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Rivalutazione debito di indennizzo dell'assicuratore

Con sentenza n. 395 dell’ 11 gennaio 2007 le Terza Sezione Civile della Corte di Cassazione si è
nuovamente pronunciata in tema di rivalutazione delle somme erogate a titolo di risarcimento danni.
La S.C. ha statuito che in tema di assicurazione contro i danni, nel cui ambito deve essere ricondotta
l’assicurazione contro gli infortuni, il debito di indennizzo dell’assicuratore, ancorché venga  convenzionalmente contenuto, nella sua espressione monetaria, nei limiti di un massimale,  configura debito di valore, non di valuta, in quanto assolve una funzione reintegrativa della perdita
subita dal patrimonio dell’assicurato, e, pertanto, è suscettibile di automatico adeguamento alla stregua della sopravvenuta svalutazione della moneta.



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Corte di Cassazione
 
Terza Sezione Civile
 
Sentenza 11 gennaio 2007, n. 395


Motivi della decisione
1. I vari ricorsi avverso la stessa sentenza devono essere riuniti, ai sensi dell’articolo 335 c.p.c..
2. Assume, in limine, la D. che il ricorso incidentale di controparte «è inammissibile. perché tardivo essendo stato proposto oltre i termini di rito».
3. La deduzione è manifestamente infondata.
Giusta la testuale previsione di cui all’articolo 334, comma 1, c.p.c. [da cui totalmente prescinde parte ricorrente] «le parti contro le quali è stata proposta impugnazione ... possono proporre impugnazione incidentale anche quando per esse è decorso il termine o hanno fatto acquiescenza alla sentenza».
L’impugnazione incidentale tardiva, proposta dalla stessa parte nei cui confronti è stato proposta la impugnazione principale, inoltre, può investire sia lo Stesso capo della sentenza oggetto della impugnazione principale, sia un capo autonomo, rispetto a quello già impugnato (Cassazione, 2126/06; 19155/05; 10291/05, tra le tantissime).
Pacifico quanto precede si osserva che nella specie:la sentenza ora oggetto di ricorso per cassazione, non notificata ai fini di cui all’articolo 326 c.p.c., è stata depositata il 10 febbraio 2002 e oggetto di ricorso, da parte della D., con atto notificato il 17 febbraio 2003 e, pertanto, nei termini, tenuta presente la sospensione del: periodo feriale a norma dell’articolo 1, 742/69;
la M. Spa, a sua volta, ha proposto ricorso incidentale con atto notificato il 26 marzo 2003, e, pertanto, nel rispetto dei termini fissati a pena di decadenza dall’articolo 371 c.p.c.
È palese, pertanto, che la invocata inammissibilità del ricorso incidentale non sussiste, come anticipato.
4. Premesso quanto sopra si osserva che motivi di ordine logico impongono di esaminare con precedenza, rispetto al ricorso principale, relativo al quantum debeatur, quello incidentale, atteso che questo investe lo stesso an debeatur.
Con il proprio ricorso la M. Spa censura, in particolare, la sentenza impugnata nella parte in cui la stessa ha ritenuto vessatoria la clausola 17 delle condizioni generali di assicurazione di cui alla polizza per cui è controversia assumendo che una tale qualificazione è erronea cosi che illegittimamente quei giudici hanno applicato la normativa di cui all’articolo 1341, comma 2, c.c., secondo cui tali clausole devono essere approvate in modo specifico per iscritto dal contraente assicurato.
La censura si articola sua volta in due motivi:
con il primo, in particolare, si denunzia «violazione e falsa applicazione di norme di diritto in relazione agli articoli 1322 c.c., 1905 c.c. e 1341 c.c., ai sensi dell’articolo 360 comma 1, n. 3 c.p.c.»;
con il secondo, ancora, parte ricorrente incidentale lamenta «omessa o insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia prospettato dalle parti, ai sensi dell’articolo 360, comma 1, n. 5 c.p.c.».
Esposto che l’articolo 17 delle condizioni generali di assicurazione malamente interpretato dai giudici a quibus recita «il diritto all’indennità per invalidità Permanente à di carattere personale e quindi non è trasmissibi1e agli eredi. Tuttavia, se l’assicurato muore per causa indipendente dall’infortunio dopo che la indennità sia stata liquidata o comunque of f erta in misura determinata, la società paga agli eredi l’importo liquidato o offerto secondo le norme della successione testamentaria o legittima», parte ricorrente afferma:
