Il canone COSAP deve essere calcolato dal Comune con riferimento alla effettiva occupazione di suolo pubblico e non con riguardo alla dimensione del cartello e del messaggio esposto.

Il canone COSAP deve essere calcolato dal Comune con riferimento alla effettiva occupazione di suolo pubblico e non con riguardo alla dimensione del cartello e del messaggio esposto. La previsione di un canone oltre l'imposta sulla pubblicità determinerebbe una duplice imposizione" e non sarebbe legittimo pretendere un ulteriore canone per l'occupazione di suolo pubblico "che si aggiunga all'imposta sulla pubblicità perché la posa in opera di strumenti pubblicitari occupa necessariamente una parte di suolo pubblico".

Consiglio di Stato, Sezione 5, Sentenza 22 maggio 2012, n. 2942



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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

IL CONSIGLIO DI STATO

IN SEDE GIURISDIZIONALE

SEZIONE QUINTA

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 10331 del 2011, proposto dal: Comune di Como, in persona del Sindaco pro-tempore, rappresentato e difeso dagli avv. An.Ma., Ma.An.Ma., Ma.Ce. e Ch.Pi., con domicilio eletto presso An.Ma. in Roma;

contro

Ca. Allestimenti Srl, in persona del legale rappresentante. rappresentata e difesa dall'avv. Fr.No., con domicilio eletto presso Pa.Ro. in Roma;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. LOMBARDIA - MILANO: SEZIONE IV n. 01124/2011, resa tra le parti, concernente APPLICAZIONE CANONE PER OCCUPAZIONE DI SPAZI ED AREE PUBBLICHE

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio della Ca. Allestimenti Srl;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 17 aprile 2012 il Cons. Carlo Schilardi e udito per l'appellante l'avvocato Ma.;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

Con determinazione dirigenziale n. 2589 del 17.12.2008 del Comune di Como veniva rilasciata alla Ca. Allestimenti s.r.l. la concessione per la posa e il mantenimento di n. 9 impianti pubblicitari, per il periodo di anni due a decorrere dalla data di stipula del contratto, alle condizioni espresse nella bozza di contratto che veniva allegata.

La Società contestava al Comune che circa le domande presentate non sarebbe risultata necessaria alcuna convenzione ma soltanto il rilascio del titolo autorizzativo e il pagamento del canone COSAP.

Con nota prot. n. 17520 del 10.4.2009 il Responsabile del Settore Attività Produttive del Comune di Como esplicitava che il procedimento era stato concluso con la determinazione dirigenziale n. 2589 del 17.12.2008 e che tale provvedimento sarebbe diventato efficace "a decorrere dalla data della sottoscrizione per accettazione delle clausole in esso contenute da parte del legale rappresentante della società concessionaria".

Con ricorso al TAR della Lombardia la Ca. Allestimenti s.r.l. eccepiva la violazione dell'art. 97 della Costituzione, degli artt. 2, 3 e 11 della legge n. 241/1990, degli artt. 23, 26 e 27 del D.Lgs. n. 285/1992 (Nuovo codice della strada), dell'art. 53 del DPR n. 495/1992 oltre all'eccesso di potere per travisamento dei fatti e sviamento di potere.

In particolare, la società rilevava che la materia della pubblicità stradale attraverso cartelli e altri mezzi pubblicitari sarebbe regolata dal Codice della Strada e dal Regolamento di esecuzione e di attuazione, che prevedono, per l'installazione di cartelli pubblicitari, l'autorizzazione da parte dell'ente proprietario della strada, mentre il Comune di Como avrebbe preteso, previa corresponsione del canone per l'occupazione di spazi ed aree pubbliche (COSAP), la stipulazione di una convenzione per la concessione del suolo pubblico che a parere del Comune stesso avrebbe incluso implicitamente anche l'autorizzazione prevista dal Codice della Strada.

La società lamentava così la mancanza di un provvedimento nei termini richiesti, nonché l'illegittimità dell'art. 9 del Piano Generale degli Impianti pubblicitari del Comune di Como, nella parte in cui prevede e disciplina il suddetto regime concessorio.

