Infortunistica stradale: Guide e Consulenze Legali

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Commette omicidio colposo, con colpa specifica, colui che alla guida della propria auto provochi la morte di un altro ponendo in essere una condotta della quale aveva previsto l'antigiuridicità degli effetti

In tema di colpa specifica, nell'ipotesi della violazione di una norma cautelare c.d. "elastica" - che indica, cioè, un comportamento determinabile in base a circostanze contingenti - è comunque necessario che l'imputazione soggettiva dell'evento avvenga attraverso un apprezzamento della concreta prevedibilità ed evitabilità dell'esito antigiuridico da parte dall'agente modello. E' quanto stabilito la Corte di Cassazione, Sezione 4 Penale, con sentenza del 12 ottobre 2007, n. 37606. La fattispecie rigurdava il reato di omicidio colposo conseguente ad incidente stradale, commesso da un automobilista che, mentre v$iaggiava a velocità superiore a quella imposta, ha investito un veicolo che aveva effettuato una improvvisa svolta a sinistra attraversando repentinamente la carreggiata. La Corte ha annullato con rinvio la sentenza di condanna al risarcimento del danno -essendosi nel frattempo il reato prescritto - ritenendone carente la motivazione che non aveva chiarito se la condotta di guida della vittima fosse prevedibile e se le conseguenze determinatesi nel corso dell'incidente fossero prevedibili ed evitabili.



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MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Il Tribunale di Foggi, sezione distaccata di Manfredonia, ha affermato la penale responsabilita' di RI. Gi. in ordine al reato di cui all'articolo 589 c.p.; e lo ha altresi' condannato al risarcimento del danno nei confronti della costituita parte civile. La pronunzia e' stata parzialmente riformata dalla Corte d'appello di Bari che ha ritenuto il concorso di colpa della vittima nella misura del 60%; ed ha conseguentemente ridotto la pena da nove a quattro mesi di reclusione.

L'imputazione attiene ad un incidente stradale. Secondo l'ipotesi accusatoria fatta propria dai giudici di merito l'imputato, alla guida di un'auto, percorreva una strada statale alla velocita' di 104 km orari, sebbene vi fosse il limite di 90 km orari. La vittima MA. An. percorreva la strada nell'opposto senso di marcia alla guida un veicolo a tre ruote Ape Piaggio.

Costei invadeva l'opposta corsia di marcia per svoltare in una stradina laterale sterrata. In quel frangente sopravveniva l'auto guidata dall'imputato. Nell'urto la donna riportava lesioni letali. La Corte d'appello, nel riformare la sentenza del primo giudice, ha evidenziato che l'unico addebito colposo a carico dell'imputato e' costituito dalla velocita' eccessiva; mentre non sono riscontrabili ulteriori profili di colpa ritenuti dal Tribunale, connessi alla presenza di un mercato e della segnalazione di un incrocio. Infatti, si afferma, il mercato in questione non interessava affatto il punto ove e' avvenuto il sinistro, mentre la strada di campagna in cui intendeva svoltare la vittima non era segnalala, trattandosi di un viottolo di campagna al servizio dell'agricoltura. Per contro, a carico della vittima vengono evidenziati plurimi, rilevanti addebiti colposi.

La donna era priva di patente di guida e cio' lascia ragionevolmente supporre che non fosse in possesso della pratica e dell'esperienza necessarie per avvertire la pericolosita' della manovra che stava compiendo. Inoltre costei, intendendo svoltare a sinistra, doveva attraversare l'opposta corsia di marcia ed aveva quindi l'obbligo di fermarsi e di dare la precedenza ai veicoli che provenivano in senso contrario al suo. Ancora, la lentezza del veicolo che guidava avrebbe dovuto condurla a compiere la manovra con particolare cautela. La sentenza, infine, da conto del fatto che il RI. non tento' neppure di spostarsi sulla corsia sinistra per evitare l'impatto con il mezzo che gli tagliava la strada. Cio' potrebbe anche indurre ad ipotizzare che la donna abbia repentinamente ed imprevedibilmente iniziato l'attraversamento dell'altra carreggiata allorche' l'auto condotta dal RI. era gia' troppo vicina. Tuttavia, si conclude, in assenza di elementi oggettivi di riscontro, tale ipotesi costituisce una semplice supposizione.

