I provvedimenti inerenti all'affidamento dei figli naturali sono di comptenza del tribunale ordinario

I provvedimenti inerenti all'affidamento dei figli naturali, all'esercizio della potestà, nonché al mantenimento dei figli stessi e agli altri profili economici conseguenziali, rientrano nella competenza per materia del tribunale ordinario, e non del tribunale per i minorenni, in forza della L. 54/06. (Tribunale per i Minorenni di Milano civile
Decreto 12.05.2006)



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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

TRIBUNALE PER I MINORENNI DI MILANO

Domanico - Presidente e Relatore

DECRETO

Premesso che con ricorso depositato in data 16 marzo 2006 la signora XX ha chiesto a questo Tribunale di disporre l'affidamento esclusivo del minore alla madre, essendo venuta meno la convivenza tra i genitori, e di prevedere le modalità di incontro tra il minore ed il padre; di stabilire a carico del sig. YY e in favore del minore un assegno a titolo di mantenimento da corrispondere mensilmente alla ricorrente; di condannare il YY al pagamento di tutte le spese, competenze e onorari del presente giudizio in caso di opposizione;

che con decreto del giudice delegato in data 1 aprile 2006, assegnato alla ricorrente termine per la notifica del ricorso e del decreto stesso al YY e termine a quest'ultimo per replica, è stata fissata l'udienza dell'8 maggio 2006 per la trattazione della questione preliminare relativa alla competenza;

che con comparsa di costituzione e risposta depositata in data 2 maggio 2006 dal padre del minore, è stata eccepita, in via preliminare, l'incompetenza funzionale di questo Tribunale per l'entrata in vigore, il 16 marzo 2006, della L. 54/2006; nell'ipotesi in cui il T.M. avesse ritenuto la propria competenza, il YY ha chiesto il rigetto della domanda di affidamento esclusivo proposta in quanto infondata e non adeguatamente motivata ai sensi dei novellati articoli 155 e 155 bis c.c., ritenendo in ogni caso la incompetenza funzionale del T.M. a decidere in relazione alle domande di carattere economico;

che in data 8 maggio 2006 sono stati sentiti i procuratori delle parti, alla presenza della sola ricorrente XX; il difensore di quest'ultima ha rinunziato alla domanda relativa al mantenimento, insistendo peraltro per la decisione nel merito della domanda di affidamento del minore e regolamentazione dei rapporti con i genitori, evidenziando come la L. 54/2006 non abbia abrogato l'articolo 38 disp. att. c.c. che espressamente attribuisce alla competenza del Tribunale per i Minorenni i provvedimenti contemplati dall'articolo 317 bis c.c.. Il difensore del YY si è riportato a quanto dedotto in comparsa insistendo viceversa per l'accoglimento della eccezione preliminare di incompetenza funzionale;

in data 9 maggio 2006 il P.M. in sede ha chiesto dichiararsi l'incompetenza funzionale del Tribunale per i Minorenni, ritenendo la competenza del Tribunale ordinario a seguito della entrata in vigore della legge 54 citata, il cui articolo 4, comma 2, estende anche ai procedimenti relativi ai figli di genitori non coniugati l'applicazione delle disposizioni della legge stessa, e dunque della normativa di cui agli articoli 155 e seg. c.c. novellati. Tale articolato farebbe venir meno, per incompatibilità, gran parte delle disposizioni di cui all'articolo 317 bis c.c.; tanto premesso, il Tribunale

OSSERVA

La L. 54/2006 (Disposizioni in materia di separazione dei genitori e affidamento condiviso dei figli), che ha modificato l'articolo 155 c.c., ha inserito gli articoli 155 bis, ter, quater, quinquies e sexies ed ha modificato gli articoli 708 e 709 bis c.p.c., è entrata in vigore il 16 marzo 2006, giorno in cui è stato depositato il ricorso in esame e dunque trova piena applicazione nel caso di specie, sia con riferimento agli aspetti sostanziali che processuali.

