In tema di separazione personale tra i coniugi, non è ammissibile, successivamente alla pronuncia di separazione senza addebito, così come all'omologazione della separazione consensuale, chiedere il mutamento del titolo della separazione stessa, da c

In tema di separazione personale tra i coniugi, non è ammissibile, successivamente alla pronuncia di separazione senza addebito, così come all'omologazione della separazione consensuale, chiedere il mutamento del titolo della separazione stessa, da consensuale a giudiziale con addebito, né per fatti sopravvenuti né per fatti anteriori alla separazione ma emersi successivamente, stante il disposto dell'art. 151 secondo comma, cod. civ. che attribuisce espressamente al giudice della separazione la competenza ad emettere la eventuale ed accessoria pronuncia di addebito.
(Corte di Cassazione Sezione 1 Civile
Sentenza del 20 marzo 2008, n. 7450)



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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LUCCIOLI Maria Gabriella - Presidente

Dott. GIULIANI Paolo - rel. Consigliere

Dott. SCHIRO' Stefano - Consigliere

Dott. GIANCOLA Maria Cristina - Consigliere

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria - Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

VE.Sa., elettivamente domiciliata in Roma, Via della Conciliazione n. 44, presso lo studio dell'avv. Boschi Ettore che la rappresenta e difende, anche disgiuntamente dall'avv. Bignone Stefana del foro di Genova, in forza di procura speciale a margine del ricorso;

- ricorrente -

contro

BE. DI. NE.Gi. Lo., elettivamente domiciliato in Roma, Via Marianna Dionigi n. 29, presso lo studio dell'Avv. Milli Marina che lo rappresenta e difende, anche disgiuntamente dall'Avv. Cella Gianluigi foro di Chiavari, in forza di procura speciale in calce al controricorso;

- controricorrente -

avverso la sentenza della Corte di Appello di Genova n. 21/2004, pronunciata il 13.2.2004 e pubblicata il 3.4.2004;

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 21.11.2007 dal Consigliere Dott. Paolo Giuliani;

Udito il difensore della ricorrente;

Udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CALIENDO Giacomo, il quale ha concluso per il rigetto del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso depositato il 22.7.1999, Ve.Sa. adiva il Tribunale di Genova chiedendo il mutamento del titolo della separazione personale dal marito, Be. Di. Ne. Gi. Lo., da consensuale (come da verbale del 24.11.1998, omologato mediante decreto del 1.12.1998) in giudiziale con addebito al marito stesso, nonche' domandando l'annullamento delle condizioni della predetta separazione a lei sfavorevoli, l'imposizione di un assegno alimentare, a suo favore ed a carico del coniuge, in misura non inferiore ad euro 1.808,00 mensili e la determinazione, anche in via equitativa, del risarcimento del danno inerente alle sofferenze, materiali e morali, subite.

Deduceva la ricorrente:

a) che aveva appreso, successivamente alla separazione, l'esistenza di gravi fatti riconducibili al marito e da questo tenuti maliziosamente celati attraverso un comportamento finalizzato all'inganno della moglie per indurla alla separazione consensuale;

b) che era addivenuta all'accordo di separazione consensuale sulla base delle dolose assicurazioni del coniuge di avere da tempo interrotto la relazione extraconiugale dalla quale, invece, era nato un figlio alcuni giorni prima della separazione medesima;

c) che il marito, nel contempo, le aveva rappresentato la possibilita' di una riconciliazione, dalla Ve. sempre auspicata.

Si costituiva in giudizio il convenuto, il quale chiedeva la reiezione delle domande attoree, instando, in via riconvenzionale, per il mutamento del titolo della separazione, da addebitare alla moglie, nonche', in subordine, per la pronuncia della separazione giudiziale con la condanna della ricorrente alla restituzione di quanto percepito in esecuzione delle condizioni dell'accordo di separazione consensuale, da dichiarare inefficaci ex tunc.

Il Tribunale adito, con sentenza del 10.7/21.10.2003, dichiarava inammissibili tanto la domanda principale quanto la domanda riconvenzionale, sulla base di un duplice ordine di argomentazioni, l'uno di carattere sostanziale, relativo al diverso nesso causale tra separazione consensuale e separazione con addebito, aventi in comune l'elemento della disgregazione dell'unita' familiare, l'altro di carattere processuale, relativo all'effetto preclusivo tra le parti del negozio di accertamento inerente all'oggettiva impossibilita' bilaterale di proseguire la convivenza, esaminando altresi' la conclusione raggiunta sotto il profilo dell'autonomia della domanda di addebito rispetto a quella di separazione.

