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Responsabilità della P.A. ex art. 2051 c.c. per danni subiti dagli utenti della strada

"La presunzione di responsabilità per danni da cose in custodia, di cui all'art. 2051 c.c., non si applica agli enti pubblici per danni subiti dagli utenti di beni demaniali (nella fattispecie: del demanio stradale) ogni qual volta sul bene demaniale, per le sue caratteristiche, non sia possibile esercitare la custodia, intesa quale potere di fatto sulla stessa. L'estensione del bene demaniale e l'utilizzazione generale e diretta dello stesso da parte di terzi, sono solo figure sintomatiche dell'impossibilità della custodia da parte della P.A., mentre elemento sintomatico della possibilità di custodia del bene del demanio stradale comunale è che la strada, dal cui difetto di manutenzione è stato causato un danno, si trovi nel perimetro urbano delimitato dallo stesso comune, pur dovendo dette circostanze, proprio perché solo sintomatiche, essere sottocoste al vaglio in concreto da parte del giudice di merito". Questo è il principiodi diritto enunciato dalla Corte di Cassazione ,Sezione 3 civile, con sentenza 08.03.2007, n. 5309. La S.C. sì è così nuovamente pronucniata in tema di responsabilità della P.A. ex art. 2051 c.c..








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Corte di Cassazione Sezione 3 civile
Sentenza 08.03.2007, n. 5309



SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con citazione notificata il 7.7.1997 Gi.Lo. conveniva davanti al Tribunale di Roma, il comune di Ro., per sentirlo condannare al risarcimento dei danni subiti il 23. 5. 1996, quando percorrendo il marciapiedi di via Ca., cadeva in una grossa buca.

Il comune si costituiva, contestava in fatto e diritto la domanda e chiamava in causa il Fallimento della s. r. l. Cp., formulando espressa domanda dì garanzia e manleva nei confronti di tale società, quale appaltatrice dei lavori di sorveglianza e manutenzione delle strade comunali rientranti nella circoscrizione XV.

Non si costituiva il fallimento chiamato.

Il Tribunale condannava esclusivamente la società fallita al risarcimento dei danni in favore dell'attrice, liquidati in £ 20.250.000, oltre accessori.

Proponeva appello l'attrice ed appello incidentale il comune di Ro.

La corte di appello di Roma, con sentenza depositata il 9 6. 2003, in accoglimento dell'appello principale, dichiarava improcedibile la chiamata in causa del fallimento della s. r. l. Cp.; riteneva che nella fattispecie sussistesse l'insidia stradale, ma che fosse da condividere l'assunto del primo giudice, secondo cui la responsabilità dell'illecito era da ascriversi alla ditta appaltatrice dei lavori di manutenzione.

Avverso questa sentenza ha proposto ricorso per cassazione l'attrice, che ha anche presentato memoria.

Resiste con controricorso il comune convenuto, che ha anche presentato ricorso incidentale, contro il quale la ricorrente ha proposto controricorso.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Preliminarmente vanno riuniti i ricorsi.

Con il primo motivo di ricorso la ricorrente lamenta la violazione dell'art. 2043 c.c. ed in subordine dell'art. 2051 c.c., nonché dell'art. 106 c.p. c. in relazione all'art. 360 n. 3 e 5 c.p. c, nonché l'omessa, insufficiente ed illogica motivazione.

Lamenta la ricorrente che essa aveva proposto un'azione di responsabilità aquiliana nei confronti del comune di Ro., quale proprietario della strada e, quindi, quale unico legittimato passivo per i danni causati dalla buca stradale; che il comune di Ro. aveva proposto nei confronti del fallimento della Cp. s. r. l. una domanda di manleva e garanzia impropria; che unico soggetto tenuto al risarcimento era il comune, non potendo lo stesso sostituire a sé un altro responsabile, né potendo lo stesso sottrarsi ai propri obblighi, concludendo con altri soggetti, eventualmente inaffidabili, contratti di appalto per la manutenzione dei propri beni demaniali; che erratamente nella fattispecie la sentenza impugnata aveva, senza alcuna motivazione, ritenuto di condividere la decisione del giudice di primo grado, secondo cui la responsabilità del danno fosse da ascriversi all'impresa appaltatrice.