Una interpretazione coerente e organica della novella, che tenga anche conto del sistema complessivo delle norme in materia di potestà genitoriale e filiazione, induce questo Tribunale a ritenere che l'eccezione preliminare di incompetenza funzionale debba essere accolta. Per effetto dell'articolo 4 comma 2 legge cit. "le disposizioni della presente legge si applicano anche in caso di scioglimento, cessazione degli effetti civili, nullità del matrimonio, nonché ai procedimenti relativi ai figli di genitori non coniugati". Vengono pertanto uniformati i procedimenti relativi all'esercizio della potestà sui figli naturali a quelli relativi ai figli legittimi non solo sotto il profilo sostanziale ma anche sotto il profilo processuale, con un richiamo generale che modifica la disciplina sino ad oggi applicata: "le disposizioni", quindi sia sostanziali che processuali, "della presente legge si applicano" (non, quindi, in quanto compatibili) ai procedimenti relativi ai figli di genitori non coniugati". Ciò pone indubbiamente seri problemi interpretativi con riferimento alle norme procedurali applicabili nel caso di procedimenti relativi all'affidamento di figli naturali e, conseguentemente, alla autorità giudiziaria competente a decidere.

È opportuno premettere che per la filiazione naturale l'articolo 261 c.c. dispone che il riconoscimento comporta da parte del genitore l'assunzione di tutti i doveri e diritti che ha nei confronti dei figli legittimi. Il riferimento è innanzitutto agli articoli 147 c.c. e 148 c.c. che, nonostante siano posti nel capo IV del titolo VI (del matrimonio), valgono per ogni rapporto di filiazione. Le norme contenute nel titolo IX, specificamente dedicate alla potestà dei genitori, dettano le regole dell'esercizio di tale potestà sia per i genitori coniugati che per i genitori naturali (articoli 316, 317 e 317 bis c.c.) regolamentando altresì l'intervento dell'autorità giudiziaria, autorità da individuarsi pressoché esclusivamente nel Tribunale per i Minorenni per espresso richiamo dell'articolo 38 disp. att. c.c.. Diversa disciplina è dettata per il caso in cui l'intervento dell'autorità giudiziaria in ordine all'esercizio della potestà sia determinato dalla domanda di separazione o divorzio (o scioglimento o annullamento del matrimonio). In tal caso infatti il legislatore ha attribuito la competenza a decidere in ordine all'esercizio della potestà sui figli legittimi all'autorità giudiziaria ordinaria, inserendo la relativa disciplina nell'articolo 155 c.c. (articolo 6 legge sul divorzio), richiamato dall'articolo 317 c.c..

Per i figli naturali invece, la norma di riferimento è sempre stata unicamente l'articolo 317 bis c.c.. Come pacificamente ritenuto in dottrina, la prima parte di tale articolo disciplina una serie di situazioni di fatto che prescindono e precedono l'intervento dell'autorità giudiziaria. Il comma 1 si riferisce all'ipotesi in cui un solo genitore abbia riconosciuto il figlio con conseguente attribuzione a lui dell'esercizio della potestà. In tal caso si prescinde dal criterio della convivenza o meno del figlio con il genitore e l'esercizio della potestà spetta pacificamente al genitore che lo ha riconosciuto.

Il comma 2 disciplina invece l'ipotesi di riconoscimento da parte di entrambi i genitori: se i due genitori sono conviventi la potestà spetta "congiuntamente" ad entrambi e si applicano le disposizioni di cui all'articolo 316 c.c.. Si tratta di situazione del tutto analoga a quella dei figli legittimi per i quali la titolarità della potestà coincide sempre con il suo esercizio sino ad eventuale diversa pronuncia giudiziale (del Tribunale per i Minorenni ex articoli 330 e ss.; del Tribunale ordinario in sede di separazione o divorzio).

Si prevede poi la disciplina per i genitori non conviventi. In tal caso diventa decisivo il criterio della convivenza del figlio naturale con il genitore. Se il minore convive con uno dei due genitori l'esercizio della potestà spetta allo stesso. Per la meno frequente ipotesi di non convivenza con nessuno dei due genitori la potestà genitoriale è esercitata dal primo che ha effettuato il riconoscimento. Al genitore che non esercita la potestà spetta comunque il potere di vigilanza di cui all'ultimo comma della norma.

