Nel caso di domanda di risarcimento del danno conseguente al provvedimento amministrativo illegittimo grava sul danneggiato l'onere di provare tutti gli elementi costitutivi dell'illecito

Nel caso di domanda di risarcimento del danno conseguente al provvedimento amministrativo illegittimo grava sul danneggiato l'onere di provare tutti gli elementi costitutivi dell'illecito, quali il danno, la condanna colposa e il nesso di casualità, mentre spetta all'Amministrazione resistente, che ha adattato il provvedimento illegittimo, produrre a sua discolpa elementi idonei a dimostrare la sussistenza di un errore scusabile nell'adozione del provvedimento in questione.(Tribunale Amministrativo Regionale PIEMONTE -Torino Sezione 1, Sentenza del 13 giugno 2008, n. 1369)



- Leggi la sentenza integrale -

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte

(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

Sul ricorso numero di registro generale 925 del 2007, proposto da:

Be. Mo. s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore il Presidente del Consiglio di Amministrazione, Sig. Sa. Ca., rappresentata e difesa dagli avv.ti Vi. No. e Ma. Ba., con domicilio eletto in To., via Ci., (...), presso lo studio dei medesimi;


contro

la Regione Pi., in persona del Presidente pro tempore della Giunta regionale, rappresentata e difesa dall'avv. Gi. Sc., con domicilio eletto presso la medesima in To., piazza Ca., (...);


per l'accertamento

e la dichiarazione di responsabilità esclusiva della Regione Pi., anche a sensi dell'art. 2043 C.C., per la delibera n. 232-7463 del 25 marzo 1996 con la quale veniva negato il richiesto rilascio da parte della ricorrente di nulla-osta per la realizzazione di centro commerciale nel Comune di Be. Mo., delibera annullata dalla sentenza passata in giudicato emessa dal Tar Piemonte, depositata il 21 ottobre 1999, con la conseguente dichiarazione di sua responsabilità per i danni e le spese patite dalla ricorrente e con conseguente condanna della stessa Regione Pi. al risarcimento di tali danni ed al ristoro delle spese, il tutto nella complessiva somma di Euro 2.770.209,03.

Visto il ricorso, con i relativi allegati;

Visti l'atto di costituzione della Regione Pi. e la relativa documentazione;

Viste le memorie delle parti;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del 3 aprile 2008 il Primo Referendario Ivo Correale e uditi i difensori delle parti come specificato nel relativo verbale;

Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:

FATTO

La società Be. s.r.l., nel corso del 1994, presentava domanda per ottenere il prescritto nulla-osta ai fini dell'autorizzazione amministrativa necessaria per l'attivazione nel Comune di Be. Mo., in località I Ve., in corrispondenza del casello di Ov. dell'autostrada A(...), di un centro commerciale con superficie complessiva di vendita di mq. 7476 per diverse tabelle merceologiche.

Si esprimevano in senso favorevole la competente Commissione comunale e il Consiglio Comunale di Be. Mo. nell'estate del 1994, pur se quest'ultimo rappresentava alcune perplessità sulla viabilità, risolvibili, però, provvedendo ad un collegamento diretto all'area del casello autostradale da parte della stessa società interessata.

La Giunta Regionale del Piemonte, invece, con deliberazione n. 232-7463 del 25 marzo 1996, richiamando il parere negativo espresso dal Comune di Ov. e soprattutto il certificato urbanistico esaminato, da cui si evinceva che il P.R.G.C. all'epoca vigente e la variante allo stesso per le aree in esame prevedevano la destinazione ad Area produttiva di nuovo impianto D1 facente parte della categoria aree a destinazione produttiva, sulla base del parere negativo espresso dalla Commissione Regionale Commercio, disponeva di non rilasciare il richiesto nulla-osta per contrasto con lo strumento urbanistico vigente.

Avverso tale deliberazione proponeva ricorso a questo Tribunale la Be. Mo. s.r.l. e questa Sezione, con sentenza n. 591/99 del 21 ottobre 1999, lo accoglieva, disponendo l'annullamento della deliberazione della Giunta Regionale in questione, in quanto il Sindaco del Comune di Be. Mo. era l'unico competente a potere esaminare l'intervento sotto il profilo urbanistico, anche in relazione a previsioni urbanistiche di carattere generale, residuando alla Regione unicamente la valutazione dell'iniziativa sotto il profilo commerciale, sulla base delle indicazioni programmatiche regionali in materia di cui alle delibere consiliari richiamate nella stessa deliberazione di Giunta oggetto di impugnativa.