Sulla base di tale differente ricostruzione degli accadimenti la Corte configura il concorso di colpa della vittima nella misura del 60%, conseguentemente diminuendo l'entita' della pena.

2. Ricorre per cassazione l'imputato deducendo mancanza della motivazione, avendo la Corte territoriale omesso di esporre le ragioni che giustificano l'incidenza eziologica della assunta condotta colposa dell'imputato. La valutazione di tale aspetto era particolarmente rilevante, giacche' l'imputato superava di soli 14 km orari la velocita' massima consentita; mentre la vittima ha tenuto un comportamento avventato ed imprevedibile. La Corte, si afferma, non ha risposto all'interrogativo posto nell'atto di impugnazione: se il RI. avesse osservato il limite di velocita prescritto l'evento si sarebbe verificato lo stesso ? il sinistro avrebbe provocato conseguenze meno gravi di quelle in concreto verificatesi ? Si richiede in conseguenza l'annullamento con rinvio della pronunzia impugnata.

3. L'illecito risale alla 5 dicembre 1997 ed e' dunque prescritto, essendo state concesse attenuanti generiche prevalenti sull'aggravante. Ne' si versa in una situazione di evidenza probatoria che consenta, ai sensi dell'articolo 129 c.p.p., di emettere sentenza di proscioglimento nel merito. Infatti, come sara' meglio evidenziato nel prosieguo, il ricorso in esame propone una irrisolta, cruciale questione problematica che riguarda i profili eziologici della vicenda. Tale questione si riverbera sulle statuizioni civili e deve essere quindi esaminata pure a seguito dell'estinzione del reato.

Il ricorso che si e' sopra sintetizzato e' tutto incentrato sull'esistenza o meno di nesso causale tra la condotta di guida del RI. e l'evento letale occorso alla vittima. Esso e' fondato nei termini che saranno precisati.

Il primo giudice ha individuato a carico dell'imputato diversi profili di colpa, riconducibili alla velocita' eccessiva, superiore al limite prescritto e comunque inadeguata in considerazione della vicinanza di un'area di mercato e dell'incrocio tra la statale ed il viottolo che la vittima intendeva imboccare. Alla luce di tale analisi della vicenda, la pronunzia imposta nitidamente il cruciale problema relativo all'imputazione oggettiva e soggettiva del fatto. Si evidenzia che l'auto condotta dall'imputato ha investito la vittima che si trovava all'interno del veicolo Ape ed ha quindi determinato direttamente la morte con una condotta attiva che configura senza dubbio il nesso di causalita' materiale.

Con altrettanta chiarezza si pone in luce che, ai fini dell'imputazione soggettiva, occorre analizzare l'inevitabilita' dell'evento per effetto di una condotta di guida diligente. Con adesione ad una terminologia invalsa in dottrina, il problema viene correttamente inquadrato come quello della rilevanza del comportamento alternativo lecito. Il giudice si chiede cioe' se una condotta appropriata avrebbe potuto ragionevolmente evitare la morte della donna e, alla luce delle valutazioni espresse dal consulente tecnico, da una risposta positiva al quesito, pervenendo quindi all'affermazione di responsabilita'.

Come si e' visto, il giudice d'appello ha ricostruito il fatto in modo significativamente diverso: da un lato ha ridimensionato i profili di colpa dell'imputato, escludendo quelli inerenti alla presenza dell'area di mercato e di un incrocio segnalato, e ribadendo invece quello afferente alla velocita' eccessiva;

dall'altro ha sottolineato i gravi profili di colpa addebitabili alla MA. che, inesperta della guida, compi' la manovra per immettersi nel viottolo di campagna in modo assai incauto, senza l'osservanza delle norme fondamentali che regolano la circolazione stradale. Da tale differente ricostruzione dei profili di colpa, la Corte inferisce il concorso di colpa della vittima, rilevante sia ai fini della diminuzione della pena che in ordine alla determinazione dell'entita' del risarcimento del danno, peraltro demandata alla sede civile.

