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Nel giudizio promosso dal danneggiato nei confronti dell'assicuratore della responsabilità civile da circolazione stradale, il responsabile del danno è litisconsorte necessario
Pubblicata il 20/02/2008
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Con atto 2 marzo 1994 MO. Se., RI. Fr. e S. C. hanno convenuto in giudizio, innanzi al tribunale di Patti la CI. As. s.p.a. nonche' GE. An. e PA. Al., chiedendone la condanna al risarcimento dei danni patiti a seguito del sinistro stradale verificatosi nell'aprile 1992, sinistro nel quale erano rimasti coinvolti il furgone del MO. S., condotto dal RI. F. e sul quale viaggiava lo SP. e l'autotreno del GE. A. condotto dal PA. A. e assicurato, per la responsabilita' civile, presso la CI..
Costituitasi in giudizio sia la Po. As. s.p.a., subentrata alla Ci., che ha negato la responsabilita' del proprio assicurato e comunque ha chiesto di rivalersi nei confronti dello stesso, sia il GE. A. e svoltasi la istruttoria del caso - nel corso della quale a seguito del decesso dello SP. il giudizio era proseguito dai suoi eredi - il giudice adito con sentenza 2-8 febbraio 2000 ha accolto la domanda attrice, nonche' quella di rivalsa della compagnia convenuta.
Gravata tale pronunzia in via principale dalla Fo. As. i s.p.a. (subentrata alla Po., a seguito di incorporazione) e in via incidentale dal GE. A., la Corte di Appello di Messina con sentenza 10 gennaio - 18 febbraio 2002 in parziale accoglimento dell'appello principale, in riforma della decisione del primo giudice da un lato ha ridotto a lire 12 milioni l'ammontare del danno liquidato in favore di MO. Se., dall'altro, ha disposto che sulle somme liquidate in favore dei danneggiati (eredi SP., MO. S. e RI. F.) la rivalutazione monetaria e gli interessi vengano computato secondo le modalita' indicate in motivazione.
Per la cassazione di questa ultima pronunzia, non notificata ha proposto ricorso, affidato a due motivi, con atto notificato il 2 aprile 2003 e date successive e illustrato da memoria, GE. An..
Resistono con controricorso e ricorso incidentale condizionato affidato a un motivo MO. Se., RI. Fr., SP. Sa., SP. Ag., SP. Ca., SP. Ma., SP. Ri., SP. Gr., S. C. e SP. Vi., con atto notificato il 14 maggio 2003.
La Fo. -. Sa. s.p.a. resiste, con controricorso, al ricorso incidentale.
Con ordinanza 7 febbraio 2007 la Corte ha disposto la integrazione del contraddittorio, sia quanto al ricorso principale che a quello incidentale, nei confronti di PA. Al..
A tanto hanno provveduto sia il ricorrente principale che quelli incidentali.
Non ha svolto attivita' difensiva in questa PA. Al..
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. I vari ricorsi avverso la stessa sentenza devono essere riuniti, ai sensi dell'articolo 335 c.p.c..
2. Come accennato in parte espositiva il giudice di primo grado, con sentenza 2-8 febbraio 2000 ha dichiarato che il sinistro per cui e' controversia si e' verificato per fatto e colpa esclusivi di PA. Al. e, per l'effetto, da un lato, ha accolto le domande risarcitorie proposte dagli attori (MO. Se., RI. Fr.; S. C.) nei confronti di tutti i convenuti (cioe' la compagnia assicuratrice dell'autotreno investitore, GE. An. e PA. Al., rispettivamente proprietario e conducente dello stesso), condannati in solido, al risarcimento dei danni, dall'altro, ha accolto la domanda di rivalsa spiegata dall'assicuratore nei confronti del PA. A. e del GE. A..
Tale sentenza, afferma la pronunzia ora oggetto di ricorso per Cassazione e' stata oggetto di appello principale da parte della Fo. As. e, in via incidentale, dagli eredi SP. nonche' degli altri danneggiati e da parte del GE. A..