2. Ritiene questa Corte che il motivo sia fondato e che lo stesso vada accolto.

Osserva questa Corte che esistono tre orientamenti giurisprudenziali in merito alla responsabilità della p. a. per i danni subiti dall'utente conseguenti all'utilizzo dì beni demaniali e, segnatamente, per quelli conseguenti ad omessa od insufficiente manutenzione di strade pubbliche.

Secondo l'orientamento predominante questa tutela è esclusivamente quella predisposta dall'art. 2043 c.c.

Si osserva, infatti, che la p. a, incontra nell'esercizio del suo potere discrezionale anche nella vigilanza e controllo dei beni di natura demaniale, limiti derivanti dalle norme di legge o di regolamento, nonché dalle norme tecniche e da quelle di comune prudenza e diligenza, ed in particolare dalla norma primaria e fondamentale del neminem laedere (art. 2043 c.c.), in applicazione della quale essa è tenuta a far sì che il bene demaniale non presenti per l'utente una situazione di pericolo occulto, cioè non visibile e non prevedibile, che dia luogo al ed. trabocchetto o insidia stradale.

Sussiste l'insidia, fondamento della responsabilità risarcitoria ex art. 2043 c.c., della p.a. per danni riportati dall'utente stradale, allorché essa non sia visibile o almeno prevedibile (26/05/2004, n. 10132; Cass. 22. 4. 1999, n. 3991; Cass. 28. 7. 1997, n. 7062; Cass. 20. 8. 1997, n. 7742; Cass. 16. 6. 1998, n. 5989 e molte altre).

3. Un orientamento minoritario, invece, riconduce la responsabilità della p. a., proprietaria di una strada pubblica, per danni subiti dall'utente di detta strada, alla disciplina di cui all'art. 2051 c.c., assumendo che la p. a., quale custode di detta strada, per escludere la responsabilità che su di essa fa capo a norma dell'art. 2051 c.c., deve provare che il danno sì è verificato per caso fortuito, non ravvisabile come conseguenza della mancanza di prova da parte del danneggiato dell'esistenza dell'insidia, che questi, invece, non deve provare, così come non ha l'onere di provare la condotta commissiva o omissiva del custode, essendo sufficiente che provi l'evento danno ed il nesso di causalità con la cosa (Cass. 22. 4. 1998, n. 4070; Cass. 20. 11. 1998, n. 11749; Cass. 21. 5. 1996, n. 4673; Cass. 3 giugno 1982 n. 3392, 27 gennaio 1988 n. 723).

In particolare dalla proprietà pubblica del comune sulle strade poste all'interno dell'abitato (art. 16 lett. b della legge 20 marzo 1865 n. 2248, allegato F) discende non solo l'obbligo dell'Ente alla manutenzione, come stabilito dall'art. 5 del R. D. 15 novembre 1923 n. 2056, ma anche quello della custodia con conseguente operatività, nei confronti dell'Ente stesso, della presunzione di responsabilità ai sensi dell'art. 2051 c.c.

Per danni causati da beni demaniali, è fortemente sostenuto in dottrina - sul rilievo che, essendo la p. a. custode dei beni demaniali, tra cui le strade - che il ritenere non applicabile alla stessa per tale categorie dei beni la responsabilità da custodia, ma solo quella ex art. 2043 c.c., costituirebbe un ingiustificato privilegio e, di riflesso, in un ingiustificato deteriore trattamento per gli utenti danneggiati.

