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E' reato pedinare la ex moglie
Pubblicata il 25/03/2008
(Corte di Cassazione, Sezione 1 Penale, Sentenza del 15 gennaio 2008, n. 2113)
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sul ricorso proposto da:
1) RU. SA., N. IL (OMESSO);
avverso SENTENZA del 07/03/2006 TRIBUNALE di SCIACCA;
visti gli atti, la sentenza ed il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA la relazione fatta dal Consigliere Dott. CORRADINI GRAZIA;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. STABILE Carmine, che ha concluso per la inammissibilita' del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza in data 7 marzo 2006 il Tribunale di Sciacca ha dichiarato Ru. Sa. colpevole della contravvenzione all'articolo 660 c.p., commessa ai danni di Se. Ca., in (OMESSO), e lo ha condannato alla pena di euro 300,00 di ammenda, oltre che al risarcimento dei danni morali in favore della persona offesa, costituitasi parte civile, liquidati in complessivi euro 500,00.
Il Tribunale ha ritenuto provata la tesi accusatoria, per cui il Ru. aveva molestato la Se. seguendola con la propria autovettura per motivi biasimevoli, sulla base dell'esame della persona offesa e dei testi Se. Gi. e Bo. Gi., rispettivamente figlio e moglie separata del Ru., della cui attendibilita' non si poteva dubitare, posto che non avevano neppure intentato azioni giudiziarie per tale fatto. Attraverso l'esame di tali testi, non smentiti ed anzi sostanzialmente confortati dalle dichiarazioni del teste a difesa Lo. Ci., era emerso, secondo la ricostruzione del Tribunale, che il Ru. aveva seguito con la macchina la ex moglie e quindi anche la cognata di costei, Se. Ca., che la accompagnava alla guida della propria autovettura, in piu' occasioni e fino all'episodio del (OMESSO) nel corso del quale la persona offesa aveva avuto l'impressione che il Ru. volesse addirittura farla finire fuori strada.
La difesa dell'imputato ha proposto ricorso per Cassazione contro la sentenza e contro la ordinanza del Tribunale in data 14.6.2005, che aveva gia' rigettato le stesse eccezioni, lamentando: la citazione a giudizio era nulla in quanto l'imputato era stato informato del processo soltanto in data 24.2.2005, con la richiesta della rinnovazione della citazione a giudizio, non avendo mai ricevuto la notifica ne' della richiesta di proroga delle indagini in data 1.3.2003 ne' dell'avviso di conclusione delle indagini in data 16.10.2003; la notificazione della richiesta di citazione a giudizio era avvenuta quando era gia' maturato il termine triennale di prescrizione rispetto alla iniziale data di commissione del reato, contestato inizialmente fino al 21.9.2001; anche volendo considerare, peraltro, come data di commissione del reato quella del (OMESSO), secondo la contestazione suppletiva eseguita dal P.M. all'udienza del 14.6.2005, il reato era gia' prescritto al momento della contestazione; la motivazione della sentenza era contraddittoria poiche' i testi non avevano parlato di episodi precedenti a quello del (OMESSO) ed anche con riferimento all'episodio del (OMESSO) avevano riferito che l'imputato era fermo con la propria autovettura lungo la strada per cui transitava la Se..
Il Procuratore Generale presso questa Corte ha concluso per la inammissibilita' del ricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il ricorso e' infondato.
Quanto al primo motivo, con cui il ricorrente deduce la nullita' della citazione a giudizio per omessa notificazione sia della richiesta di proroga delle indagini che dell'avviso di conclusioni delle indagini, il Tribunale, con la ordinanza in data 14.6.2005, ha gia' rilevato che le notificazioni dei suddetti atti erano ritualmente avvenute nel domicilio eletto presso il difensore, per cui la impugnazione della ordinanza che non contesta la motivazione della stessa si appalesa generica e, come tale, inammissibile. La mancanza di specificita' del motivo, invero, deve essere apprezzata non solo per la sua genericita', come indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate della decisione impugnata e quelle poste a fondamento della impugnazione, questa non potendo ignorare le esplicitazioni del giudice censurato senza cadere nel vizio di specificita' conducente, a mente dell'articolo 591 c.p.p., comma 1, lettera c, all'inammissibilita' (v., per tutte, Cass. 18.9.1997, Ahmetovic, rv. 210157).