Avverso la decisione, proponeva appello la Ve., deducendo:

a) che una copiosa giurisprudenza, di merito e anche di legittimita', fosse propensa ad ammettere il mutamento del titolo della separazione con pronuncia di addebitabilita' in riferimento a fatti precedenti alla separazione consensuale, la' dove dei fatti medesimi il coniuge richiedente avesse avuto conoscenza successivamente alla separazione consensuale;

b) che, tale essendo la situazione di specie, l'assunto dell'appellante non risultasse contraddetto neppure dalla pretesa esclusione del mutamento del titolo della separazione per comportamenti successivi alla separazione stessa, rendendosi del resto applicabili le norme sull'annullabilita' dei contratti per vizi del consenso, non deducibile con il giudizio camerale di cui all'articolo 710 c.p.c. ma suscettibile di essere fatta valere con la procedura alternativa del mutamento del titolo.

Resisteva nel grado l'appellato, chiedendo la reiezione del gravame e la conferma dell'impugnata pronuncia.

La Corte territoriale di Genova, con sentenza del 13.273.4.2004, respingeva l'appello, segnatamente assumendo:

a) che, secondo il piu' recente orientamento della giurisprudenza di legittimita', non fosse consentito stabilire con un giudizio a posteriori che il fallimento dell'unione coniugale poteva essere imputato a fatti e comportamenti diversi da quelli gia' considerati, restando riservato al giudice chiamato a pronunciare la separazione il potere di statuire, nel concorso delle relative circostanze, l'addebitabilita' della medesima e restando, altresi', preclusa la possibilita' di prospettare tale addebitabilita' in altra sede, con autonoma domanda, in presenza di un precedente titolo di separazione;

b) che l'inammissibilita' del mutamento del titolo della separazione prescindesse completamente dal carattere preesistente o sopravvenuto, rispetto alla separazione consensuale, dei comportamenti lesivi dei doveri coniugali, riguardando la stessa struttura e la stessa funzione dell'istituto della separazione personale dei coniugi;

c) che, pur esclusa l'ammissibilita' del mutamento del titolo della separazione, la ricorrente, nella specie, sembrasse dedurre elementi ascrivibili al dolo processuale revocatorio ex articolo 395 c.p.c., n. 1;

d) che, se il decreto di omologazione della separazione consensuale non costituiva un provvedimento impugnabile attraverso il mezzo della revocazione, dovesse tuttavia essere esclusa la sussistenza della lacuna ordinamentale adombrata dalla medesima ricorrente;

e) che il provvedimento di omologazione, infatti, essendo un atto di controllo privo di contenuto decisorio e non avendo alcuna attitudine ad acquistare l'efficacia del giudicato sostanziale, risultasse impugnabile mediante reclamo davanti alla Corte di Appello ex articolo 739 c.p.c. ed altresi' revocabile, ex articolo 742 c.p.c., per vizi di legittimita', deducibili in ogni tempo nell'ambito della giurisdizione camerale nonche' eccepibili in un processo ordinario, quante volte l'esistenza di un valido decreto di omologazione si fosse presentata come imprescindibile condizione di legittimita' dell'azione.

Avverso tale sentenza, ricorre per cassazione la Ve., deducendo cinque motivi di gravame, articolati congiuntamente ed illustrati da memoria, ai quali resiste il Be. Di. Ne. con controricorso.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con gli anzidetti motivi di impugnazione, lamenta la ricorrente violazione dell'articolo 180 c.c. in relazione agli articoli 1427 e 1428 c.c., errata interpretazione della Legge 19 maggio 1975, n. 151, errata interpretazione delle norme sulla separazione dei coniugi, correlate con le disposizioni di legge sui vizi del consenso, errata interpretazione della giurisprudenza della Suprema Corte in materia ed insufficiente motivazione sulla supposta inesistenza di obblighi morali derivanti dal matrimonio, scomparsi (a detta della Corte territoriale) in conseguenza dell'abrogazione dell'articolo 156 c.c., segnatamente denunziando:

a) che la sentenza impugnata sottolinea che non sarebbero valutabili i fatti commessi in violazione di obblighi non piu' esistenti, essendo gia' stata pronunciata la separazione ovvero essendo stata quest'ultima consensualmente accettata;