4. Un orientamento intermedio, che è andato sempre più sviluppandosi negli ultimi tempi, ritiene che l'art. 2051 c.c., in tema di presunzione di responsabilità per il danno cagionato dalle cose che si hanno in custodia - in realtà -trova applicazione nei confronti della pubblica amministrazione, con riguardo ai beni demaniali, esclusivamente qualora tali beni non siano oggetto dì un uso generale e diretto da parte dei terzi, ma vengano utilizzati dall'amministrazione medesima in situazione tale da rendere possibile un concreto controllo ed una vigilanza idonea ad impedire l'insorgenza di cause di pericolo (Cass. 30 ottobre 1984 n. 5567), ovvero, ancora, qualora trattisi di beni demaniali o patrimoniali che per la loro limitata estensione territoriale consentano una adeguata attività di vigilanza sulle stesse (Cass. 5. 8. 2005, n. 16675; Cass. n. 11446 del 4 2003; Cass. 1. 12. 2004, n. 22592; Cass. 15/01/2003, n. 488; Cass. 13. 1. 2003, n. 298; Cass. 23/07/2003, n. 11446).

Ritiene questa Corte di dover aderire a tale ultimo orientamento, di recente ribadito (Cass. 6. 7. 2006, n. 15383).

5.1. La custodia si identifica in una potestà di fatto, che descrive un'attività esercitabile da un soggetto sulla cosa in virtù della detenzione qualificata, con esclusione quindi della detenzione per ragioni di ospitalità e servizio, sulla scia del Ga. (dell'art. 1384 Code Napoleon) e del Be. (854 B. G. B.).

Responsabile del danno proveniente dalla cosa non è il proprietario, come nei casi di responsabilità oggettiva di cui agli artt. 2052, 2053 e 2054, ult. e, c.c., ma il custode della cosa.

È dunque la relazione dì fatto, e non semplicemente giuridica, tra il soggetto e la cosa che legittima una pronunzia di responsabilità, fondandola sul potere di n governo della cosa".

La sola relazione giuridica (corrispondente al diritto reale o alla titolarità demaniale) tra il soggetto e la cosa non dà ancora luogo alla custodia (ma la fa solo presumere), allorché la relazione di fatto intercorra con altro soggetto qualificato che eserciti la potestà sulla cosa, (ad esempio il conduttore o il concessionario).

Tale "potere di governo" si compone di tre elementi: il potere di controllare la cosa, il potere di modificare la situazione di pericolo creatasi, nonché quello di escludere qualsiasi terzo dall'ingerenza sulla cosa nel momento in cui si è prodotto il danno.

Solo così intendendo il contenuto della custodia, si dà ragione del criterio di imputazione costituito dalla relazione di custodia tra il soggetto custode e la cosa che ha prodotto il danno.

Infatti - come detto - il criterio di imputazione esiste anche nelle ipotesi di responsabilità oggettiva, ma non è più fondato su criteri soggettivi, ma su criteri oggettivi, come tali tipologici. Il concetto di responsabilità implica quello di sanzione per un fatto che l'ordinamento connota negativamente nei confronti di colui sul quale ne fa gravare il costo.

5.2. Poiché la custodia è una relazione di fatto tra un soggetto e la cosa, certamente tale potere di fatto non può essere a priori escluso in relazione alla natura demaniale del bene, ma neppure può essere ritenuto in ogni caso sussistente anche quando vi è l'oggettiva impossibilità di tale potere di controllo del bene, che è il presupposto necessario per la modifica della situazione di pericolo.

Va qui, specificato che, attraverso questa analisi del concetto di "custodia" nel suo contenuto di "potere di governo" della cosa, non si vuole reintrodurre in modo surrettizio, un elemento di soggettività della responsabilità ex art. 2051 c.c., inserendolo nell'elementi) della custodia, da cui discenderebbe che il custode, che avesse tuttavia controllato senza colpa, sarebbe esente da responsabilità per il danno verificatosi.

Non vi è dubbio che il custode risponde dei danni prodotti dalla cosa non perché ha assunto un comportamento poco diligente, ma più semplicemente per la particolare posizione in cui si trovava rispetto alla cosa danneggiante, e quindi secondo una logica che è propria della responsabilità oggettiva.

