In caso di separazione e/o di divorzio, il coniuge proprietario dell'immobile è comunque tenuto al pagamento dell'ICI

In caso di separazione e/o di divorzio, il coniuge proprietario dell'immobile è comunque tenuto al pagamento dell'ICI in relazione alla propria quota di proprietà o di titolarità di un diritto reale, a prescindere dal fatto che l'immobile, adibito ad abitazione familiare, sia stato assegnato all'altro coniuge affidatario dei figli. E' quanto stabilito dalla Corte di Cassazione con sentenza n. 6192 del 16 marzo 2007.



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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso notificato il 9 luglio 2004 a Nu.Ro. (depositato il 23 luglio 2004), il Comune di Fi. - premesso che la Nu. aveva impugnato gli avvisi di accertamento emessi da esso ente, aventi ad oggetto il «parziale» pagamento dell'Ici relativa agli «anni d'imposta 1993-1996», sostenendo che l'«ulteriore quota del 50%» di detta imposta era a carico del coniuge «quale comproprietario» ancorché «in sede di separazione personale» («avvenuta nel 1988») le fosse stato riconosciuto «il diritto di fruire dell'immobile» in quanto «adibito a casa familiare» -, in forza di DUE motivi, chiedeva di cassare («con ogni conseguente pronuncia» e «con vittoria di spese ed onorario del ... grado di giudizio») la sentenza n. 34/11/03 depositata il 28 maggio 2003 dalla Commissione Tributaria Regionale della Toscana la quale aveva accolto gli appelli (riuniti) proposti dalla Nu. avverso le decisioni (nn. 6/20/01 e 160/17/01) con le quali la Commissione Tributaria Provinciale di Firenze aveva disattesi i ricorsi della contribuente contro detti avvisi.

Nel controricorso notificato il 22 settembre 2004 (depositato l'otto ottobre 2004) la Nu. instava per il rigetto dell'avversa impugnazione «con vittoria di spese ed. onorario di giudizio».

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con la sentenza impugnata la Commissione Tributaria Regionale - ricordato che il giudice di primo grado aveva ritenuto «inapplicabile al caso di specie la modifica legislativa dell'art. 3 Dec. Leg.vo n. 504/1992 apportata dall'art. 58 del Dec. Leg.vo n. 446/1997 (con la quale è stato aggiunto l'aggettivo "reale" al diritto di abitazione, il cui titolare sarebbe soggetto passivo dell'imposta), in quanto successiva agli anni di cui è causa» - ha accolto gli appelli della Nu. avverso le decisioni «n. 6 del 19 febbraio 2001 e n. 154 del 14 dicembre 2001» (recte: n. 6/20/01 e n. 160/17/01) affermando che «l'assegnazione della casa familiare al coniuge affidatario di figli minori disposta dal giudice della separazione non attribuisce un diritto reale di abitazione» e, di conseguenza, che «tale coniuge non è soggetto passivo di imposta».

Il giudice a quo ha, in primo luogo, osservato che «tale principio era valido sia in vigenza del vecchio art. 3, 'sia a norma dell'attuale art. 3 (come modificato con l'art. 58 Dec. Leg.vo n. 446/97) » in quanto «la modifica apportata al precitato art. 3, con l'aggiunta dell'aggettivo "reale" non deve considerarsi innovativa, ma semplicemente interpretativa e chiarificatrice (resasi necessaria dalle incertezze giurisprudenziali e dottrinali in materia) » («con la conseguenza che tale norma cosi modificata è applicabile anche alle fattispecie anteriori alla modifica legislativa e tuttora pendenti») perché «già con il vecchio art. 3, il diritto di abitazione (seppur privo dell'aggettivo "reale") doveva intendersi (e di fatto si intendeva) diritto reale di abitazione» tanto che «anche il locatario, l'affittuario o il comodatario ..., pur avendo un diritto di abitazione o di uso, non erano considerati soggetti passivi di imposta».

