In sede di divorzio non è ammessa la detrazione automatica dell'assegno in caso di aumento del reddito del coniuge debole

In sede di divorzio, la domanda di modifica delle statuizioni patrimoniali impone il riesame della situazione di entrambi i coniugi. Ne consegue che se se il coniuge "debole" acquisisce nuovi redditi non è ammessa la detrazione automatica.(Corte di Cassazione Sezione 1 Civile, Sentenza del 18 febbraio 2009, n. 3898)



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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LUCCIOLI Maria Gabriella - Presidente

Dott. PLENTEDA Donato - Consigliere

Dott. ADAMO Mario - Consigliere

Dott. NAPPI Aniello - Consigliere

Dott. FITTIPALDI Onofrio - rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:



SENTENZA

sul ricorso proposto da:

RI. RO., domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA CIVILE DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall'avvocato CENTOFANTI SIRO, giusta procura a margine del ricorso;

- ricorrente -

contro

FA. SH.;

- intimata -

sul ricorso n. 18461 - 2005 proposto da:

FA. SH., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA FARNESE 101, presso l'avvocato BECCIA MARCO, rappresentata e difesa dall'avvocato BALDASSARRI MARCO, giusta procura in calce al controricorso e ricorso incidentale;

- controricorrente e ricorrente incidentale -

contro

RI. RO.;

- intimato -

avverso il decreto della CORTE D'APPELLO di PERUGIA depositate il 18/02/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza dell'11/11/2008 dal Consigliere Dott. FITTIPALDI ONOFRIO;

udito, per il ricorrente, l'Avvocato CENTOFANTI che ha chiesto l'accoglimento del ricorso principale, il rigetto del ricorso incidentale;

udito, per la controricorrente e ricorrente incidentale, l'Avvocato BALDASSARRI che ha chiesto il rigetto del ricorso principale, l'accoglimento del ricorso incidentale;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. APICE UMBERTO, che ha concluso per il rigetto dei ricorsi.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 3.3.95 il Tribunale di Perugia dichiarava la cessazione degli effetti civili del matrimonio contratto, nel 1986, da Ri. Ro. con Fa. Sh., prevedendo che costei si sarebbe mantenuta grazie al contratto di associazione in partecipazione nell'impresa gestita da esso Ri., secondo l'impegno dalle parti assunto in sede di separazione consensuale.

Con provvedimento del 16.1.03 - 7.02.03, la Corte d'Appello di Perugia, in riforma del decreto 4.10.02 del tribunale di Perugia che lo aveva rigettato, accoglieva parzialmente il ricorso 26.6.02 della Fa. per la modifica delle condizioni del divorzio a seguito della cessazione il 31.12.01 dell'anzidetto rapporto di associazione in partecipazione, e poneva a carico del Ri. un assegno divorzile di euro 1.000,00, rivalutabili annualmente.

Ricorreva per cassazione, con atto del 19/01/03, il Ri..

Con separato ricorso Legge n. 898 del 1970 ex articolo 9 del 28/11/03, sul presupposto che fossero mutate, rispetto al decreto del 7/02/03, le condizioni patrimoniali della Fa., e che fosse risultato in particolare che, contrariamente a quanto presupposto nel provvedimento della Corte d'Appello, la Fa. svolgesse un'attivita' lavorativa, e precisamente lavorasse in modo stabile presso l'agenzia immobiliare " At. di F. S. ", sorella della convenuta, il Ri. chiedeva la revoca o, in subordine, una riduzione sensibile dell'assegno divorzile.

La Fa. resisteva al ricorso, chiedendo preliminarmente la sospensione ex articolo 295 c.p.c., del giudizio, in attesa della definizione del procedimento nel quale era intervenuto il provvedimento della Corte d'Appello che aveva introdotto l'assegno divorzile di cui il Ri. chiedeva la revoca, atteso che, contro questo provvedimento, lo stesso Ri. aveva appunto proposto ricorso per Cassazione ancora pendente, e, nel merito, il rigetto del ricorso del Ri., ed, in via riconvenzionale, l'aumento dell'assegno divorzile fino ad euro 2.500,00.