5.3 Ciò comporta che la possibilità o meno del potere di controllo va egualmente accertata in termini oggettivi nello specifico caso di predicata custodia.

Se il potere di controllo è oggettivamente impossibile, non vi è custodia e quindi non vi è responsabilità della p. a., ai sensi dell'art. 2051 c.c.5.4. Indici sintomatici dell'impossibilità del controllo del bene demaniale sono la notevole estensione e l'uso generalizzato dello stesso da parte degli utenti; ma tali elementi non attestano in modo automatico l'impossibilità di custodia.

La possibilità o l'impossibilità di un continuo ed efficace controllo e di una costante vigilanza - dalle quali rispettivamente dipendono l'applicabilità o la non applicabilità dell'art. 2051 c.c. - non si atteggiano univocamente in relazione a tutti i tipi di beni demaniali, ma vanno accertati in concreto da parte del giudice di merito.

Ove tale attività di controllo non sia oggettivamente possibile, non potrà invocarsi alcuna responsabilità della p. a., proprietaria del bene demaniale, a norma dell'art. 2051 c.c., per mancanza di un elemento costitutivo della custodia e cioè la controllabilità della cosa, residuando, se ne ricorre gli estremi, la responsabilità di cui all'art. 2043 c.c.5.6. Segnatamente per i beni del demanio stradale la possibilità in concreto della custodia, nei termini sopra detti, va esaminata non solo in relazione all'estensione delle strade, ma anche alle loro caratteristiche, alla posizione, alle dotazioni, ai sistemi di assistenza che li connotano, agli strumenti che il progresso tecnologico di volta in volta appresta e che, in larga misura, condizionano anche le aspettative della generalità degli utenti.

Per le autostrade, contemplate dall'art. 2 del D. P. R. 15 giugno 1959 n. 393 (vecchio codice della strada) e del D.Lgs. 30 aprile 1992 n. 285 (nuovo cod. strad.) e per loro natura destinato alla percorrenza veloce in condizioni di sicurezza, l'apprezzamento relativo alla effettiva "possibilità" del controllo alla stregua degli indicati parametri non può che indurre a conclusioni in via generale affermativa, e dunque a ravvisare la configurabilità di un rapporto di custodia per gli effetti di cui all'art. 2051 c.c. (Cass. n. 298/03; Cass. n. 488/2003).

5.7. Figura sintomatica della possibilità dell'effettivo controllo dì una strada del demanio stradale comunale è che la stessa sì trovi all'interno della perimetrazione del centro abitato (art. 41 quinquies 1. 17. 8. 1942, n. 1150; come modificato dall'art. 17 1. 6. 8. 1967, n. 765; art. 9 d. p. r. 6. 6. 2001, n. 380; art. 4 d. Igs. 30. 4. 1992, n. 285).

Infatti la localizzazione della strada all'interno dì tale perimetro, dotato di una serie di altre opere di urbanizzazione primaria e, più in generale, di pubblici servizi che direttamente o indirettamente sono sottoposti ad attività di controllo e vigilanza costante da parte del comune, denotano la possibilità di un effettivo controllo e vigilanza della zona, per cui sarebbe arduo ritenere che eguale attività risulti oggettivamente impossibile in relazione al bene stradale.

5.8. Ove l'oggettiva impossibilità della custodia, renda inapplicabile l'art. 2051 c.c., come detto, la tutela risarcitoria del danneggiato rimane esclusivamente affidata alla disciplina di cui all'art. 2043 c.c.

In merito a questa va specificato a chiare lettere che la responsabilità della p. a. per danni conseguenti all'utilizzo di bene demaniale da parte del soggetto danneggiato non può essere limitata ai soli casi di insidia o trabocchetto: questi, come è stato rilevato, sono solo elementi sintomatici della responsabilità della p. a., ma ciò non esclude che possa individuarsi nella singola 4 fattispecie anche un diverso comportamento colposo della p. a..