La Commissione Tributaria Regionale, poi, ha affermato che «l'assegnazione della casa familiare al coniuge affidatario di figli minori non rappresenta un diritto reale, di abitazione» (e «tale coniuge» pertanto «non rientra tra i soggetti passivi di imposta ex art. 3 Dec. Leg.vo n. 504/92») perché:

- «detta assegnazione rappresenta solo un diritto personale di credito o di godimento (assimilabile al comodato), e cioè un semplice diritto di servirsi dell'immobile per effetto della sentenza giudiziale» e non può «può assolutamente rientrare, né direttamente né per assimilazione, tra i diritti reali di godimento previsti dal citato art. 3» in quanto «né il giudice della separazione può costituire diritti reali, al di fuori delle situazioni espressamente previste dalla legge; né è pertinente al caso di specie l'invocato art. 540 c.c., riferendosi esso al solo diritto successorio»;

- per «giurisprudenza ormai consolidata» "il provvedimento di assegnazione della casa coniugale ad uno dei coniugi all'esito dei procedimento di separazione personale non è idoneo a costituire un diritto reale di uso o di abitazione a favore dell'assegnatario, ma solo un diritto di natura personale" «(Cass. n. 7680/97; Cass. n. 4529/99; Cass. n. 11508/93; Cass. n. 4016/92; ecc. ...) » anche perché «"l'assegnazione della casa familiare rappresenta la conservazione della destinazione della casa coniugale, unitamente all'arredo, nella sua funzione di residenza familiare, e non crea un titolo di legittimazione all'abitazione" (Corte Cost. le n. 454/1989), e quindi un diritto reale sulla stessa».

Per il giudice tributario di appello, quindi, la Nu. non è «soggetto passivo di imposta per la quota di appartamento di proprietà del marito, assegnato alla stessa con sentenza».

2. Con il primo motivo di ricorso il Comune - richiamato l'«insegnamento» di questa Corte («da ultimo Cass., sez. 1, 17 settembre 2001 n. 11630») secondo il quale «"l'assegnazione, in sede di divorzio come di separazione personale dei coniugi, della casa familiare al coniuge affidatario dei figli minori integra un diritto personale atipico di godimento, il quale non costituisce un peso sull'immobile destinato ad abitazione, come avviene per un diritto reale"» - denunzia «violazione o falsa applicazione degli artt. 1, secondo comma, e 3, primo comma, D.Lgs. 30 dicembre 1992 n. 504» nonché «degli artt. 1803 e ss. c.c.» adducendo che;

- «la situazione giuridica di vantaggio conferita al coniuge affidatario rappresenta un diritto "avente contenuto analogo a quello di un diritto reale" (Cass., sez. I, n. 4420 del 5 luglio 1988), tanto più che tale diritto è suscettibile di trascrizione nei pubblici registri immobiliari ai fini dell'opponibilità ai terzi (Corte Cost. le, 27 luglio 1989 n. 454) »;

- «per l'ampiezza dell'ingerenza che entrambi devono tollerare; per l'assenza della percezione di un reddito proveniente dall'immobile; per l'indeterminabilità del momento del ritorno del bene stesso nella loro fruibilità» vi è «analogia di contenuti ... tra la figura del coniuge non assegnatario ed il nudo proprietario», non esistendo «diritti personali che assicurano al titolare una facoltà di godimento cosi ampia, e senza corrispettivo di sorta, qual'è quella riservata all'assegnatario della casa familiare»;

- il suo «operato» è rimasto «perfettamente in sintonia con le istruzioni ministeriali approvate, anno per anno, dai vari decreti ministeriali pubblicati in G.U.».

Secondo il Comune la sentenza impugnata è «restata a livello di dogmatica astrattezza, utilizzando le tradizionali categorie civilistiche in una materia, quella dell'imposizione tributaria, autonoma dagli schemi del diritto, privato e ... precipuamente basata, non solo e non tanto sulla proprietà immobiliare, quanto piuttosto nell'idoneità, anche solo potenziale, di questa alla produzione di un reddito» (per cui «il diritto di godimento, pieno ed incondizionato, di cui è titolare l'assegnatario della casa coniugale ... in ambito Ici implica senza dubbio il riconoscimento della soggettività tributaria»).