- la clausola non può considerarsi limitativa della responsabilità dell’assicuratore, perché volta esclusivamente a individuare l’oggetto del contratto, specie considerato che questa Corte afferma che le clausole di un contratto di assicurazione, come quelle che contemplano la garanzia assicurativa per il danno causato a terzi con esclusione degli stretti congiunti conviventi con l’assicuratore, le quali definiscono e precisano il rischio assicurato non precostituiscono una eliminazione o riduzione della responsabilità dell’ assicuratore non sono soggette alla specifica approvazione per iscritto richiesta dall’articolo 1341, comma 2, c.c. [primo motivo, prima parte];
nella ipotesi in cui viene pattuita la intrasmissibilità del credito, tale limite non attiene alla responsabilità dell’assicuratore, la quale presuppone l’inadempimento o il non esatto adempimento dell’ assicuratore, bensì è relativo alla trasferibilità mortis causa del credito, peraltro, la predetta intrasissibilità non può in ogni caso andare oltre il momento in cui il diritto dell’assicurato è stato accertato e liquidato [primo motivo, seconda parte];
- la clausola in parola, la quale non integra un vietato patto successorio, circoscrive, come già affermato dalla giurisprudenza della Suprema Corte (Cassazione 4912/92) la operatività della polizza con riguardo ai soggetti beneficiarti, segnando il momento finale e estintivo della obbligazione assunta dall’ assicurato in modo da conferire un carattere personale alla indennità, per cui la morte dell’assicurato, lungi dal comportare l’attribuzione di beni o diritti successori, segna il momento finale e estintivo della obbligazione assunta dall’assicuratore, salva l’eccezione (non ricorrente nel caso di specie) della precedente quantificazione o offerta della indennità, da intendersi come già acquisita al patrimonio dell’assicurato (primo motivo, terza parte);
la Corte di appello non ha motivato la conclusione cui è pervenuta, atteso che si è limitata a richiamare, apoditticamente, la decisione 3234/88 dalla Corte di Cassazione, senza null’altro aggiungere né argomentare in proposito [secondo motivo].
5. Entrambi i motivi del ricorso sono infondati.
Alla luce dalla considerazioni che seguono
5.1. Giusta quanto assolutamente pacifico, presso una giurisprudenza più che consolidata di questa Corte regolatrice da cui, totalmente, e senza alcuna giustificazione totalmente prescinde parte ricorrente, nel contratto di assicurazione sono da considerare clausole limitative della responsabilità, per gli effetti dell’articolo 1341 c.c., quelle clausole che limitano le conseguenze della colpa o dell’inadempimento o che escludono il rischio garantito mentre attengono all’oggetto del contratto le clausole che riguardano il contenuto ed i limiti della garanzia assicurativa e, dunque, specificano il rischio garantito (Cassazione, 5158/05; 1430/02, tra le tantissime).
Certo quanto precede è di palmare evidenza che correttamente nel caso di specie i giudici del merito hanno ritenuto la natura vessatoria della clausola sopra trascritta.
Questa, infatti, lungi dall’individuare l’«oggetto» del contratto e a precisare e delimitare il «rischio» garantito, tende, in pratica, a escludere lo stesso rischio garantito.
Se, giusta la testuale previsione dell’articolo 1882 c.c. l’assicurazione è il contratto con il quale l’assicuratore, verso il pagamento di un premio si obbliga a rivalere l’assicurato, entro i limiti convenuti, del danno ad esso prodotto da un sinistro, ovvero a pagare un capitale o una rendita al verificarsi di un evento attinente alla vita umana» è evidente che nella specie "oggetto" del contratto era la "invalidità permanente" che avrebbe potuto riportare (come, poi, in concreto ha riportato) l’assicurato.
La previsione contenuta nella clausola per cui è controversia e, cioè la non trasmissibilità del diritto all’indennizzo nella eventualità l’assicurato fosse deceduto, per cause diverse dall’infortunio, prima della concreta liquidazione della indennità stesse non riguarda in alcun modo né l’«oggetto» del contratto, né il «rischio garantito» ma introduce una «limitazione» della responsabilità dell’assicuratore.