Essendo intercorsi contatti informali nel corso dell'anno 2000 in relazione alla normativa applicabile, tenendo conto che nel frattempo era entrata in vigore la nuova normativa regionale relativa alle Indicazioni Programmatiche e di Urbanistica Commerciale di cui alla delibera del Consiglio regionale n. 563-13414 del 29 ottobre 1999, la Be. Mo. s.r.l. presentava alla Regione una nuova domanda di autorizzazione in data 17 settembre 2001, specificando, però, che essa non formava acquiescenza alla suddetta sentenza di questo Tribunale. Inoltre, nella relazione tecnica che accompagnava la domanda la medesima società istante precisava: La Società fa presente che non intenderebbe avvalersi degli effetti di tale giudicato preferendo ottenere l'autorizzazione in adeguamento ai contenuti della DCR n. 563-13414/99. Comunque questo intendimento non costituisce acquiescenza e/o rinuncia ad avvalersi della sentenza.

Seguiva, nel corso del 2002, l'accoglimento dell'istanza, la sottoscrizione con il Comune di Be. Mo. di una Convenzione operativa, l'approvazione del relativo P.E.C.O., la presentazione dei lavori di adeguamento della viabilità nei pressi del casello autostradale per lo studio del P.E.C.

Nel corso del 2004 la Be. Mo. s.r.l. citava avanti al Tribunale di Torino la Regione Pi. per sentirla condannare al risarcimento dei danni da lei patiti per il tardivo avvio del centro commerciale in questione ma il Giudice Unico del Tribunale di Torino, con sentenza n. 2293/06 del 5 aprile 2006, dichiarava il difetto di giurisdizione dell'a.g.o., ai sensi dell'art. 35 d.lgs. n. 80/1998.

La Be. Mo. s.r.l., quindi, con ricorso a questo Tribunale notificato il 4 luglio 2007, chiedeva l'accertamento e la dichiarazione di responsabilità esclusiva della Regione Pi. in seguito al diniego di cui alla deliberazione di Giunta annullata da questo Tribunale con la sentenza del 1999 sopra ricordata e la conseguente condanna al risarcimento dei danni, per una somma complessiva pari ad Euro 2.770.209,03.

La società ricorrente, ripercorrendo l'iter del procedimento, evidenziava di avere subito danni relativi all'incremento degli oneri di urbanizzazione primaria e opere di interesse generale, per Euro 237.615,00, al mancato guadagno per impossibilità di cedere a terzi in locazione i locali realizzati, per Euro 600,000, alla perdita di chance commerciale, alla lunga inattività, ai maggiori costi connessi agli interventi necessari per la dovuta manutenzione ed esecuzione delle opere, alla perdita di avviamento per la situazione economica regionale gravemente peggiorata rispetto al 1996, al danno all'immagine.

La Be. Mo. s.r.l., quindi, richiamava i principi sul risarcimento del danno da lesione di interesse legittimo, di cui alla sentenza della Suprema Corte di Cassazione n. 500 del 1999 in relazione all'applicabilità dell'art. 2043 c.c., come ulteriormente ribadititi da successive pronunce della medesima Corte, evidenziando che nel caso di specie la Regione Pi. era incorsa in evidente colpa fondando il diniego sulla ritenuta applicabilità di norme urbanistiche invece di competenza del Comune e dando luogo al danno ingiusto da lei sofferto.

La società ricorrente, quindi, elencava le voci di danno, quantificabili per quanto possibile, e chiedendo anche prova testimoniale su determinati capitoli ed eventuale C.T.U. per accertare l'ammontare dei danni patiti e delle spese sostenute.

Si costituiva in giudizio la Regione Pi. chiedendo la reiezione del ricorso.

In prossimità dall'udienza pubblica entrambe le parti costituite depositavano memorie ad ulteriore illustrazione delle proprie tesi difensive.

La società ricorrente insisteva sulla sussistenza di colpa dell'Amministrazione mentre la Regione Pi. escludeva tale presupposto e confutava, in subordine, la quantificazione dei danni come prospettata, ritenendola sfornita di prova idonea.

All'odierna udienza la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

Il Collegio rileva che il presente contenzioso verte su una domanda di risarcimento del danno in seguito all'annullamento in sede giurisdizionale di un provvedimento amministrativo che aveva negato un nulla-osta, con conseguente slittamento dei tempi di avvio dell'iniziativa commerciale cui la richiesta di nulla-osta tendeva.

