'imputato con il suo cellulare portate in Italia nel giugno 2005 per mostrarle a (D) e (E) ed indicata con la sigla Mod. 5 - abbia meno di 14 anni. La fotografia ritrae una bambina stesa su un letto, completamente nuda ed a gambe divaricate mentre mostra le parti intime.
(...) omissis
Residuano da esaminare le imputazioni sub 1) e 5) che il collegio ritiene di dover trattare unitariamente perché ambedue relative ad ipotesi delittuose previste dall'art. 600 ter c.p.
Per chiarezza espositiva è opportuno prendere le mosse dalla imputazione ex art. 600 ter,, c.p. contestata al capo 5).
Si ascrive al sig. (A) di aver realizzato, anche in tempi diversi ed in esecuzione del medesimo disegno criminoso, materiale pedopornografico da vendere a terzi sfruttando giovani tailandesi minorenni.
(...) omissis
Superate queste obiezioni residua da affrontare se il fatto ascritto al sig. (A) integri il reato in contestazione.
Giova, a tal punto, riprendere il discorso che si è fatto all'inizio del presente paragrafo sulla finalità che il legislatore ha inteso attribuire alla normativa introdotta con legge 269/1998 e sui principi affermati dalla Suprema Corte proprio in tema di 600 ter,, c.p.
Già nella prima fase di applicazione della legge era stato sollevato il problema del significato da attribuire al termine «sfrutta» usato dal legislatore poiché detto termine richiama quello utilizzato dall'art. 600 bis c.p. per indicare un'attività criminosa che ha un contenuto patrimoniale o, comunque, economicamente valutabile.
Sul punto si sono espresse le Sezioni unite chiamate a pronunciarsi sulla questione «se il fatto di sfruttare minori degli anni diciotto al fine di realizzare esibizioni pornografiche o di produrre materiale pornografico postuli, o non, lo scopo di lucro e/o l'impiego di una pluralità di minori».
La Corte ha rilevato che, in assenza di precedenti giurisprudenziali, era stata la dottrina a quel momento a fornire contributi interpretativi, dottrina che nell'esegesi della norma «muove dalla terminologia usata dal legislatore, il quale adopera una formula lessicale implicante necessariamente l'impiego di minori, quindi non di uno o più minori, ma di una pluralità indefinita numericamente di soggetti passivi. In un tale quadro di riferimento, l'orientamento maggioritario ritiene che il verbo sfruttare, utilizzato dal legislatore, implichi la finalità di lucro, o commerciale, nell'impiego di minori per la realizzazione di esibizioni pornografiche, in quanto il legislatore, con l'uso del termine in parola, ha voluto sanzionare una condotta abituale e parassitaria consistente nel valersi dell'attività altrui, che presuppone la finalità di lucro, sì da escludere quelle attività che si risolvano nell'appagamento di riservati e occasionali fini lussuriosi, ovvero nella occasionale, perversa, utilizzazione di un singolo fanciullo per lo scopo anzidetto. È opinione pressoché concorde che proprio la finalità che deve porsi l'agente comporti condotte tipiche che abbiano sostanziale carattere di imprenditorialità, per quanto embrionali e semplificate possano essere le forme organizzative».
In contrario, osserva la Corte, «gli argomenti adoperati dalla dottrina ... maggioritaria, in sostanza, si riducono al criterio semantico, sia quando valorizzano l'uso legislativo del plurale per indicare i soggetti passivi del reato, sia quando concepiscono il verbo «sfruttare» come sinonimo di «utilizzare economicamente» o addirittura, di «utilizzare in modo imprenditoriale». Ma il criterio semantico non sembra correttamente applicato, anzitutto perché sfruttare nel linguaggio comune è sinonimo di trarre frutto o utile in genere, non necessariamente utile di tipo economico; e in secondo luogo perché, laddove la nozione di sfruttamento minorile è usata nello stesso contesto semantico (commi primo e quarto dell'art. 600 ter, per indicare il materiale pornografico prodotto mediante lo sfruttamento di minori), in un caso (quarto comma) la nozione di sfruttamento è qualificata dall'aggettivo sessuale, sicché tale qualifica appare esplicativa, e non alternativa, rispetto alla nozione generica di sfruttamento usata nel primo caso (comma primo). Se ne deve concludere che nell'art. 600 ter c.p. il legislatore ha adottato il termine sfruttare nel significato di utilizzare a qualsiasi fine (non necessariamente di lucro), sicché sfruttare i minori vuol dire impiegarli come mezzo, anziché rispettarli come fine e come valore in sé: significa insomma offendere la loro personalità, soprattutto nell'aspetto sessuale, che è tanto più fragile e bisognosa di tutela quanto più è ancora in formazione e non ancora strutturata» (S.U. 5 luglio 2000, n. 13).
