La sentenza che dichiara la nullità del matrimonio ecclesiastico non eslcude l'obbligo di versare l'assegno di divorzio se la sentenza di cessazione degli effetti civili è passata in giudicato

Una volta che nel giudizio con il quale sia stata chiesta la cessazione degli effetti civili di un matrimonio concordatario venga accertata la spettanza, a una delle parti, dell'assegno di divorzio, e una volta che su di essa si sia formato il giudicato, la relativa statuizione si rende intangibile ai sensi dell'articolo 2909 del Cc anche nel caso in cui successivamente a essa sopravvenga la delibazione di una sentenza ecclesiastica di nullità del matrimonio. Le sentenze di divorzio passano in cosa giudicata rebus sic stantibus, rimanendo cioè suscettibili di modifica quanto ai rapporti economici o all'affidamento dei figli, in relazione alla sopravvenienza di fatti nuovi, mentre la rilevanza dei fatti pregressi e delle ragioni giuridiche non addotte nel giudizio che vi ha dato luogo rimane esclusa in base alla regola generale secondo cui il giudicato copre il dedotto e il deducibile. La pronuncia che abbia comunque affermato il venir meno dell'efficacia della sentenza di cessazione degli effetti civili del matrimonio e del conseguente diritto all'assegno divorzile, in ragione dell'intervenuta delibazione della sentenza ecclesiastica, non può essere oggetto di riesame allorché su di essa si sia formato il giudicato. (Corte di Cassazione Sezione 1 Civile, Sentenza del 5 giugno 2009, n. 12982)



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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LUCCIOLI Gabriella - Presidente

Dott. CECCHERINI Aldo - Consigliere

Dott. PICCININNI Carlo - Consigliere

Dott. BERNABAI Renato - Consigliere

Dott. PANZANI Luciano - rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:



SENTENZA

sul ricorso proposto da:

CO. El. , elettivamente domiciliato in Roma, Via dei Giureconsulti 26, presso l'avv. Gustavo Maria Felli, rappresentato e difeso dall'avv. SPADAVECCHIA Pierluigi del foro di Fermo, giusta delega in atti;

- ricorrente -

contro

MA. Gi. , elettivamente domiciliata in Roma, Via Italo Carlo Falbo 22, presso l'avv. Angelo Colucci, rappresentata e difesa dall'avv. BACALINI Paolo del foro di Fermo, giusta delega in atti;

- controricorrente ricorrente incidentale -

avverso il decreto della Corte d'appello di Ancona n. 82/05 R.G.V. del 17.5.2005.

Udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del 20/4/2009 dal Relatore Cons. Dott. Luciano Panzani;

Udito l'avv. Angelo Colucci, sostituto processuale dell'avv. Paolo Bacalini, per la controricorrente e ricorrente incidentale, che ha concluso per il rigetto del ricorso principale e l'accoglimento dell'incidentale;

Udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. MARTONE Antonio, che ha concluso per l'accoglimento del primo motivo del ricorso principale, assorbiti gli altri ed il ricorso incidentale.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza 23.5.1989 il Tribunale di Bologna pronunciava la cessazione degli effetti civili del matrimonio contratto da Co. El. e Ma. Gi. , ponendo a carico del primo un assegno divorzile di lire 400.000, poi elevato dal Tribunale di Alessandria con provvedimento del 7.12.1992 a lire 1.000.000=. Avverso tale provvedimento il Co. proponeva reclamo alla Corte di appello di Torino che, rilevando che medio tempore era intervenuta pronuncia di delibazione della sentenza ecclesiastica della Sacra Rota del (OMESSO), che aveva dichiarato la nullita' del matrimonio concordatario per simulazione del bonum prolis, osservava che dalla dichiarazione di nullita' del matrimonio era derivata l'eradicazione del presupposto costitutivo dell'assegno divorziale rappresentato dalla validita' del vincolo, si' che era venuto retroattivamente meno il diritto all'assegno stesso. La Corte di Torino dichiarava pertanto inammissibile il reclamo, essendo cessato l'interesse processuale delle parti alla pronuncia in ordine all'assegno.