b) che i fatti denunciati dalla ricorrente sono tutti precedenti alla richiesta di "consensuale", ignorati da una delle parti a causa del comportamento doloso dell'altra parte, assunto proprio al fine di occultarli ed ottenere un consenso che mai sarebbe stato concesso se fossero stati conosciuti;

c) che, quindi, gli accordi in questione sono stati raggiunti esclusivamente mediante l'occultamento doloso dei fatti, messo in atto subdolamente e premeditatamente da una delle parti contraenti;

d) che la Corte territoriale, ad un certo punto, contraddice se stessa, la' dove, precisamente, dopo avere "esclusa l'ammissibilita' del mutamento del titolo della separazione", afferma che "il caso di specie rend(e) necessarie ulteriori precisazioni";

e) che la domanda di mutamento del titolo non si e' mai basata sulla sopravvenuta procreazione, la quale non e' stata causa successiva ed autonoma della frattura coniugale;

f) che la causa di quest'ultima fu la relazione extraconiugale intrattenuta dal marito in costanza di matrimonio;

g) che detta relazione sarebbe sfociata in separazione giudiziale con addebito se lo stesso marito non l'avesse dichiarata cessata da tempo, inducendo cosi' maliziosamente la moglie a separarsi consensualmente nella prospettiva di una possibile, futura riconciliazione;

h) che sia i fatti originari sia il comportamento doloso che ha viziato il consenso sono precedenti alla separazione consensuale, ma sono venuti a conoscenza di una delle parti contraenti soltanto dopo la prestazione del consenso medesimo.

Tali motivi non sono fondati.

Il Giudice di appello ha preso le mosse "dalla ricognizione del dato offerto dalla giurisprudenza di legittimita' formatasi in tema di mutamento del titolo della separazione, da consensuale in giudiziale", rilevando in particolare:

a) che la Suprema Corte, sottoponendo a revisione l'indirizzo meno recente, favorevole in prevalenza "al passaggio da una separazione consensuale omologata ad una separazione addebitata", anche per fatti successivi alla separazione medesima, non soltanto e' pervenuta a sottolineare che, in seguito all'abrogazione dell'articolo 156 c.c., non sussistono a carico dei coniugi separati obblighi di carattere morale derivanti dal matrimonio, ma solo obblighi di carattere patrimoniale (di guisa che non sono valutabili fatti commessi in violazione di obblighi non piu' esistenti quando la separazione e' stata pronunciata o consensualmente accettata, potendo i comportamenti ed i fatti successivi alla separazione, eventualmente, valere soltanto ai fini del mutamento delle condizioni della separazione medesima, dell'inibitoria dell'uso del cognome maritale e dell'adozione degli strumenti di tutela di cui all'articolo 155 c.c., comma 8, articoli 330 e 333 c.c., nonche' ai fini penali), ma, soprattutto, e' pervenuta ad enucleare l'essenziale principio secondo cui, per la necessaria contestualita' tra il giudizio di improseguibilita' della convivenza ed il giudizio di addebitabilita', non e' consentito, una volta che la separazione e' stata pronunciata o omologata, stabilire con un giudizio a posteriori che il fallimento dell'unione coniugale avrebbe potuto essere imputato a fatti e comportamenti diversi da quelli gia' considerati (Cass. 17 marzo 1995, n. 3098; Cass. 19 settembre 1997, n. 9317);

b) che detta Corte, approfondendo la giurisprudenza consolidatasi gia' nel precedente decennio ed, in particolare, configurando la separazione quale effetto o rimedio di una convivenza ormai intollerabile, o tale da pregiudicare gravemente l'educazione della prole, ha, secondo il suo piu' recente orientamento, ritenuto che la separazione medesima non e' piu' prevista come uno stato transitorio, determinato da colpe, in prospettiva della ricomposizione dell'unione coniugale, ma comporta che detto istituto si sostanzia in un titolo auto sufficiente di cessazione della convivenza, suscettibile di ulteriori e diversificati esiti, onde la volonta' del legislatore, espressa nell'articolo 151 c.c., di riservare esclusivamente al giudice chiamato a pronunciare la separazione il potere di statuire, ove ne ricorrano le circostanze e ne sia stato richiesto, l'addebitabilita' della separazione, precludendo, in tal modo, la possibilita' che questa sia prospettata aliunde, in altra sede, con autonoma domanda, in presenza di un precedente titolo della separazione stessa, una simile possibilita' essendo configurabile solo in caso di nuova pronuncia di separazione, emessa in relazione a fatti e comportamenti intervenuti dopo l'eventuale riconciliazione (Cass. 30 luglio 1999, n. 8272);

c) che, "alla stregua della ratio decidendi teste' riportata, l'inammissibilita' del mutamento del titolo della separazione prescinde completamente dal carattere preesistente o sopravvenuto, rispetto alla separazione consensuale, dei comportamenti costituenti violazione dei doveri coniugali, ma attiene alla stessa struttura e funzione dell'istituto della separazione personale dei coniugi".