Senza dubbio, alla luce d?i una cosi' diversa valutazione della vicenda, il giudice era altresi' tenuto ad analizzarne i profili causali dedotti dalla difesa dell'imputato. Si trattava, in breve, di rispondere al cruciale quesito se, in presenza di un comportamento cosi' incauto, improvviso ed imprevedibile come quello posto in essere dalla donna, una condotta di guida appropriata e quindi meno veloce da parte del RI. avrebbe potuto realmente condurre a scongiurare l'investimento o l'avrebbe determinato con modalita' significativamente meno dirompenti, tanto da indurre a ragionevolmente ritenere che la morte non ne sarebbe conseguita.

Il quesito causale proposto viene dal ricorrente prospettato come un problema di causalita' materiale. Tale approccio non puo' essere condiviso giacche', come correttamente evidenziato dal primo giudice, non si e' in presenza di una condotta radicalmente omissiva bensi' attiva, che attraverso l'urto del veicolo investito, ha determinato il decesso della vittima. In un caso del genere il nesso di causalita' fisica rilevante ai sensi degli articoli 40 e 41 c.p., non e' seriamente in discussione. Diversa, naturalmente, sarebbe stata la situazione nel caso in cui si fosse considerata una condotta omissiva del conducente: in una tale eventualita', infatti, l'interrogativo sugli effetti di una condotta di guida prudente avrebbe propriamente riguardato il primo ideale gradino del processo di imputazione, che riguarda appunto la dimostrazione del nesso eziologico tra condotta omissiva ed evento. In tale ultima situazione, il nesso causale

avrebbe potuto ritenersi dimostrato solo nel caso in cui si fosse potuto ritenere con ragionevole, umana certezza che un conducente avveduto, nelle condizioni date, avrebbe evitato l'evento letale.

Dunque il nesso causale e' nel caso in esame dimostrato con caratteri di evidenza, che non abbisognano di ulteriore sottolineatura oltre a quella proposta nella sentenza del primo giudice. Tuttavia il ricorso in esame propone correttamente un rilevante problema eziologico che riguarda, tuttavia, il distinto tema della cosiddetta causalita' della colpa. La questione, per la sua importanza, merita un breve chiarimento di principio.

La formula legale della colpa espressa dall'articolo 43 c.p., (col richiamo alla negligenza, imprudenza ed imperizia ed alla violazione di leggi, regolamenti, ordini e discipline, delinea un primo e non controverso tratto distintivo di tale forma di imputazione soggettiva, di carattere oggettivo e normativo. Tale primo obiettivo profilo della colpa, incentrato sulla condotta x posta in essere in violazione di una norma cautelare ha la funzione di orientare il comportamento dei consociati ed esprime l'esigenza di un livello minimo ed irrinunciabile di cautele nella vita sociale. La dottrina che sul piano sistematico prospetta la doppia collocazione della colpa sia nel fatto che nella colpevolezza, colloca significativamente tale primo profilo dell'imputazione sul piano della tipicita', svolgendo esso un ruolo insostituibile nella configurazione delle singole fattispecie colpose.

Accanto al profilo obiettivo ed impersonale ve ne e' un altro r di natura soggettiva, solo indirettamente adombrato dalla definizione legislativa, che sottolinea nella colpa la mancanza di "volonta' dell'evento. Tale connotato negativo ha un significato inevitabilmente ristretto che si risolve essenzialmente sul piano definitorio, classificatorio: serve infatti a segnare la traccia per il confine con l'imputazione dolosa. In positivo, il profilo piu' squisitamente soggettivo e personale della colpa viene generalmente individuato nella capacita' soggettiva dell'agente di osservare la regola cautelare, nella concreta possibilita' di pretendere l'osservanza della regola stessa, in una parola nella esigibilita' del comportamento dovuto. Si tratta di un aspetto che la richiamata dottrina, che attribuisce una doppia posizione al; dolo ed alla colpa, colloca nell'ambito della colpevolezza, in quanto esprime il rimprovero personale rivolto all'agente. Si tratta di un aspetto della colpevolezza colposa cui la riflessione giuridica piu' recente ha dedicato molta attenzione, nel tentativo di rendere personalizzato il rimprovero personale attraverso l'introduzione di una doppia misura del dovere di diligenza, che tenga in conto non solo l'oggettiva violazione di norme cautelari, ma anche la concreta capacita' dell'agente di uniformarsi alla regola, valutando le sue specifiche qualita' personali.