L'ente ricorrente, inoltre, ritiene «del tutto erronea l'assimilazione di tale diritto dell'assegnatario con quello del comodatario» atteso che «mentre quest'ultimo è essenzialmente gratuito, il diritto del coniuge affidatario dei figli di abitare nella casa familiare "trae origine dal dovere di assistenza materiale dell'altro coniuge (art. 143 comma 2 c.c.) anche nei confronti dei figli (art. 147 c.c.) e non può dirsi, pertanto, conferito a titolo gratuito, risultando, al contrario, la sua onerosità proprio dalla legge che ne è fonte e disciplina" (Cass., 5 luglio 1988 n. 4420) ».

In definitiva, secondo il Comune, la Commissione Tributaria Regionale ha «irragionevolmente posto a carico dell'altro coniuge l'onere tributario in questione, ancorché tale soggetto si trovi deprivato di ogni potenzialità economica del bene sinché tutti i figli nati da quel matrimonio abbiano raggiunto la maggiore età e la propria indipendenza economica, e quindi, in concreto, finanche per alcuni decenni» mentre, «soprattutto in ragione del fatto che il provvedimento di assegnazione dell'alloggio al coniuge affidatario dei figli minori è opponibile, ove trascritto, oltre che all'altro coniuge, proprietario o comproprietario della casa familiare, anche al terzo acquirente di questa, è di tutta evidenza che il diritto dell'assegnatario, ancorché privo dei carattere della realità, accompagna comunque l'immobile in snodo non dissimile dei diritti reali canonizzati».

Il motivo deve essere respinto perché infondato.

A. La Corte Costituzionale (sentenza n. 113 del 12 aprile 1996) ha giudicato inammissibili le eccezioni di illegittimità costituzionale degli artt. 1, 6 e 7 del D.Lg.vo 30 dicembre 1992 n. 504 (istitutivo dell'Imposta Comunale sugli Immobili) specificamente osservando che tale imposta "è conformata quale imposta patrimoniale", "dovuta in misura predeterminata " e non basata "su indici di produttività".

La patrimonialità detta, invero, si desume dal primo comma dell'art. 3 di detto D.Lg.vo laddove lo stesso

(1) disponeva (prima dell'entrata in vigore delle modifiche apportate con l'art. 58 D.Lg.vo 15 dicembre 1997 n. 446) che "soggetti passivi dell'imposta sono il proprietario di immobili di cui al comma 2 dell'art. 1, ovvero il titolare del diritto di usufrutto, uso o abitazione sugli stessi, anche se non residenti nel territorio dello Stato o se non hanno ivi la sede legale o amministrativa o non vi esercitano l'attività" e, dopo l'entrata in vigore della modifica detta,

(2) dispone che "soggetti passivi dell'imposta sono il proprietario di immobili di cui al comma 2 dell'art. 1, ovvero il titolare di diritto reale di usufrutto,, uso, abitazione, enfiteusi, superficie, sugli stessi, anche se non residenti nel territorio dello Stato o se non hanno ivi la sede legale o amministrativa o non vi esercitano l'attività".

La norma, quindi, considera soggetti passivi dell'imposta sempre e solo il proprietario ovvero il titolare di un diritto reale di godimento sull'immobile gravato: i diritti reali di godimento, come noto (Cass., III, 2 6 settembre 2000 n. 12765), costituiscono un numerus clausus per cui non è configurabile un rapporto per così dire di dominio utile, corrispondente ad uno ius in re aliena, cioè al diritto di godere di un fondo altrui, al di fuori di una specifica previsione legislativa (Cfr., Cass., I, 22 novembre 1993 n. 11508).

B. L'assegnazione della casa familiare al coniuge affidatario dei figli (minori o maggiorenni non economicamente autosufficienti), come noto (Cass., I, 26 gennaio 2006 n. 1545; id., I, 6 luglio 2004 n. 12309; id., I, 1° dicembre 2004 n. 22500; id., I, 29 agosto 2003 n. 12705; id., I, 9 settembre 2002 n. 13065), è finalizzata all'esclusiva tutela della prole e dell'interesse di questa a permanere nell'ambiente domestico in cui è cresciuta (tanto che [Cass., I, 04 maggio 2005 n. 9253] il giudice della separazione non può disporre l'assegnazione della casa familiare in assenza di figli, in quanto il titolo ad abitare per il coniuge è strumentale alla conservazione della comunità domestica ed è giustificato esclusivamente dall'interesse morale e materiale della prole affidatagli) : la stessa, quindi, costituisce una misura di tutela esclusiva della prole, diretta ad evitare a questa l'ulteriore trauma di un allontanamento dall'abituale ambiente di vita e di aggregazione di sentimenti.

