Ostacolare la bigenitorialità costituisce reato

La Sesta Sezione Penale della Cassazione con la sentenza n. 27995-2009 ha stabilito che, in tema di mancata esecuzione dolosa di un provvedimento giurisdizionale adottato in sede di separazione dei coniugi, il genitore affidatario ha il dovere di favorire il rapporto del figlio con l'altro genitore, a meno che sussistano contrarie indicazioni di particolare gravità, tenuto conto che entrambe le figure genitoriali sono centrali e determinanti per la crescita equilibrata del minore. Ne discende che ostacolare gli incontri tra padre e figlio, fino a recidere ogni legame con gli stessi, oltre ad avere effetti deleteri sull'equilibrio psicologico e sulla formazione della personalità del secondo, configura elusione dell'esecuzione del provvedimento giurisdizionale adottato dal giudice civile. Nella specie i giudici hanno condannato una madre (art 388 c.p.) per non essersi prodigata nella sua attività genitoriale-affidataria, scevra da ogni impulso egoistico, che agevolava a tutela della posizione del figlio minore, opponendo rifiuto, senza alcun motivo valido, che il figlio trascorresse col padre il periodo di permanenza stabilito dal giudice della separazione nella relativa sentenza. Con l'entrata in vigore della legge 8 febbraio 2006, n. 54, è stato sancito il principio della bigenitorialità, ovvero il diritto dei figli a continuare a mantenere rapporti di frequentazione con ciascun genitore. Il profilo più innovativo della nuova normativa risiede nella centralità riconosciuta al minore ed al riconoscimento della sua esigenza di continuare a mantenere invariati i contatti con i genitori. In tale ottica ha previsto la presenza contemporanea ed alternata di entrambi nella vita del figlio anche dopo la disgregazione del nucleo familiare, abbandonando la tradizionale distinzione di ruoli tra genitore che si occupa del figlio e genitore del "tempo libero". La nuova legge, come per la legge di riforma di diritto di famiglia, prima, e per quella sul divorzio, poi, ha sconvolto gli equilibri precedentemente costituiti in materia di crisi della famiglia, materializzando oltre al principio informatore di tutta la disciplina minorile (massima tutela del minore), un altro caposaldo, quello del diritto alla bigenitorialità del minore, in totale applicazione dei principi della Convenzione internazionale di New York del 20 novembre 1989 e ratificata in Italia con la legge n. 176 del 1991 e nella Convenzione europea dei diritti del fanciullo assorbita dalla nostra legislazione nel 2003. In effetti, la sentenza in questione, si configura nel reato previsto dal Cod. pen., art. 388; cod. civ., art. 155 la mancata esecuzione dolosa del provvedimento di affidamento dei figli - Ostacoli frapposti dall'altro genitore per limitare o eliminare la frequentazione tra genitore non affidatario e figli.

Cassazione penale , sez. VI, sentenza 08.07.2009 n° 27995



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SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE VI PENALE

Sentenza 8 luglio 2009, n. 27995

Fatto e diritto

1 - Il Tribunale di Agrigento - sezione di Canicattì -, con sentenza 22/3/2005, dichiarava L. F. colpevole del reato di cui all’art. 388 c.p. (per avere eluso il provvedimento del giudice civile in ordine all’affidamento del figlio minore A., impedendo al padre, G. L., di tenerlo con sé nel periodo stabilito) e la assolveva dal reato di tentata violenza privata (per avere tentato di costringere il marito, con la minaccia di non fargli vedere il figlio, a corrispondergli l’assegno mensile stabilito in sede di separazione) perché il fatto non sussiste.

2 - La Corte d’Appello di Palermo, investita dai gravami dell’imputata e del P.G., con sentenza 23/11/2005, riformando in parte la decisione di primo grado, dichiarava la F. colpevole anche di tentato esercizio arbitrario delle proprie ragioni (art. 393 c.p.), cosi qualificata l’originaria imputazione ex artt. 56-610 c.p., unificava i due reati sotto il vincolo della continuazione, rideterminava la pena, tenuto conto delle già concesse attenuanti generiche, in giorni venti di reclusione, sostituiti con euro 760,00 di multa, e confermava nel resto la pronuncia impugnata.

3 - Ha proposto ricorso per cassazione l’imputata, lamentando la violazione della legge penale e il vizio di motivazione: a) quanto al reato di cui all’art. 388 c.p., ha stigmatizzato lo scarso interesse del L. ad intrattenere rapporti significativi col figlio, tanto che quest’ultimo, a lei affidato, non aveva dimostrato alcuna disponibilità ad allontanarsi, nel mese di ( …) dal suo ambiente abituale, sicché la scelta da lei fatta era stata determinata dalla sola ragione di evitare un trauma al bambino; b) quanto al reato di cui agli artt. 56-393 c.p., nessuna prova affidabile era stata acquisita.

Il ricorso non è fondato.

Rileva la Corte, in ordine alla prima doglianza, che l’elusione dell’esecuzione del provvedimento giurisdizionale adottato in sede di separazione dei coniugi si realizza anche attraverso la mancata ottemperanza al provvedimento medesimo. “Eludere”, infatti, significa frustrare, rendere vane le legittime pretese altrui e ciò anche attraverso una mera omissione, che, nella specie, è consistita nel rifiuto della F., alla quale era affidato il bambino, di far sì che lo stesso trascorresse col padre il periodo di vacanza prestabilito. L’asserito esercizio del diritto-dovere di avere agito esclusivamente nell’interesse del minore, che avrebbe manifestato indisponibilità ad allontanarsi, sia pure temporaneamente, dal suo ambiente abituale, è rimasto indimostrato. Non va, peraltro, sottaciuto che rientra nei doveri del genitore affidatario quello di favorire, a meno che sussistano contrarie indicazioni di particolare gravità, il rapporto del figlio con l’altro genitore, e ciò proprio perché entrambe le figure genitoriali sono centrali e determinanti per la crescita equilibrata del minore. L’ostacolare gli incontri tra padre e figlio, fino a recidere ogni legame tra gli stessi, può avere effetti deleteri sull’equilibrio psicologico e sulla formazione della personalità del secondo.

Non risulta che la F. si sia mossa nella direzione che il suo dovere di madre, a prescindere da spinte egoistiche, le imponeva a tutela della posizione del figlio, né risulta una situazione che rendeva impraticabile l’affidamento, sia pure temporaneo, del minore al padre, situazione che, peraltro, se reale, avrebbe dovuto essere rappresentata tempestivamente alla competente Autorità Giudiziaria per gli opportuni provvedimenti.

La seconda censura è assolutamente generica e non idonea a porre in crisi gli argomenti che il Giudice a quo ha posto a base del ritenuto reato di cui agli artt. 56-393 c.p., provato dalla precisa e attendibile testimonianza del L., destinatario della telefonata ricattatoria da parte della moglie, che, per indurlo a rispettare più puntualmente i suoi obblighi di natura economica, aveva minacciato di ostacolare in ogni modo gli incontri tra padre e figlio, circostanza quest’ultima che rappresenta - tra l’altro - una ulteriore conferma della fondatezza del primo capo d’accusa.

Il ricorso deve, pertanto, essere rigettato. Consegue, di diritto, la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.

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