Dunque, in breve, il rimprovero colposo riguarda la realizzazione di un fatto di reato che poteva essere evitato mediante l'esigibile osservanza delle norme cautelari violate.

Tali accenni mostrano che, da qualunque punto di vista si guardi alla colpa, la prevedibilita' ed evitabilita' del fatto svolgono un articolato ruolo fondante: sono all'origine delle norme cautelari e sono inoltre alla base del giudizio di rimprovero personale.

Venendo al profilo della colpa che maggiormente interessa nel presente giudizio, quello cioe' inerente all'evitabilita' dell'evento, va segnalato che l'articolo 43 c.p., reca una formula ricca di significato: il delitto e' colposo quando l'evento non e' voluto e "si verifica a causa di negligenza o imprudenza o imperizia...". Viene cosi' chiaramente in luce, e con forza, il profilo causale della colpa, che si estrinseca in diverse direzioni.

Il pensiero giuridico italiano ha da sempre sottolineato che (la responsabilita' colposa non si estende a tutti gli eventi che comunque siano derivati dalla violazione della norma, ma e' limitata ai risultati che la norma stessa mira a prevenire. Tale esigenza conferma l'importante ruolo della prevedibilita' e prevenibilita' nell'individuazione delle norme cautelari alla cui, stregua va compiuto il giudizio ai fini della configurazione del profilo oggettivo della colpa. Si tratta di identificare una norma specifica, avente natura cautelare, posta a presidio della verificazione di un altrettanto specifico evento, sulla base delle conoscenze che all'epoca della creazione della regola consentivano di porre la relazione causale tra condotte e risultati temuti; e di identificare misure atte a scongiurare o attenuare il rischio. L'accadimento verificatosi deve cioe' essere proprio tra quelli che la norma di condotta tendeva ad evitare, deve costituire la concretizzazione del rischio. L'individuazione di tale nesso consente di sfuggire al pericolo di una connessione meramente oggettiva tra regola violata ed evento.

Ma il profilo causale della colpa si mostra anche da un altro punto di vista che attiene all'indicato momento soggettivo, quello cioe' piu' strettamente aderente al rimprovero personale. Affermare, come afferma l'articolo 43 c.p., che per aversi colpa l'evento deve essere stato causato da una condotta soggettivamente riprovevole implica che l'indicato nesso eziologico non si configura quando una condotta appropriata (il cosiddetto comportamento alternativo lecito) non avrebbe comunque evitato l'evento. Si ritiene da piu' parti, condivisibilmente, che non sarebbe razionale pretendere, fondando poi su di esso un giudizio di rimproverabilita', un comportamento che sarebbe comunque inidoneo ad evitare il risultato antigiuridico. Tale assunto rende evidente la forte connessione esistente in molti casi tra le problematiche sulla colpa e quelle sull'imputazione causale. Infatti, non di rado le valutazioni che riguardano lo sviluppo (causale si riverberano sul giudizio di evitabilita' in concreto. Tuttavia poiche', come si e' gia' evidenziato, nel caso in esame il profilo squisitamente causale puo' ritenersi superato, la causalita' di cui qui si parla e' appunto quella della colpa. Essa si configura non solo quando il comportamento diligente avrebbe certamente evitato l'esito antigiuridico, ma anche quando una condotta appropriata aveva apprezzabili, significative probabilita' di scongiurare il danno. Su tale assunto la riflessione giuridica e' sostanzialmente concorde, anche se non mancano diverse sfumature in ordine alla livello probabilita' richiesto per ritenere l'evitabilita' dell'evento. Di ogni caso, non si dubita che sarebbe irrazionale rinunziare a muovere l'addebito colposo nel caso in cui l'agente abbia omesso di tenere una condotta osservante delle prescritte cautele che, sebbere non certamente risolutiva, avrebbe comunque significativamente diminuito il rischio di verificazione dell'evento o (per dirla in altri, equivalenti termini) avrebbe avuto significative, non trascurabili probabilita' di salvare il bene protetto.

