Se il conto corrente è cointestato debito e credito solidale si dividono in quote uguali solo se non risulti diversamente

Nel conto corrente bancario intestato a più persone, i rapporti interni tra correntisti, anche aventi facoltà di compiere operazioni disgiuntamente, sono regolati non dall'articolo 1854 c.c., riguardante i rapporti con la banca, bensì dal secondo comma dell'articolo 1298 c.c., in virtù del quale debito e credito solidale si dividono in quote uguali solo se non risulti diversamente; ne consegue che, ove il saldo attivo risulti discendere dal versamento di somme di pertinenza di uno solo dei correntisti, si deve escludere che l'altro possa, nel rapporto interno, avanzare diritti sul saldo medesimo.

Corte di Cassazione, Sezione 2 civile, Sentenza 4 gennaio 2018, n. 77



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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MAZZACANE Vincenzo - Presidente

Dott. COSENTINO Antonello - Consigliere

Dott. PICARONI Elisa - Consigliere

Dott. SCARPA Antonio - rel. Consigliere

Dott. CASADONTE Annamaria - Consigliere

ha pronunciato la seguente:
 

SENTENZA

sul ricorso 27055/2013 proposto da:

(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell'avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende ex articolo 86 c.p.c.;

- ricorrente -

contro

(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell'avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende;

- controricorrente -

avverso la sentenza n. 2654/2013 della CORTE D'APPELLO di ROMA, depositata il 10/05/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 16/11/2017 dal Consigliere Dott. ANTONIO SCARPA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SALVATO Luigi, il quale ha concluso per l'accoglimento del primo e del secondo motivo di ricorso e l'assorbimento dei restanti motivi;

uditi gli Avvocati (OMISSIS) e (OMISSIS) per delega dell'Avvocato (OMISSIS).

FATTI DI CAUSA

L'avvocato (OMISSIS) ha proposto ricorso articolato in sei motivi avverso la sentenza della Corte d'Appello di Roma n. 2654/2013, depositata il 10 maggio 2013, la quale ha rigettato l'impugnazione principale dello stesso (OMISSIS) ed ha parzialmente accolto l'appello incidentale di (OMISSIS) contro la pronuncia di primo grado n. 6439/2005 resa dal Tribunale di Roma, condannando (OMISSIS) a pagare al fratello (OMISSIS) la somma di Euro 77.972,01, oltre interessi legali dal 18 marzo 1995 al saldo.

(OMISSIS) resiste con controricorso. (OMISSIS), con citazione dell'8 giugno 1999, convenne il fratello (OMISSIS) davanti al Tribunale di Roma, chiedendo che quest'ultimo fosse dichiarato debitore della cifra di Lire 557.245.071, pari alla meta' della somma depositata sul conto corrente Cornelio, aperto in cointestazione da (OMISSIS) e dalla madre (OMISSIS) il 26 maggio 1994 presso la banca (OMISSIS) S.A., somma abusivamente prelevata dal convenuto. Assunse l'attore che l'iniziale provvista di oltre 900.000.000 di lire versata sul conto cointestato alla sua apertura fosse di esclusiva proprieta' della signora (OMISSIS), la quale aveva comunque poi appreso nell'aprile del 1997 che era stata disposta la chiusura del medesimo conto con autorizzazione recante la propria firma contraffatta, oltre che la firma di (OMISSIS), e che era stato trasferito il saldo esistente su altro conto corrente denominato (OMISSIS). L'attore aggiunse che la Banca aveva anche trattenuto in pegno alcuni titoli gestiti sul conto cointestato per la mancata restituzione di un mutuo rilasciato al fratello (OMISSIS); di tal che affermo' che il debito gravante su (OMISSIS) fosse pari a titoli e contanti disponibili al momento della chiusura, oltre a quelli incamerati dall'istituto per il mutuo rimasto inadempiuto. Il Tribunale accolse la domanda di (OMISSIS) e condanno' il fratello (OMISSIS) a pagare la somma di Euro 155.944,02 (pari alla meta' del saldo esistente in base all'estratto al 31 marzo 1995), oltre accessori, ritenendo apocrifa la sottoscrizione di Erminia (OMISSIS), nonche' superata la presunzione di comproprieta' delle somme versate sul conto (OMISSIS). La Corte d'Appello di Roma ha poi respinto l'impugnazione principale di (OMISSIS), affermando che "non puo' essere condivisa la tesi dell'appellante che sostiene che il fratello dovrebbe restituire anche i soldi presi a mutuo, sia perche' non e' chiaro chi effettivamente fosse la parte mutuataria (considerato sia il tenore della denuncia-querela che il testamento), sia perche' in ogni caso non risulta che alla data di chiusura del conto la banca fosse obbligata per ulteriori somme". La sentenza impugnata ha invece parzialmente accolto l'appello incidentale di (OMISSIS), sostenendo che non potesse dirsi superata la presunzione di proprieta' comune delle somme cointestate sul conto depositato, non avendo la signora (OMISSIS) provato "la fonte delle ingenti somme depositate sul conto", e negando rilevanza alle circostanze, al contrario, valorizzate dal Tribunale, quali la vendita di immobili da parte di (OMISSIS), o la notevole esposizione debitoria di (OMISSIS) verso la madre (Lire 385.000.000), come da assegno emesso da questo in favore della (OMISSIS), assegno del quale, pero', la Corte d'Appello ha detto non esser chiara la causale, aggiungendo che era comunque intenzione della madre rimettere tale debito, stando al testamento del 3 ottobre 1996, poi revocato.