La Ma. si rivolgeva successivamente al Tribunale di Alessandria deducendo il peggioramento delle proprie condizioni economiche e chiedendo un aumento dell'assegno divorzile a suo tempo stabilito. Con decreto 29.6.2001 il Tribunale respingeva il ricorso osservando che a seguito della delibazione della pronuncia ecclesiastica di nullita' del matrimonio, si era creato un giudicato confliggente con quello costituito dalla sentenza di divorzio, che aveva implicitamente accertato la validita' del vincolo esclusa invece dal giudice ecclesiastico. In presenza di tale conflitto di giudicati doveva ritenersi, in difetto di un provvedimento di revocazione d'uno di essi, che il giudicato successivo dovesse prevalere, in conformita' all'orientamento di questa Suprema Corte. Ne derivava il venir meno retroattivamente del fondamento dell'assegno divorzile.

La pronuncia del Tribunale di Alessandria non veniva impugnata.

La Ma. adiva invece il Tribunale di Fermo, competente territorialmente in ragione dell'attuale dimora dell'ex coniuge, deducendo il progressivo ed ulteriore deterioramento delle proprie condizioni economiche ed insistendo per un adeguamento dell'assegno.

Il Tribunale di Fermo, con provvedimento 25.1.2005, richiamava la giurisprudenza di questa Corte secondo la quale, una volta giudizialmente stabilito l'assegno divorzile, sul relativo diritto si forma il giudicato che rimane intangibile anche nel caso di emanazione di sentenza ecclesiastica dichiarativa della nullita' del matrimonio e di sua successiva delibazione in (OMESSO). Riteneva pertanto di poter determinare l'assegno, in considerazione delle peggiorate condizioni economiche della Ma. , in euro 500,00 mensili.

La Corte di appello di Ancona con decreto 17.5.2005 accoglieva in parte il reclamo del Co. , rideterminando l'assegno in euro 350,00 mensili. Osservava la Corte di merito che le pronunce della Corte di appello di Torino e del Tribunale di Alessandria non avevano determinato il formarsi di un giudicato sulla non spettanza dell'assegno perche' in subiecta materia il giudicato doveva sempre intendersi allo stato degli atti, si' che un mutamento dello stato di fatto, cosi' come era stato allegato dalla parte resistente, era idoneo a legittimare la rinnovazione della richiesta.

Ad avviso della Corte d'appello per quanto invece riguardava il rapporto tra il giudicato civile relativo alla sentenza di divorzio e la pronuncia di nullita' del giudice ecclesiastico, delibata in Italia, doveva applicarsi la giurisprudenza di questa Corte. Le due pronunce si ponevano su piani paralleli, non interferenti reciprocamente, posto che in sede di divorzio il giudice non accertava se non incidentalmente l'esistenza e la validita' del vincolo, e pronunciava invece in via costitutiva sul diritto all'assegno divorzile, pronuncia quest'ultima che, essendo idonea alla formazione del giudicato, non poteva essere travolta dall'accertata nullita' del matrimonio in forza di sentenza ecclesiastica oggetto di delibazione.

Nel merito la Corte d'appello osservava che da un lato non era contestato il progressivo deterioramento del quadro di vita della Ma. , sprovvista di apprezzabili fonti di reddito e privata anche dell'aiuto fornito dalla madre, nel frattempo deceduta. Dall'altro anche il reclamante Co. aveva dedotto, senza contestazioni, che le proprie risorse erano diminuite a seguito del collocamento a riposo. Tenuto conto della breve durata del matrimonio, che non poteva determinare aspettative per il futuro, la Corte riteneva di determinare l'assegno divorzile nella misura mensile gia' indicata.

Avverso il predetto provvedimento ricorre per Cassazione il Co. articolando tre motivi. Resiste con controricorso la Ma. che ha anche proposto ricorso incidentale affidato a tre motivi. Il ricorrente ha depositato memoria ex articolo 378 c.p.c..