Limitare aprioristicamente la responsabilità della p. a. per danni subiti dagli utenti dei beni demaniali alle sole ipotesi della presenza di insidia o trabocchetto non trova alcuna base normativa nella Ge. di cui all'art. 2043 c.c., con un'indubbia posizione di privilegio per la p. a. (in questo senso, già Cass. 14. 3. 2006, n. 5445).

6.1. Sia nell'ipotesi che la fattispecie rientri nell'art. 2043 c.c. sia che rientri nell'art. 2051 c.c., è rilevante l'eventuale comportamento colposo del danneggiato, poiché esso incide sul nesso causale.

In un sistema in cui il nesso causale tra il fatto e l'evento svolge un ruolo centrale, diventa fondamentale accertare se l'evento eziologicamente derivi in tutto o in parte dal comportamento dello stesso danneggiato, valutandone, quindi, l'eventuale apporto causale.

L'interruzione del nesso di causalità può essere anche l'effetto del comportamento sopravvenuto dello stesso danneggiato, quando il fatto di costui si ponga come unica ed esclusiva causa dell'evento di danno, sì da privare dell'efficienza causale e da rendere giuridicamente irrilevante il precedente comportamento dell'autore dell'illecito (cfr. Cass. 8. 7. 1998, n. 6640; Cass. 7 aprile 1988, n. 2737).

6.2. Un corollario di detto principio è la regola posta dall'art. 1127, e 1 c.c., il quale nel contempo dà base 4 normativa al suddetto principio, presupponendolo. Tale norma prevede la riduzione del risarcimento in presenza della colpa del danneggiato.

La regola di cui all'art. 1227 c.c. va inquadrata esclusivamente nell'ambito del rapporto causale ed è espressione del principio che esclude la possibilità di considerare danno risarcibile quello che ciascuno procura a se stesso (Cass. civ. 26/04/1994, n. 3957; Cass. 08/05/2003, n. 6988).

6.3. In questa ottica la diligenza del comportamento dell'utente del bene demaniale, e segnatamente della strada demaniale, va valutata anche in relazione all'affidamento che era ragionevole porre nel!'utilizzo ordinario di quello specifico bene demaniale, con riguardo alle specifiche condizioni di luogo e di tempo.

Per il principio dell'affidamento il fatto che una persona agisca come membro di un determinato gruppo sociale comporta l'assunzione della responsabilità di saper riconoscere ed affrontare determinati pericoli secondo lo standard di diligenza e capacità del gruppo.

Qui il problema si pone solo in relazione al comportamento colposo o meno del danneggiato, il quale è connotato dall'affidamento, secondo criteri oggettivi e non soggettivi, che egli ripone nel ritenere esigibile da parte della p. a. custode, una determinata condotta di custodia in relazione ad un determinato bene.

In applicazione di tale principio, la diligenza che è richiesta al danneggiato nell'uso del bene demaniale, costituito nella specie da strada, sarà diversa a seconda che si tratti di una strada campestre o del corso principale della città, pur facendo capo entrambe allo stesso demanio stradale dello stesso comune, proprio perché il danneggiato fa affidamento su una diversa attività di controllo-custodia (che quindi ritiene esigibile) in relazione ai due tipi di strada dello stesso demanio.

8.1. Sulla base di quanto sopra esposto vanno affermati i seguenti principi di diritto:

"La presunzione di responsabilità per danni da cose in custodia, di cui all'art. 2051 c.c., non si applica agli enti pubblici per danni subiti dagli utenti di beni demaniali (nella fattispecie: del demanio stradale) ogni qual volta sul bene demaniale, per le sue caratteristiche, non sia possibile esercitare la custodia, intesa quale potere di fatto sulla stessa. L'estensione del bene demaniale e l'utilizzazione generale e diretta dello stesso da parte di terzi, sono solo figure sintomatiche dell'impossibilità della custodia da parte della P.A., mentre elemento sintomatico della possibilità di custodia del bene del demanio stradale comunale è che la strada, dal cui difetto di manutenzione è stato causato un danno, si trovi nel perimetro urbano delimitato dallo stesso comune, pur dovendo dette circostanze, proprio perché solo sintomatiche, essere sottocoste al vaglio in concreto da parte del giudice di merito".