Come già precisato di recente da questo Tribunale (TAR Piemonte, Sez. I, 26.2.2008, n. 303) la giurisprudenza amministrativa formatisi successivamente alla nota decisione delle Sezioni Unite Civili della Corte di Cassazione n. 500/1999, richiamata anche dalla società ricorrente, con motivazioni per le quali non si rinvengono elementi per dissentire, ha precisato che ai fini dell'ammissibilità della domanda risarcitoria conseguente all'annullamento di un provvedimento amministrativo illegittimo, non è sufficiente il solo annullamento del provvedimento lesivo da parte del giudice amministrativo all'uopo adito ma deve sussistere e conseguentemente essere primariamente valutato l'elemento psicologico soggettivo corrispondente almeno alla colpa della p.a., atteso che la responsabilità patrimoniale della p.a. conseguente al detto annullamento deve essere comunque inserita nel sistema delineato dall'art. 2043 c.c. in tema di responsabilità aquiliana (tra le tante, Cons. Stato, Sez. IV, 11.10.06, n. 659 e TAR Sicilia-Pa, Sez.II, 6.9.07, n. 1985).

Ne deriva, quindi, che proprio per la riconducibilità della fattispecie nello schema della responsabilità extracontrattuale, l'imputazione alla p.a. non è mera automatica conseguenza del dato oggettivo corrispondente all'illegittimità del provvedimento amministrativo ma richiede anche l'accertamento in concreto del requisito almeno della colpa, da ravvisarsi nell'adozione dell'annullato provvedimento in evidente violazione delle regole di imparzialità, correttezza e buona amministrazione, quali regole che si pongono come limite esterno alla discrezionalità amministrativa (TAR Lazio, Sez. II bis, 10.10.07, n. 9934).

Sulla base di tali premesse, perciò, può concludersi che in virtù di un precedente annullamento giurisdizionale, come nel caso di specie, la conseguente domanda di risarcimento vede gravare sul (ritenuto) danneggiato l'onere di provare tutti gli elementi costitutivi dell'illecito, quali il danno, la condotta colposa come sopra intesa e il nesso di causalità mentre spetta all'amministrazione resistente, che ha adottato il provvedimento illegittimo, produrre a sua discolpa elementi idonei a dimostrare la sussistenza di un errore scusabile nell'adozione del provvedimento in questione (Cons. Stato, Sez. VI, 9.11.06, n. 6607).

Tali elementi possono essere individuati, senza pretesa di esaustività e da considerarsi, comunque, sempre in relazione al caso concreto, nella non grave e reiterata violazione commessa, nella sussistenza di precedenti giurisprudenziali contrastanti, nella difficoltà e non univocità dell'interpretazione del testo normativo di riferimento (C.G.R.S., Sez. giur., 4.9.07, n. 717).

Tali principi, applicabili alla fattispecie in esame, non sono in effetti sfuggiti alle parti costituite, le quali incentrano proprio sulla sussistenza o meno dell'elemento della colpa le proprie argomentazioni, soprattutto nelle memorie difensive, dando per sussistente, evidentemente, il danno subito ed il relativo nesso di causalità.

Il Collegio rileva in proposito che indipendentemente dalla effettiva sussistenza nel caso concreto di tali altri due necessari presupposti - quali il danno e il relativo nesso di causalità - in effetti in assenza del requisito soggettivo della colpa la domanda risarcitoria non potrebbe trovare accoglimento, per cui è corretto soffermarsi principalmente sulla verifica della sussistenza di tale elemento nella fattispecie in esame.

Sostiene parte ricorrente che la motivazione del provvedimento regionale annullato in sede giurisdizionale, per la quale erano ritenute sussistenti condizioni ostative di natura urbanistica, con ammissione di attività commerciali nelle aree considerate solo se connesse agli usi industriali ed artigianali e di deposito per il 20% delle superfici utili destinabili, non teneva conto che, dopo un'iniziale fase di incertezza, al momento dell'adozione del provvedimento in questione, la giurisprudenza si era orientata nel ritenere esaminabile da parte dell'amministrazione regionale, nei limiti delle sue competenze, solo il profilo legato alla disciplina dell'attività commerciale ma non quello legato alla destinazione urbanistica, come d'altronde rilevato anche da questo Tribunale nella relativa sentenza di annullamento. Per la società ricorrente, quindi, l'avere fondato solo su profili urbanistici il diniego, quando la medesima Regione Pi. aveva comunque valutato favorevolmente sotto il profilo commerciale l'iniziativa in oggetto, era ex sé prova della condotta colposa dell'amministrazione che non aveva considerato le conclusioni opposte della giurisprudenza - e del conseguente danno causato dall'illegittimo diniego.