I giudici di secondo grado, hanno rigettato l'appello della Fo. nonche' del GE. A., quanto alla dichiarata esclusiva responsabilita' del sinistro a carico del PA. A., mentre hanno, parzialmente accolto l'appello della Fo. vuoi quanto all'ammontare dei danni liquidati in favore del MO. S. vuoi quanto al criterio di computo della rivalutazione monetaria e degli interessi sui danni liquidati in favore dei danneggiati.
3. Con il ricorso principale il GE. A. denunzia la sentenza gravata, da un lato, perche' i giudici di secondo grado non hanno affermato il concorso di pari colpa dei conducenti dei due veicoli infortunati nel verificarsi del sinistro per cui e' controversia primo motivo, dall'altro per avere i giudici di secondo grado erroneamente liquidato i danni (secondo motivo).
4. Oppongono - in limine - i ricorrenti incidentali che il ricorso avversario e' inammissibile sia per difetto di interesse, non avendo il GE. A. appellato il capo della sentenza del primo giudice nella parte in cui la stessa, lo ha condannato, unitamente al PA. A., "a rivalere la convenuta Po. As. s.p.a. (poi La Fo. As. i s.p.a.) di quanto la stessa sara' tenuta a pagare in dipendenza della presente sentenza ...", sia, comunque, perche' la sentenza di primo grado e', nei riguardi del GE. A., coperta da giudicato, tenuta presente - contrariamente a quanto affermato nella sentenza impugnata - che l'appello incidentale proposto dal GE. A. era inammissibile, perche' tardivo.
5. Nessuna delle riassunte eccezioni e' fondata e meritevole di accoglimento.
5.1. Come noto, l'interesse ad agire (di cui all'articolo 100 c.p.c.), necessario anche ai fini dell'impugnazione del provvedimento giudiziale, va apprezzato in relazione alla utilita' concreta derivabile alla parte dall'eventuale accoglimento dell'impugnazione e non puo' consistere in un mero interesse astratto ad una piu' corretta soluzione di una questione giuridica, non avente riflessi pratici sulla decisione adottata (Per tutte, ad esempio, Cass. 12 giugno 2006, n. 13593).
Pacifico quanto precede, la circostanza che al momento e' coperta da giudicato la condanna gia' portata dalla sentenza di primo grado del GE. A. (nonche' del PA. A.) "a rivalere la convenuta Po. As. s.p.a. (poi La Fo. As. s.p.a.), attualmente Fo. -. SA. s.p.a. di quanto la stessa sara' tenuta a pagare in dipendenza" del sinistro oggetto di controversia quale assicuratrice del veicolo di proprieta' del GE. A. non priva - in alcun modo - di interesse il GE. A. quanto al proposto ricorso.
Nella specie, infatti, il GE. A. censura la sentenza di secondo grado sia nella parte in cui non ha affermato un paritetico concorso di colpa dei conducenti rimasti coinvolti nel sinistro, sia la' ove e' stato quantificato in misura (a suo parere) eccessiva il danno da risarcire.
Certo quanto sopra - a prescindere dal considerare che i giudici del merito hanno condannato il GE. A. in solido con il suo assicuratore al risarcimento dei danni in favore delle parti lese, si', per l'effetto, che quantomeno sotto tale profilo il suo interesse alla impugnazione e' innegabile -, si osserva che nella eventualita' dovessero - sia pure in parte - essere accolte le censure mosse alla sentenza di secondo grado dal ricorrente principale, l'assicuratore del GE. A. sara' tenuto al pagamento, in favore dei danneggiati, di una somma inferiore di quella liquidata in sede di merito, con conseguente riduzione anche della somma che, a titolo di rivalsa, detto assicuratore potra' pretendere dal GE. A..