Con il secondo motivo di ricorso la Ca. Allestimenti s.r.l. lamentava la violazione dell'art. 63 del D.Lgs. n. 446/1997 e dell'art. 9, comma 7, del D.Lgs. n. 507/1993 in quanto il canone dovuto sarebbe stato parametrato alla superficie espositiva anziché allo spazio pubblico effettivamente occupato sulla base del regolamento, approvato con deliberazione del Consiglio Comunale n. 58 del 16.11.1998 e ss.mm.ii.

La ricorrente sosteneva infine sussistere la giurisdizione del giudice amministrativo nella vertenza in oggetto in quanto non sarebbe in contestazione il calcolo del canone dovuto, ma il potere dell'amministrazione di determinare la tariffa in base alla quale calcolare il canone stesso.

Il Comune di Como si costituiva in giudizio chiedendo il rigetto del ricorso eccependo, relativamente al secondo motivo di ricorso, il difetto di giurisdizione del Giudice Amministrativo.

Il T.A.R. Lombardia, con sentenza n. 1124/2011, dopo aver respinto l'eccezione di difetto di giurisdizione sollevata dal Comune, rigettava il primo motivo di ricorso accogliendo invece il secondo.

Avverso la sentenza ha proposto appello il Comune di Como che in via preliminare ha eccepito nuovamente il difetto di giurisdizione del Giudice Amministrativo sostenendo che il D.Lgs. n. 104/2010 prevede all'art. 133 comma 1 lett. b) che siano devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo "le controversie aventi ad oggetto atti e provvedimenti relativi a rapporti di concessione di beni pubblici, ad eccezione delle controversie concernenti indennità, canoni ed altri corrispettivi" e che quindi sussisterebbe la giurisdizione del giudice amministrativo per gli atti a contenuto generale, mentre la competenza a conoscere in ordine alle concessioni demaniali appartiene alla giustizia civile "ove risultino impugnati singoli provvedimenti concreti pertinenti alla materia".

Nel caso di specie, ad avviso del Comune, la Ca. Allestimenti s.r.l. avrebbe contestato il provvedimento "concreto" adottato dal Comune di Como denunciando un errato conteggio del canone di concessione.

Con il secondo motivo di appello il Comune oppone la irricevibilità per tardività del ricorso in primo grado della Ca. Allestimenti s.r.l, sia con riguardo alla impugnazione dell'art. 21, comma 1, del Regolamento per l'applicazione del canone per l'occupazione di spazi ed aree pubbliche, approvato con deliberazione del Consiglio comunale n. 58 del 16.11.1998, sia con riguardo alla impugnazione dell'art. 9 del Piano Generale degli impianti pubblicitari approvato con deliberazione del Consiglio comunale n. 63 del 2.10.2000.

Pur non disconoscendo "il principio giurisprudenziale –richiamato dalla sentenza impugnata – secondo cui il termine per la proposizione dell'impugnazione della norma regolamentare decorre non dalla pubblicazione ma dal momento in cui essa sia divenuta concretamente lesiva tramite un atto applicativo" il Comune evidenzia che un operatore professionale - quale è la Ca. Allestimenti s.r.l.- deve conoscere la normativa applicabile all'istanza "in quel territorio e in quel contesto".

La normativa sarebbe comunque divenuta certamente nota e concretamente lesiva non appena il Comune di Como ha manifestato l'intenzione di applicarla con le lettere dell'11 marzo 2008, ricevute dalla Ca. in data 21.3.2008.

Con il terzo motivo di appello il Comune oppone che il T.A.R. Lombardia, nell'annullare l'art. 21 del Regolamento per l'applicazione del Canone per l'occupazione di spazi ed aree pubbliche e la concessione contratto nella parte in cui applica un canone per l'occupazione del suolo pubblico, è incorso nel vizio di ultrapetizione, perché la società Ca. non ha sostenuto nell'originario ricorso che l'applicazione dell'imposta sulla pubblicità escludeva l'applicazione del canone COSAP, ma che il criterio di quantificazione doveva essere parametrato alla superficie di terreno occupata anziché a quella espositiva, con conseguente annullamento del solo primo comma dell'art. 21 limitatamente alle parole "superficie espositiva dell'impianto adibita alla pubblicità, come risulta indicata nell'atto di concessione, con arrotondamento della frazione decimale al mezzo metro quadrato superiore".