La Regione Pi., dal canto suo, esclude che fosse pacifica, all'epoca di adozione del provvedimento in questione, la conclusione per la quale il rilascio del nulla-osta in questione fosse estraneo a valutazioni di ordine urbanistico, come attestato da numerosa giurisprudenza richiamata e soprattutto come evidenziato in una decisione del 1991 del Consiglio di Stato che faceva riferimento proprio alla necessità per l'amministrazione regionale di valutare la richiesta anche sotto il profilo urbanistico, secondo le disposizioni degli artt. 11 e 12 della l.n. 426/1971.

Sul punto il Collegio ritiene di condividere le osservazioni della Regione Pi.

Infatti tanto nel ricorso introduttivo quanto nella memoria per la pubblica udienza, la società ricorrente non richiama alcuna sentenza o decisione del Giudice amministrativo che attesti che nel 1996 era da considerarsi pacifica la conclusione per la quale, in applicazione degli artt. 11 e 12 l. n. 426/1971 all'amministrazione regionale fosse precluso l'esame di profili urbanistici in ordine al rilascio del nulla-osta commerciale in questione.

Nessun richiamo specifico è presente nel ricorso introduttivo - il quale si limita ad affermare che questo TAR aveva evidenziato che la Giunta regionale aveva effettuato una constatazione che non rientrava nella sua competenza per giungere alla (apodittica) conclusione invece ivi contenuta per cui era evidente la colpa in capo alla Regione Pi. Ma, come sopra evidenziato, non è sufficiente il mero annullamento del provvedimento amministrativo per fondare la responsabilità ex art. 2043 c.c. in capo all'amministrazione procedente, necessitando, appunto, anche la dimostrazione dell'elemento soggettivo della colpa, escludibile in caso di dimostrazione da parte dell'amministrazione intimata di un errore scusabile dovuto all'incertezza giurisprudenziale al momento dell'adozione del provvedimento poi annullato (TAR Piemonte, Sez. I, n. 303/2008 cit.).

Così pure risulta apodittica l'affermazione della società ricorrente, di cui a pag. 4 della memoria per la pubblica udienza, secondo la quale ...la giurisprudenza dopo un'iniziale fase di incertezza, al momento dell'adozione del provvedimento come sopra annullato si era orientata nel ritenere che le domande di apertura di esercizio commerciale devono essere esaminate dall'Amministrazione regionale soltanto in riferimento alla disciplina dell'attività commerciale, atteso che tale affermazione non appare corroborata da nessun specifico richiamo giurisprudenziale o dall'allegazione di un numero elevato di pronunce in tale senso che consentano di ritenere acquisita e quindi pacifica, nel 1996, la conclusione invocata dalla Be. Mo. s.r.l.

Al contrario, la Regione Pi. ha evidenziato un numero sufficiente di sentenze del giudice amministrativo che, ancora nel 1996, escludevano tale conclusione, ritenendo possibile per l'amministrazione regionale l'esame della domanda in relazione a profili urbanistici.

E' sufficiente richiamare la decisione della Sezione Quinta del Consiglio di Stato, n. 3639/2000 che, ancora in epoca successiva a quella dei fatti e della sentenza di questo Tribunale del 1999, evidenziava di essere in disaccordo con la tesi che voleva una rigida distinzione di poteri in ambito di procedimento di autorizzazione commerciale, affermando che ...Quanto all'uso del territorio, per altro, le materie dell'urbanistica e del commercio sono tra loro interferenti e nell'attuale sistema legislativo sono positivamente coordinate...La disciplina urbanistica riguarda, in particolare, la funzione pianificatoria nell'esercizio della quale i vari modi di uso del territorio, inclusi quelli relativi al commercio, sono tra loro armonizzati stabilendo innanzitutto i caratteri delle diverse zone territoriali, ai quali, poi, la destinazione degli immobili di cui sia consentita la localizzazione nelle singole zone deve conformarsi. Per altro verso, la normativa in materia di commercio, nel definire le finalità fondamentali del piano di sviluppo commerciale, prescrive, in coerenza, che esso dev'essere redatto nel rispetto delle previsioni urbanistiche (art. 11 della l. 11 giugno 1971 n. 4269) e, dunque, in conformità delle scelte di pianificazione territoriale...Appare opportuno evidenziare, al riguardo, come il legislatore abbia provveduto ad integrare il quadro normativo in materia di urbanistica nel corpo di una legge concernente il commercio, con chiare finalità di coordinamento tra le relative pianificazioni e, per altro, istituendo un rapporto di sovraordinazione della disciplina urbanistica rispetto a quella commerciale. Il Consiglio di Stato, quindi, ancora nel 2000 concludeva nel senso che ...la distribuzione degli esercizi commerciali deve rispettare le previsioni del piano urbanistico e delle norme che lo integrano, di talchè non può non scaturirne l'obbligo di conformarsi ad esse anche nell'adozione degli atti applicativi del piano di commercio e cioè dei singoli atti autorizzatori.