8.2. "Ove non sia applicabile la disciplina della responsabilità ex art. 2051 c.c., per l'impossibilità in concreto dell'effettiva custodia del bene demaniale, l'ente pubblico risponde dei danni da detti beni, subiti dall'utente, secondo la regola generale dettata dall'art. 2043 c.c., nel qual caso graverà sul danneggiato l'onere della prova del comportamento colposo della p. a., di cui le figure dell'insidia o del trabocchetto, sono solo elementi sintomatici, ma non escludono altre ipotesi di responsabilità colposa".

8.3. "Tanto in ipotesi di responsabilità oggettiva della P. A. ex art. 2051 c.c., quanto in ipotesi di responsabilità della stessa ex art. 2043 c.c., il comportamento colposo del soggetto danneggiato nell'uso di bene demaniale (che sussiste anche quando egli abbia usato il bene demaniale senza la normale diligenza o con affidamento soggettivo anomalo) esclude la responsabilità della p. a., se tale comportamento è idoneo ad interrompere il nesso eziologico tra la causa del danno e il danno stesso, integrando, altrimenti, un concorso di colpa ai sensi dell'art. 1227 c.c. primo comma, con conseguente diminuzione della responsabilità del danneggiante in proporzione all'incidenza causale del comportamento del danneggiato".

9.1. Quanto alla censura secondo cui nella fattispecie la custodia e, più in generale, la responsabilità aquiliana faceva dipo non alla società appaltatrice dei lavori di manutenzione della strada, ma al comune, va osservato che è stato già precisato che, nel caso in cui non vi sia stato il totale trasferimento a terzi del potere di fatto sull'opera, per l'ente proprietario, che sull'opera debba continuare ad esercitare la opportuna vigilanza ed i necessari controlli, non viene meno il dovere di custodia e, quindi, nemmeno la correlativa responsabilità (Cass., n. 5007/96; Cass., n. 5539/97).

È stato in particolare affermato da questa Corte che, con riguardo a lavori stradali eseguiti in appalto su concessione dell'Anas, che abbiano causato il sinistro, per mancanza di cartelli di segnalazione e conseguente invisibilità della esatta ubicazione del pericolo, è configurabile la concorrente responsabilità tanto dell'appaltatore - in relazione al suo obbligo di custodire il cantiere, di apporre e mantenere efficiente la segnaletica, nonché di adottare tutte le cautele prescritte dall'art. 8 e strad. e relativo regolamento -quanto dell'Anas, in relazione al suo dovere di vigilare sull'esecuzione delle opere date in concessione, ed altresì di emettere i provvedimenti necessari per la sicurezza del traffico (Cass. 25/09/1998, n. 9599; Cass. 25/09/1990, n. 9702).

9.2. Ne consegue che, se l'area di cantiere è stata completamente enucleata, delimitata ed affidata all'esclusiva custodia dell'appaltatore, con assoluto divieto del traffico veicolare e pedonale, dei danni subiti all'interno di questa area non potrà che risponderne esclusivamente l'appaltatore, quale unico custode della stessa.

Se, invece, l'area su cui vengono (o devono essere) realizzati i lavori è ancora contestualmente adibita a tale traffico, ciò denota che l'ente titolare della strada ne ha conservato la custodia, sia pure insieme all'appaltatore, utilizzando la strada ai fini della circolazione.