L'assegnazione in questione, poi, non suppone affatto la titolarità del diritto di proprietà dell'immobile (ovvero di un diverso idoneo diritto reale) in capo al coniuge non affidatario in quanto essa interessa anche la casa familiare posta in un immobile condotto semplicemente in locazione ovvero goduto in forza di un qualsiasi adeguato titolo giuridico attributivo di un diritto meramente personale di godimento di quell'immobile.

Dagli esposti caratteri discende (Cass., I, 3 marzo 2006 n. 4719; id., I, 8 aprile 2003 n. 5455; id., I, 17 settembre 2001 n. 11630; id., I, 18 agosto 1997 n. 7680) che il diritto riconosciuto al coniuge, non titolare di un diritto di proprietà o di godimento, sulla casa coniugale, con il provvedimento giudiziale di assegnazione di detta casa in sede di separazione o divorzio, ha natura di atipico diritto personale di godimento e non già di diritto reale.

Di conseguenza difetta in capo al coniuge semplicemente assegnatario dell'immobile adibito a casa coniugale la titolarità di un diritto di proprietà o di uno di quei diritti reali di godimento specificamente previsti dalla norma, i quali costituiscono l'unico elemento di identificazione del soggetto tenuto al pagamento dell'imposta comunale sull'immobile stesso.

3. Con il secondo (ed ultimo) motivo il Comune denunzia «violazione e mancata applicazione dell'art. 218 c.c.» (per il quale «il coniuge che gode dei beni dell'altro coniuge è soggetto a tutte le obbligazioni dell'usufruttuario») adducendo che «la Commissione Tributaria Regionale ha mancato di applicare alla fattispecie» detta norma la quale «all'evidenza ricomprende tutti quei casi in cui il godimento di beni dell'altro coniuge non discenda dalla titolarità di diritti reali su di essi, ma da titoli diversi, tra i quali non vi è ragione di escludere quello derivante da una sentenza di assegnazione (del diritto personale atipico di godimento) della casa coniugale».

Secondo l'ente ricorrente, quindi, «in ossequio al combinato disposto dell'art. 1008 c.c., che impone all'usufruttuario l'obbligo di pagare le imposte gravanti sull'immobile, e dell'art. 3 del D.Lgs. 504/92, che include tra i soggetti passivi dell'imposta l'usufruttuario, invece del proprietario, il coniuge assegnatario della casa coniugale, a seguito di sentenza che abbia pronunciato la separazione giudiziale dei coniugi, è senz'altro da ritenersi tenuto al pagamento dell'ICI gravante sulla casa assegnata».

Anche tale motivo va disatteso perché privo di pregio.

A. In primo luogo si deve evidenziare che la soggettività passiva di qualsiasi imposta va determinata in base alle specifiche disposizioni che la regolano: a tal fine l'utilizzazione delle comuni disposizioni civilistiche è corretto soltanto nei limiti del rinvio, quand'anche necessariamente implicito, a quelle da parte delle norme fiscali.

B. In secondo luogo va considerato che il principio per cui "l'usufruttuario è tenuto, perla durata del suo diritto, ai carichi annuali, come le imposte, i canoni, le rendite fondiarie e gli altri pesi che gravano sul reddito" (art. 1008 primo comma, c.c.) - già chiaramente espresso nelle fonti romane -, come sottolineato dalla dottrina, ha "carattere suppletivo" del titolo di costituzione dell'usufrutto perché tale titolo "può regolare in modo diverso la ripartizione dei carichi".

La dottrina, inoltre, ha convincentemente osservato che tale norma opera solo "nei confronti del proprietario e dell'usufruttuario", quindi unicamente nei rapporti interni tra queste parti e non pure "nei confronti dei titolari dei crediti relativi ai pesi che. gravano sul fondo" in quanto "l'esistenza di un rapporto diretto tra creditore ed usufruttuario" dipende soltanto "dal titolo dell'obbligazione o dalla legge": "se quindi il titolo disponga una ripartizione dei carichi in modo diverso" da quello previsto dagli artt. 1008 e 1009 c.c., "l'usufruttuario sarà tenuto o non sarà tenuto secondo che egli sia considerato o meno debitore del carico dalla legge, che lo impone, o dal titolo, che lo costituisce, indipendentemente da quello che dispone il titolo dell'usufrutto".