Ritraendo, senza ombra di dubbio, dall'eventuale accoglimento del proposto ricorso il GE. A. molteplici vantaggi (sia quanto ai rapporti con i ricorrenti incidentali sia nei rapporti con il proprio assicuratore) e' evidente la sussistenza di un suo interesse concreto e attuale al presente ricorso.
5.2. Quanto, ancora, alla denunziata inammissibilita' dell'appello incidentale del GE. A. (non dichiarata dal giudice di secondo grado) la stessa - senza ombra di dubbio - sussiste.
Da questa, peraltro, non deriva il passaggio in giudicato, nei confronti del GE. A., della sentenza di primo grado (oltre che per il capo in cui e' stata accolta la domanda di rivalsa spiegata dal suo assicuratore anche) nei capi relativi sia l'accertamento della responsabilita' in ordine al verificarsi del sinistro oggetto di controversia, sia la liquidazione del danno ai danneggiati.
Alla luce delle seguenti considerazioni.
5.2.1. Nella specie il giudizio e' stato promosso, in primo grado, con citazione del 2 marzo 1994: deve, per l'effetto, trovare applicazione l'articolo 343 c.p.c., comma 1, nella sua formulazione originaria (e non in quella sostituita con decorrenza dal 30 aprile 1995, dalla Legge 26 novembre 1990, n. 353 articolo 51: tra le tantissime, cfr. Cass. 17 novembre 2005, n. 23317; Cass. 20 agosto 2004, n. 16347; Cass. 9 settembre 2003, n. 13147).
Il ricordato articolo 343 c.p.c., comma 1, prevedeva, in particolare, nella sua originaria formulazione "l'appello incidentale si propone, a pena di decadenza nella prima comparsa o, in mancanza di costituzione in cancelleria, nella prima udienza o in quelle previste dagli articoli 331 e 332 c.p.c.".
La disposizione, per quanto rilevante a questo punto della esposizione, e' stata sempre interpretata - da una giurisprudenza piu' che consolidata di questa Corte regolatrice, nel senso che dopo la notificazione della impugnazione principale (cioe' quella proposta per prima) il destinatario di tale notificazione e' tenuto a pena di decadenza ai sensi dell'articolo 333 c.p.c. a proporre la propria impugnazione in via incidentale nello stesso processo e quindi nel caso di appello non oltre la prima udienza davanti all'istruttore (articolo 343 c.p.c.) e il mancato rispetto di tale termine produce la inammissibilita' dell'impugnazione incidentale, a nulla rilevando che questa ultima sia stata tempestivamente seguita a norma degli articolo 327 e 325 c.p.c. (Cass. 4 luglio 2000, n. 8929; Cass. 15 gennaio 2003, n. 491).
Sempre al riguardo la giurisprudenza di questa Corte ha ripetutamente precisato che ai fini dell'ammissibilita' dell'appello incidentale, per prima udienza deve ritenersi, secondo il previgente testo dell'articolo 343 c.p.c., comma 1, quella udienza in cui vi sia stato lo svolgimento di qualsiasi attivita' processuale a norma dell'articolo 350 c.p.c., anche se limitata ad un provvedimento di mero rinvio della trattazione all'udienza successiva (Cass. 28 giugno 2001, n. 8847; Cass. 28 marzo 1997, n. 2762; Cass. 24 marzo 1997, n. 2567).
Pacifico quanto precede si osserva che nella specie il GE. A. si e' costituito in grado di appello (mediante deposito di "memoria di costituzione" datata 6 ottobre 2000, e contenente appello incidentale) successivamente alla prima udienza innanzi alla Corte di Appello, tenutasi il 18 settembre 2000, risultando dalla annotazione in calce alla ricordata memoria (apposta dal cancelliere) che la memoria stessa e' stata depositata esclusivamente il 13 novembre 2000, cioe' nella imminenza della seconda udienza.
5.2.2. Erroneamente, pertanto, il giudice di appello ha esaminato, nel merito, l'appello incidentale del GE. A., anziche' dichiararlo inammissibile.
