Contenzioso in materia di anatocismo bancario

Illegittima la capitalizzazione trimestrale degli interessi dovuti dalla clientela alle Banche in quanto basata su un uso negoziale e non su un uso normativo come esige l'articolo 1283 del codice civile.

L’anatocismo esprime un metodo di calcolo degli interessi per il quale gli interessi maturati secondo una certa periodicità, pattuita tra creditore e debitore, sono essi stessi produttivi di altri interessi, cioè sono sommati al capitale dato in prestito (capitalizzati) in modo tale da contribuire (insieme al capitale) a maturare altri interessi nei periodi successivi. Questo metodo di calcolo favorisce il creditore a discapito del debitore, in quanto con l’anatocismo aumentano gli interessi da corrispondere al creditore. Ciò era proprio quello che accadeva in sede di liquidazione degli interessi sui conti correnti bancari. Infatti, con tale sistema quasi tutte le Banche liquidavano gli interessi a debito del correntista con frequenza trimestrale, mentre liquidavano gli interessi a credito dello stesso solo con cadenza annuale. Ciò provocava quindi un disallineamento nella maturazione tra gli interessi a debito e quelli a credito sul conto corrente del cliente, che si andava ad aggiungere al fenomeno dell’anatocismo, perché venivano calcolati interessi su interessi. Il divieto dell’anatocismo (bancario e non) è sempre esistito nel nostro ordinamento giuridico in virtù dell’art.1283 del Codice Civile. Tuttavia le Banche applicavano la sopraesposta metodologia di calcolo degli interessi sui conti correnti perché tale comportamento consuetudinario era stato ampiamente avallato dalla giurisprudenza, almeno fino al momento in cui ha preso il via tutto il processo di revisione interpretativa delle norme riguardanti la fattispecie dell’anatocismo. Processo cui ha dato inizio l’art. 25 del Decreto Legislativo n. 342/1999, comma 2, che, introducendo un nuovo comma all’art. 120 del D.Lgs. n. 385/1993 (Testo Unico Bancario), ha previsto la possibilità di stabilire, tramite un’apposita delibera del Cicr (Comitato Interministeriale per il Credito e Risparmio), le modalità ed i criteri di produzione degli interessi sugli interessi (anatocismo), maturati nell’esercizio dell’attività bancaria, purché fosse rispettata la stessa periodicità sia nel conteggio sui saldi passivi, sia su quelli attivi.
In sostanza, la volontà legislativa, trasfusa nel Testo Unico bancario, è andata nel senso di affermare la  non illegittimità del comportamento delle Banche qualora queste provvedano a liquidare periodicamente non solo gli interessi maturati a loro favore, ma anche quelli a credito del correntista. È sufficiente il riconoscimento di questa reciprocità di trattamento e quindi la contabilizzazione sul conto corrente di eventuali interessi a credito della clientela, per essere in regola con le norme legislative disciplinanti il complesso fenomeno dell’anatocismo. Il sigillo ufficiale al suddetto nuovo corso in tema di calcolo degli interessi bancari è stato poi apposto con l’emanazione di tale delibera del C.I.C.R., in data il 9 febbraio 2000, la quale ha definitivamente fissato il momento di decorrenza dell’obbligo, a carico delle Banche, di riconoscere ai correntisti pari periodicità nella liquidazione degli interessi. Questo momento è venuto quindi a coincidere con la liquidazione degli interessi in data 30 giugno 2000. E questa data è di grandissima rilevanza ai fini del ricalcolo degli interessi anatocistici. Il processo di revisione della materia è poi culminato con la definitiva sentenza del 4 novembre 2004, n. 21095, delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, nella quale in sostanza si è affermata l’illegittimità, anche per il passato, degli addebiti bancari per anatocismo. Tale sentenza ha provocato il proliferare delle cause, promosse da clienti o da ex clienti nei confronti delle banche, per la restituzione degli interessi anatocistici addebitati in conto corrente. Allo scopo di valutare la convenienza o meno di un’eventuale richiesta di rimborso nei confronti della banca va preliminarmente  quantificato l’importo degli interessi anatocistici. Importantissima a tale fine è la determinazione del momento iniziale e finale del periodo incriminato (per il quale vanno fatti i calcoli). Il momento finale è necessariamente quello sopra indicato della liquidazione di giugno 2000, perché da tale mese le Banche si sono adeguate alla normativa antianatocistica e pertanto da allora gli