L'interpretazione del testamento, risolvendosi in un accertamento di fatto da parte del giudice di merito, è sindacabile in sede di legittimità solo per violazione delle regole di ermeneutica

L'interpretazione del testamento, risolvendosi in un accertamento di fatto da parte del giudice di merito, è sindacabile in sede di legittimità solo per violazione delle regole di ermeneutica (avuto riguardo a quelle previste dal codice civile in tema di contratti con la sola eccezione di quelle incompatibili con la natura di atto unilaterale non recettizio del negozio "mortis causa") e per vizi logici e giuridici attinenti alla motivazione (nella specie, verificare se l'"institutio ex re certa" configuri una successione nel patrimonio del "de cuius" a titolo universale o se, invece, l'individuazione di singoli beni escluda l'istituzione nell'"universum jus"). (Corte di Cassazione, Sezione 2 Civile, Sentenza del 18 gennaio 2007, n. 1066)



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SENTENZA

sul ricorso proposto da:

Va.Sa., elettivamente domiciliato in Ro. via De.Le., presso lo STUDIO Ca. Ga. di Ca.Le.Fi., difeso dall'avvocato Co.Pi., giusta delega in atti;

ricorrente

contro

Va.Ma.;

intimata

e sul 2° ricorso n° 33310/02 proposto da:

Va.Ma., elettivamente domiciliata in Ro. Via Pl. (...) INT. (...), presso lo studio dell'avvocato Al.Io., difesa dall'avvocato Do. Ni., giusta delega in atti;

controricorrente e ricorrente incidentale

contro

Va.Sa.;

intimata

avverso la sentenza n. 118/02 della Corte d'Appello di Catania, depositata il 20/02/02;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 07/10/05 dal Consigliere Dott. Vincenzo MAZZACANE;

udito il p.m. in persona del Sostituto Procuratore; Generale Dott. Carmelo SGROI che ha concluso per il rigetto di entrambi i ricorsi.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione notificato il 13/6/1980 Ma.Va. conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Siracusa il fratello Sa.Va. e, premesso che in data 15/3/1979 era deceduta la comune madre Co.La., esponeva che quest'ultima aveva disposto dei suoi beni con testamento pubblico del 3/7/1973 istituendo suo erede universale il figlio Sa. e disposto altresì:"la quota legittima spettante all'altra figlia Va.Ma. deve essere prelevata dalla mia terra sita in contrada Sp. e precisamente dallo stacco sottostante e limitrofo alla chiusa dell'aia, dalle lenze, dalla porzione detta Zo.Pi. sopra dette lenze, nonché, ove non bastante, dalle altre terre in contrada Sp. suddetta, dalle terre Fi. e precisamente lo stacco sotto Bu. di circa are settanta"; la Va. chiedeva che, dichiarata aperta la successione di Co.La., il
Tribunale operasse la riduzione delle donazioni compiute dalla stessa in vita in quanto lesive della propria quota di legittima, reintegrasse la quota di legittima a lei spettante previa riunione fittizia del "relietum" con quanto donato in vita e condannasse il convenuto alla restituzione della fruttificazione dei beni acquisiti in violazione della legittima.

Costituitosi in giudizio il Va. contestava il fondamento della domanda attrice di cui chiedeva il rigetto.

Con sentenza del 3/8/1998 il Tribunale di Siracusa dichiarava che con il menzionato testamento di Co.La. era stata lesa la quota di legittima spettante all'attrice e, previa riduzione della donazione effettuata in vita dalla La. in favore di Sa.Va. nella misura di metà del vano garage sito in via Te. di Pa.Ac., assegnava a Ma.Va.Pi. fondo sito in contrada Sp., l'intero fondo sito in contrada Fi.-Ru. nonché la metà indivisa del garage sito in Pa.Ac., e condannava il convenuto al pagamento in favore dell'attrice della somma di lire 21.188.656 a titolo di fruttificazione dei beni di spettanza dell'attrice stessa con gli interessi legali dalla data del deposito della seconda relazione del consulente tecnico d'ufficio.

Proposta impugnazione da parte di Sa.Va. cui resisteva Ma.Va. che proponeva appello incidentale la Corte di appello di Ca. con sentenza del 20/2/2002 ha rideterminato in lire 19.693.040 la somma che Sa.Va. era condannato a pagare alla controparte a titolo di fruttificazione confermando nel resto la decisione di primo grado.