5.2.3. Da quanto precede, peraltro - come anticipato - non deriva il passaggio in giudicato della sentenza di primo grado, nei confronti del GE. A., per i capi sopra indicati (relativi all'an e al quantum debeatur ai danneggiati dal sinistro).
In termini opposti a quanto invoca la difesa dei ricorrenti incidentali e in conformita' a una giurisprudenza assolutamente pacifica di questa Corte regolatrice, in particolare, si osserva che nel giudizio promosso dal danneggiato nei confronti dell'assicuratore della responsabilita' civile da circolazione stradale, il responsabile del danno, che deve essere chiamato nel giudizio sin dall'inizio, assume la veste di litisconsorte necessario, poiche' la controversia deve svolgersi in maniera unitaria tra i tre soggetti del rapporto processuale (danneggiato, assicuratore e responsabile del danno) e coinvolge inscindibilmente sia il rapporto di danno, originato dal fatto illecito dell'assicurato, sia il rapporto assicurativo, con la derivante necessita' che il giudizio deve concludersi con una decisione uniforme per tutti i soggetti che vi partecipano (recentemente, ad esempio, Cass., sez. un., 5 maggio 2006, n. 10311).
Al riguardo, inoltre, non si dubita che il responsabile del danno, che a norma della Legge 24 dicembre 1969, n. 990 articolo 23 deve essere chiamato in causa come litisconsorte necessario nel giudizio promosso dal danneggiato contro l'assicuratore con azione diretta, in deroga al principio della facoltativita' del litisconsorzio in materia di obbligazioni solidali, e' (unicamente) il proprietario del veicolo assicurato (non anche il conducente), (tra le tantissime, in questo senso, ad esempio, Cass. 8 febbraio 2006, n. 2665; Cass. 12 settembre 2005, n. 18090).
Pacifico quanto precede e' palese che deve trovare applicazione la regola secondo cui la impugnazione proposta da uno dei convenuti soccombenti in situazione di litisconsorzio necessario osta al passaggio in giudicato della sentenza impugnata anche nei riguardi degli altri convenuti, e, pertanto, in caso di accoglimento, implica il rigetto della domanda pure nei loro confronti, con la consequenziale irrilevanza dell'eventuale tardivita' dell'impugnazione incidentale con cui i medesimi si siano limitati a sollecitare l'estensione degli effetti dell'impugnazione principale (in termini, ad esempio, Cass. 21 gennaio 1992, n. 686, nonche' Cass. 25 giugno 2003, n. 10125 e Cass. 5 agosto 2004, n. 15039).
Deriva, da quanto precede, pertanto, certo che la sentenza del primo giudice e' stata tempestivamente e ritualmente investita da appello dall'assicuratore del GE. A. :
- da un lato, che tale impugnazione ha escluso che la sentenza di primo grado passasse in giudicato, nei confronti del GE. A., litisconsorte necessario del proprio assicuratore;
- dall'altro, che la (parziale) riforma della prima sentenza attuata dai giudici di appello e' efficace anche nei confronti del GE. A., ancorche' il suo appello fosse inammissibile;
- da ultimo, che il GE. A., ancorche' non abbia, per suo conto, appellato la sentenza di primo grado, bene puo' proporre ricorso avverso quella di appello, non essendo, le statuizioni relative all'accertamento della responsabilita' del sinistro e alla misura del risarcimento, contenute nella sentenza di primo grado, come (parzialmente) modificate in grado di appello, coperte da giudicato.