Ad analoghe conclusioni, poi, erano pervenute altre sentenze, puntualmente richiamate dalla Regione Pi., che sia nell'anno 1996 che successivamente, anche all'epoca della precedente sentenza di questo Tribunale, erano pervenute ad enucleare principi analoghi a quelli ancora ribaditi nel 2000 dal Consiglio di Stato (TAR Lazio, Lt, 8.8.95, n. 621, in ordine alla negabilità di autorizzazioni commerciali per contrasto con la destinazione di zona; TAR Campania, Sez. IV, 26.2.96, n. 164 in ordine all'obbligo di valutazione della destinazione d'uso dei locali in sede di rilascio di autorizzazioni commerciali per somministrazione; TAR Campania, Na, Sez.III, 23.11.98, n. 3528, in ordine all'obbligo per l'Amministrazione di verificare la compatibilità tra l'attività che si intende esercitare e il rispetto delle norme per la destinazione d'uso dei locali, e 24.2.99, n.522, in ordine alla necessità di valutare la particolare destinazione urbanistica di zona al momento di assentire un'autorizzazione commerciale; TAR Lazio, Sez. II ter, 31.3.99, n. 1054, in ordine alla negabilità di autorizzazioni commerciali per ragioni specifiche di valenza urbanistica), per cui al Collegio appare evidente, in assenza di allegazione contraria di parte ricorrente, che la giurisprudenza, nel 1996, non era pacifica e concorde nell'escludere la configurabilità di valutazioni di ordine urbanistico nel corso del procedimento di rilascio di titoli abilitativi nel settore del commercio.

La stessa sentenza di questa Sezione n. 591/1999 non fonda la sua decisione sulla base di richiami giurisprudenziali ovvero affermando che il principio di cui faceva applicazione era da considerarsi ormai pacifico ma si limitava a dare luogo ad una ragionamento giuridico specifico sulla base delle ripartizioni di competenze tra gli enti territoriali interessati, secondo una logica che lo stesso Consiglio di Stato, nella su ricordata sentenza n. 3639/2000, non dimostra di condividere.

Indipendentemente dall'approfondimento di tale questione specifica sulla valutabilità di profili urbanistici nell'ambito del procedimento di rilascio di titoli commerciali che non rileva nella presente sede e su cui il Collegio non è chiamato a pronunciarsi appare indubbio che il punto controverso, all'epoca di adozione del provvedimento impugnato, non era affatto pacifico, così da considerare la condotta dell'amministrazione regionale che aveva dato alla deliberazione di Giunta n. 232-7463 del 25 marzo 1996 inidonea a configurare la presenza di colpa, data la sussistenza di precedenti giurisprudenziali contrastanti (TAR Piemonte, Sez. I, n. 303/2008 cit. e C.G.R.S., n. 717/07 cit.).

Alla luce di quanto illustrato, quindi, la domanda di risarcimento non può trovare accoglimento per carenza del requisito soggettivo della colpa dell'amministrazione intimata e, di conseguenza, non possono essere esaminate neanche le ulteriori argomentazioni della società ricorrente, integrate nella memoria per l'udienza di merito, in ordine al quantum della pretesa risarcitoria e alla necessità di dare luogo, sul punto, a prova testimoniale e a Consulenza Tecnica d'Ufficio.

Sussistono comunque giusti motivi per compensare integralmente tra le parti le spese del giudizio, attesa la peculiarità della vicenda e l'evidenziata incertezza giurisprudenziale.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale del Piemonte, Sezione 1^ rigetta il ricorso in epigrafe.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Torino nella camera di consiglio del 3 aprile 2008 con l'intervento dei Magistrati:

Franco Bianchi, Presidente

Paolo Giovanni Nicolò Lotti, Primo Referendario

Ivo Correale, Primo Referendario, Estensore

INDICE
DELLA GUIDA IN Amministrativo

OPINIONI DEI CLIENTI

Vedi tutte

ONLINE ADESSO 716 UTENTI