Il figlio maggiorenne può continuare ad avere diritto al mantenimento anche se rinuncia ad una opportunità lavorativa

L'obbligo dei genitori di concorrere tra loro al mantenimento dei figli secondo le regole dell'art. 148 cod. civ. non cessa, "ipso facto", con il raggiungimento della maggiore età da parte di questi ultimi, ma perdura, immutato, finché il genitore interessato alla declaratoria della cessazione dell'obbligo stesso non dia la prova che il figlio abbia raggiunto l'indipendenza economica, ovvero che il mancato svolgimento di un'attività economica dipenda da un atteggiamento di inerzia ovvero di rifiuto ingiustificato dello stesso, il cui accertamento non può che ispirarsi a criteri di relatività, in quanto necessariamente ancorato alle aspirazioni, al percorso scolastico, universitario e post - universitario del soggetto ed alla situazione attuale del mercato del lavoro, con specifico riguardo al settore nel quale il soggetto abbia indirizzato la propria formazione e la propria specializzazione. Deve, pertanto, in via generale escludersi che siano ravvisabili profili di colpa nella condotta del figlio che rifiuti una sistemazione lavorativa non adeguata rispetto a quella cui la sua specifica preparazione, le sue attitudini ed i suoi effettivi interessi siano rivolti, quanto meno nei limiti temporali in cui dette aspirazioni abbiano una ragionevole possibilità di essere realizzate, e sempre che tale atteggiamento di rifiuto sia compatibile con le condizioni economiche della famiglia. (Corte di Cassazione Sezione 1 Civile, Sentenza del 24 settembre 2008, n. 24018)



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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. Maria Gabriella LUCCIOLI - Presidente -

Dott. Mario Rosario MORELLI - Consigliere -

Dott. Maria Cristina GIANCOLA - Consigliere -

Dott. Onofrio FITTIPALDI - Rel. Consigliere -

Dott. Stefano PETITTI - Consigliere -

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

Le.Sa., elettivamente domiciliato in Ro. via De.Sc. (...), presso l'avvocato Kl.De.La.Gr.Te., rappresentato e difeso dall'avvocato Fe.Gi.Ca., giusta procura in calce al ricorso;

- ricorrente -

contro

Sa.Lo.;

- intimata -

avverso il decreto della Corte d'Appello di BOLOGNA, depositato il 10/12/04;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 29/04/2008 dal Consigliere Dott. Onofrio FITTIPALDI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Antonio MARTONE che ha concluso per il rigetto del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il Tribunale di Modena accoglieva, con decreto del 17 marzo 2004, il ricorso proposto da Sa.Lo., ai sensi dell'art. 9 della legge n. 898 /70, e fissava, a carico dell'ex marito Le.Sa., un assegno mensile di E. 300,00 50% delle spese straordinarie quale contributo al mantenimento del figlio Da., ventenne e convivente con la madre, il quale si era dimesso, dopo alcuni anni, dall'attività di lavoro dipendente da lui prestata quale disossatore di carni suine e si era iscritto ad un corso per stilista di capelli.

Proponeva reclamo il Le., sottolineando come il figlio (già operaio di terzo livello e non già apprendista) fosse già entrato nel mondo del lavoro. e si fosse, in realtà, volontariamente dimesso, per il che nessun titolo vantasse il mantenimento.

Resisteva la Sa.

La Corte di Appello, con decreto del 17 settembre - 10 dicembre 2004 notificato il 10 gennaio 2005, posta in luce la giovanissima del figlio, rigettava il reclamo, evidenziando come:

1. il già avvenuto superamento della fase dell'apprendistato non potesse considerarsi fattore risolutivo e preclusivo;

2. del tutto legittima si rivelasse la coltivazione, da parte del giovane, di - oltretutto pienamente realistiche - aspirazioni lavorative più consone alle sue inclinazioni, e non si configurasse. - pertanto - alcuna arbitrarietà nel comportamento del ventenne o alcun atteggiamento parassitario;

3. il tutto andasse in realtà riguardato alla luce delle naturali difficoltà iniziali, incontrate dal ragazzo nell'inserimento nel mondo del lavoro, e dell'obbligo dei genitori di assecondare le aspirazioni dei figli, quale espressione e riflesso dell'obbligo di mantenimento;

4. tutto ciò rendesse in configurabile qualsivoglia atteggiamento di colpevole e successiva inerzia del giovane o di ingiustificato rifiuto di un lavoro, nella scelta di privilegiare la frequenza del corso;5. l'attività lavorativa prescelta, dal giovane, in conformità di insindacabili inclinazioni, non si rivelasse affatto velleitaria e richiedesse tempi di formazione e di attesa durante i quali - purché ragionevoli - permaneva conseguentemente l'obbligo dei genitori di provvedere al mantenimento;

6. alla luce di una valutazione comparata delle condizioni economiche dei due genitori, e del ruolo di per sé non preclusivo giocato dell'avvenuta costituzione - da parte del padre - di un nuovo nucleo familiare, la misura dell'assegno fissata dal primo giudice si rivelasse del tutto congrua.

Ricorre per Cassazione, con atto notificato il 10 marzo 2005, il Le. sulla scorta di 2 motivi.