Il giudice di appello, per quanto interessa in questa sede, dopo aver osservato che le doglianze sollevate dall'appellante principale avverso i criteri di stima dei beni lasciati da Co.La. erano generiche e trascuravano le risultanze processuali, ha poi ritenuto infondato l'assunto di Sa.Va. secondo cui Ma.Va. era legataria di terreni indicati in suo favore nel testamento e non erede della "de cuius", e che pertanto ella avrebbe acquisito la proprietà di quei beni e la loro piena disponibilità al momento della morte della testatrice; al riguardo ha affermato che Ma.Va., in quanto legittimaria, era erede della madre (la quale in tale veste l'aveva contemplata nel testamento) e non legataria, e che inoltre non soltanto non vi era prova che l'appellante avesse posseduto per intero il fondo in contrada Sp. fin dalla data di apertura della successione, ma addirittura esisteva in atti la prova contraria, come era emerso dalla denuncia di successione presentata e firmata dallo stesso Sa.Va. nella quale quest'ultimo aveva dichiarato che alla sorella erano assegnate soltanto una parte delle particelle catastali dalle quali era costituito il fondo, mentre gli altri beni erano assegnati a se stesso quale erede universale.

La Corte territoriale, ritenuto che entrambi i fratelli erano eredi, sia pure a diverso titolo, comproprietari e compossessori del fondo in contrada Sp. fino alla futura ed eventuale divisione dei beni ereditati, ha respinto altresì l'appello incidentale con il quale Ma.Va., sostenendo di non aver mai posseduto il suddetto fondo, aveva chiesto la condanna della controparte al pagamento di una somma corrispondente all'intera fruttificazione di esso come calcolata dal consulente tecnico d'ufficio.

Avverso tale sentenza Sa.Va. ha proposto un ricorso articolato in tre motivi cui Ma.Va. ha resistito con controricorso proponendo altresì un ricorso incidentale.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Preliminarmente deve procedersi alla riunione dei ricorsi in quanto proposti contro la medesima sentenza.

Procedendo quindi all'esame del ricorso principale, si osserva che con il primo motivo Sa.Va., denunciando violazione e falsa applicazione degli articoli 551 e 1362 c.c. nonché erronea motivazione, assume che, contrariamente all'assunto della sentenza impugnata, dall'esame del testamento pubblico di Co.La. e quindi dalle espressioni usate dalla testatrice emergeva la sua volontà di attribuire alla figlia Ma. beni determinati e singoli e non quote ideali del suo patrimonio, cosicché a Ma.Va. avrebbe dovuto essere attribuita la qualifica di legataria; pertanto, non avendo ella rinunciato espressamente e per iscritto al legato, aveva perso il diritto a chiedere un supplemento nel caso che il valore del legato fosse risultato inferiore a quello della legittima, e dunque erroneamente il giudice di appello le ha riconosciuto una integrazione dei beni ad essa spettanti a titolo di legato.

Con il terzo motivo il ricorrente principale, deducendo violazione e falsa applicazione dell'art. 649 c.c. e vizi di motivazione, rileva che, poiché il legato si acquista automaticamente con l'apertura della successione, Ma.Va. fin da quel momento era entrata in possesso di tutte le terre site in contrada Sp. costituenti l'oggetto del legato a lei attribuito dalla testatrice Co.La.; pertanto la condanna dell'esponente al pagamento di una somma di denaro a titolo di una fruttificazione dei suddetti beni mai percepita era ingiustificata.

Le enunciate censure, da esaminare contestualmente in quanto connesse, sono infondate.

La Corte territoriale, nel rigettare il quarto motivo dell'appello principale, ha rilevato da un esame del testamento sopra menzionato che Ma.Va. era stata considerata legittimaria ed in questa veste destinataria di determinati beni; pertanto il giudice di appello ha ritenuto trattarsi di una istituzione di erede "ex re certa" ai sensi dell'art. 588 secondo comma c.c., affermazione in effetti avvalorata dal rilievo che nel testo del testamento come riportato nella sentenza impugnata si fa riferimento alla "quota di legittima spettante all'altra figlia Va.Ma.", cosicché il richiamo alla quota ha legittimamente indotto la Corte territoriale a ritenere che la testatrice aveva inteso considerare i beni devoluti alla Va. come rappresentativi di una frazione del patrimonio ereditario unitariamente concepito.

In proposito è noto che l'interpretazione del testamento, risolvendosi in un accertamento di fatto da parte del giudice di merito, è sindacabile in sede di legittimità solo per violazione delle regole di ermeneutica (avuto riguardo a quelle previste dal codice civile in tema di contratti con la sola eccezione di quelle incompatibili con la natura di atto unilaterale non recettizio del negozio "mortis causa") e per vizi logici e giuridici attinenti alla motivazione (vedi in particolare con riferimento al caso in esame, allorché occorre accertare se l'"institutio ex re certa" configuri una successione nel patrimonio del "de cuius" a titolo universale o se invece l'individuazione di singoli beni escluda l'istituzione nell'"universum jus" Cass. 4/2/1999 n. 974).