Tale regolamentazione dell'esercizio della potestà da parte dei genitori naturali non conviventi prescinde dall'intervento del Giudice, cui il comma 2 dà però la possibilità di "disporre diversamente" nell'esclusivo interesse del figlio, attribuendo quindi al Tribunale per i Minorenni, adito da uno dei genitori per la regolamentazione dell'esercizio della potestà, un potere decisorio del tutto speculare a quello posto in essere in caso di separazione e divorzio dall'autorità ordinaria (pur in assenza di richiamo infatti i parametri di riferimento venivano infatti comunque mutuati dall'articolo 155 c.c. e 6 legge divorzio), tranne che per gli aspetti patrimoniali. Questi ultimi infatti non trovano disciplina specifica nell'articolo 317 bis c.c., ma, in virtù del richiamo operato dall'articolo 261 c.c., nell'articolo 148 c.c. di competenza dell'autorità giudiziaria ordinaria. L'articolo 38 disp. att. c.c. prevede infatti la competenza del Tribunale Ordinario per tutti i procedimenti per i quali non è "espressamente" prevista la competenza di una diversa autorità giudiziaria, escludendo pertanto la possibilità del ricorso a interpretazioni estensive o analogiche.

Qualora i genitori naturali intendevano pertanto discostarsi dalle soluzioni precostituite dall'articolo 317 bis, e intendevano agire per il contributo al mantenimento o assegnazione della casa familiare dovevano adire due diverse autorità per vedere complessivamente regolato l'esercizio della potestà sui figli naturali: il Tribunale per i Minorenni in ordine all'affidamento e al diritto di visita, il Tribunale ordinario in ordine al mantenimento o all'assegnazione della casa familiare.

Su tale quadro normativo si innesta la L. 54/2006 che, senza farsi carico di intervenire capillarmente con abrogazioni o richiami sulla complessiva normativa, ha utilizzato un richiamo diretto all'applicabilità di tutte le disposizioni della legge anche ai procedimenti relativi ai figli di genitori non coniugati.

Sotto il profilo sostanziale, pertanto, il giudice adito dai genitori per la regolamentazione dell'esercizio della potestà dovrà, anche per i genitori non coniugati, fare riferimento agli articoli 155 e ss. c.c., e non più agli articoli 317 bis e 148 c.c..

Tale richiamo comporta che parte del contenuto dell'articolo 317 bis c.c., relativa all'ipotesi di intervento del giudice su istanza dei genitori, è stato assorbito dalle nuove disposizioni, trattandosi di norme assolutamente incompatibile con la novella. Non può infatti ritenersi che il giudice, nel caso di conflitto tra genitori naturali sull'affidamento dei figli, possa "disporre diversamente" in base ad una valutazione ampiamente discrezionale che ha come unico riferimento l'interesse esclusivo del minore, dovendosi invece rigorosamente attenere alla "griglia" argomentativa di cui agli articoli 155 c.c. e ss. come novellati dalla L. 54/2006.

L'art. 317 bis c.c. resta invece in vigore per le ipotesi di unico riconoscimento, per quelle di convivenza dei genitori che abbiano entrambi riconosciuto, ovvero per i casi in cui, pur in assenza di convivenza, i genitori non adiscano l'autorità per richiedere la regolamentazione dell'esercizio della potestà. Per questo l'articolo 38 disp. att. c.c. non è stato opportunamente espressamente abrogato. Si tratta di disciplina fondamentale per tutti i contrasti extragiudiziari che si verifichino tra i genitori (si pensi ad esempio a quando uno dei due genitori chiede l'intervento dei servizi sociali, delle forze dell'ordine o dell'istituzione scolastica, perché è insorto un contrasto con l'altro genitore. Mancando una provvedimento dell'autorità giudiziaria il soggetto istituzionale è comunque in grado di risolvere il conflitto verificando la situazione di fatto con riferimento ai parametri dettati dall'articolo 317 bis c.c.).

Non c'è dubbio pertanto che la normativa sostanziale applicabile sia oggi unica ma il legislatore nulla ha detto in ordine a quale sia l'autorità giudiziaria competente ad applicarla, autorità prima sdoppiata come sopra ricordato.

La L. 54/2006 prevede una disciplina unitaria che si riferisce all'affidamento dei figli, al diritto di visita nonché al mantenimento e all'assegnazione della casa: pertanto anche in relazione ai genitori non coniugati la nuova normativa non sembra più consentire la scissione delle competenze, superando le difficoltà che la precedente normativa aveva creato ai genitori naturali costretti ad adire diversi Tribunali con evidente dilatazione di tempi e costi.