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo il ricorrente principale deduce violazione degli articoli 2908 e 2909 c.c., Legge n. 898 del 1970, articolo 9, articolo 742 c.p.c., nonche' difetto di motivazione. La Corte di appello di Ancona avrebbe errato nel ritenere che non fossero preclusivi i giudicati che si erano formati con riferimento alle pronunce della Corte di appello di Torino e del Tribunale di Alessandria per la sola ragione che in materia di assegno divorzile il giudicato e' rebus sic stantibus e non impedisce di dedurre mutamenti successivi della situazione di fatto. Nella specie, infatti, nessuna prospettazione vi sarebbe stata di un mutamento dello stato di fatto perche' il Tribunale di Alessandria aveva accertato il venir meno del diritto all'assegno divorzile in ragione dell'intervenuta delibazione della sentenza ecclesiastica che aveva accertato la nullita' del matrimonio per simulazione del bonum prolis. Il Tribunale di Alessandria aveva espressamente affermato che la sentenza di accertamento della cessazione degli effetti civili del matrimonio conteneva un accertamento implicito in ordine alla validita' del vincolo, accertamento con efficacia di giudicato, che avrebbe dovuto impedire la delibazione della sentenza ecclesiastica di nullita' del matrimonio. Poiche' tale sentenza invece era stata delibata, ne derivava un conflitto di giudicati e doveva essere applicato quello piu' recente, rappresentato dalla sentenza di delibazione della pronuncia di nullita' del matrimonio. Tali affermazioni che si riferivano a fatti pregressi non potevano essere ulteriormente messe in discussione e sul punto la Corte di appello di Ancona non aveva adeguatamente motivato, perche' non aveva spiegato in che cosa consistesse il preteso mutamento dei fatti oggetto della pronuncia.

Con il secondo motivo il ricorrente deduce violazione dell'articolo 34 c.p.c., articoli 2908 e 2909 c.c., nonche' difetto di motivazione.

La Corte di appello di Ancona, ad avviso del ricorrente, nel richiamarsi alla giurisprudenza di questa Corte in ordine alla formazione del giudicato con riferimento alle statuizioni economiche della sentenza di divorzio, aveva omesso di motivare in ordine al mancato riconoscimento dell'efficacia di giudicato in ordine all'accertamento incidentale, contenuto nella sentenza di divorzio, relativamente alla validita' del vincolo ed al conseguente conflitto di giudicati che ne era derivato.

Con il terzo motivo il ricorrente deduce difetto e contraddittorieta' di motivazione in ordine all'avvenuto riconoscimento da parte della Corte di merito dell'esistenza di fatti nuovi sopravvenuti relativamente alla domanda di revisione dell'assegno divorzile proposta dalla Ma. . Afferma che a fondamento della domanda la resistente aveva posto le medesime circostanze gia' dedotte nei precedenti giudizi di revisione avanti alla Corte di appello di Torino ed al Tribunale di Alessandria. Del resto il provvedimento impugnato era contraddittorio per aver riconosciuto da una parte il mutamento delle condizioni della Ma. ed aver dall'altra liquidato come assegno divorzile lo stesso importo gia' risultante dalla sentenza di divorzio, tenuto conto della rivalutazione monetaria nel frattempo intervenuta.

2. Con il primo motivo del ricorso incidentale la Ma. deduce violazione dei principi vigenti in tema di attribuzione e determinazione dell'assegno di divorzio Legge n. 898 del 1970, ex articolo 5.