La Corte territoriale, quindi, stimando "pienamente condivisibile" tale "referente" giurisprudenziale e non ravvisando "ragioni per discostarsene", ha finito per escludere "l'ammissibilita' del mutamento del titolo della separazione", ritenendo cosi' (e salvo quanto appresso) "esaurito il tema del decidere".

Nei termini sin qui riferiti, il Giudice del merito ha fatto corretta applicazione di principi che, ripetutamente enunciati dalla piu' recente giurisprudenza di legittimita', richiamata del resto nella sentenza impugnata (Cass. n. 9317/1997, cit.; Cass. n. 8272/1999, cit.; nonche' Cass. Sezioni Unite 4 dicembre 2001, n. 15279), sono stati, poi, ribaditi in una non lontana pronuncia di questa Corte (Cass. 29 marzo 2005, n. 6625) la' dove trovasi affermato in particolare:

a) che l'articolo 151 c.c., nel testo introdotto dalla Legge 19 maggio 1975, n. 151, di riforma del diritto di famiglia, stabilisce al comma 1 che la separazione puo' essere chiesta quando si verificano, anche indipendentemente dalla volonta' di uno o di entrambi i coniugi, fatti tali da rendere intollerabile la convivenza o da recare grave pregiudizio all'educazione della prole, mentre, al comma 2, stabilisce poi che il giudice, pronunciando la separazione, dichiara, ove ne ricorrano le circostanze e ne sia richiesto, a quale dei coniugi sia addebitabile la separazione, in considerazione del suo comportamento contrario ai doveri che derivano dal matrimonio;

b) che del sopra citato articolo 151 c.c., il comma 1, quindi, ricollega la pronuncia di separazione al verificarsi di fatti oggettivi che rendano intollerabile la prosecuzione della convivenza coniugale o che compromettano l'educazione della prole, laddove il comma 2, invece, prevede la possibilita' di una pronuncia accessoria, su istanza di uno o di entrambi i coniugi, di addebito della medesima separazione;

c) che il coordinamento fra tali disposizioni evidenzia come la dichiarazione di addebito possa essere richiesta e adottata soltanto nell'ambito del giudizio di separazione, dovendosi escludere l'esperibilita', in tema appunto di addebito, di domande successive a tale giudizio, attribuendo espressamente dell'articolo 151 c.c., il comma 2 la relativa cognizione alla competenza esclusiva del giudice della separazione, con la conseguente improponibilita' di domande di addebito al di fuori del giudizio anzidetto;

d) che, pertanto, i coniugi, vuoi qualora siano addivenuti ad una separazione giudiziale senza pronuncia di addebito, vuoi qualora siano addivenuti ad una separazione consensuale omologata, come nella specie, non possono chiedere, in un successivo giudizio, ne' per fatti sopravvenuti ne' per fatti anteriori alla separazione medesima, una pronuncia di addebito, onde, in tal senso, si palesano di per se' prive di fondamento le censure dell'odierna ricorrente la' dove quest'ultima assume che "i fatti (originari) denunciati sono tutti precedenti alla richiesta di (separazione) consensuale, ma venuti a conoscenza di una delle parti contraenti soltanto dopo la prestazione del consenso".

Peraltro, la Corte territoriale, nell'impugnata sentenza, pur avendo (come si e' accennato) "esclusa l'ammissibilita' del mutamento del titolo della separazione" ed avendo, quindi, ritenuto "esaurito...il tema del decidere", ha tuttavia reputato "necessarie ulteriori precisazioni", cosi' da affermare:

a) che "dagli atti del procedimento emerge la prospettazione, da parte dell'attuale appellante, di una pregressa situazione di fallimento matrimoniale, per comportamenti addebitabili al Be. Di. Ne., tale da indurre Ve.Sa. a risolversi ad assumere l'iniziativa della separazione e che su tale situazione ebbe ad innestarsi la condotta intenzionalmente ingannevole, posta in essere dal marito, nell'intento di convincere la moglie ad addivenire alla separazione consensuale";