Con decreto del 26/27.4.04 l'adito Tribunale, rigettata l'istanza preliminare della Fa. di sospensione del giudizio negando il preteso rapporto di pregiudizialita', e rigettata altresi' la domanda riconvenzionale della stessa perche' non fondata su alcun mutamento di circostanze rilevanti rispetto all'epoca della pronuncia del provvedimento della Corte d'appello, accoglieva, invece, parzialmente il ricorso del Ri. riducendo ad euro 800,00, la misura dell'assegno divorzile, compensando interamente fra le parti le spese del procedimento.

Avverso detto decreto proponeva reclamo la Fa..

Resisteva al gravame e proponeva reclamo incidentale il Ri..

La corte territoriale rigettava entrambi i reclami.

Piu' in particolare dichiarava infondato il primo motivo del reclamo principale (con il quale la Fa. insisteva nella istanza di sospensione del giudizio ribadendo la tesi dell'esistenza, fra i due giudizi, di un rapporto di pregiudizialita' giuridica), affermando, fra l'altro, che la regola secondo cui il mutamento di circostanze rilevanti ai fini della decisione di una controversia pendente puo' essere fatto valere all'interno di questo stesso giudizio trova un limite dopo la pronuncia del provvedimento ricorribile per cassazione, atteso che davanti alla corte di cassazione detto mutamento non sarebbe prospettabile.

Quanto poi al reclamo incidentale (con il quale il Ri. aveva chiesto che, in riforma del decreto impugnato, fossero accolte la domanda di revoca dell'assegno disposto col decreto della corte d'appello o, in subordine, la richiesta di riduzione della sua misura, consistente e non solo "simbolica", come quella disposta dal Tribunale), riteneva che anch'esso si rivelasse del tutto infondato. Quanto ai residui punti del reclamo principale (con i quali la Fa. aveva chiesto, nel merito, che, in riforma dell'impugnato decreto, fosse accolta la domanda proposta in via riconvenzionale nel giudizio di primo grado volta ad ottenere un aumento, da euro 1.000,00, a euro 2.500,00, della misura dell'assegno stabilita dalla Corte d'appello di Perugia), riteneva che anche questo motivo di reclamo della Fa. dovesse ritenersi infondato, per l'assorbente ragione, affermata dal primo Giudice e neppure censurata dalla reclamante, che la domanda non appariva fondata su un preteso mutamento delle circostanze sopravvenute alla pronuncia del provvedimento della Corte d'appello; sottolineava inoltre come, in realta', gli argomenti svolti a sostegno della domanda si traducessero in censure alla misura dell'assegno stabilita nel provvedimento della Corte d'appello, che avrebbero dovuto essere fatte valere semmai come motivo di ricorso per cassazione contro questo provvedimento.

Avverso questo decreto propone ricorso per Cassazione il Ri. sulla base di due motivi assistiti da memoria.

Resiste e ricorre incidentalmente la Fa..

MOTIVI DELLA DECISIONE

Vanno preliminarmente riuniti, ex articolo 335 c.p.c., i due ricorsi.