Ciò posto, occorre osservare da un lato che il ricorso principale non ha svolto specifiche censure alla sentenza impugnata sotto il profilo di una violazione delle sopra richiamate regole ermeneutiche, e dall'altro che il giudice di appello ha offerto una motivazione congrua e priva di vizi logici del convincimento maturato.

Dalle considerazioni esposte discende quindi l'infondatezza anche dei profili di censura sollevati dal ricorrente principale conseguenti alla asserita qualità. di legataria di Ma.Va.

Con il secondo motivo Sa.Va., deducendo violazione e falsa applicazione della normativa regolatrice delle consulenze tecniche di parte rispetto alle consulenze tecniche d'ufficio e vizio di motivazione, assume che il giudice di appello non ha preso in considerazione le censure sollevate dall'esponente avverso la consulenza tecnica d'ufficio sia sotto il profilo metodologico sia sotto quello tecnico limitandosi ad una semplice ed acritica adesione alle conclusioni del CTU. La censura è infondata.

La sentenza impugnata ha esaustivamente esaminato i criteri di stima adottati dal CTU relativamente ai beni compresi nell'asse ereditario relitto dalla
La. considerandoli pienamente condivisibili ed ha altresì analizzato puntualmente le doglianze in proposito sollevate da Sa.Va. ritenute generiche e preve di riferimento alle risultanze processuali.

Orbene con il motivo in esame il ricorrente principale si limita inammissibilmente a riproporre in modo del tutto generico i propri rilievi critici avverso la consulenza tecnica d'ufficio disinteressandosi completamente di censurare le affermazioni sopra richiamate della Corte territoriale.

Il ricorso principale deve quindi essere rigettato.

Venendo quindi all'esame del ricorso incidentale, si osserva che con il primo motivo Ma.Va., denunciando violazione e falsa applicazione degli articoli 460 - 533 - 588 - 649 - 1146 - 1148 ce anche in relazione agli articoli 115-116 c.p. c e vizio di motivazione, censura la sentenza impugnata per non aver condannato la controparte al pagamento della somma di denaro corrispondente all'integrale fruttificazione dei fondi costituenti l'asse ereditario compreso il fondo Sp., considerato che la controparte nel primo grado di giudizio non aveva mai contestato il suo possesso esclusivo di tali beni, attesa altresì l'assenza di qualsiasi disposizione dalla quale potesse derivare l'immissione in possesso della esponente in alcuno dei cespiti ereditari; soltanto in grado di appello Sa.Va. aveva tardivamente eccepito di non aver mai posseduto il fondo Sp., circostanza comunque contraddetta dal rilievo che il possesso dei beni ereditari in capo all'erede universale è presunto.

La censura è infondata.

La sentenza impugnata, muovendo dal presupposto che, come si è già rilevato, sia Sa. che Ma.Va. erano eredi (sia pure a diverso titolo) e compossessori del fondo Sp., ha rilevato che l'attuale ricorrente incidentale avrebbe dovuto provare che invece in concreto tale fondo fosse stato posseduto interamente dal fratello Sa.; pertanto in assenza di tale prova correttamente il giudice di appello ha ritenuto che vi era stato un compossesso del suddetto bene da parte di entrambi i fratelli.

Con il secondo motivo la ricorrente incidentale, deducendo violazione e falsa applicazione dell'art. 91 c.p.c. e vizio di motivazione, censura la sentenza impugnata per aver compensato le spese del secondo grado di giudizio pur in assenza di soccombenza dell'esponente, che già nel primo grado di giudizio aveva dichiarato di non aver diritto ai frutti relativi al vano garage.

La censura è infondata.

La sentenza impugnata, avendo accertato una reciproca soccombenza nel giudizio di secondo grado (essendo stato quasi totalmente rigettato l'appello principale ed essendo stato respinto del tutto l'appello incidentale), ha compensato per intero le spese tra le parti nell'ambito del potere discrezionale in proposito riservato al giudice di merito e correttamente esercitato nella fattispecie.

Anche il ricorso incidentale deve quindi essere rigettato.

Ricorrono giusti motivi per compensare interamente tra le parti le spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte

Riunisce i ricorsi, li rigetta entrambi e compensa interamente tra le parti le spese di giudizio.

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