Emerge infatti dalla lettura dell'articolato la volontà del legislatore di concentrare le decisioni. Al comma 2 dell'articolo 155 c.c. si prevede che il giudice oltre a disporre sull'affidamento fissa "altresì la misura e il modo con cui ciascuno di essi deve contribuire al mantenimento, alla cura, all'istruzione e all'educazione dei figli". Evidente e manifesta è la necessità di una decisione contestuale. E sempre contestuale deve essere la decisione sull'assegnazione della casa di cui all'articolo 155 quater c.c., visto che "dell'assegnazione il giudice tiene conto nella regolazione dei rapporti economici tra i genitori". Inoltre l'assegno periodico va determinato considerando: 1) le attuali esigenze del figlio; 2) il tenore di vita goduto dal figlio in costanza di convivenza con entrambi i genitori; 3) i tempi di permanenza presso ciascun genitore; 4) le risorse economiche di entrambi i genitori; 5) la valenza economica dei compiti domestici e di cura assunti da ciascun genitore. Non sembra pertanto possibile scindere le decisioni relative all'affidamento da quelle relative alle questioni economiche con riferimento ai figli di genitori naturali.

Appare evidente, a parere di questo Tribunale, la volontà di una disciplina unitaria e di una decisione contestuale, essendo unica la norma sostanziale di riferimento. Ciò comporta che la divisione di competenze sino ad oggi esistente in relazione ai procedimenti relativi ai figli naturali (avanti al T.M. per i provvedimenti relativi all'affidamento dei figlie e avanti al TO per le domande di contenuto economico) è venuta meno.

Occorre quindi verificare quale sia l'autorità giudiziaria competente ad applicare la nuova disciplina nel caso di figli di genitori non coniugati, tenendo conto delle norme processuali contenute nella legge che determinano l'individuazione del rito applicabile. Su tale ultimo punto non può infatti trascurarsi che l'articolo 4 comma 2 della L. 54/2006 richiama integralmente le norme precedenti tanto sostanziali che processuali, senza neppure la clausola "in quanto compatibili", e che queste ultime presuppongono l'innesto su un rito ben preciso che è quello di cui agli articoli 706 e ss. c.p.c.. Non sembra infatti condivisibile l'affermazione di alcuni commentatori secondo la quale le norme processuali della legge si innesterebbero, per i procedimenti relativi ai figli di genitori non coniugati, sulla procedura camerale e ciò in quanto l'articolo 2 della legge intitolato Modifiche al codice di procedura civile contiene disposizioni che si inseriscono come nuovi commi o come nuovi articoli all'interno della disciplina del capo I titolo II libro IV c.p.c. che quindi presuppongono.

L'alternativa è pertanto quella di ritenere che la competenza spetti integralmente o al Tribunale per i Minorenni ovvero al Tribunale Ordinario, ferma l'applicazione in tutti i casi del procedimento di cui agli articoli 706 e ss. c.p.c..

A favore della prima tesi si sottolinea, da parte della ricorrente, che non vi è stata una modifica espressa della competenza del T.M. con riferimento ai genitori naturali, non essendo stato modificato l'articolo 38 disp. att. nella parte in cui richiama l'articolo 317 bis c.c.. Tale tesi, che sembra presupporre che l'articolo 317 bis c.c. assorba in sé la disciplina sostanziale dettata dalla nuova legge, non sembra fondata, al di là della difficoltà di ritenere che oggi l'articolo 317 bis ricomprenda in sé una summa di altre disposizioni nel caso in cui l'intervento del giudice sia attivato da uno dei genitori: l'articolo 155, l'articolo 155 bis, e sexies (non comunque il ter, il quater e il quinquies).

Si deve infatti osservare che sia il nuovo articolo 155 che l'articolo 4 L. 54/2006 nella parte in cui richiama "le disposizioni della presente legge", non sono richiamati dall'articolo 38 disp. att. c.c., mentre sarebbe necessario, come già sottolineato, un richiamo espresso per escludere la competenza del Tribunale Ordinario Inutili o fuorvianti paiono i richiami ai lavori preparatori. Dalla lettura degli stessi emerge che non vi è stato alcun reale approfondimento del problema relativo alla competenza né può trarsi alcun orientamento interpretativo.