Altra questione, affrontata e risolta dalla Corte nella sentenza appena richiamata, è quella della natura da attribuire all'ipotesi ex art. 600 ter,, c.p., questione che il giudice di legittimità ha trattato proprio richiamandosi all'intento del legislatore evidenziato nell'art. 1 più volte citato.
Sul punto la Corte così si è espressa: «Poiché il delitto di pornografia minorile di cui al comma 1 dell'art. 600 ter c.p. mediante il quale l'ordinamento appresta una tutela penale anticipata della libertà sessuale del minore, reprimendo quei comportamenti prodromici che, anche se non necessariamente a fini di lucro, ne mettono a repentaglio il libero sviluppo personale con la mercificazione del suo corpo e l'immissione nel circuito perverso della pedofilia ha natura di reato di pericolo concreto, la condotta di chi impieghi uno o più minori per produrre spettacoli e materiali pornografici è punibile, salvo l'applicabilità di altri reati, quando abbia una consistenza tale da implicare concreto pericolo di diffusione del materiale pornografico».
Alla luce di tali principi assolutamente condivisibili ed ai quali il collegio non può che adeguarsi è agevole affermare che, nel caso in esame, è pienamente integrata la fattispecie ex art. 600 ter,, c.p., così come vigente all'epoca dei fatti. È pacifico, invero, che il sig. (A) abbia sfruttato sessualmente numerose minorenni per realizzare materiale pornografico fotografando con il suo cellulare minori nude e con le parti intime esposte ed, alcune, anche impegnate in atti sessuali e riprendendo con la sua cinepresa i rapporti vaginali ed anali che aveva con altre giovinette. Il numero e la qualità dei «prodotti» sarebbe già sufficiente, a parere del collegio, a dimostrare che la condotta serbata dal prevenuto ha quella «consistenza tale da implicare concreto pericolo di diffusione del materiale pornografico» di cui parla la Corte.
(...) omissis
Analoghe, seppur lievemente diverse, considerazioni si devono svolgere in riferimento al delitto ex art. 600 ter, comma 3, c.p. contestato sub 2).
Va subito precisato che il discorso che si farà riguarderà unicamente la diffusione e divulgazione di notizie finalizzate all'adescamento ed allo sfruttamento sessuale di minori, dovendosi fare una necessaria distinzione in punto di diritto tra questa contestazione e quella - effettuata nel medesimo capo di imputazione - relativa alla diffusione e divulgazione del materiale realizzato dall'imputato sfruttando sessualmente minorenni. Il dettato normativo, difatti, è chiaro prevedendo il comma 3, dell'art. 600 ter c.p. che la fattispecie in esame è configurabile «al di fuori delle ipotesi di cui al primo e secondo comma» ed escludendo, quindi, il concorso tra i due diversi reati ex commi 1 e 3. Nella specie si è visto che l'imputato è stato tratto a giudizio per, e ritenuto responsabile del, delitto ex art. 600 ter,.
La precisazione vale, anche, a sgomberare il campo da alcune obiezioni sollevate dalla difesa che, riferendosi proprio alla distribuzione e divulgazione del materiale pornografico, ha affermato che il termine «distribuzione» è stato utilizzato in modo atecnico dal P.M. per indicare la diffusione, termine - questo - che non era presente nella dizione normativa vigente all'epoca dei fatti ed è stato inserito solo con la novella del 2006. Da ciò deriverebbe che, per aversi comportamento penalmente rilevante, occorrerebbe la consegna del materiale pornografico. Le considerazioni svolte sull'impossibilità di configurare il concorso di reati tra la produzione e la divulgazione di materiale pornografico esimono il collegio dall'affrontare la questione. Né detta questione potrebbe essere proposta, e difatti la difesa non lo ha fatto, in relazione alla diversa condotta - sempre contestata al sig. (A) al capo 2) - di divulgazione di notizie e informazioni finalizzate all'adescamento dei minori ed alla prostituzione minorile. A tale ipotesi, infatti, non si può riferire l'obiezione sollevata dal difensore né è applicabile la giurisprudenza della Corte che, in riferimento solo alla distribuzione del materiale pornografico, ha ritenuto non integrata la fattispecie nella ipotesi in cui detto materiale sia scambiato telematicamente tra due persone e configurabile, in questo caso, il diverso e meno grave reato ex art. 600 quater.
