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Lo stato di ebbrezza del pedone investito non esclude la responsabilità del conducente

Il conducente è tenuto a vigilare al fine di avvistare il pedone, in quanto l'avvistamento dello stesso implica la percezione di una situazione di pericolo che impone al conducente di porre in essere una serie di accorgimenti, quali moderare la velocità e, all’occorrenza, arrestare la marcia del veicolo, al fine di prevenire il rischio di un investimento.
Non è idoneo ad escludere la responsabilità del guidatore, quindi, l’asserito comportamento colposo del pedone, che proceda barcollando ed in stato di alterazione.
E' quanto stabilito dalla Corte di Cassazione, Sezione Quarta Penale, con sentenza n. 27740/2007.



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Suprema Corte di Cassazione
Sezione Quarta Penale
sentenza n.27740/2007

FATTO E DIRITTO

I. A. ricorre contro la sentenza in data 15 giugno 2006, con la quale la Corte di Appello dell’Aquila, in parziale riforma della sentenza di primo grado sostituiva la pena dell’arresto inflitta per il reato di guida in stato di ebbrezza ex art. 186, commi 1 e 2, codice della strada, con la sanzione pecuniaria di euro 1000, confermando il giudizio di responsabilità per il reato di omicidio colposo aggravato dalla violazione delle norme sulla circolazione stradale e la relativa pena statuita dal giudice di primo grado (fatto avvenuto in data 14.11.2002).
Sui motivi di appello, diretti ad ottenere l’assoluzione nel merito dell’imputato, sul duplice rilievo dell’asserito comportamento colposo del pedone, che procedeva barcollando ed in stato di alterazione, e della affermata mancanza di prove che la velocità dell’autovettura fosse superiore a quella consentita, la Corte ne argomentava l’infondatezza, osservando che lo stesso imputato aveva ammesso di aver notato la vittima percorrere il margine della strada con andatura barcollante e che, pertanto, essendo prevedibile anche una improvvisa deviazione del pedone, la condotta di guida dello I. si palesava con evidenza inadeguata alla situazione concreta e colposa.

Veniva altresì dato atto anche del concorso di colpa della vittima senza stabilirne però l’incidenza.

Avverso la sentenza, propone ricorso l’imputato che articola tre distinti motivi di doglianza.

Con il primo prospetta la violazione di legge in ordine al giudizio di prevedibilità ed evitabilità dell’evento, non essendo imputabile allo I. alcun profilo di colpa specifica né generica.

Sotto il primo profilo, si sostiene che l’imputato non aveva violato la norma precauzionale prevista dall’art. 142 del codice della strada, emergendo dalla stessa sentenza che al momento dell’investimento l’autovettura osservava il limite di velocità di 50 Km orari né quella di cui all’art. 141 dello stesso codice, che, nell’imporre al conducente di regolare la velocità al fine di arrestare tempestivamente il mezzo, avrebbe riferimento esclusivamente agli eventi prevedibili tra i quali non poteva certamente rientrare la condotta della vittima.

Parimenti, nessun profilo di colpa generica sarebbe imputabile allo I., essendo del tutto imprevedibile l’improvviso attraversamento del pedone.

Con il secondo motivo denuncia la manifesta illogicità della motivazione laddove i giudici di appello affermano la facile prevedibilità dell’attraversamento da parte del pedone, così applicando un giudizio non giustificato sulla base di massime di esperienza generalmente riconosciute. La contraddittorietà della sentenza emergerebbe anche dalla circostanza che la stessa Corte di Appello ha dato atto che l’imputato tentò, pur se invano, di porre in essere una cd. manovra di emergenza. Inoltre, in assenza di una consulenza cinematica sull’autovettura, il giudice di merito non aveva a disposizione elementi probatori sufficienti a fondare il giudizio di responsabilità dello I., non potendosi escludere logicamente che il cd. comportamento alternativo lecito non sarebbe valso ad impedire l’investimento del pedone.

Con il terzo motivo denuncia l’erronea interpretazione dell’art. 133 c.p., avendo i giudici del merito inflitto una pena (mesi cinque di reclusione per l’omicidio colposo) non commisurata ai fatti ed alla personalità dell’imputato, incensurato.