Con i due motivi di ricorso (da trattare congiuntamente in quanto intimamente fra loro connessi), nel denunciare VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE DELLA Legge 1 dicembre 1970, n. 898, ARTICOLO 9, ARTICOLI 2094 E 2099 c.c., E articolo 36 Cost., e ARTICOLO 61 c.p.c. E SS., E articolo 191 c.p.c. E SS., IN RELAZIONE ALL'ARTICOLO 111 Cost., VIZIO DI MOTIVAZIONE APPARENTE E CONTRADDITTORIA IN RELAZIONE ALL'ARTICOLO 111 Cost., nonche' VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE DELLA Legge 1 dicembre 1970, n. 898, ARTICOLO 5, comma 9, E ARTICOLO 9, E DELL'ARTICOLO 2697 c.c.. IN RELAZIONE AGLI ARTICOLI 24 E 111 Cost., il ricorrente principale - premessa una generica richiesta preliminare di riunione del presente procedimento a quello recante il n. R.G. 7113/03 - lamenta come: a) il decreto impugnato - esibisca, in ordine al rigetto del reclamo incidentale di esso Ri., una primaria essenziale violazione di legge, nella parte in cui non avrebbe considerato che l'avvenuto accertamento e riconoscimento del fatto che la Fa. "svolgesse assiduamente la propria attivita' lavorativa presso la sede di detta agenzia" cioe' dell'Agenzia At. (p. 4)) e che quindi si dovesse ritenere che ella "svolgesse un'attivita' lavorativa in favore della sorella", comportassero, di per se', conseguenze dirette circa l'individuazione del suo trattamento economico e quindi del suo reddito, e che un impegno di quel tipo, riconosciuto assiduo dalla stessa Corte territoriale (di notevole livello professionale, posto che la stessa trattava direttamente tutti gli affari di compravendita con i clienti) comportasse di per se' il trattamento, retributivo previsto dal contratto collettivo dei dipendenti delle Agenzie di intermediazione immobiliare e quindi di euro 1.200,00; b) ingiustificato si rendesse, piu' in particolare, il mancato espletamento di una Consulenza Tecnica d'Ufficio, per accertare il trattamento retributivo spettante a una lavoratrice, impegnata a tempo pieno nella conduzione e gestione(anche diretta) degli affari (in acquisto o vendita) di un'agenzia di intermediazione immobiliare; consulenza la quale avrebbe appurato che, in base al Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro per i dipendenti di Agenzie Immobiliari stipulato il 20.9.2001 e valido per il periodo 1.6.2001/31.12.2005, la retribuzione mensile per 14 mensilita' di un addetto alle vendite, dal 1 luglio 2004, fosse di euro 1.374,00, corrispondente - su 12 mesi e tenendo conto anche della quota del trattamento di fine rapporto - a euro 1.722,24, mensili; c) si configurasse, piu' in particolare, come violativo di tutti i principii costituzionali, l'essere la Corte pervenuta ad ammettere che un lavoratore possa impegnarsi un intero mese percependo euro 6,50 al giorno; d) la Corte di Appello abbia implicitamente assunto che F. S., quale titolare dell'Agenzia At., si sarebbe resa responsabile di un gravissimo sfruttamento ai danni della sorella maggiore Fa. Sh., facendola lavorare a tempo pieno e retribuendola con uno stipendio pari a meno del 12% del dovuto; e) al riguardo il decreto sarebbe viziato da una motivazione inesistente, poiche' non avrebbe indicato alcun elemento implicante una volonta' della F. S. di danneggiare e ledere la sorella maggiore e come cio' si conciliasse con un'intesa, risultata perfetta, fra le due sorelle; f) quanto poi all'argomento con il quale la Corte di Appello di Perugia avrebbe avuto in qualche misura a "giustificare" tale sfruttamento e la presunta conseguente violazione di ogni principio morale e giuridico sulla giusta retribuzione dei propri dipendenti (argomento fondato su una presunta limitatezza dell'attivita' svolta dell'agenzia), il decreto sarebbe illegittimo sotto due essenziali profili:

1) in primo luogo, sarebbe viziato da motivazione inesistente o meramente apparente, non avendo indicato, neppure con una riga, come possa ipotizzarsi che un'agenzia immobiliare che pubblicizzava bisettimanalmente oltre 50 immobili (fra cui ville), non ne avesse mai venduto nessuno, o comunque, in quattro mesi (da luglio a settembre 2004), non avesse promosso la conclusione di alcun contratto di compravendita (come sarebbe risultato dalla mancata emissione di ogni fattura al riguardo);

2) in secondo luogo, il decreto sarebbe affetto da specifico vizio di violazione di legge, per avere violato la Legge 1 dicembre 1970, n. 898, articolo 5, comma 9, applicabile anche al procedimento di revisione di cui all'articolo 9, secondo cui "in caso di contestazioni, il tribunale dispone indagini sui redditi, sui patrimoni e sull'effettivo tenore di vita, valendosi, se del caso, anche della polizia tributaria";