Le parti hanno presentato memorie ai sensi dell'articolo 378 c.p.c..

RAGIONI DELLA DECISIONE

Il primo motivo di ricorso di (OMISSIS) deduce la violazione degli articoli 112 e 115 c.p.c. (e articolo 111 Cost., comma 2) indicando le deduzioni istruttorie avanzate dal ricorrente per superare la presunzione di comproprieta' delle somme esistenti sul conto corrente cointestato (trascritte nella parte espositiva del ricorso) e rimaste senza risposta nella sentenza impugnata.

Il secondo motivo di ricorso di (OMISSIS) denuncia l'omesso esame di fatti controversi e decisivi, facendo riferimento sempre ai fatti che avrebbero consentito di superare la presunzione di comproprieta'.

Il terzo motivo di ricorso di (OMISSIS) allega ancora un omesso esame di fatti anche in relazione all'articolo 115 c.p.c., quanto all'affermazione della Corte d'Appello di Roma secondo cui "non e' chiaro chi effettivamente fosse la parte mutuataria (considerato sia il tenore della denuncia-querela che il testamento)", e "in ogni caso non risulta che alla data di chiusura del conto la banca fosse obbligata per ulteriori somme".

Il quarto motivo di ricorso denuncia l'omesso esame di fatti anche in relazione all'articolo 2727 c.c. e ss., ed all'articolo 115 c.p.c., quanto alle "vendite" di proprieta' immobiliari compiute da (OMISSIS), che avrebbero potuto alimentare la provvista sul conto cointestato.

Il quinto motivo di ricorso allega la violazione degli articoli 2727 2729 c.c., circa l'uso delle presunzioni fatto dalla Corte d'Appello.

Il sesto motivo di ricorso censura l'omesso esame quanto alla documentazione allegata alla lettera della (OMISSIS) del 22 aprile 1997, che negava qualsiasi versamento di somme sul conto (OMISSIS) dopo quello iniziale.

Il settimo motivo di ricorso deduce la violazione degli articoli 112 e 115 c.p.c., in quanto lo stesso convenuto (OMISSIS) si era difeso gia' nel costituirsi in primo grado senza allegare di aver in qualche modo alimentato la somma depositata sul conto cointestato.

I sette motivi di ricorso vanno esaminati congiuntamente per la loro connessione e si rivelano fondati nei limiti di seguito precisati.

Va premesso come l'articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riformulato dal Decreto Legge 22 giugno 2012, n. 83, articolo 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, applicabile nella specie ratione temporis, abbia introdotto nell'ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all'omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell'articolo 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e articolo 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il "fatto storico", il cui esame sia stato omesso, il "dato", testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il "come" e il "quando" tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua "decisivita'", fermo restando che l'omesso esame di elementi istruttori non integra, di per se', il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorche' la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie. Non di meno, pur dopo tale riformulazione dell'articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, rimane denunciabile in cassazione l'anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all'esistenza della motivazione in se', purche' il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella "mancanza assoluta di motivi sotto l'aspetto materiale e grafico", nella "motivazione apparente", nel "contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili" e nella "motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile", esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di "sufficienza" della motivazione (Cass. Sez. U, 07/04/2014, n. 8053).