6. Precisato quanto sopra si osserva che il GE. A. censura la sentenza impugnata, denunziando, nell'ordine:
- da un lato, "violazione e falsa applicazione dell'articolo 116 c.p.c., e dei principi che disciplinano la valutazione della prova: articolo 360 c.p.c., n. 3" e "omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione in ordine all'an debeatur, costituente punto decisivo della controversia prospettato dalle parti: articolo 360 c.p.c., n. 5", per non avere i giudici del merito tenuto presente che la velocita' sostenuta e non adeguata alle esigenze di sicurezza tenuta dal conducente della vettura antagonista, risultante dal rapporto della Polizia stradale e dalle prove testimoniali raccolte, giustifica quantomeno l'affermazione di un paritetico concorso di colpa dei due conducenti (primo motivo);
- dall'altro, "violazione e falsa applicazione degli articoli 1223 e 2056 c.c., e dei principi che disciplinano il riconoscimento e la liquidazione del danno biologico: articolo 360 c.p.c., n. 3" e "omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione della statuizione in ordine alla definizione del quantum debeatur costituente punto decisivo della controversia: articolo 360 c.p.c., n. 5", per essere stato l'accertamento peritale sulle conseguenze del sinistro sulla persona di S. C. eseguito sulla sola base della documentazione, a causa della sopravvenuta morte di costui e tenuto presente che la quantificazione del danno biologico non doveva essere rapportata alla vita futura dello SP. in base alla tabelle ma a anni 5 e mesi sei, atteso che costui e' venuto a morte dopo tale termine, e non doveva, inoltre, farsi applicazione delle tabelle applicate dal tribunale di Milano (secondo motivo).
7. I riassunti motivi, per piu' aspetti inammissibili, e per altri manifestamente infondati non possono trovare accoglimento.
Alla luce delle considerazioni che seguono.
7.1. In merito alla denunziata "violazione e falsa applicazione dell'articolo 116 c.p.c." primo motivo nonche' "degli articoli 1223 e 2056 c.c." secondo motivo, sotto il profilo di cui all'articolo 360 c.p.c., n. 3, preme evidenziare, in limine, la manifesta inammissibilita' della deduzione.
In conformita', in particolare, a una giurisprudenza piu' che consolidata di questa Corte regolatrice, da cui totalmente prescinde parte ricorrente e che nella specie deve ulteriormente ribadirsi - infatti - il ricorso per Cassazione deve contenere, a pena di inammissibilita', i motivi per i quali si richiede la cassazione, aventi i caratteri di specificita', completezza e riferibilita' alla decisione impugnata.
Il riferito principio comporta - in particolare - tra l'altro che e' inammissibile il ricorso nel quale non venga precisata la violazione di legge nella quale sarebbe incorsa la pronunzia di merito, non essendo al riguardo sufficiente un'affermazione apodittica non seguita da alcuna dimostrazione, dovendo il ricorrente porre la Corte di legittimita' in grado di orientarsi tra le argomentazioni in base alle quali si ritiene di censurare la sentenza impugnata (Cass. 15 febbraio 2003, n. 2312).
Quindi, quando nel ricorso per Cassazione, pur denunciandosi violazione e falsa applicazione della legge, con richiamo di specifiche disposizioni normative, non siano indicate le affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata che si assumono in contrasto con le disposizioni indicate - o con l'interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimita' o dalla prevalente dottrina - il motivo e' inammissibile, poiche' non consente alla Corte di Cassazione di adempiere il compito istituzionale di verificare il fondamento della denunziata violazione (Cass. 20 gennaio 2006, n. 1108; Cass. 29 novembre 2005, n. 26048; Cass. 8 novembre 2005, n. 21659; Cass. 18 ottobre 2005, n. 20145; Cass. 2 agosto 2005, n. 16132).
In altri termini, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di una erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e, quindi, implica necessariamente un problema interpretativo della stessa (da cui la funzione di assicurare la uniforme interpretazione della legge assegnata dalla Corte di Cassazione).
Viceversa, la allegazione - come prospettate nella specie da parte del ricorrente - di una erronea ricognizione della fattispecie concreta, a mezzo delle risultanze di causa, e' esterna alla esatta interpretazione della norme di legge e impinge nella tipica valuta-zione del giudice del merito, la cui censura e' possibile, in sede di legittimita', sotto l'aspetto del vizio di motivazione.