Anche la giurisprudenza di questa Corte ha in numerose (occasioni sottolineato il ruolo fondante della prevedibilita' ed l'evitabilita' dell'evento. A tale riguardo va richiamata in primo luogo la fondamentale pronunzia (Cass. 4, 6 dicembre 1990, Bonetti) che, nel contesto di un complesso e delicato caso giudiziario, ha posto in luce che la prevedibilita' altro non e' che la possibilita' dell'uomo coscienzioso ed avveduto di cogliere che un certo evento e' legato alla violazione di un determinato dovere oggettivo di diligenza, che un certo evento e' evitabile adottando determinate regole di diligenza.

Proprio in tema di circolazione stradale, con riferimento alla norma di cautela inerente all'adeguamento della velocita' alle condizioni ambientali, e' stata ripetutamente affermata la necessita' di tener conto degli elementi di spazio e di tempo, e di valutare se l'agente abbia avuto qualche possibilita' di evitare il sinistro: la prevedibilita' ed evitabilita' vanno cioe' valutate in concreto (Cass. 25 ottobre 1990, C.E.D. Cass. 185559; Cass. 9 maggio 1983, Togliardi, Cass. Pen. 1984; Cass. 2 febbraio 1978, Piscopo). Il fattore velocita', si e' affermato, corrisponde ad un concetto relativo alle situazioni contingenti, quando si tratta di valutare il comportamento dell'imputato in chiave causale e non gia' di accertare la violazione di una norma contravvenzionale che prescrive limiti di velocita' (cosi' la sentenza Togliardi citata).

E' ben vero che parte della giurisprudenza di legittimita', ispirandosi alla criticata concezione oggettivante della colpa tende a ritenere che la prevedibilita' e prevenibilita' dell'evento

sono elementi estranei all'imputazione soggettiva di cui si parla. Tuttavia si e' perlopiu' in presenza di pronunzie risalenti nel tempo, ispirate a concezioni della colpa che non trovano piu' credito nel presente della riflessione giuridica.

Per concludere occorre infine segnalare che. nell'ambito del profilo subiettivo della colpa di cui si parla, l'esigenza della prevedibilita' ed evitabilita' in concreto dell'evento si pone in primo luogo e senza incertezze nella colpa generica, poiche' in tale ambito la prevedibilita' dell'evento ha un rilievo decisivo nella stessa individuazione della norma cautelare violata; ma anche nell'ambito della colpa specifica la prevedibilita' vale non solo a definire in astratto la conformazione del rischio cautelato dalla norma, ma anche va rapportata entro le diverse classi di agenti modello ed a tutte le specifiche contingenze del caso concreto. Certamente tale spazio valutativo e' pressoche' nullo nell'ambito delle norme rigide la cui inosservanza da luogo guasi automaticamente alla colpa; ma nell'ambito di norme elastiche che indicano un comportamento determinabile in base a circostanze contingenti, vi e' spazio per il cauto apprezzamento in ordine alla concreta prevedibilita' ed evitabilita' dell'esito antigiuridico da (parte dell'agente modello.

L'esposizione che precede si confida illustri l'enunciazione posta all'inizio in ordine alla mancanza di motivazione in ordine alla causalita' della colpa: si tratta di comprendere se, nelle condizioni date, la condotta di guida della vittima fosse prevedibile e se le conseguenze determinatesi nel corso dell'infortunio fossero prevedibili ed evitabili nei sensi che si sono sopra esposti.

La carenza di motivazione sul punto in questione, cruciale ai fini della configurazione della responsabilita' colposa, vulnera la statuizione civile in ordine alla condanna al risarcimento del danno nei confronti della parte civile. Attesa l'intervenuta prescrizione del reato, le parti devono essere pertanto rimesse davanti al giudice civile competente in grado d'appello ai sensi dell'articolo 622 c.p.p..

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata per essere il reato estinto per l'intervenuta prescrizione.

Rinvia, ai fini civili, davanti alla giudice civile competente per valore in grado d'appello.

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