La Corte d'appello avrebbe violato i principi in ordine alla natura assistenziale dell'assegno divorzile liquidando un importo penalizzante per la Ma. , avuto riguardo al deterioramento delle sue condizioni economiche. La somma mensile liquidata, pari ad euro 350,00 sarebbe del tutto inadeguata, tale da porre la ricorrente incidentale al limite della sopravvivenza in ragione della mancanza di ogni altra fonte di sostentamento, della paraplegia agli arti inferiori, del difetto di ogni altro reddito e della proprieta' di beni immobili. Per contro la Ma. aveva evidenziato come il Co. , nonostante la pensione, continuasse l'attivita' ambulatoriale di medico e godesse di un assegno sostanzioso da parte dell'Inpdai. Con il secondo motivo la ricorrente incidentale deduce difetto e contraddittorieta' della motivazione per avere i giudici del reclamo riconosciuto il deterioramento delle sue condizioni fisiche, liquidando una somma sostanzialmente pari all'importo originario dell'assegno di divorzio rivalutato. Il riferimento al "dispiegamento complessivo dei fattori diacronici" da parte del provvedimento impugnato sarebbe motivazione scarsamente comprensibile.

Con il terzo motivo la ricorrente incidentale deduce ancora violazione dei principi in tema di soccombenza di cui all'articolo 91 c.p.c..

La Corte di appello ha compensato le spese del grado, mentre esse avrebbero dovuto seguire la soccombenza ed essere pertanto poste a carico del Co. che aveva chiesto la riforma del provvedimento impugnato, senza ottenerla ed aveva comunque dato causa al giudizio.

3. Va disposta la riunione dei ricorsi ex articolo 335 c.p.c..

Con la memoria ex articolo 378 c.p.c., il ricorrente ha eccepito la nullita' del ricorso incidentale per l'avvenuta pronuncia d'interdizione della Ma. Gi. in forza di sentenza 1.2.2006, n. 122, aggiungendo che dalla sentenza risulterebbe che gia' prima dell'instaurazione del presente giudizio, il 20.2.2004, alla Ma. era stato nominato un tutore provvisorio.

L'eccezione non e' fondata, a tacer d'altro perche' si fonda su un documento, la sentenza d'interdizione, che risulta allegate alla memoria, ma che non e' stato ritualmente prodotta in giudizio nelle forme stabilite dall'articolo 372 c.p.c..

4. Il primo ed il secondo motivo del ricorso principale possono essere affrontati congiuntamente.

Va premesso che la Corte di appello di Torino ha affermato che dalla sentenza ecclesiastica di nullita' del matrimonio era derivata l'eradicazione del presupposto costitutivo dell'assegno divorzile, rappresentato dalla validita' del vincolo, si' che era venuto retroattivamente meno il diritto all'assegno stesso.

Analogamente il Tribunale di Alessandria ha ritenuto, andando di diverso avviso rispetto all'orientamento cui e' pervenuta questa Corte, che la sentenza di cessazione degli effetti civili del matrimonio contratto dal Co. e dalla Ma. , pronunciata dal Tribunale di Bologna, e la successiva sentenza di delibazione della sentenza ecclesiastica di accertamento della nullita' di detto matrimonio per simulazione dei coniugi in ordine al bonum prolis, avessero dato luogo a giudicati contrastanti in ordine alla validita' del vincolo, con la conseguenza che doveva ritenersi vincolante, in difetto di giudizio di revisione, il giudicato piu' recente, vale a dire la sentenza di delibazione della pronuncia ecclesiastica, e che pertanto era venuto meno il diritto della Ma. , traente origine dalla sentenza di cessazione degli effetti civili del matrimonio, all'assegno divorzile.

Com'e' noto, tali pronunce sono in contrasto con l'orientamento di questa Corte secondo il quale la domanda di cessazione degli effetti civili del matrimonio ha "causa petendi" e "petitum" diversi da quelli della domanda di nullita' del matrimonio concordatario, investendo il matrimonio e non l'atto con il quale e' stato costituito il vincolo tra i coniugi. Pertanto, ove nel giudizio di divorzio le parti non introducano esplicitamente questioni sulla esistenza e sulla validita' del vincolo - le quali darebbero luogo a statuizioni incidenti sullo "status" delle persone, e, quindi, da decidere necessariamente, ai sensi dell'articolo 34 cod. proc. civ., con efficacia di giudicato -, l'esistenza e la validita' del matrimonio non formano oggetto di specifico accertamento suscettibile di determinare la formazione del giudicato. Ne consegue che, in dette ipotesi, la sentenza di divorzio non impedisce la delibazione della sentenza del tribunale ecclesiastico che abbia dichiarato la nullita' del matrimonio concordatario (Cass. 23.3.2001, n. 4202; Cass. 4.3.2005, n. 4795; Cass. 11.2.2008, n. 3186).