Lo scrimine tra l'una e l'altra ipotesi - violazione di legge in senso proprio a causa della erronea ricognizione della astratta fattispecie normativa, ovvero erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta - e' segnato, in modo evidente, che solo questa ultima censura e non anche la prima e' mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa (recentemente, in termini, Cass. 20 novembre 2006, n. 24607, specie in motivazione).
Pacifico quanto segue si osserva che nella specie parte ricorrente pur invocando che i giudici del merito, in tesi, hanno malamente interpretato le molteplici disposizioni di legge - sostanziale e processuale - indicate nella intestazione dei vari motivi, in realta', si limita a censurare la interpretazione data, dai giudici del merito, delle risultanze di causa, interpretazione a parere del ricorrente inadeguata, sollecitando, cosi', contra legem e cercando di superare quelli che sono i limiti del giudizio di cassazione, un nuovo giudizio di merito su quelle stesse risultanze.
7.2. Con specifico riferimento al primo motivo e alla ritenuta - dalla sentenza impugnata - esclusiva responsabilita' del conducente del veicolo di proprieta' del GE. A. in ordine al verificarsi del sinistro per cui e' causa, la censura, sotto il profilo di cui all'articolo 360 c.p.c., n. 5, e' inammissibile per violazione della regola della "autosufficienza" del ricorso per Cassazione.
Al riguardo, si osserva, infatti, in una con una giurisprudenza piu' che consolidata di questa Corte regolatrice, che il ricorso per cassazione - in ragione del principio di cosiddetta autosufficienza dello stesso - deve contenere in se' tutti gli elementi necessari a costituire le ragioni per cui si chiede la cassazione della sentenza di merito ed altresi' a permettere la valutazione della fondatezza di tali ragioni, senza la necessita' di far rinvio ed accedere - particolarmente nel caso in cui si tratti di interpretare il contenuto di una scrittura di parte - a fonti estranee allo stesso ricorso e quindi ad elementi od atti attinenti al pregresso giudizio di merito (tra le tantissime, ad esempio, Cass. 18 giugno 2007, n. 14133; Cass. 25 maggio 2007, n. 12238; Cass. 15 maggio 2007, n. 11460; Cass. 30 agosto 2004, n. 17369; Cass. 13 agosto 2004, n. 15867).
Il ricorrente per Cassazione - pertanto - il quale deduca l'omessa o insufficiente motivazione della sentenza impugnata in relazione alla valutazione di una decisiva risultanza processuale ha l'onere di indicare in modo adeguato e specifico la risultanza medesima, dato che per il principio dell'autosufficienza del ricorso per cassazione il controllo deve essere consentito alla Corte sulla base delle sole deduzioni contenute nell'atto, alle cui lacune non e' possibile sopperire con indagini integrative.
Pacifico quanto precede si osserva che nella specie parte ricorrente pur denunziando che i giudici del merito avrebbero trascurato di tenere presente quanto emergente vuoi dalle risultanze della espletata prova testimoniale, vuoi dal rapporto della Polizia Stradale, ha omesso di trascrivere, nel ricorso sia le una che l'altro.
E' palese, quindi, alla luce delle considerazioni svolte sopra, che parte ricorrente non poteva limitarsi a fare riferimento ai ricordati elementi utili al fine di una soluzione della controversia diversa da quella adottata dal giudice a quo, non valutati o malamente valutati dai giudici a quibus, ma doveva eventualmente, trascrivere in ricorso il loro contenuto, allo scopo di porre questa Corte nelle condizioni di apprezzarne la rilevanza e pertinenza ai fini del decidere.
11 tutto a prescindere dal considerare che la sentenza impugnata ha espressamente motivato le ragioni per cui ha ritenuto non dimostrata la velocita' tenuta dal veicolo antagonista a quello di proprieta' del GE. A., e la irrilevanza della contravvenzione elevata dalla Polizia Stradale, intervenuta sul luogo dopo che il sinistro si era verificato e il ricorrente si astiene da qualsiasi critica di tali argomentazioni.