Non controricorre la ex moglie.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con i due motivi del ricorso (da trattarsi unitariamente siccome intimamente connessi), nel denunciare VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE DELL'ART. 9 L. 898/70, nonché MOTIVAZIONE APPARENTE, il ricorrente lamenta come la Corte territoriale: a) non abbia tenuto conto del profilo per cui il figlio Da. avesse scelto spontaneamente di non proseguire negli studi e di entrare nel mondo del lavoro, trovando inserimento in un'azienda quale disossatore di prosciutti, dapprima quale apprendista, poi come operaio, con stipendio del tutto congruo rispetto alle qualifiche possedute; b) del pari abbia omesso di tener conto del profilo per cui, una volta che un figlio maggiorenne abbia esaurito la sua formazione professionale (consistente in quella da lui sperata, o più semplicemente in quella concretamente raggiunta), ciò comporti la cessazione dell'obbligo di mantenimento. il quale non si ripristina in caso di abbandono del lavoro, quali che ne risultino i motivi; c) abbia dato, in ogni caso, per scontato ciò che non lo era (esistenza di una volontà seria del giovane di iscriversi ad una scuola professionale di parrucchiere).

I motivi non possono trovare alcun accoglimento, in quanto - al di là del già di per sé inammissibile loro indugio nella prospettazione di profili fattuali i quali, anche a prescindere dalla loro frequente, intrinseca e palese inconferenza, in ogni caso non emergono dal contenuto del decreto e non sono di certo introducibili in questa sede (vedi l'allusione ad una supposta scarsa propensione del giovane allo studio, alla altrettanto supposta piena congruità dello stipendio percepito dallo stesso quale disossatore di prosciutti, o alla natura suppostamente meramente putativa della serietà dell'intento di frequentare un corso per parrucchiere) - essi risultano irrimediabilmente minati - da un lato - dai limiti di un inquadramento dei problemi e della concreta vicenda storica del tutto astratto il quale finisce - non a caso - per prescindere dalle concrete caratteristiche di età del giovane - appena ventenne - e per dissolverle nell'ambito di una considerazione del tutto generalizzante della realtà normativa e dei temi da essa implicati, e - dall'altro e conseguentemente - da una del tutto inadeguata valutazione della portata della disposizione di cui all'art. 147 c.c. laddove la stessa coniuga anche l'"obbligo di mantenimento" dei figli a quello di "tener conto delle capacità, delle inclinazioni naturali e delle aspirazioni dei figli"; coniugazione la quale finisce del tutto svuotata di senso allorché - come nella prospettazione prescelta dal ricorrente - la si pretende automaticamente paralizzata e risolta non appena il figlio - benché ancora adolescente - si accontenti di uno sbocco lavorativo qualsiasi anche se tradizionalmente scarsamente appetito nella stagione adolescenziale in quanto privo di prospettive di sviluppo, essendo invece detto obbligo chiamato ad esprimersi finché le caratteristiche d'età del figlio - benché maggiorenne - si rendano compatibili con ansie di cambiamento e di accrescimento professionale e culturale.

E non colgono di certo nel segno -se poste in relazione alle ricordate (e puntualmente colte dalla Corte territoriale con motivazione del tutto convincentemente immune da vizi logico giuridici) peculiarità della vicenda (caratterizzata da un quanto mai precoce - e perciò intuibimente non adeguatamente meditato - ingresso nel mondo del lavoro) i precedenti citati dal ricorrente, i quali finiscono del tutto incongruamente assolutizzati e devono invece essere coordinati con altri principi del pari affermati da questa Suprema Corte (vedi, per tutte, Cass. 4765/2002), a tenore dei quali "l'obbligo dei genitori di concorrere tra loro al mantenimento dei figli secondo le regole dell'art. 148 cod. civ. non cessa, "ipso facto", con il raggiungimento della maggiore età da parte di questi ultimi, ma perdura, immutato, finché il genitore interessato alla declaratoria della cessazione dell'obbligo stesso non dia la prova che il figlio abbia raggiunto l'indipendenza economica, ovvero che il mancato svolgimento di un'attività economica dipenda da un atteggiamento di inerzia ovvero di rifiuto ingiustificato dello stesso, il cui accertamento non può che ispirarsi a criteri di relatività, in quanto necessariamente ancorato alle aspirazioni, al percorso scolastico, universitario e post - universitario del soggetto ed alla situazione attuale del mercato del lavoro, con specifico riguardo al settore nel quale il soggetto abbia indirizzato la propria formazione e la propria specializzazione. Deve, pertanto, in via generale escludersi che siano ravvisabili profili di colpa nella condotta del figlio che rifiuti una sistemazione lavorativa non adeguata rispetto a quella cui la sua specifica preparazione, le sue attitudini ed i suoi effettivi interessi siano rivolti, quanto meno nei limiti temporali in cui dette aspirazioni abbiano una ragionevole possibilità di essere realizzate, e sempre che tale atteggiamento di rifiuto sia compatibile con le condizioni economiche della famiglia".

Ne consegue il rigetto del ricorso, al quale non si coniugano - peraltro - pronunce sulle spese, non avendo l'intimata proposto controricorso.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso. Nulla per le spese.

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