Quest’ultimo, infatti - in forza di tale clausola -ancorché si sia già verificato l’evento, e si siano, pertanto, realizzate tutte le condizioni volute dalla legge e dal contratto per la "liquidazione" e il concreto «pagamento» dell’indennizzo, può essere esentato da tali adempimenti per il verificarsi di circostanze (morte dell’infortunato per causa indipendente dall’ infortunio, e omessa liquidazione dell’indennizzo) che non solo non costituivano in alcun modo l’«oggetto» del contratto di assicurazione (limitato alla tutela dell’assicurato per eventuali infortuni) ma che - almeno in sintesi – potevano essere addebitabili anche al mero comportamento dilatorio dello stesso assicuratore che per negligenza o altro, abbia ritardo la liquidazione o la offerta in misura determinata dell’indennizzo stesso.
In altri termini, come già affermato in altra occasione da questa Corte regolatrice, con riguardo ad altra controversia nella quale si discuteva - come nella specie - della applicabilità o meno dell’articolo 1341 c.c. a una clausola identica a quella ora in contestazione (pure in quella occasione apposta in un contratto di assicurazione contro gli infortuni), la delimitazione contrattuale del rischio (o alea) riguarda il luogo, il tempo, le cose o le parti del corpo umano, contemplati nella comune volontà negoziale, quali elementi determinanti dell’esistenza e del contenuto del danno.
Ciò spiega l’imperatività dell’articolo 1905, comma 2, c.c.: «l’assicuratore è tenuto a risarcire, nei modi e nei limiti stabiliti dal contratto, il danno sofferto dall’assicurato in conseguenza del sinistro»: imperatività che indica, in modo eufemistico, il danno-oggetto de,,l contratto nei modi e nei limiti della sua essenza materiale patita dall’assicurato».
Di modo che ogni altra previsione contrattuale che limiti, riduca o escluda la responsabilità dell’assicuratore per fatti estranei al "danno" come sopra inteso, non attiene alla sfera della limitazione del rischio ma quella diversa dei limiti all’obbligo di risarcimento del danno già sorto e definito nella sua entità di fatto e di diritto (in termini, Cassazione 3234/88, specie in motivazione).
Come già affermato nella sentenza da ultimo richiamata, è evidente che «la clausola» limitativa della responsabilità patrimoniale del 1 assicuratore per un fatto estraneo, (al danno) all’oggetto del contratto ed inserito nelle condizioni generali di polizza (assicurativa) - cioè la morte per fatto non dipendente dall’infortunio, dell’assicurato prima della liquidazione dell’indennizzo - altera il normale equilibrio contrattuale a vantaggio dell’assicuratore anche se visto nella sola convenienza di sottrarsi all’immediata esecuzione della prestazione in attesa fiduciosa del verificarsi dell’evento causativo dell’estinzione della sua obbligazione giuridica. Sicché tale «clausola», onerosa nel senso che, modificando la comune disciplina contrattuale, avvantaggia la condizione del predisponente in danno della parte assicurata a dei suoi eredi, non può sottrarsi all’imperativo del comma 2 dell’articolo 1341 c.c., che ne subordina l’efficacia all’approvazione specifica per iscritto (in termini, la già citata Cassazione 3234/98).
5.2. Nessun elemento argomentativo Può trarsi, a favore della tesi invocata dalla ricorrente, ancora, dall’insegnamento contenuto in Cassazione 4912/92.
In quell’occasione nei fatti, questa Corte, Si è limitata a affermare che la clausola in questione non integra un vietato patto successorio perché "con la clausola in esame viene circoscritta l’operatività della polizza con riguardo ai soggetti beneficiari e viene il carattere personale della predetta indennità, per cui la morte dell’assicurato lungi dal comportare l’attribuzione di beni o diritti successori, segna il momento finale ed estintivo dell’obbligazione assunta dall’assicuratore», senza prendere Posizione sulla natura di clausola. come risulta dalla lettura della parte motiva della ricordata pronunzia, infatti, nella specie la corte ha, testualmente affermato: «i resistenti ... hanno prospettato, sotto altro profilo, la inefficacia della di rilievo che, essendo scussa clausola contrattuale sul r la stessa limitativa della responsabilità dell’assicuratore, avrebbe dovuto essere approvata per iscritto a norma dell’articolo 1341 c.c.».
«Siffatta deduzione - peraltro, ha evidenziato Cassazione 4912/92, cit. - integra però una questione nuova, perché non dedotta e non discussa nei giudizi di merito, e quindi inammissibile in questa sede di legittimità. Tanto più ove si consideri che la valutazione circa la natura vessatoria della clausola implica apprezzamenti di fatto in ordine all’effettiva portata del contratto, valutato nel suo complesso e, anzitutto, la verifica della mancanza di una specifica approvazione».