Tali corrette osservazioni confermano che la identificazione del soggetto passivo di qualsivoglia imposta non va operata in base alle norme che regolano i rapporti interni tra nudo proprietario ed usufruttuario ma elusivamente in base alla fonte legislativa che indica (descrivendola) tale soggettività.

C. L'esatta ed effettiva portata della norma (art. 218 c.c., per il quale "il coniuge che gode dei beni dell'altro coniuge è soggetto a tutte le obbligazioni dell'usufruttuario") che si assume violata, poi, non può essere intesa appieno se non si considera la sua posizione nell'ambito dello specifico tessuto normativo nella quale la stessa è inserita (cd. sedes materiae).

Detta norma, infatti, è collocata nel Titolo sesto ("del matrimonio"), del primo libro del codice civile, precisamente nella Sezione quinta ("del regime di separazione dei beni") del Capo sesto ("regime patrimoniale della famiglia") : la stessa, poi, segue, per numero, l'art. 217 (che regolamenta l'"amministrazione e [il] godimento dei beni") il quale dispone, per quanto interessa, che:

- "ciascun coniuge ha il godimento e l'amministrazione dei beni di cui è titolare esclusivo";

- "se ad uno dei coniugi è stata conferita la procura ad amministrare i beni dell'altro con l'obbligo di rendere conto dei frutti, egli è tenuto verso l'altro coniuge secondo le regole del mandato";

- "se uno dei coniugi ha amministrato i beni dell'altro con procura senza l'obbligo di rendere conto dei frutti, egli ed i suoi eredi, a richiesta dell'altro coniuge o allo scioglimento o alla cessazione degli effetti civili del matrimonio, sono tenuti a consegnare i frutti esistenti e non rispondono per quelli consumati";

- "se uno dei coniugi, nonostante l'opposizione dell'altro, amministra i beni di questo o comunque compie atti relativi a detti beni risponde dei danni e della mancata percezione dei frutti".

L'art. 218, quindi, "per la sua collocazione", come peraltro evidenziato anche dalla dottrina, va inteso come "previsione integrativa" dell'art. 217 e solo di questa: da tanto va correttamente tratta la conseguenza, segnalata anche dalla dottrina, che la complessiva regolamentazione delle due norme diviene inapplicabile in tutte le ipotesi in cui il godimento, totale o parziale, del bene del coniuge da parte dell'altro coniuge sia fondato su di un rapporto diverso da quello disciplinato da dette norme.

Siffatta diversità va riscontrata proprio nell'i-potesi di assegnazione (volontaria o giudiziale) al coniuge affidatario dei figli minori della casa di abitazione di proprietà dei due coniugi atteso che il potere del coniuge affidatario non deriva né da un mandato (con o senza obbligo di rendimento dei conti) conferito dall'altro coniuge né dal godimento dì fatto del bene (ipotizzante il necessario consenso dell'altro coniuge) di cui si occupa l'art. 218 c.c..

Per la propria sede, quindi, l'"amministrazione e [il] godimento dei beni" regolati dalla complessiva disposizione riguardano esclusivamente i beni che costituiscono oggetto del "regime di separazione dei beni" stessi e presuppongono, di logica necessità, la persistenza di tale regime, il quale, a sua volta, richiede la persistenza del vincolo matrimoniale tra i coniugi.

4. In definitiva si deve ribadire il principio (presupposto nella sentenza n. 18476/05, depositata il 19 settembre 2005 da questa Corte) secondo cui il coniuge affidatario dei figli al quale sia assegnata la casa di abitazione posta nell'immobile di proprietà (anche in parte) dell'altro coniuge non è soggetto passivo dell'imposta comunale sugli immobili per la quota del medesimo immobile sulla quale lo stesso non vanti il diritto di proprietà ovvero un qualche diritto reale di godimento.

5. La novità della questione consiglia la totale compensazione tra le parti delle spese di questo giudizio di legittimità ai sensi del secondo comma dell'art. 92 c.p.c..

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; compensa integralmente tra le parti le spese del giudizio di legittimità.

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