interessi maturati sui conti correnti sono per definizione legittimi. Di conseguenza qualsiasi ricalcolo degli interessi sugli interessi deve fermarsi agli interessi liquidati a marzo 2000, in quanto questi sono da considerarsi gli ultimi interessi anatocistici prodotti dal sistema bancario italiano. Tutto quello che è successo sul conto corrente dopo il 31 marzo 2000 è completamente irrilevante ai fini dell’anatocismo ed il periodo successivo (fino ad oggi ovvero fino all’estinzione del conto) è da prendere in considerazione solo per la normale rivalutazione (in base ai tassi d’interesse) delle somme dovute risultanti dai nuovi conteggi effettuati. Quanto detto comporta la necessaria conseguenza che i conti correnti aperti successivamente al 31 marzo 2000 sono completamente al di fuori della tematica anatocistica e pertanto nulla può essere reclamato alle Banche dai titolari di detti conti correnti. Più controversa è la determinazione del momento iniziale da prendere in considerazione per rifare i calcoli computistici dell’interesse sui conti correnti. Premettendo che il termine di prescrizione per richiedere eventuali somme pagate in più è quello ordinario di 10 anni, la domanda alla quale va data risposta è da quando partono questi 10 anni, in modo da risalire al momento iniziale del periodo. Sul punto sussistono due orientamenti giurisprudenziali decisamente contrastanti. Da una parte, alcune sentenze di merito sottolineano la rilevanza giuridica dei singoli atti di addebito periodico degli interessi e quindi la prescrizione decennale dovrebbe riguardare i 10 anni antecedenti la data di presentazione della domanda giudiziale di rimborso degli interessi anatocistici. Dall’altra parte, alcune sentenze dei Tribunali italiani evidenziano invece il carattere unitario del conto corrente, e non i singoli movimenti di addebito degli interessi. Questo atteggiamento ha effetti più radicali perché porta ad identificare la data da cui parte la prescrizione decennale con l’estinzione del conto corrente (quindi la data iniziale del periodo sarebbe quella calcolata andando 10 anni indietro rispetto al giorno d’estinzione del rapporto). Inoltre, per effetto di questa interpretazione giurisprudenziale potrebbe verificarsi la fattispecie, di non poco rilevo, che per i conti correnti ancora in essere, non avendo essi un termine di decorrenza della prescrizione, si potrebbe richiedere il rimborso degli interessi pagati in più (per effetto dell’anatocismo) addirittura dalla loro costituzione, anche se questa risale alla notte dei tempi. Tale seconda tesi, sicuramente più “pesante” nei confronti del Sistema bancario, è quella che ha preso maggior forza di recente nelle aule dei Tribunale italiani. In ogni caso, nell’ambito delle cause della specie, le banche risultano sempre soccombenti in diritto, per cui l’orientamento assunto dalla maggior parte di esse è quello di giungere ad una definizione transattiva della causa promossa dal cliente, sulla scorta del presupposto che la prosecuzione del giudizio sia economicamente svantaggiosa per la banca, che andrebbe incontro ad una sicura condanna alla restituzione dell’importo reclamato, oltre al pagamento delle spese legali di controparte, delle proprie e di quelle relative all’eventuale consulenza tecnica d’ufficio (che in tali controversie viene di norma disposta dal Giudice adito al fine di quantificare la somma da restituire). La domanda di restituzione delle somme illegittimamente addebitate in conto corrente per anatocismo bancario può essere (come spesso avviene nella prassi) accompagnata anche dalla richiesta di restituzione delle commissioni di massimo scoperto (ora fuori legge, ma in passato applicate da tutte le banche), da quella di restituzione delle somme addebitate per interessi ultralegali (nell’ipotesi in cui la Banca abbia appunto addebitato interessi superiori a quello legale senza espressa approvazione scritta da parte del cliente del tasso d’interesse specificamente applicato) ed infine da quella di restituzione delle somme illegittimamente addebitate a seguito del superamento dei tassi soglia anti-usura previsti tempo per tempo dalla legge. Anche per le somme predette infatti la banca, nell’ipotesi di citazione in giudizio da parte del cliente, persegue di regola la transazione bonaria della controversia, per non rischiare di arrivare ad una sentenza di condanna, molto più onerosa nei suio confronti, per quanto sopra esposto.

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