In caso di impugnazione del testamento per infermità mentale permanente del testatore, grava su colui che impugna solo l'onere di provare l'esistenza di quella malattia

In tema d'incapacità di testare ex articolo 591 del Cc, nell'ipotesi di grave infermità mentale permanente del testatore, colui che impugna la validità del testamento è tenuto solo a provare l'esistenza di quella malattia, mentre colui che intende giovarsi del testamento deve dare la prova dell'esistenza di un intervallo di lucidità nel momento in cui furono espresse le ultime volontà. (Corte di Cassazione, Sezione 2 civile, Sentenza 29.01.2007, n. 1770)



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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

An.De., rilevato che il 25.2.1991 era deceduto il padre domenicano Pi.De. il quale con testamento olografo del 9.3.1983 aveva istituito erede universale l'esponente e successivamente, dopo aver subito nell'agosto del 1985 un ulteriore ictus cerebrale che l'aveva reso incapace di intendere e di volere, in data 2.5.1988 aveva redatto un nuovo testamento olografo contenente solo disposizioni a titolo di legato, conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Bologna Li.De. e la Provincia Domenicana Ut.Lo. quali beneficiari della seconda disposizione di ultime volontà del "de cuius" chiedendo dichiararsi nullo il menzionato testamento olografo e condannarsi i convenuti a restituire i beni di cui erano entrati "medio tempore" in possesso.

Si costituivano in giudizio i convenuti assumendo che Pi.De. successivamente all'ictus che l'aveva colpito nel 1985 si era ripreso sia mentalmente che fisicamente e dal 1987 era ritornato in grado di intendere e di volere, chiedevano quindi il rigetto della domanda.

Il Tribunale di Bologna accoglieva la domanda attrice.

Proposta gravame da parte di Li.De. e della Provincia Domenicana Ut.Lo.cui resisteva An.De. la Corte di Appello di Bologna con sentenza del 14.5.2002 ha rigettato l'impugnazione, Il giudice di appello ha rilevato sulla base degli elementi probatori acquisiti che Pi.De. dall'anno 1985, allorché venne colpito da ictus cerebrale, era privo in modo assoluto della capacità di autodeterminarsi in quanto caratterizzato da infermità di tipo permanente ed involutiva che lo aveva stabilmente reso incapace di intendere e di volere; doveva quindi presumersi sussistere l'incapacità del De. all'atto della redazione del testamento olografo nel 1988, non avendo le appellanti provato che in quel periodo egli versasse in stato di lucido intervallo.

Per la cassazione di tale sentenza Li.De. e la Provincia Domenicana Ut.Lo. hanno proposto un ricorso articolato in un unico motivo cui An.De. ha resistito con controricorso; tutte le parti hanno successivamente depositato delle memorie.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con l'unico motivo formulato le ricorrenti, denunciando violazione e falsa applicazione dell'art. 591 c.c. e vizio di motivazione, censurano la sentenza impugnata per aver apoditticamente affermato l'incapacità di intendere e di volere di Pi.De. al momento della redazione nell'anno 1988 del testamento olografo sopra menzionato sulla base di due episodi di grave infermità che avevano colpito il "de cuius", avvenuti rispettivamente nel 1985 e nel 1991, in epoche quindi assai distanti nel tempo, senza che fosse stata fornita adeguata prova dell'incapacità suddetta all'atto della redazione del testamento stesso.

Premesso che tale onere probatorio incombeva alla controparte, le ricorrenti assumono che il giudice di appello ha dedotto l'incapacità del testatore in via presuntiva ed ha posto invece a carico degli appellanti l'onere di provare che il testamento era stato posto in essere in un momento di lucido intervallo; tale affermazione, aggiungono le ricorrenti, è erronea, posto che l'inversione dell'onere probatorio è richiesta soltanto quando la incapacità del testatore è conseguenza di uno stato di infermità permanente, mentre nella fattispecie il De. era stato colpito da un ictus che ne aveva limitato in modo considerevole le capacità intellettive solo temporaneamente, cosicché successivamente le sue condizioni mentali erano migliorate con il recupero di una piena capacità di intendere e di volere.

La censura è infondata.

Il giudice di appello all'esito di una approfondita valutazione degli elementi probatori acquisiti al processo ha accertato che Pi.De. dall'anno 1985, allorché fu colpito da un ictus cerebrale (recidiva), era affetto da una infermità di tipo permanente ed involutiva che lo aveva reso stabilmente incapace di intendere e di volere; al riguardo la Corte territoriale ha evidenziato in particolare la certificazione proveniente dall'Ospedale di Cl. dove il De. era stato ricoverato nel suddetto anno e dove era stata diagnosticata una "encefalopatia involutiva globale", ovvero una sofferenza cerebrale degenerativa destinata a svilupparsi verso forme di progressivo decadimento.

Tale grave quadro delle condizioni mentali del De. è stato poi confermato, secondo il giudice di appello, dalle deposizioni dei testi ritenuti più attendibili ed anche dalla circostanza che il testamento "de quo agitur" conteneva un legato di bene immobile già appartenente alla legataria, indice, secondo la sentenza impugnata, del fatto che il testatore al momento della redazione del suddetto testamento non era rettamente orientato e non aveva consapevolezza di quali erano le sue effettive proprietà.
Si è quindi in presenza di un accertamento di fatto sorretto da motivazione congrua e priva di vizi logici, come tale incensurabile in questa sede.

Sulla base di tali premesse, correttamente poi il giudice di appello ha presunto la sussistenza delle incapacità del De. al momento della redazione del testamento nell'anno 1988, non avendo le appellanti provato che in quel periodo egli versasse in stato di lucido intervallo.

Invero secondo l'orientamento consolidato di questa Corte in tema di incapacità di testare ex art. 591 c.c., nella ipotesi di grave infermità mentale permanente del testatore (come nella fattispecie), colui che impugna la validità del testamento è tenuto solo a provare l'esistenza di quella malattia, mentre colui che intende giovarsi del testamento deve dare la prova della esistenza di un intervallo di lucidità nel momento in cui furono espresse le ultime volontà (Cass. 8.1.1981 n. 162; Cass. 28.4.1981 n. 2578; Cass. 5.11.1987 n. 8169; Cass. 23.1.1991 n. 652).

Il ricorso deve pertanto essere rigettato; le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte

rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti in solido al pagamento di euro 100,00 per spese e di euro 1000,00 per onorari di avvocato.

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