La sentenza della Corte d'Appello di Roma risulta allora strutturata su una motivazione apparente, o comunque obiettivamente incomprensibile, in quanto essa ha respinto l'impugnazione principale di (OMISSIS) e parzialmente accolto l'appello incidentale di (OMISSIS), senza rendere percepibile il fondamento della decisione, precludendo all'attuale ricorrente la possibilita' di assolvere l'onere probatorio su di esso gravante e ricorrendo ad argomentazioni inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento.

Riformando sul punto la decisione del Tribunale, la Corte d'Appello ha ritenuto non superata la presunzione di proprieta' comune delle somme cointestate sul conto depositato, non avendo la signora (OMISSIS) provato "la fonte delle ingenti somme depositate sul conto"; la Corte di Roma ha poi negato rilevanza alle circostanze dell'avvenuta vendita di immobili da parte di (OMISSIS), della notevole esposizione debitoria del medesimo (OMISSIS) verso la madre (documentata da assegno di Lire 385.000.000), e della soggezione di (OMISSIS) a numerose procedure esecutive, anche da parte della stessa (OMISSIS). Di conseguenza, la Corte d'Appello ha diviso tra i due correntisti cointestatari il saldo attivo esistente sul conto al 31 marzo 1995.

Quanto alla vicenda che la Banca avesse incamerato alcuni titoli gestiti sul conto cointestato in conseguenza della mancata restituzione di un mutuo rilasciato a (OMISSIS) e garantito con gli stessi titoli, la Corte d'Appello ha sostenuto che "non e' chiaro chi effettivamente fosse la parte mutuataria" e che "in ogni caso non risulta che alla data di chiusura del conto la banca fosse obbligata per ulteriori somme".

La causa va sottoposta a nuovo esame, dovendo la Corte d'Appello uniformarsi ai principi piu' volte ribaditi da questa Corte, secondo cui nel conto corrente bancario intestato a piu' persone, i rapporti interni tra correntisti, anche aventi facolta' di compiere operazioni disgiuntamente, sono regolati non dall'articolo 1854 c.c., riguardante i rapporti con la banca, bensi' dal secondo comma dell'articolo 1298 c.c., in virtu' del quale debito e credito solidale si dividono in quote uguali solo se non risulti diversamente; ne consegue che, ove il saldo attivo risulti discendere dal versamento di somme di pertinenza di uno solo dei correntisti, si deve escludere che l'altro possa, nel rapporto interno, avanzare diritti sul saldo medesimo. Peraltro, pur ove si dica insuperata la presunzione di parita' delle parti, ciascun cointestatario, anche se avente facolta' di compiere operazioni disgiuntamente, nei rapporti interni non puo' disporre in proprio favore, senza il consenso espresso o tacito dell'altro, della somma depositata in misura eccedente la quota parte di sua spettanza, e cio' in relazione sia al saldo finale del conto, sia all'intero svolgimento del rapporto (cfr. Cass. Sez. 2, 02/12/2013, n. 26991; Cass. Sez. 2, 19/02/2009, n. 4066; Cass. Sez. 1, 01/02/2000, n. 1087; Cass., Sez. 1, 09/07/1989, n. 3241). Al fine, allora, di ritenere non superata la presunzione di comproprieta' in relazione al conto corrente (OMISSIS), cointestato a (OMISSIS) ed alla madre (OMISSIS), occorrera' spiegare perche', a fronte delle deduzioni istruttorie di (OMISSIS), risulti non provato che i versamenti fossero stati compiuti con denaro appartenente soltanto alla (OMISSIS).

D'altro canto, deve essere accertato e spiegato se sussista, o meno, pur a fronte della presunzione derivante dalla cointestazione del conto, la dedotta (da (OMISSIS)) assoluta estraneita' di (OMISSIS) all'operazione di costituzione in pegno di titoli, gestiti sul conto, in favore della banca mutuante (OMISSIS) a garanzia del rimborso di un finanziamento erogato a (OMISSIS), in quanto tale prospettazione renderebbe non riferibile solidalmente la movimentazione, e la relativa esposizione debitoria, al saldo del conto corrente.

In conclusione, in accoglimento del ricorso, la sentenza impugnata deve essere cassata, con conseguente rinvio, anche per le spese del presente giudizio, ad altra sezione della Corte di Appello di Roma per una nuova delibazione, sulla base dei principi di diritto sopra enunciati e dei rilievi svolti.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa ad altra sezione della Corte d'appello di Roma anche per la pronuncia sulle spese del giudizio di cassazione.

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