g) nella specie, avendo la Fa. Sh. addotto come giustificazione del presunto "sfruttamento" subito, la limitatezza dell'attivita' svolta dall'Agenzia At. della sorella e avendo esso Ri. contestato integralmente tale giustificazione, il giudice di appello avesse non piu' la discrezionalita', ma l'obbligo di disporre indagini sui redditi dell'Agenzia At. di F. S., e cio' in base allo specifico insegnamento di questa Corte, secondo cui il Giudice "non puo' rigettare le richieste delle parti" relative alla materia dell'assegno "sotto il profilo della mancata dimostrazione da parte loro degli eventi sui quali le richieste si basano", poiche' "in tal caso il Giudice ha l'obbligo di disporre accertamenti d'ufficio, avvalendosi anche della polizia tributaria" (Cass. 21.6.2000 n. 8417); h) del tutto inconsistente sarebbe poi l'argomento addotto nel decreto, secondo cui non avrebbe potuto essere accolta l'istanza di indagini tramite la Guardia di Finanza, su tutti gli affari di ogni genere svolti e/o conclusi dall'Agenzia At. dall'1.1.2003 in poi, per presunta mancata indicazione di concreti elementi idonei a ritenere l'inattendibilita' delle dichiarazioni fiscali dell'At., che denunciavano ricavi ritenuti, dallo stesso decreto, "modestissimi"; i) al riguardo il decreto si sarebbe posto in inequivoco contrasto con gli insegnamenti di questa Suprema Corte, in una fattispecie analoga di un ex - marito che si doleva della mancata disposizione di indagini d'ufficio, anche tramite Polizia Tributaria, in ordine ad un'attivita' lavorativa in nero svolta dall'ex - moglie presso una gelateria; principii i quali avrebbero dovuto comportare che il Giudice di Appello accogliesse e non rigettasse la richiesta di indagini fiscali sull'attivita' e sul volume di affari effettivo dell'Agenzia At..

Premesso il profilo per cui non ricorrono i presupposti per l'accoglimento della richiesta di riunione di procedimenti, va osservato come i motivi in rassegna non possano trovare alcun ingresso, in quanto, al di la dei vizi ufficialmente con essi denunciati, essi non si risolvono in altro che in un' inammissibile (in questa sede) serie di proposizioni di carattere fattuale (molte delle quali introducenti, oltretutto, profili che - in se' - non emergono dalla sentenza), per di piu' fortemente apodittiche, che il ricorrente pretenderebbe di sovrapporre alle conclusioni tratte dalla Corte territoriale allorche' - con percorso motivazionale incensurabile in questa sede - ha escluso che nella posizione fattuale reddituale della Fa. si configurassero gli estremi per l'accoglimento dell'appello incidentale.

Va, fra l'altro escluso ogni fondamento logico di quello pseudo sillogismo piu' o meno espressamente invocato (e/o presupposto) dal ricorrente al fine di adombrare una supposta contraddittorieta' - inesistenza della motivazione, e tratto fra la circostanza del lavoro svolto assiduamente dalla donna presso uno strettissimo congiunto quale la sorella, e quella della corrispondenza della conseguentene remunerazione ai parametri correnti del mercato, il che segna ulteriormente di inammissibilita' la doglianza in ordine al mancato esercizio, da parte della Corte territoriale, della (insindacabile) facolta' di dare eventualmente ingresso alla richiesta di effettuazione di una (oltretutto non meglio circostanziabile) consulenza contabile, o di disporre accertamenti fiscali (a carico - per di piu' - di un soggetto terzo).

Non migliore esito merita il ricorso incidentale, con il quale, premesso il rilievo per cui il Decreto della Corte d'Appello di Perugia del 13.01.2005, in palese violazione di quanto disposto dall'articolo 360 c.p.c., comma 1, punto 3 e 5, risulterebbe assolutamente ed incomprensibilmente carente di pronuncia e di conseguente legittima motivazione circa un punto decisivo della controversia, in particolare riguardo alla richiesta avanzata, dalla controricorrente, di incremento dell'assegno divorzile (da euro 800,00, ad euro 2.500,00, mensili) o, in via subordinata, previa revoca dell'ordinanza del Tribunale di Perugia del 26.04.2004, di ripristino dell'assegno di divorzio da corrispondersi a favore della Fa. nella misura, disposta dal provvedimento della Corte d'Appello perugina del 16.01.2003, ossia di euro 1.000,00, mensili, dichiara di proporre altresi' ricorso incidentale "Affinche' l'Ecc.ma Corte adita voglia prendere in esame quanto omesso e disatteso dal Giudice di merito".