Con il quarto motivo di appello il Comune eccepisce la violazione e falsa applicazione dell'art. 63 del D.Lgs. n. 446/1997 nonché dell'art. 9, comma 7, del D.Lgs. n. 570/1993 e la violazione dell'art. 119 della Costituzione, quando il T.A.R. Lombardia si pronuncia per la illegittimità dell'art. 21 del Regolamento in questione con il conseguente annullamento dell'art. 21 stesso e della concessione contratto nella parte in cui applica un canone per l'occupazione di suolo pubblico.

Ciò, assumendo il primo giudice che "...la previsione di un canone oltre l'imposta per la pubblicità determinerebbe una duplice imposizione..." e dunque "...mentre è legittimo pretendere da parte dell'amministrazione che l'autorizzazione all'installazione di strumenti pubblicitari sulla pubblica via sia ricompresa all'interno di un provvedimento concessorio che autorizzi l'utilizzo di suolo pubblico, non è però legittimo pretendere un ulteriore canone per tale occupazione che si aggiunga all'imposta sulla pubblicità poiché la posa in opera di strumenti pubblicitari occupa necessariamente una parte di suolo pubblico".

Si è costituita la Ca. Allestimenti s.r.l., sostenendo che il T.A.R. Lombardia avrebbe correttamente ritenuto la competenza del Giudice Amministrativo nella controversia de qua, perché non è in contestazione il mero calcolo del canone dovuto, bensì il potere dell'Amministrazione di determinare, attraverso il proprio Regolamento COSAP, la tariffa in base alla quale calcolare detto canone, in difformità dai limiti interni ed esterni imposti dalla normativa nazionale e "ciò, evidentemente, consente di attrarre la questione nella giurisdizione del Giudice Amministrativo, non vertendo la controversia in ambito meramente patrimoniale, ma coinvolgendo atti di natura autoritativa e generale".

Circa l'eccezione del Comune di irricevibilità per tardività dell'originario ricorso, la Ca. s.r.l. deduce che "il regolamento comunale, essendo un atto normativo, non può essere impugnato autonomamente bensì congiuntamente ad un atto applicativo e che l'interesse a ricorrere sia divenuto concreto e attuale solamente con il provvedimento definitivo impugnato in quanto unico atto, non avente natura endoprocedimentale, applicativo della regola dettata in via astratta e generale".

Circa il vizio, avanzato dall'appellante di ultrapetizione della sentenza impugnata, la Ca. s.r.l., nell'atto di costituzione e soprattutto nella memoria aggiuntiva, chiarisce che in primo grado la censura non riguardava l'imposta sulla pubblicità.

La Società infatti evidenzia che paga al Comune l'imposta sulla pubblicità distintamente dal canone per l'occupazione del suolo pubblico e che proprio per detta ragione il canone deve essere rapportato non alla superficie espositiva, ma alla reale occupazione di suolo, per cui il contendere riguarda l'illegittimità delle modalità di calcolo del canone COSAP così come definite dal Comune di Como.

Circa il presunto difetto di giurisdizione del Giudice Amministrativo l'appello è infondato perché, come correttamente rilevato dal T.A.R., non è in contestazione il calcolo del canone, ma l'atto amministrativo con cui è stato fissato il criterio impositivo.

Non vi è quindi ragione nel caso in esame per discostarsi da quanto già affermato da questo Consiglio di Stato in materia, per una controversia che attiene ad un atto generale con il quale si stabilisce l'entità dei canoni, variabili in ragione della superficie occupata, dovuti al Comune per la installazione di impianti pubblicitari su suolo pubblico.

In particolare nella sentenza n. 4886 del 2009 viene affermato che "l'atto con il quale si istituiscono o si modificano le tariffe relative alle concessioni amministrative di beni pubblici ha natura regolamentare e rientra nella giurisdizione generale di legittimità del giudice amministrativo.

La stessa natura regolamentare con giurisdizione del giudice amministrativo hanno anche gli atti istitutivi o modificativi di tributi locali.

In materia di concessioni amministrative solo le controversie in ordine alla spettanza e alla misura del canone rientrano nella giurisdizione del giudice ordinario".

Nel caso ora in esame, non è in contestazione infatti la debenza o l'entità del singolo canone o altro corrispettivo dovuto dal destinatario della concessione, ma il potere autoritativo dell'amministrazione pubblica.