7.3. Quanto, ancora, al quantum del risarcimento in morte di S. C. si osserva che in grado di appello era stata censurato (dall'assicuratore dello SP.) esclusivamente "il criterio di liquidazione del danno biologico da invalidita' permanente utilizzato dal primo giudice" nonche' la mancata considerazione "della durata effettiva della vita del danneggiato" (deceduto nel (OMESSO)).
Non risultando, dalla sentenza impugnata, che fosse stato oggetto di gravame, la percentuale di invalidita' riportata dallo SP. come accertata dal primo giudice (60%) e non avendo il ricorrente indicato in quale atto, del giudizio di appello, tale questione - specifica - era stata portata dall'assicuratore appellante, nel rispetto delle regole del contraddittorio, all'esame della Corte di Appello, e' evidente la inammissibilita' delle censure mosse al riguardo dal ricorrente alla sentenza impugnata (nella parte in cui ha confermato la pronunzia del primo giudice che aveva fatte proprie le conclusioni sul punto del proprio consulente tecnico d'ufficio).
7.4. Anche a prescindere da quanto precede, comunque, non puo' tacersi la inammissibilita', per la sua estrema genericita', della censura nella parte in cui critica la conclusione cui e' pervenuto il c.t.u. quanto al grado di invalidita' dello SP..
La stessa, infatti, anziche' indicare quali siano gli errori, logici o tecnici, commessi dal consulente tecnico allorche' e' pervenuto a una tale conclusione, si limita a denunziare che l'omesso esame diretto della parte lesa (perche' deceduta, per altra causa, prima della consulenza) da parte del consulente non puo' costituire sicuro presupposto per il giudizio espresso.
7.5. In ordine al rilievo che i giudici del merito dovevano quantificare il danno biologico spettante agli eredi dello SP. non sulla base "probabile" della sua vita futura, ma tenuto presente che lo stesso e' sopravvissuto solo 5 anni e mesi sei, all'incidente, la deduzione e' manifestamente infondata, atteso che prescinde totalmente da quanto sottolineato nella sentenza impugnata e dai rilievi da questa svolti al riguardo.
Ha affermato il giudice di secondo grado, sulla questione specifica, che costituisce principio consolidato che qualora la persona danneggiata muoia nel corso del giudizio di liquidazione del danno per causa sopravvenuta ed indipendente dal fatto lesivo di cui il convenuto e' chiamato a rispondere, la determinazione del danno biologico e patrimoniale in senso stretto che gli eredi del defunto richiedano iure successionis e non iure proprio va effettuata non piu' con riferimento alla durata probabile della vita futura del soggetto, ma alla sua durata effettiva.
Quindi, facendo applicazione proprio di quel principio di diritto che il ricorrente assume sia stato disatteso dal giudice a quo, la sentenza impugnata ha testualmente affermato "il primo giudice ... ha fatto corretta e condivisibile applicazione del principio suddetto, apportando un idoneo correttivo alla quantificazione del danno che sarebbe stata effettuata ove la morte del danneggiato non si fosse verificata, attraverso una decurtazione di poco superiore al 10% della somma inizialmente calcolata".
Pacifico quanto sopra e' palese, come anticipato, la inammissibilita' della censura, certo essendo che il risarcimento dei danni agli eredi dello SP. e' stato quantificato, appunto in considerazione della sopravvenuta morte dello stesso, in una misura diversa da quella "tabellare" e che, quindi, la violazione di legge denunziata non sussiste.
Eventualmente, se del caso, tenuto presente che il danneggiato ha subito il sinistro per cui e' controversia all'eta' di 75 anni, e che lo stesso e' deceduto a 81 anni, era onere del ricorrente dedurre e dimostrare che lo scarto, tra la "vita probabile", sulla cui base sono state redatte le tabelle in discussione (e, quindi calcolato dai giudici del merito il risarcimento), e la "vita reale" del danneggiato, doveva importare una riduzione delle somme risultanti dalle tabelle ben superiore alla riduzione operata dai giudici del merito.