A tal fine deduce come: a) sia proprio in riferimento a tutte le considerazioni riportate nell'ambito del procedimento revisionale di 1 e 2 grado che non si comprendano ne' possano condividersi le ragioni, ne' tantomeno le motivazioni logiche che hanno indotto conclusivamente l'adito giudicante ad accogliere parzialmente il ricorso proposto dal Ri., riducendo cosi' il contributo alimentare imposto all'obbligato da euro 1.000,00, ad euro 800,00, mensili; b) emergerebbe con chiarezza, infatti, ad una scorsa pure superficiale del decreto emesso dal Tribunale di Perugia il 26.04.2004, come lo stesso sarebbe patentemente carente di valida motivazione e di argomenti giustificativi del parziale accoglimento del ricorso, cio' in quanto il Collegio sembrerebbe avvincersi attorno ad un unico e solo ragionamento, evincibile dalle stesse parole spese a pag. 9 del provvedimento impugnato, le quali configurerebbero considerazioni confliggenti in primo luogo con la stessa lettera della legge div. la quale, al suo articolo 9, espressamente richiede esclusivamente, ai fini del riconoscimento del diritto alla revisione dei contributi di cui all'articolo 5, comma 6, "il sopravvenire di giustificati motivi" dopo la sentenza che pronuncia lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio o, come nel caso di specie, dopo il provvedimento che ne riconosce il diritto al percepimento; c) piu' in particolare, di fronte al costante insegnamento secondo cui i motivi sopravvenuti, dunque, che giustificano detta modificazione consistano in mutamenti delle condizioni patrimoniali e reddituali di entrambi gli ex coniugi, valutati bilateralmente e comparativamente, o anche di uno solo, in quanto siano idonei a variare i termini della situazione di fatto e ad alterare l'equilibrio economico costituito (con la specificazione, di non poca rilevanza, che il tenore di vita al quale deve farsi riferimento non e' solo quello riconducibile ai mezzi economici che i coniugi avevano durante il matrimonio, ma anche alla sopravvenienza di miglioramenti di reddito che si configurino come ragionevole sviluppo di situazioni e aspettative presenti al momento del divorzio), non potrebbero in alcun modo condividersi le conclusioni del Collegio, il quale aveva pure ingiustificatamente respinto la domanda riconvenzionale spiegata da essa Fa. e finalizzata all'adeguamento dell'assegno divorzile mensile (di cui la stessa risulta beneficiarla in base al provvedimento della Corte di merito perugina del 16.01.2003), da euro 1.000,00, ad euro 2.500,00, mensili; d) non a caso, sin dalla prima istanza proposta da essa Fa. con ricorso Legge n. 898 del 1970 ex articolo 9, depositato in data 26.06.2002, la stessa avesse offerto all'adita Autorita' prova documentale (con la produzione di copia dell'estratto degli utili della societa' costituita con l'ex coniuge e riferiti agli anni 1991/2001: all. ti 4/5 alla comparsa di costituzione e risposta del procedimento di 1 grado) utile al fine dell'applicazione di parametri di comparazione del precedente assetto economico degli ex coniugi, inclusivi dei progressivi aumenti di reddito della societa' (di cui il Ri. era e sarebbe attualmente unico titolare) sino alla cessazione del rapporto di lavoro, ragion per cui l'adeguamento dell'assegno divorzile, cosi' come richiesto in via riconvenzionale (da euro 1.000,00, ad euro 2.500,00, mensili), avrebbe dovuto apparire congruo ed ancor piu' adeguato al fine di assicurare ad essa Fa. la conservazione di quel tenore di vita goduto in costanza di matrimonio, comprensivo, altresi', di quei prevedibili (e in verita' concreti) incrementi evolutivi legati anche all'apporto dalla stessa fornito in regime di coniugio; e) pertanto, non potrebbero condividersi le contraddittorie risultanze espresse a pag. 5 e 6 dell'impugnato provvedimento del Tribunale di Perugia del 26.04.2004, le quali, rendendo evidente il carattere apodittico delle affermazioni, si tradurrebbero in una mera apparenza di motivazione; f) altra incongruenza e contraddizione si riscontrerebbe nei processi logici adottati dal Tribunale allorquando, con estrema leggerezza, si era determinato a modificare riducendolo - a solo un