9.3. Ciò comporta che la responsabilità per danni subiti dall'utente a causa dei lavori in corso (ovvero della mancanza delle attività o opere dovute) su detta strada graverà su entrambi detti soggetti, salvo poi l'eventuale azione di regresso dell'ente proprietario della strada nei confronti dell'appaltatore dei lavori a norma dei comuni principi in tema di responsabilità solidale (art. 2055, e 2 c.c.), tenuto anche conto della violazione degli obblighi di segnalazione e manutenzione imposti dalla legge per opere, depositi e cantieri stradali (art. 21 D.Lgs. 30 aprile 1992, n. 285) nonché di quelli assunti dall'appaltatore della manutenzione della strada nei confronti dell'ente proprietario, in base a specifica convenzione.

Versandosi in questa ipotesi in fattispecie di responsabilità solidale, secondo i principi generali (art. 1292 c.c.) il soggetto danneggiato può convenire in giudizio uno solo dei debitori solidali, e cioè, come nella fattispecie l'ente proprietario della strada, chiedendo il risarcimento dell'intero danno.

10. Nella fattispecie il giudice di appello ha quindi erratamente escluso la responsabilità del comune, quale Ente proprietario della strada, per il solo fatto dell'esistenza di un contratto di appalto di manutenzione della strada con la s. r. l. c.p. S., senza porsi il problema se tale strada fosse stata chiusa al traffico veicolare e pedonale e quindi se l'area di cantiere fosse stata completamente ed esclusivamente affidata all'appaltatore.

Solo in questa ultima ipotesi avrebbe potuto escludersi la responsabilità dell'ente proprietario per l'esistenza del contratto di appalto, in applicazione del noto principio per cui in tema di appalto è dì regola l'appaltatore che risponde dei danni provocati a terzi ed eventualmente anche dell'inosservanza della legge penale durante l'esecuzione del contratto, attesa l'autonomia con cui egli svolge la sua attività nell'esecuzione dell'opera o del servizio appaltato, organizzandone i mezzi necessari, curandone le modalità ed obbligandosi a fornire alla controparte l'opera o il servizio cui si era obbligato (Cass. 02/03/2005, n. 4361; Cass. 20/04/2004, n. 7499; Cass. 21/06/2004, n. 11478).

11. L'accoglimento del primo motivo di ricorso comporta l'assorbimento del secondo motivo (con cui la ricorrente lamenta la violazione dell'art. 277 c.p. c per mancata pronunzia sulla domanda di condanna del comune al risarcimento del danno) nonché del terzo motivo (relativo alla statuizione sulle spese processuali).

Segnatamente per tale terzo motivo va rilevato che è consolidato il principio per cui, in tema di spese processuali, la cassazione con rinvio anche di un solo capo di una sentenza d'appello si estende alla statuizione relativa alle spese processuali, con la conseguenza che il giudice di rinvio, se riforma la sentenza di primo grado, ha il potere di rinnovare totalmente la regolamentazione successiva delle spese del processo (Cass. 24/10/2003, n. 15998).

12. Con il primo motivo di ricorso il ricorrente incidentale lamenta la violazione, erronea e falsa applicazione dell'art. 112 c.p. c., in relazione all'art. 360 n. 3 e 5 c.p.c., nonché l'omessa pronunzia del giudice di secondo grado sull'appello incidentale da lui proposto.

Lamenta il ricorrente che la sentenza impugnata erratamente abbia omesso la decisione sui motivi di appello incidentali, con cui esso comune lamentava l'infondatezza sotto vari profili della domanda dell'attrice, ritenendo tali motivi assorbiti.

13.1. Ritiene questa Corte che il motivo sia inammissibile. Infatti legittimati a proporre ricorso incidentale, oltre ai soccombenti parziali o reciproci che intendano impugnare la sentenza per motivi diversi da quelli dedotti nel ricorso principale, ovvero che abbiano una ragione comune contraria o indipendente da quella del ricorso principale, è anche la parte del tutto vittoriosa in appello che intenda riproporre in cassazione l'eccezione del giudicato interno. Al di fuori di tale ipotesi la parte totalmente vittoriosa (in appello o nell'unico grado di merito) è priva di interesse processuale a proporre ricorso per Cassazione, poiché questo, come ogni impugnazione, presuppone la soccombenza, quanto meno parziale. Per le domande o eccezioni della parte vittoriosa, espressamente non accolte dal giudice di merito, questa può proporre solo ricorso incidentale condizionato all'accoglimento (almeno parziale) del ricorso principale.