Il ricorso è infondato.

I primi due motivi strettamente connessi, meritano trattazione congiunta, vertendo tutti sull’assenza di colpa dell’imputato a fronte del comportamento gravemente colposo del pedone.

Prima di procedere all’esame dei motivi, appare opportuno soffermarsi sui principi più volte affermati dalla giurisprudenza di legittimità in ordine agli obblighi gravanti sul conducente.

In primo luogo, il conducente è tenuto a vigilare al fine di avvistare il pedone.

L’avvistamento del pedone implica la percezione di una situazione di pericolo, in presenza della quale ogni conducente è tenuto a porre in essere una serie di accorgimenti (in particolare, moderare la velocità e, all’occorrenza, arrestare la marcia del veicolo), al fine di prevenire il rischio di un investimento.

Circa i doveri di attenzione del conducente tesi ad avvistare il pedone, si è sottolineato che grava sul conducente l’obbligo di ispezionare continuamente la strada che sta per impegnare, mantenendo un costante controllo del veicolo in rapporto alle condizioni della strada stessa e del traffico e di prevedere tutte quelle situazioni che la comune esperienza comprende, in modo da non costituire intralcio o pericolo per gli altri utenti della strada (v. Sez IV, 2 marzo 2007, Basta; 23 gennaio 2007, Tassi e 13 ottobre 2005, Tavoliere).

Al fine di escludere la responsabilità del conducente è, perciò, necessario che lo stesso sia trovato, per motivi estranei ad ogni suo obbligo di diligenza, nella oggettiva impossibilità di avvistare il pedone e di osservarne i movimenti, attuati in modo rapido ed inatteso; occorre, inoltre che nessuna infrazione alle norme della circolazione stradale ed a quelle di comune prudenza sia riscontrabile nel suo comportamento (v. le citate sentenze Sez. IV).

Alla luce di tale premessa, ritiene il Collegio che la sentenza impugnata sia esente da vizi logico-giuridici.

I giudici dell’appello all’esito della valutazione degli elementi acquisiti, hanno ritenuto di attribuire rilievo nel determinismo causale dell’evento alla imprudenza e negligenza dell’imputato, il quale, pur avendo avvistato il pedone (il quale, come ammesso dallo stesso imputato, percorreva il margine della strada con andatura barcollante), non ovviava alla situazione di pericolosità, arrestando l’autovettura o riducendo la velocità, in modo da rendere possibile l’arresto in caso di improvvisa invasione della carreggiata da parte di persona, che, come rilevato dalla Corte di merito manifestava segni di non adeguato controllo della propria persona.

La Corte di merito ha, inoltre escluso, anche questa volta con motivazione esente da censure, che il comportamento della vittima nell’attraversamento fosse qualificabile come repentino ed improvviso, e come tale, idoneo ad escludere la responsabilità dello I., avendo avuto l’imputato la possibilità di avvistare il pedone e di osservarne tempestivamente i movimenti.

Ad analoga conclusione i giudici di secondo grado pervenivano con riferimento alla vana manovra di deviazione dell’autovettura verso destra, posta in essere dal guidatore per schivare il pedone, il cui asserito arresto al centro della strada – peraltro indimostrato – è stato legittimamente ritenuto irrilevante, a fronte del comportamento gravemente imprudente del guidatore.

Il giudizio espresso sul punto attiene al merito dei fatti e non è sindacabile in sede di legittimità perché frutto di un apprezzamento delle emergenze processuali in ordine alla condotta di guida del ricorrente, ai profili di colpa in essa ravvisati e alla loro incidenza sotto il profilo causale, del quale è stata data congrua e coerente giustificazione.

Infondata è anche la censura relativa all’erronea applicazione dell’art. 133 c.p., con riferimento al trattamento sanzionatorio applicato. È decisiva, in tal senso, la considerazione che la facile prevedibilità dell’attraversamento del pedone come correttamente rilevato dalla corte di merito, implica un grado di colpa del ricorrente, in relazione al quale la pena inflitta è certamente adeguata, essendo, oltretutto, prossima ai minimi edittali.

Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.


P.Q.M.


La Corte Suprema di cassazione rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.


Depositata in Cancelleria il 13 luglio 2007

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