Non si ritiene inoltre dirimente né rilevante il richiamo all'espressione "procedimenti relativi ai figli di genitori non coniugati" di cui all'articolo 4. Alcuni commentatori hanno osservato che se il legislatore avesse voluto attribuire al Tribunale Ordinario la competenza, avrebbe stabilito l'applicabilità delle nuove disposizioni anche ai "figli" di genitori non coniugati e non ai "procedimenti", relativi ai figli di genitori non coniugati, ritenendo che con tale espressione si sia voluto sottolineare l'intenzione del legislatore di riferirsi ai "procedimenti già esistenti aventi ad oggetto l'affidamento e l'esercizio della potestà parentale sui figli naturali e, quindi ai procedimento di cui agli articolo 317 bis e 336 c.c., già di competenza del Tribunale per i minorenni" (i).

Peraltro tale tesi trascura che alla luce della riforma sono individuabili almeno 6 distinti procedimenti, alcuni nuovi, altri modificati sicché deve ritenersi che a tali procedimenti voglia riferirsi il richiamo contenuto nella disposizione finale della legge. Tali procedimenti sono: - articolo 155 c.c. e 706 e ss. c.p.c.: separazione dei genitori; - articolo 155 bis c.c. e 710 c.p.c.: opposizione all'affidamento condiviso; - articolo 155 ter c.c. e 710 c.p.c.: modifiche al provvedimento di separazione; - articolo 155 quater c.c. e 710 c.p.c.: modifica in materia di assegnazione della casa; - articolo 155 quinquies c.c.: disposizioni per i figli maggiorenni; - articolo 709 ter comma 2 c.p.c.: sanzioni, successive alla separazione, per violazione delle condizioni di separazione.

Come si vede non tutti i procedimenti concernono questioni relative all'affidamento (ed in particolare assegnazione casa, mantenimento, applicazioni di sanzioni al coniuge inadempiente), ed un procedimento non riguarda il figlio minorenne. Si tratta pertanto di vari "procedimenti" tutti applicabili ai figli di genitori non coniugati.

Deve altresì rilevarsi che l'individuazione nel T.M. dell'organo competente determinerebbe una serie di problemi non facilmente risolvibili in tema di rito.

Laddove si richiama l'applicazione ai figli naturali delle "disposizioni della presente legge" non si fa alcuna distinzioni tra parte sostanziale e parte processuale che presuppone, come sopra già detto, l'applicazione delle norme di cui agli articoli 706 e ss. c.p.c..

Non risulta però chiaro come si possa adattare tale procedura senza stravolgere la natura del Tribunale per i Minorenni, e soprattutto superare il dettato dell'articolo 38 disp. att. c.c. che prevede che per tali procedimenti (e quindi anche per il 317 bis c.c. così come ampliato nell'interpretazione qui non condivisa) si provveda "in camera di consiglio sentito il pubblico ministero", conclusione incompatibile con la dettagliata procedura regolata dagli articoli 706 e ss. c.p.c..

Né si ritiene di poter adattare in questo caso volontaria giurisdizione e natura contenziosa del rito. Si fa riferimento a quanto occorso in relazione al procedimento di cui all'articolo 269 c.c. per il quale le S.U. della Cassazione (5629/96) hanno confermato la natura camerale del procedimento pur con gli adattamenti necessari a garantire le parti in ordine alla competenza per territorio, al diritto di difesa e di prova, all'applicazione dei termini ordinari previsti dagli artt. 325 e 327 c.p.c.. In tal caso infatti la Suprema Corte ha ritenuto di potere/dovere affermare l'applicabilità del rito camerale, pur con gli opportuni adattamenti, alla tutela giurisdizionale dei diritti soggettivi, mentre nel caso in esame sarebbe necessario abbandonare il rito camerale al fine di applicare il rito di cui agli articoli 706 e ss. c.p.c. da parte di un organo, il Tribunale per i Minorenni, che ha una specifica composizione, la cui peculiarità, quanto alla presenza dei Giudici Onorari, è stata più volte sottolineata dalla Corte Costituzionale come fondamentale all'interno delle decisioni di competenza di questa A.G. (ii).