Infatti solo in questo caso, proprio per l'accoglimento del ricorso principale e per effetto della cassazione (almeno parziale) della sentenza impugnata, viene meno la posizione di parte totalmente vittoriosa e quindi sorge l'interesse all'impugnazione.

Per le domande o eccezioni, invece, non esaminate o ritenute assorbite dal giudice di merito, non è ammissibile neppure il ricorso incidentale condizionato, poiché sul punto nessuna decisione vi è stata e l'accoglimento del ricorso principale comporta pur sempre la possibilità di riesame nel giudizio dì rinvio di dette domande o eccezioni (Cass. 14/06/2005, n. 12741; Cass. 18/05/2005, n. 10420).

13.2. Nella fattispecie la sentenza impugnata non ha esaminato (ritenendoli assorbiti) i motivi di ricorso del comune di Ro., convenuto, proprio perché aveva escluso in radice la sua responsabilità per i danni subiti dall'attrice, ritenendo che tale responsabilità si appartenesse alla società appaltatrice (salvo l'improcedibilità della domanda per le ragioni addotte). Ne consegue che il ricorso del comune, per quanto incidentale, è inammissibile, rimanendo salva la sua facoltà di riproporre al giudice di rinvio le sue censure già proposte in grado dì appello e ritenute assorbite dalla sentenza impugnata.

In quella sede di rinvio, preliminarmente all'esame dei motivi dell'appello incidentale del comune, andrà esaminata la questione dell'ammissibilità dello stesso, ex art. 331, e 2 c.p. c, sollevata dalla Lo. nella memoria.

14. Con il secondo motivo di ricorso il ricorrente incidentale lamenta la violazione, erronea e falsa applicazione dell'art. 24 del r. d. 16. 3. 1942, n. 672 in relazione all'art. 360 n. 3 e 4 c. p. c, nonché l'omessa ed insufficiente motivazione.

Lamenta il ricorrente che erratamente sia stata dichiarata l'improcedibilità della sua domanda di manleva e garanzia in considerazione di specifici obblighi contrattuali, nei confronti del fallimento della s. r. l. Cp., pur essendo stata tale chiamata in causa autorizzata dal tribunale.

15. Il motivo è infondato.

Infatti, qualora l'atto di chiamata in causa di un terzo, da parte del convenuto, introduca una domanda di garanzia impropria, fondata su un distinto rapporto giuridico fra chiamante e chiamato, la dichiarazione di fallimento del chiamato comporta l'improcedibilità di tale domanda di garanzia, ai sensi degli artt. 24 e 52 l. fall. (anche nel testo sostituito dagli artt. 21 e 49 D.Lgs. 9 gennaio 2006, n. 5, con decorrenza dal 16. 7. 2006), ma tale improcedibilità non si riflette sull'autonoma controversia relativa alla domanda principale dell'attore contro il convenuto (cfjr. Cass. 14/04/1999, n. 3685; Cass. 04/12/1999, n. 13584; Cass. 21/07/1981, n. 4684).

16. In definitiva va accolto il primo motivo del ricorso principale, assorbiti i restanti, e va rigettato il ricorso incidentale.

L'impugnata sentenza va cassata, in relazione, con rinvio, anche per le spese di questo giudizio di cassazione ad altra sezione della Corte di appello di Ro., che si uniformerà ai principi indicati ai punti 8, 9. 2 e 9. 3.

P. Q. M.

Riunisce i ricorsi. Accoglie il primo motivo del ricorso principale, assorbiti i restanti, e rigetta il ricorso incidentale. Cassa, in relazione, l'impugnata sentenza, con rinvio, anche per le spese di questo giudizio di cassazione ad altra sezione della Corte di appello di Roma.

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