anno dal suo riconoscimento - l'importo corrisposto mensilmente dall'obbligato, a titolo di assegno divorzile a favore di essa beneficiarla; cio' in quanto (invero, dalla lettera dell'impugnata ordinanza emergerebbe finanche testualmente il peso giuridico e la significanza attribuiti, dall'adito giudicante, alla circostanza della presunta autonomia goduta da essa Fa. (adottando ad indici di riferimento l'impegno di mezzi propri quali il cellulare e l'autovettura) in conseguenza della attivita' di collaborazione lavorativa da essa stessa prestata presso l'agenzia immobiliare di cui la sorella risultava essere senza dubbio unica ed esclusiva titolare tanto convincente sarebbe risultata - evidentemente - tale ultima circostanza, da non "farne seguitare commenti, deduzioni, allacci logici ed escatologie interpretative di sorta"; g) sarebbe appena il caso, in questa sede, di prestare attenzione alla circostanza, neppure smentita dall'Autorita' di prima istanza, che la difesa di essa Fa. aveva dato piena ed inconfutabile prova della mancanza, allo stato, in capo ad essa Fa. di qualsivoglia tipo di sicuro e stabile introito retributivo; h) anche a voler, per assurdo, recepire la piu' che discutibile conclusione tratta, in via equitcitiva, dal primo giudice, secondo cui la collaborazione effettivamente prestata porterebbe essa Fa. al percepimento di un introito netto mensile di non meno di euro 200,00, non potrebbe ancora che convenirsi con quanto stabilito dalla giurisprudenza di legittimita' (Cass. civ., sez. 1, 27.09.2002, n. 14004), la quale considera che la sopravvenienza reddituale per il coniuge titolare dell'assegno, ai sensi dell'articolo 9, non comporti un semplice calcolo matematico di detrazione, dall'assegno di divorzio, del reddito sopravvenuto, imponendo, invece, la domanda di modifica - nel sistema solidaristico al quale si ispira in materia di assegno di mantenimento la legge sul divorzio - un riesame della reciproca situazione degli ex coniugi, sulla base della quale la modifica richiesta possa ritenersi giustificata, incidendo sulla idoneita' a garantire al titolare dell'assegno il tenore di vita che aveva durante il matrimonio (cosi' anche Cass. 29.08.1998, n. 8656); i) l'incomprensibilita' del metodo di indagine prescelto dall'Autorita' adita nascerebbe dal fatto che oggetto di ricerca sarebbero stati esclusivamente i "presunti" redditi tratti da essa Fa. e provenienti dalla collaborazione nell'attivita' di intermediazione immobiliare gestita esclusivamente dalla propria sorella, laddove, invece, nessuna attenzione sarebbe stata data alla circostanza (ampiamente dimostrata) che tale attivita', di costituzione, non sarebbe in grado, alla stato, di sopperire ai notevoli costi di gestione, risultando ad oggi addirittura in perdita e laddove nessuna attenzione sarebbe stata dedicata alla verifica del se e come gli eventuali utili prodotti siano stati o meno distribuiti.

Anche il ricorso incidentale non puo' trovare infatti alcun ingresso, in quanto, cosi' come formulato, esso si prospetta addirittura come inammissibile, e cio' per una molteplicita' di profili i quali vanno da una incerta (e talora oscura) delineazione dei vizi denunciati, alla del tutto impropria assunzione, ad oggetto e termine di riferimento della disamina critica, non gia' dell'impugnato decreto della Corte territoriale, ma di quello reso in 1 grado dal Tribunale di Perugia, alle sostanziali, genericita' ed astrattezza delle doglianze, fortemente sbilanciate - oltretutto - sul piano della censure di fatto.

In ragione della diversa unita' delle censure contenute nei due ricorsi, si ritiene opportuno procedere alla compensazione di un terzo delle spese e di porre, a carico del ricorrente principale, i residui due terzi che si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi. Rigetta il ricorso principale e dichiara inammissibile l'incidentale. Compensa le spese per un terzo, e condanna il ricorrente principale alla refusione del residuo, liquidando le stesse, per l'intero, in euro 2.000,00, di cui euro 200,00, per esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge.





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