Applicando la procedura di cui agli articoli 706 e ss. invece l'apporto dei Giudici Onorari verrebbe di fatto relegato alla fase finale della decisione, attribuendo tali norme esclusivamente al Presidente prima e al Giudice Istruttore poi, un potere decisorio sia in tema di provvedimenti provvisori che di istruttoria. La presenza di un organo specializzato non avrebbe pertanto più senso alcuno.

Elemento ulteriore può desumersi dall'articolo 708 comma 4 c.p.c. come novellato, che prevede che i provvedimenti provvisori siano impugnabili innanzi alla "Corte d'Appello" senza alcun riferimento alla sezione per i minorenni, presupponendo quindi, per ognuno dei procedimenti individuati e disciplinato dalla nuova legge, la competenza del Tribunale Ordinario; diversa interpretazione sarebbe possibile se la legge avesse adottato la stessa tecnica utilizzata nell'ultimo comma dell'articolo 709 ter c.p.c. dove si afferma che i provvedimenti sono impugnabili "nei modi ordinari". Se così fosse stato espresso si sarebbe potuto ritenere operante comunque l'articolo 38 comma 4 disp. att. c.c. ove si statuisce che quando il provvedimento è assunto dal Tribunale per i Minorenni il "reclamo si propone davanti alla sezione di Corte d'Appello per i Minorenni". L'indicazione specifica dell'articolo 708 comma 4 c.p.c., invece, porta ad escludere che i provvedimenti impugnabili possano essere adottati dal Tribunale per i Minorenni.

E' stata inoltre modificata la competenza per tutti i procedimenti ex articoli 155 ter c.c. e 710 c.p.c., (compresi quelli relativi ai figli di genitori non coniugati ex articolo 4 comma 2 della legge), da attribuirsi al Tribunale del luogo di residenza del minore. L'articolo 710 c.p.c. è espressamente richiamato dall'articolo 709 ter comma 1 c.p.c. il quale ha innestato alcune modifiche alla disciplina in atto ed ha introdotto una procedura del tutto nuova. Nella prima parte si disciplina la soluzione delle controversie insorte tra i genitori distinguendo tra l'ipotesi in cui sia pendente un procedimento (per le quali è competente il giudice che procede) e l'ipotesi in cui il giudizio di separazione sia esaurito. In quest'ultimo caso si prevede che la competenza sia del "Tribunale del luogo di residenza del minore". Pertanto se in seguito al provvedimento di separazione il minore ha cambiato residenza non sarà più competente il foro del convenuto. Il Tribunale di residenza del minore non può che essere il Tribunale Ordinario visto che le procedure ex articoli 155 ter c.c. e 710 c.p.c. - nonché le sanzioni e gli ammonimenti per il genitore inadempiente dopo che si è esaurita la prima procedura di cui al secondo comma dell'articolo 709 ter c.p.c. - sono materia del tutto separata (sia dal punto di vista sostanziale che procedurale) rispetto all'originario procedimento ex articolo 155 c.c. e per la quale non vi è un richiamo dell'articolo 38 disp. att.. Va osservato inoltre che appare irragionevole ritenere che l'autorità ordinaria possa essere ritenuta competente per le modifiche di provvedimenti adottati dall'autorità minorile.

Ed altrettanto deve ritenersi quando uno dei due genitori ritiene di dover avviare il procedimento relativo all'attribuzione della casa ai sensi dell'articolo 155 quater a seguito del mutamento della situazione di fatto (nuovo matrimonio, nuova convivenza more uxorio) : anche in tal caso si tratta di un procedimento di modifica dei provvedimenti già in precedenza adottati, e per il quale si applica l'articolo 710 c.p.c. e quindi il foro della residenza del minore con relativo mancato richiamo da parte dell'articolo 38 disp. att.. Né può certo ritenersi la competenza del Tribunale per i Minorenni per i figli maggiorenni (articolo 155 quinquies).

Non può infine sottacersi che l'individuazione nel Tribunale Ordinario del giudice competente evita finalmente ai genitori non coniugati la necessità di fare riferimento ad un Tribunale distrettuale con tutte le conseguenze in ordine ai tempi e costi dei relativi spostamenti. Le considerazioni che precedono portano a ritenere più lineare e sistematicamente coerente l'interpretazione che individua quale unico giudice competente il Tribunale Ordinario.