b) che, "inoltre, il comportamento dedotto dalla ricorrente come maliziosamente attuato dal coniuge al fine di indurla a separarsi consensualmente pare individuato negli artifici e raggiri consistenti nelle mendaci dichiarazioni circa la definitiva cessazione della relazione extraconiugale dallo stesso intrattenuta (della quale la moglie doveva essere a conoscenza - altrimenti non trovando logica spiegazione il mendacio relativo alla cessazione di tale rapporto -, relazione, invece, perdurante e dalla quale era in procinto di nascere un figlio) nonche' nella contestuale rappresentazione della possibilita' di una riconciliazione tra i coniugi";

c) che, "in ultima analisi, piuttosto che fatti e comportamenti intrinsecamente idonei a fondare autonomamente un addebito...la ricorrente pare dedurre...elementi ascrivibili alla fattispecie del dolo processuale revocatorio...";

d) che, "se il decreto di omologazione della separazione personale consensuale concordata tra i coniugi...non costituisce un provvedimento impugnabile con il mezzo della revocazione, tuttavia va...esclusa quella sorta di lacuna dell'ordinamento adombrata dalla ricorrente (nel senso che) il provvedimento di omologazione, in se stesso considerato, e' impugnabile con reclamo alla corte d'appello ai sensi dell'articolo 739 c.p.c. ed e' revocabile ai sensi dell'articolo 742 c.p.c. per vizi di legittimita', che non si convertono in motivi di gravame, ma sono in ogni tempo deducibili nell'ambito della giurisdizione camerale e sono pure eccepibili in un processo ordinario..., dove l'esistenza di un valido decreto di omologazione si presenti come imprescindibile condizione di legittimita' dell'azione".

Al riguardo, giova premettere come la giurisprudenza di questa Corte (Cass. 5 marzo 2001, n. 3149; Cass. 20 novembre 2003, n. 17607; Cass. 4 settembre 2004, n. 17902; Cass. n. 6625/2005, cit.), argomentando dalla natura negoziale (quand'anche non contrattuale) dell'accordo che da sostanza e fondamento alla separazione consensuale tra coniugi, nonche' dal fatto che non e' ravvisabile, nell'atto di omologazione, una funzione sostitutiva o integrativa della volonta' delle parti o di governo dell'autonomia dei coniugi (rappresentando la procedura ed il decreto di omologazione condizioni di efficacia del sottostante accordo tra gli stessi coniugi, salvo che per quanto riguarda i patti relativi all'affidamento ed al mantenimento dei figli minorenni, rispetto ai quali il giudice e' dotato di un potere di intervento piu' penetrante), abbia ritenuto applicabili alla separazione consensuale omologata le norme generali che disciplinano la materia dei vizi della volonta', nei limiti in cui dette norme risultino compatibili con la specificita' di tale negozio di diritto familiare, riconoscendo ammissibile la relativa azione di annullamento, la cui esperibilita', non limitata all'istituto contrattuale ma estensibile ai negozi che riguardano i rapporti giuridici non patrimoniali, cui appartengono quelli appunto di diritto familiare, presidia la validita' del consenso come effetto del libero incontro della volonta' delle parti, la' dove, pero', rispetto all'atto di separazione omologato, ne' gli eventuali vizi del consenso ne' la sua eventuale simulazione sono deducibili attraverso il giudizio camerale attivato a norma del combinato disposto degli articoli 710 e 711 c.p.c., nel senso esattamente che, costituendo presupposto del ricorso a detta procedura l'allegazione dell'esistenza di una valida separazione consensuale omologata, equiparabile alla separazione giudiziale pronunciata con sentenza passata in giudicato, la denuncia degli ipotetici vizi dell'accordo di separazione, ovvero della sua simulazione, resta rimessa al giudizio ordinario, secondo le regole generali.

Nel caso in esame, tuttavia, e' da osservare come l'odierna ricorrente non abbia specificatamente censurato l'apprezzamento di fatto della Corte territoriale secondo cui la stessa ricorrente:

1) mediante il ricorso (depositato il 22.7.1999) introduttivo del giudizio, ebbe a chiedere "il mutamento del titolo della separazione personale coniugale da consensuale, come da verbale del 24.11.1998, omologato con decreto del 1.12.1998, in giudiziale con addebito al coniuge...";

2) mediante il ricorso in appello (depositato il 12.12.2003) avverso la sentenza del primo Giudice (dichiarativa dell'inammissibilita' della domanda principale avanzata dalla Ve., al pari di quella, reciproca, proposta in via riconvenzionale dal marito), ha chiesto la riforma di detta sentenza "tramite l'accoglimento delle conclusioni formulate nel grado pregresso, ...asserendo che...la valenza contrattuale della separazione consensuale...rendeva applicabili le norme (articolo 1427 c.c.) sull'annullabilita' dei contratti per vizio del consenso (e che tale) annullabilita' (era) suscettibile di essere fatta valere con la procedura alternativa del mutamento del titolo...".