Il secondo motivo e' ugualmente manifestamente infondato.
A norma dell'articolo 160 c.p., comma 2, il corso della prescrizione e' interrotto dal decreto di citazione diretta a giudizio di cui all'articolo 552 c.p.p., con decorrenza dal momento in cui l'atto e' perfezionato con la sottoscrizione del Pubblico Ministero e non gia' dalla data della sua notificazione, come assume il ricorrente (v. Cass. Sez. Un. 16 marzo 1994, Munaro; Cass. Sez. Un. 18 dicembre 1998, Boschetti). E' infatti il momento della emissione di uno degli atti interruttivi che dimostra l'interesse dello Stato di perseguire colui che viene indicato come responsabile e non anche il momento in cui tale atto viene a conoscenza dell'interessato, che puo' essere anche successivo e dipendere da fattori estranei alla volonta' del Pubblico Ministero di perseguire l'indagato, cosi come avviene anche per la sentenza o per il decreto di condanna in cui rileva ugualmente, ai fini interruttivi, la data di emissione dell'atto e non quella, eventualmente successiva, in cui l'atto viene portato a conoscenza dell'imputato. Ne consegue che, poiche' il decreto di citazione e' stato nella specie emesso il 2.11.2003, non era a quella data ancora decorso il termine triennale di prescrizione (articolo 157 c.p., comma 1, n. 5, nella formulazione previgente alla modifica legislativa di cui alla Legge 5 dicembre 2005, n. 251, articolo 6, applicabile nella specie perche' piu' favorevole all'imputato, in virtu' della disposizione transitoria di cui alla citata legge, articolo 10) neppure con riguardo alla iniziale contestazione concernenti fatti commessi fino al (OMESSO), poi estesi fino al (OMESSO).
Il termine di prescrizione non e' poi decorso neppure successivamente tenuto conto dei successivi atti interruttivi e delle sospensioni del processo.
Quanto poi al lamentato vizio di motivazione della sentenza, questo, anche dopo la novella legislativa dell'articolo 606 c.p.p., lettera e, contenuta nella Legge 20 febbraio 2006, n. 46, puo' essere denunciato nel giudizio di legittimita' o nel caso di inesistenza (cui correttamente si equipara la mera apparenza) di un apparato argomentativo a sostegno della decisione impugnata, ovvero nel caso di manifesta illogicita' emergente dal testo dalla decisione stessa o con riguardo ad altri atti del processo specificamente indicati nei motivi di gravame (e quindi non riconducibile ad una diversa interpretazione del quadro probatorio, in chiave di logica alternativa di quello esistente).
Nessuna di tale due ipotesi ricorre nel caso in esame.
Il giudice di merito, ai fini della ricostruzione dei fatti consistenti in ripetuti ed insistenti episodi di inseguimento in macchina, fino all'ultimo del (OMESSO) (che si era rivelato piu' grave dei precedenti in quanto la vittima aveva intuito che l'imputato voleva passare addirittura alle vie di fatto, buttandola fuori strada per costringerla a fermarsi), si e' basato su ben tre testimonianze ritenute attendibili in quanto disinteressate e concordanti, oltre che sulla individuazione di una causale che giustificava le molestie per motivi di rivalsa che coinvolgevano la ex moglie che lo aveva lasciato e che veniva "scortata" dalla cognata e quindi su un apparato argomentativo complesso che non ha trascurato alcuna emergenza processuale. E tale conclusione non e' sindacabile in sede di legittimita' perche' aderente ai principi di diritto ed inoltre sorretta da logica e puntuale motivazione, saldamente ancorata alle risultanze del quadro probatorio.
In ogni caso, di fronte a tale apparato argomentativo completo e sostenuto da logica ineccepibile che ha portato ad attribuire all'imputato la condotta sanzionata sulla base di univoci e convergenti elementi oggettivi, la difesa si limita a ribadire la tesi gia' sostenuta nel giudizio di merito in chiave di logica alternativa alla ricostruzione dei fatti operata dai giudici di merito, seguendo quindi un procedimento che non e' consentito nel presente giudizio.
Il ricorso deve essere pertanto respinto perche' infondato sotto tutti i profili addotti, con le conseguenze di legge in punto di spese.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.