In assenza di qualsiasi deduzione al riguardo e' palese che il motivo, anche sotto il profilo in esame, non puo' che essere rigettato.
7.6. Del tutto apodittica e, pertanto, inammissibile e' la censura svolta nell'ultima parte del secondo motivo, in merito alla applicazione, da parte dei giudici del merito, al fine della liquidazione del danno biologico, delle tabelle in uso presso il Tribunale di Milano, pur trattandosi di sinistro in provincia di Messina, si' che doveva farsi applicazione del parametro dato dal triplo delle pensione sociale.
Premesso che in tema di liquidazione del danno biologico, che e' di natura equitativa, il giudice di merito puo' anche ispirarsi a criteri predeterminati e standardizzati, come il cosiddetto criterio tabellare, desunto dai precedenti giudiziari dell'ufficio di merito che provvede alla liquidazione: in tal caso, non deve motivare il criterio applicato, mentre, qualora se ne discosti, adottando le tabelle in uso presso altro ufficio giudiziario, e' tenuto a dare ragione della diversa scelta (Cass., 3 agosto 2005, n. 16237), si osserva che nella specie i giudici del merito - contrariamente a quanto, ancora una volta del tutto apoditticamente si invoca in ricorso, totalmente prescindendo da quella che e' la sentenza impugnata - hanno, puntualmente, indicato le ragioni della propria scelta.
Hanno, infatti, affermato quei giudici "il primo giudice ha adottato il criterio del punto flessibile secondo le tabelle all'uopo elaborate .. dal tribunale di Milano, che sono quelle forse di maggior diffusione negli uffici giudiziari e comunque sono usualmente adottate nel distretto di Messina".
Avendo accertato, in linea di fatto, il giudice a quo, che nel distretto di Messina sono usualmente adottate le tabelle elaborate dal Tribunale di Milano e avendo lo stesso giudice, fatto applicazione di tali ultime tabelle, e' evidente che anche per la parte de qua il motivo di ricorso deve disattendersi.
Specie tenuto presente, da un lato, che il ricorrente non ha ne' invocato, ne' dedotto, ne' dimostrato, che in provincia di Messina sono in uso altre tabelle, ne' che facendo applicazione di queste ultime il danno sarebbe stato liquidato in misura diversa (e inferiore).
7.7. Del tutto correttamente, infine, i giudici del merito, dovendo liquidare il danno biologico si sono attenuti alle tabelle in uso presso il Tribunale di Messina.
In conformita' a quanto assolutamente pacifico in giurisprudenza di questa Corte regolatrice, infatti, deve ribadirsi che nella liquidazione del danno biologico, da effettuarsi con criteri equitativi di cui agli articoli 2056 e 1226 c.c., eventualmente anche applicando criteri predeterminati e standardizzati come le cosiddette "tabelle", da considerarsi come parametri uniformi per la generalita' delle persone, salvo personalizzare il risultato al caso concreto, non puo' essere utilizzato il criterio del triplo della pensione sociale, di cui alla Legge 26 febbraio 1977, n. 39, articolo 4, che e' norma eccezionale utilizzabile esclusivamente nell'ambito dell'azione diretta contro l'assicuratore, per la liquidazione del danno patrimoniale (Cass. 1 giugno 2004, n. 10482; Cass. 20 febbraio 2004, n. 3399).
8. Risultato infondato in ogni sua parte il proposto ricorso principale deve rigettarsi con conseguente assorbimento del ricorso incidentale, espressamente condizionato all'eventuale accoglimento del ricorso di controparte.
Sussistono giusti motivi onde disporre, tra le parti, la totale compensazione delle spese di questo giudizio di Cassazione.
P.Q.M.
LA CORTE
riunisce i ricorsi;
rigetta il ricorso principale;
dichiara assorbito quello incidentale;
compensa le spese del giudizio di Cassazione.