In questo senso, anche a voler considerare l'assunto della Corte territoriale riportato da ultimo (sotto le lettere da "a" a "d" che precedono) alla stregua di una vera e propria ratio decidendi, non gia' di un mero obiter dictum (come pure induce a credere l'affermazione della medesima Corte secondo cui, "esclusa l'ammissibilita' del mutamento del titolo della separazione, ...il tema del decidere potrebbe ritenersi esaurito", indipendentemente, quindi, dalle "ulteriori precisazioni" che detto Giudice ha creduto nondimeno "necessarie"), appare, comunque, palese l'infondatezza delle censure attraverso le quali l'odierna ricorrente ha lamentato "il comportamento doloso (del marito) che ha viziato il consenso" (da lei prestato al raggiungimento della separazione consensuale), segnatamente deducendo che i relativi "accordi (vennero) esclusivamente raggiunti mediante l'occultamento doloso dei fatti, messo in atto subdolamente e premeditatamente da una delle parti contraenti".

Al riguardo, infatti, malgrado la stessa ricorrente abbia, nella memoria ex articolo 378 c.p.c., insistito sul rilievo secondo cui "nell'addivenire al negozio della separazione consensuale, la (sua) volonta'...fu...viziata dal dolo del Be. Di. Ne. " (nel senso esattamente che "si lascio' indurre a concludere l'accordo separatizio in via consensuale dalle numerose e maliziose assicurazioni del marito - tendenti appunto a carpirle la sottoscrizione per il consenso - di aver cessato i rapporti adulterini..., ventilandole la possibilita' di una...riconciliazione"), significando altresi' che "la parte fraudolentemente ingannata poteva bene chiedere l'annullamento del negozio stesso" e che, "ove la volonta' dei contraenti sia in qualche modo viziata, e' logico ammettere la possibilita' che si ponga nel nulla l'accordo con un'azione contenziosa, senza passare attraverso i rimedi camerali del reclamo e della revoca", e' da considerare, tuttavia, che, sulla base dell'incensurato (di per se') apprezzamento di fatto della Corte territoriale sopra riferito, e' rimasto accertato che la prospettazione dell'odierna ricorrente (ribadita in questa sede ed incentrata, come si e' detto, sul rilievo di essere stata indotta alla separazione consensuale con volonta' viziata dall'ignoranza di fatti dovuta al comportamento doloso dell'altra parte, assunto al fine di occultarli ed ottenere un'adesione che mai sarebbe stata concessa se tali fatti fossero stati conosciuti) non si e' minimamente tradotta nell'esperimento di un vero e proprio giudizio di annullamento, bensi' esclusivamente nella richiesta di una pronuncia di addebito, improponibile (per le ragioni illustrate) al di fuori del giudizio di separazione, ovvero, al piu', in una pretesa pur sempre fondata, pero', sull'annullabilita' della separazione consensuale (per vizio del consenso) "suscettibile di essere fatta valere con la procedura alternativa del mutamento del titolo", onde, avendo la stessa ricorrente proposto in sede di merito soltanto una simile domanda laddove altra e' l'azione (di annullamento appunto) autonomamente predisposta dall'ordinamento a tutela del vizio allegato, nei limiti in cui quest'ultimo possa ritenersi rilevante in relazione ad un atto di separazione consensuale omologata, del tutto legittimamente la Corte territoriale, come gia' il primo Giudice, ha negato ingresso alla domanda sopraindicata escludendone l'ammissibilita'.

Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato.

La sorte delle spese del giudizio di cassazione segue il disposto dell'articolo 385 c.p.c., comma 1, liquidandosi dette spese in complessivi euro 1.600,00, di cui euro 1.500,00 per onorari, oltre le spese generali (nella misura percentuale del 12,50% sull'importo degli onorari medesimi) e gli accessori (I.V.A. e Cassa Previdenza Avvocati) dovuti per legge.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al rimborso in favore del controricorrente delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in complessivi euro 1.600,00, di cui euro 1.500,00 per onorari, oltre le spese generali e gli accessori dovuti per legge.

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