Non vi sono motivi che possano indurre a ritenere come contraria al sistema tale ipotesi ed è evidente che l'individuazione dell'unico giudice competente nel Tribunale Ordinario non pone alcun problema in punto rito. Tale soluzione interpretativa offre invece la possibilità di parificare effettivamente l'intervento dell'autorità giudiziaria con riferimento ai genitori naturali e legittimi, superando una non più tollerabile disparità di trattamento, esigenza questa assai sentita. A prescindere dal tipo di filiazione, legittima o naturale, i genitori si rivolgeranno al Tribunale Ordinario in tutti i casi in cui sia richiesta la regolamentazione dell'esercizio della potestà (con riferimento anche agli aspetti economici) e al Tribunale per i Minorenni in tutti i casi, diversi da quello indicato, in cui sia necessario l'intervento della Autorità Giudiziaria per il controllo dell'esercizio della potestà.

Non si tratta certo di situazione nuova e non si ravvisano particolari problemi di confine tra intervento del Tribunale per i Minorenni ed il Tribunale Ordinario perché si tratta di questione già nota e ampiamente trattata dalla giurisprudenza in relazione ai figli legittimi per i quali - nel previgente testo - si riteneva che l'articolo 333 c.c., laddove richiama la tutela dei figli minori rispetto ad un ipotizzato pregiudizio, enuncia una situazione ricompresa anche tra i presupposti della disciplina di cui all'articolo 155 comma 1 c.c. (vecchio testo) e 6 L. 898/70 (e succ. modif.), atteso il richiamo ivi contenuto all'interesse morale e materiale della prole (e quindi anche l'articolo 710 c.p.c. che richiama l'articolo 155 c.c.).

Tali norme avevano medesimo contenuto, pur prevedendo fattispecie distinte, individuabili in astratto. In particolare si riteneva che mentre l'articolo 333 c.c. presuppone la convivenza dei genitori (essendo irrilevante l'esistenza del vincolo di coniugio) ovvero la loro separazione di fatto, gli articoli 155 c.c., 710 c.p.c. e 6 L. 898/70 presupponevano l'esistenza di un giudizio di separazione o divorzio (o di modifica delle corrispondenti condizioni), ovvero di una sentenza che li avesse definiti, incidendo sul vincolo matrimoniale. L'articolo 333 c.c. è stato così applicato soltanto nei casi di coniugi non separati legalmente, ovvero di genitori separati di fatto (indipendentemente dall'esistenza del vincolo di coniugio), mentre per le altre fattispecie si è ritenuto che fosse presupposto quantomeno la pendenza di una causa di separazione o divorzio, o di modifica delle corrispondenti condizioni (in questo senso v. Cassazione, sentenza 3159/97), e quindi, in pendenza di un simile giudizio, la competenza del Tribunale per i Minorenni permaneva solo in relazione ad accertamenti e pronunce riguardanti la titolarità della potestà sui figli minori, stante la sua competenza esclusiva in materia di provvedimenti ablativi della potestà parentale sulla prole ai sensi dell'articolo 330 c.c..

Dopo la novella tale orientamento deve essere esteso ai figli naturali una volta che uno dei due genitori attivi il procedimento contenzioso in materia di esercizio della potestà (richiesta di affidamento dei figli, regolamentazione dei rapporti con i genitori e conseguenti questioni di carattere economico).

In conclusione sembra doversi ritenere che il legislatore abbia inteso dare per la prima volta una disciplina unitaria ai procedimenti in materia di filiazione naturale instaurati da uno dei genitori nei confronti dell'altro al fine di veder regolato, in tutti i suoi aspetti, l'esercizio della potestà, parificando l'intervento giudiziario, sotto il profilo sostanziale, processuale e di competenza, a quello previsto per i figli di genitori coniugati. La disciplina fuoriesce, per così dire, dall'ambito dell'articolo 317 bis c.c. che rimane in vigore per le parti residue. In accoglimento della eccezione proposta dal resistente il Tribunale ritiene pertanto la propria incompetenza funzionale essendo competente il Tribunale ordinario di Milano.

P.Q.M.

Vista la L. 54/2006 e gli articoli 317 bis c.c. e 737 c.p.c. provvedendo in via definitiva:

dichiara non luogo a provvedere essendo competente il Tribunale Ordinario di Milano.

Si notifichi ai genitori presso i rispettivi procuratori domiciliatari e ai difensori via fax. Si comunichi al P.M. sede.

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