Parimenti infondata è l'eccezione dell'appellante circa la irricevibilità per tardività dell'originario ricorso, quanto all'impugnazione dell'art. 21 del Regolamento comunale per l'applicazione del Canone per l'occupazione di aree pubbliche e dell'art. 9 del Piano Generale Comunale degli impianti pubblicitari.

Come riconosce lo stesso Comune è principio consolidato in giurisprudenza che l'interesse a ricorrere interviene quando la lesione diviene concreta ed attuale e che conseguentemente anche il termine per impugnare l'atto decorre dalla data in cui esso viene adottato e trova effettiva applicazione una norma astratta e generale, in quanto tale priva di immediata incidenza sulla posizione del singolo destinatario.

Nei confronti di atti aventi valenza regolamentare, va tenuto conto della distinzione tra regolamenti caratterizzati da requisiti di generalità e astrattezza, che non si traducono in una immediata incisione della sfera giuridica del destinatario, a nulla rilevando che ciò possa accadere in futuro e i regolamenti che contengono, almeno in parte, previsioni destinate alla immediata applicazione (cioè eterogenee rispetto alla natura normativa in senso proprio), in quanto capaci di produrre un immediato effetto lesivo della sfera giuridica del destinatario.

Soltanto in quest'ultimo caso deve valere la regola dell'onere di immediata impugnazione.

Pertanto, rileva l'effettivo contenuto – nella specie non immediatamente lesivo – dell'impugnato regolamento comunale.

D'altronde, a ragionare in senso contrario, si anticiperebbe eccessivamente la soglia della lesività, che sarebbe riscontrata anche nei confronti di atti caratterizzati per astrattezza e generalità, aventi natura solo potenzialmente lesiva, anche in difetto di atti applicativi.

Se quindi la lesione deriva dall'atto di applicazione concreta "le disposizioni regolamentari vanno impugnate congiuntamente al provvedimento applicativo" (Consiglio di Stato, Sez. IV, 12 ottobre 1999, n. 1558).

Risulta invece fondato il terzo motivo di appello concernente la errata applicazione, da parte del T.A.R., dell'art. 112 c.p.c. e dell'art. 34 c.p.a., per violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, laddove viene escluso del tutto il titolo del Comune a riscuotere il canone di occupazione di suolo pubblico, in aggiunta alla imposta sulla pubblicità.

La Ca. Allestimenti s.r.l. nel ricorso introduttivo, come nell'atto di costituzione e nella memoria prodotta in appello, non ha mai sostenuto che l'applicazione dell'imposta sulla pubblicità esclude l'applicazione del canone COSAP, ma ha chiesto che la quantificazione del canone COSAP fosse parametrata non alla superficie espositiva, cioè alla dimensione del cartello e del messaggio, ma alla superficie di terreno occupato.

Non era in discussione pertanto l'annullamento dell'intero articolo 21 del Regolamento del Comune di Como per l'applicazione del Canone per l'occupazione di Spazi e Aree Pubbliche (COSAP): la censura comportava infatti che, in caso di accoglimento del ricorso, il Giudice dovesse pronunciarsi in ordine alla legittimità della "misura" del canone in questione.

Merita così accoglimento il motivo di appello avanzato dal Comune, laddove questi chiede l'annullamento della sentenza del T.A.R. che, dalla ritenuta integrale illegittimità dell'art. 21 del Regolamento del Comune per l'applicazione della COSAP, fa discendere la conseguenza che "la previsione di un canone oltre l'imposta sulla pubblicità determinerebbe una duplice imposizione" e non sarebbe legittimo pretendere un ulteriore canone per l'occupazione di suolo pubblico "che si aggiunga all'imposta sulla pubblicità perché la posa in opera di strumenti pubblicitari occupa necessariamente una parte di suolo pubblico".

Occorre allora approfondire il "petitum" di cui all'originario ricorso della Ca. s.r.l. ed esaminare la normativa di riferimento.

Il decreto legislativo n. 446/1997 agli artt. 62 e 63 disciplina le ipotesi relative rispettivamente al canone per l'installazione di mezzi pubblicitari e al canone per l'occupazione di spazi e aree pubbliche.