Nella specie, come si è visto, il sig. (A) aveva dato le informazioni di cui si discute all'amico (E), all'ispettore (B) ed a (C) non si può dubitare che la comunicazione delle suddette notizie, anche in tempi diversi, a più persone costituisca «divulgazione» nel significato previsto dalla norma. In tal senso, peraltro, si è sempre espressa la giurisprudenza in relazione a tutte le fattispecie in cui la condotta punita è la divulgazione (cfr. art. 663 bis c.p. ora depenalizzato) affermando che la stessa si realizza nel momento in cui la cosa - o nel caso in esame la notizia - esce dalla sfera di disponibilità dell'agente e diviene, quindi, potenzialmente accessibile ad un numero indeterminato di persone.
Quanto al contenuto delle «notizie o informazioni» si osserva che il carattere di «novità» delle stesse - che secondo il difensore deve contraddistinguerle perché il fatto assuma rilevanza penale - non è richiesto dalla norma.
La spiegazione di tale «omissione» è agevole se si ricorda quanto si è detto in precedenza sulle finalità della normativa che tende a prestare «una tutela penale anticipata della libertà del minore, reprimendo quei comportamenti prodromici che» ne mettono a repentaglio il libero sviluppo personale con la mercificazione del suo corpo e l'immissione nel circuito perverso della pedofilia». A fronte di tale finalità ci si chiede in base a quali elementi possa essere valutata la novità della informazione o notizia che, in assenza di questo requisito, non sarebbe idonea a porre in pericolo il libero sviluppo del minore: la soluzione potrebbe trovarsi solo escludendosi tale carattere unicamente in relazione alle notizie che costituiscono fatti notori o di comune esperienza. Sarebbe, pertanto, notizia non nuova la affermazione che in Tailandia è diffusa la prostituzione minorile, ma non certo l'informazione sui luoghi in cui incontrare bambini soli o sulle modalità di approccio che, invece, costituisce quel comportamento prodromico idoneo a mettere a repentaglio il libero sviluppo personale dei fanciulli.
Nella specie la questione assume unicamente rilievo formale poiché, come è emerso dalla narrazione dei fatti, l'imputato ha fornito un così rilevante numero di notizie e informazioni sui luoghi da frequentare, sulle modalità da seguire per ottenere che i bambini seguissero l'abusante, sull'entità delle somme da pagare, sulla prostituzione minorile in Cambogia e sulle «procedure» da osservare per approfittare di quella opportunità, da rivelarsi una fonte preziosa, una vera e propria miniera in materia.
(...) omissis
4. Conclusioni e trattamento sanzionatorio

Alla luce degli elementi sopra esaminati e delle considerazioni svolte il collegio ritiene di dover formulare, con certezza, un giudizio di penale responsabilità nei confronti del sig. (A)
Non possono essere concesse le attenuanti generiche non potendosi valutare positivamente a tal fine nessuno dei criteri indicati dall'art. 133 c.p.
Alla concessione delle attenuanti ostano, in particolare, la gravità dei fatti (quale emerge dalla valutazione dei singoli episodi contestati e dalla reiterazione degli stessi), l'intensità del dolo dimostrata dalla particolare pervicacia di cui il prevenuto ha dato prova e la personalità dell'imputato che, lungi dal mostrare ravvedimento per il suo agire, ha sia prima del giudizio che in corso di processo palesato il suo profondo disprezzo per le sue giovani vittime, viste solo come strumenti del suo piacere sessuale.
Tutti i delitti contestati possono essere unificati ex art. 81 cpv. c.p. apparendo palesemente esecutivi del medesimo disegno criminoso.
(...) omissis

P.Q.M.

Visti gli artt. 533, 535 Cpp dichiara (A) colpevole dei reati ascritti unificati ex art. 81 cpv. Cp e lo condanna alla pena di anni quattordici di reclusione ed euro 65.000 di multa nonché al pagamento delle spese processuali. Visti gli artt. 29, 32, 609 nonies, 600 septies Cp dichiara l'imputato interdetto in perpetuo dai pubblici uffici, in stato di interdizione legale durante la pena, interdetto in perpetuo da qualunque incarico nelle scuole di ogni ordine e grado nonché da ogni ufficio o servizio in istituzioni o strutture pubbliche o private frequentate prevalentemente da minori, interdetto in perpetuo da qualsiasi ufficio attinente alla tutela ed alla curatela. Visti gli artt. 600 septies, 240 Cp ordina la confisca e distruzione di quanto in sequestro. Visto l' art. 544 comma 3, Cpp indica in giorni novanta il termine per il deposito della motivazione della sentenza.

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