5.3. Manifestamente infondato, infine, si palesa il secondo motivo di ricorso.

Deve ritenersi, infatti, adeguatamente motivata e, per l’effetto, non cénsurabile sotto il profilo di cui all’articolo 360 n. 5 c.p.c., la sentenza del giudice del merito che rigetti una tesi giuridica prospettata dalla parte ritenendola erronea in applicazione di un principio enunciato dalla giurisprudenza di questa Corte regolatrice, trascrivendo il principio stesso e gli estremi della sentenza invocata.

Ciò specie nella eventualità, come nella specie, in cui questa Corte ha avuto occasione di esaminare una questione identica a quella all’attenzione del giudice di merito e quest’ultimo ritenga di adeguarsi al richiamato precedente (Sempre nello stesso senso altresì, Cassazione 3275/83).
6. con runico motivo del proprio ricorso la ricorrente principale, a sua volta, censura la sentenza gravata nella parte in cui questa ha rigettato il proprio appello incidentale, volto a ottenere il pagamento della rivalutazione monetaria sulla somma già liquidata sul rilievo che la prestazione dell’ assicuratore, quale obbligazione pecuniaria, avente per oggetto il pagamento del capitale assicurato, ex articolo 1892, seconda proposizione c.c. costituisce debito di valuta.
Denunzia, in particolare, detta ricorrente «articolo 360 n. 3 c.p.c. per violazione e falsa interpretazione dell’articolo 1882 c.c., alla luce degli articoli 1277 e 1223 c.c.».
7. Sulla questione specifica ora dibattuta non esiste, allo stato, nell’ambito della giurisprudenza di questa Corte regolatrice, un indirizzo costante.
Giusta un primo orientamento, decisamente minoritario, si afferma (come invoca anche la società odierna ricorrente incidentale] che con riguardo ad un contratto di assicurazione contro gli infortuni - nel quale viene assicurato un determinato capitale a fronte della morte, dall’inabilità permanente o di quella temporanea - la prestazione dell’assicuratore costituisce un debito di valuta e, pertanto, può essere rivalutato soltanto se il creditore dimostri di aver subito un danno maggiore di quello compensato con gli interessi legali, secondo quanto stabilito dall’articolo 1224 c.c. (in termini, ad esempio, Cassazione 15407/00; 9388/94).
Diversamente, secondo altro indirizzo giurisprudenziale, decisamente prevalente, di questa Corte l’obbligazione assunta dall’assicuratore contro i danni è un debito di valore (Cassazione 17950/02; 4753/01 sempre nel senso che in caso di assicurazione contro i danni, il credito indennitario, in origine di valore, si trasforma in credito di valuta solo per effetto e a far data dalla liquidazione compiuta ad opera degli arbitri, per cui l’importo dell’indennizzo cosi determinato rimane soggetto al principio nominalistico ed al regime di cui all’articolo 1224 c.c., Cassazione 15425/04; 3321/04).
Ritiene questa Corte che tra i due - contrapposti -indirizzi meriti consenso quello sopra definitivo maggioritario e debba, pertanto, ulteriormente, ribadirsi che in tema di assicurazione contro i danni, nel cui ambito deve essere ricondotta l’assicurazione contro gli infortuni, il debito di indennizzo dell’assicuratore, ancorché venga convenzionalmente contenuto, nella sua espressione monetaria, nei limiti di un massimale, configura debito di valore, non di valuta, in quanto assolve una funzione reintegrativa della perdita subita dal patrimonio dell’assicurato, e, pertanto, è suscettibile di automatico adeguamento alla stregua della sopravvenuta svalutazione della moneta (Cassazione 3388/95; 9549/94; 44/1991; 661/88; 4883/87; 3017/86; 5437/84; 6376/81, tra le altre, oltre quelle richiamate sopra).
Tale conclusione, in particolare, ha il conforto del costante riferimento al risarcimento del danno ed al valore della cosa assicurata in tutte le disposizioni normative che regolano la materia, ed in particolare negli articoli 1905 e 1908 c.c..
Tale debito assolve la funzione reintegrativa della perdita subita dal patrimonio dell’assicurato ed è pertanto suscettibile di automatico adeguamento alla stregua della sopravvenuta svalutazione monetaria.
La previsione di un massimale come limite della responsabilità dell’assicuratore à inidonea a trasformare l’obbligazione di risarcimento del danno in quella di pagamento di una somma determinata.
Non essendosi i giudici del merito attenuti al richiamato principio di diritto è evidente che la sentenza impugnata, nella parte de qua, deve essere cassata e la causa va rimessa, per nuovo esame, ad altra sezione della stessa corte di appello di Catanzaro perché si uniformi al seguente principio di diritto: «in tema di assicurazione contro i danni, nel cui ambito deve essere ricondotta l’assicurazione contro gli infortuni, il debito i indennizzo dell’assicuratore, ancorché venga convenzionalmente contenuto, nella sua espressione monetaria, nei limiti di un massimale, configura debito di valore, non di valuta, in quanto assolve una funzione reintegrativa della perdita subita dal patrimonio dell’assicurato, e, pertanto, è suscettibile di automatico adeguamento alla stregua della sopravvenuta svalutazione della moneta.
Il giudice del rinvio provvederà, altresì, sulle spese di questo giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Riunisce i ricorsi; accoglie il ricorso principale; rigetta quello incidentale; cassa in relazione al ricorso accolto la sentenza impugnata e rinvia la causa, anche per le spese di questo giudizio di cassazione, ad altra sezione della Corte di appello di Catanzaro.

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