Il comma 55 dell'art. 145 della legge n. 388, integra l'art. 9, comma 7, del D.Lgs. 507/1993 relativo all'imposta sulla pubblicità che recitava: "qualora la pubblicità sia effettuata su impianti installati su beni appartenenti o dati in godimento al Comune, l'applicazione dell'imposta sulla pubblicità non esclude quella della tassa per l'occupazione di spazi e aree pubbliche, nonché il pagamento di canone di locazione o di concessione" con la locuzione "commisurati, questi ultimi, alla effettiva occupazione del suolo pubblico del mezzo pubblicitario".

La legge n. 448/2001 integra l'art. 62 del D.Lgs. n. 446/1997, comma II, lettera d), soggiungendo che la determinazione della tariffa deve essere effettuata con criteri di ragionevolezza e gradualità tenendo conto della popolazione residente, della rilevanza dei flussi turistici presenti nel Comune e delle caratteristiche urbanistiche delle diverse zone del territorio comunale e dell'impatto ambientale "in modo che detta tariffa, comprensiva dell'eventuale uso di aree comunali, non ecceda di oltre il 25% le tariffe stabilite ai sensi del D.Lgs. n. 507 del 1993 per l'imposta comunale di pubblicità".

L'ancoraggio effettuato del canone di occupazione di suolo pubblico all'imposta di pubblicità comporta che le vicende e le norme a essa relative si riflettano nella disciplina del canone di occupazione.

Il comma 7 dell'art. 9 del decreto legislativo 15 novembre 1993, n. 507, come modificato dal comma 55 dell'art. 145 della legge 23.12.2000, n. 388 afferma poi che i canoni di locazione devono essere commisurati alla effettiva occupazione di suolo pubblico del mezzo pubblicitario, con la conseguenza che l'ambito di discrezionalità riservato all'Amministrazione comunale risulta, bensì, esteso alla individuazione delle diverse zone e dei diversi beni demaniali comunali sui quali può essere installato il mezzo pubblicitario, ma non alla individuazione dell'oggetto del canone, che è commisurato unicamente alla effettiva occupazione del suolo pubblico, senza alcun riferimento, dunque, alla superficie del mezzo pubblicitario.

Dalla lettura delle varie norme richiamate si evince quale sia la effettiva volontà del legislatore, che detta un indirizzo dal quale il Comune non può discostarsi senza compromettere gli equilibri tributari nel Paese, fatta salva la possibilità dell'ente locale di spaziare nell'ambito delle regole, senza entrare però nella scelta delle regole stesse.

Da ciò deriva la illegittimità dell'art. 21, I comma del Regolamento Comunale per la COSAP, laddove per il calcolo della tariffa si fa riferimento alla quantificazione del canone approvato dalla Giunta Municipale con riguardo alla superficie di occupazione dello spazio pubblico e "con la superficie espositiva dell'impianto adibito alla pubblicità, come risulta nell'atto di concessione".

Conclusivamente l'appello del Comune va parzialmente accolto nella parte in cui il T.A.R., nella sentenza impugnata, incorre in ultrapetizione e quindi esclude del tutto il pagamento del canone O.S.P. in aggiunta alla imposta sulla pubblicità, mentre va affermata la illegittimità parziale dell'art. 21 del Regolamento COSAP, atteso che il canone COSAP deve essere calcolato dal Comune con riferimento alla effettiva occupazione di suolo pubblico, così come convenzionalmente stabilito e non con riguardo alla dimensione del cartello e del messaggio esposto.

Attesa la natura prettamente interpretativa della materia del contendere, ricorrono giusti motivi perché le spese di giudizio siano compensate tra le parti:

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quinta definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie parzialmente e, per l'effetto, dichiara legittimo l'articolo 21 del Regolamento del Comune di Como per l'applicazione della COSAP, con esclusione del I comma di cui è confermata la illegittimità, quanto al calcolo della tariffa, che va invece correttamente effettuato nei termini di cui in motivazione.

Respinge l'appello in ordine alle pregiudiziali e alle altre eccezioni opposte.

Compensa le spese di giudizio tra le parti, come da motivazione.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 17 aprile 2012 con l'intervento dei magistrati:

Luciano Barra Caracciolo - Presidente

Vito Poli - Consigliere

Paolo Giovanni Nicolò Lotti - Consigliere

Antonio Amicuzzi - Consigliere

Carlo Schilardi - Consigliere, Estensore

Depositata in Segreteria il 22 maggio 2012.

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