Peraltro una volta che nel giudizio con il quale sia stata chiesta la cessazione degli effetti civili di un matrimonio concordatario venga accertata la spettanza, ad una delle parti, dell'assegno di divorzio, ed una volta che su di essa si sia formato il giudicato, la relativa statuizione si rende intangibile ai sensi dell'articolo 2909 cod. civ., anche nel caso in cui successivamente ad essa sopravvenga la delibazione di una sentenza ecclesiastica di nullita' del matrimonio (Cass. 23.3.2001, n. 4202; Cass. 4.3.2005, n. 4795).

Questa Corte ha inoltre affermato, con orientamento costante, che ai sensi della Legge n. 898 del 1970, articolo 9 (cosi' come modificato dalla Legge n. 436 del 1978, articolo 2 e dalla Legge n. 74 del 1987, articolo 13) le sentenze di divorzio passano in cosa giudicata "rebus sic stantibus", rimanendo cioe' suscettibili di modifica quanto ai rapporti economici o all'affidamento dei figli, in relazione alla sopravvenienza di fatti nuovi, mentre la rilevanza dei fatti pregressi e delle ragioni giuridiche non addotte nel giudizio che vi ha dato luogo rimane esclusa in base alla regola generale secondo cui il giudicato copre il dedotto e il deducibile (Cass. 25.8.2005, n. 17320; Cass. 2.11.2004, n. 21049).

Nel caso in esame le pronunce della Corte di appello di Torino e del Tribunale di Alessandria hanno affermato l'insussistenza del diritto della Ma. all'assegno divorzile perche' tale diritto era venuto meno, con efficacia ex tunc, per effetto della delibazione della sentenza ecclesiastica di accertamento della nullita' del matrimonio, pronuncia che costituiva giudicato al pari della precedente sentenza di accertamento del venir meno degli effetti civili del matrimonio che, ad avviso del Tribunale di Alessandria, aveva pronunciato anche sulla validita' del vincolo, si' da dar vita ad un conflitto di giudicati che doveva essere risolto a favore della pronuncia piu' recente.

L'accertamento del diritto all'assegno divorzile non poteva essere oggetto di riesame da parte della Corte di appello di Ancona a seguito della nuova domanda proposta dalla Ma. avanti al Tribunale di Fermo perche' le pronunce della Corte di appello di Torino e del Tribunale di Alessandria avevano affermato il venir meno dell'efficacia della sentenza di cessazione degli effetti civili del matrimonio e del conseguente diritto all'assegno divorzile in essa affermato per effetto di fatti anteriori, e su tali pronunce si era formato il giudicato, giudicato che non poteva essere ulteriormente messo in discussione.

Il provvedimento impugnato va pertanto cassato senza rinvio e, poiche' non occorrono ulteriori accertamenti in fatto, questa Corte puo' pronunciare nel merito rigettando la domanda di revisione dell'assegno proposta dalla Ma. .

Il terzo motivo del ricorso principale ed il ricorso incidentale sono assorbiti.

Sussistono giusti motivi, avuto riguardo alla peculiarita' della fattispecie ed alla particolare difficolta' delle questioni oggetto di causa, per dichiarare integralmente compensate tra le parti le spese dell'intero giudizio.

P.Q.M.

La Corte, riuniti i ricorsi, accoglie il primo ed il secondo motivo del ricorso principale, assorbiti il terzo ed il ricorso incidentale; cassa la sentenza impugnata e, pronunciando nel merito, rigetta la domanda della Ma. ; compensa le spese dell'intero giudizio;

Visto il Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 52, comma 5;

si dispone che, in caso di diffusione della presente sentenza, siano omesse le generalita' e gli altri dati identificativi delle parti.



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