Continua l'incubo dei contratti finanziari pericolosi

Il risparmio tradito a causa di contratti pericolosi torna alla ribalta a seguito di recente sentenza della Corte di Cassazione la quale conferma che gli swap venduti alle imprese nel 1992 dal Credito Italiano erano una truffa.

La Corte di Cassazione, con la sentenza n.43347 del 13.11.2009 emessa dalla Seconda sezione penale conferma che i dcs (domestic currency swap) venduti nel 1992 dal Credito Italiano a diverse imprese erano strutturato in modo tale da essere fortemente squilibrati in favore della Banca, mentre molto remote erano le probabilità di guadagno per i clienti. Con i contratti in parola, strumenti molto complessi, si scommetteva sulla rivalutazione della lira rispetto al marco tedesco. Si trattava quindi di operazioni ad alto rischio ed a basso rendimento e dunque invendibili. E la Banca ne era perfettamente consapevole. I clienti, senza alcuna competenza in materia, venivano convinti a sottoscrivere tali contratti, in evidente conflitto d’interessi, a seguito di mendaci informazioni fornite dai dipendenti delle filiali. I giudici non hanno esitato a definire le operazioni in parola “truffe auto-evidenti”, “contratti invendibili”, “pacchi”, “patacche”, equiparandole anche al “pacco rifilato dal truffatore da strada”. La sentenza in parola viene pubblicata proprio nel momento in cui è corso un vivace dibattito sulla finanza degli Enti, in passato non gestita rigorosamente e quindi foriera oggi di pesanti ripercussioni sui cittadini. In particolare sono sotto esame i sinking funds, cioè i fondi costituiti da enti governativi o da società con l’obiettivo di ripagare determinate poste di debito alla loro naturale scadenza. Il meccanismo è in pratica quello mediante il quale un debitore attraverso il progressivo versamento di disponibilità finanziarie nel sinking fund intende avere una giacenza sufficiente per ripagare il debito che normalmente viene restituito in unica soluzione (mediante operazione bullet). In questo modo quindi il sinking fund dovrebbe operare mitigando gli sbilanci dovuti alle scadenza delle operazioni di finanziamento, “spalmando” su un arco temporale più lungo l’onere di ripagare il capitale. Ma a fronte di uno scopo apparentemente di favore, l’operazione di sinking fund nasconde rischi non facili da identificare per i non addetti ai lavori. In primo luogo il rischio di insolvenza della Banca. Sarebbe quindi necessario, per evitare un aggravio dei rischi per l’ente, prevedere che i pagamenti progressivi vengano versati non direttamente alla Banca ma su un conto dedicato e separato (il fund del sinking fund), che anche in casi di fallimento della Banca (vedasi Lehman Brothers nel caso della Regione Marche) consenta di proteggere il capitale versato. Un altro aspetto da non sottovalutare riguarda la sorte dei capitali progressivamente versati dall’ente nel sinking fund, capitali che spesso vengono affidati in gestione alle Banche che hanno organizzato l’operazione. E’ evidente che risulta indispensabile imporre alla Banca vincoli molto stringenti sulla tipologia di investimenti da effettuare. In mancanza (così come è accaduto per operazione posta in essere dall’Acquedotto Pugliese), pur prevedendo la corretta “segregazione” dei fondi, le perdite per l’ente possono arrivare per scelte infelici, o, in alcuni casi, sconsiderate, da parte della Banca che doveva “custodire” il capitale in attesa del rimborso dell’operazione. Ed infatti non risulta agevole tenere sotto controllo lo stato di “salute” di una società; infatti nel caso della Lehman Brothers le agenzie di rating hanno mantenuto il rating a lungo termine elevato fino al giorno prima della data di fallimento, avvenuta il 14.09.2008, mentre già a partire dal 2007 gli spread sui C.D.S. (di seguito meglio illustrati) erano notevolmente aumentati e gli stessi dati di bilancio della società evidenziavano l’imminenza dello stato di default della banca d’affari predetta. Ciò a causa della particolare congiuntura economico-finanziaria causata dalla crisi dei mutui subprime. L’informazione sul rating non soltanto era quindi generica, ma addirittura fuorviante. La Banca deve quindi fornire un’informazione completa sulla natura del titolo e sui rischi dell’investimento; ed in difetto va ritenuta responsabile dei danni subiti dal cliente. Così come riconosciuto di recente dal Tribunale di Udine (sentenza n.376 del 05.03.2010 con la quale Unicredit Private Banking è stata condannata a risarcire i danni subiti da risparmiatore che aveva investito in obbligazioni Lehman Brothers). Altri contratti a rischio sono i credit default swaps (cds) sopraindicati, in relaziona ai quali urgono regole urgenti. Il cds è un contratto derivato che dovrebbe svolgere la funzione di “polizza assicurativa” contro il rischio di fallimento di una società per un debito obbligazionario; si paga un premio per ricevere protezione in caso di default dell’emittente l’obbligazione. Tali contratti hanno necessità di essere presto regolati in quanto, nati come strumento di assicurazione (il detentore di un bond trova infatti una controparte che in cambio di una percentuale del debito assicura solvibilità) nascondo vari problemi: -          l’emittente l’obbligazione assicurata elimina quel rischio dal proprio bilancio al fine di procedere con nuove operazioni, che risultano magari al di fuori del proprio coefficiente di capitale in relazione agli investimenti; -          non vi è una contabilità delle transazioni globali in cds, che avvengono solo tra singoli operatori (senza una vera e propria borsa) e senza il controllo di una controparte centralizzata che garantisca il buon fine delle operazioni, per cui nessuno conosce gli ammontari in gioco e si creano i presupposti per una bolla; -          esistono operazioni “nude”: cioè che consentono di acquistare un cds in forma speculativa senza avere un debito assicurato in portafoglio; -          gli speculatori attaccano la preda debole, che magari potrebbe essere salvata, al fine di aumentare il loro profitto incassando prima degli altri il differenziale sul rischio portato dal cds; -          la leva che si può applicare ai cds è del 90%: quindi con relativamente pochi soldi si possono creare forti turbolenze sui mercati finanziari, in quanto i movimenti sui cds possono lanciare un allarme che si diffonde anche ai titoli di stato, imponendo agli Stati di pagare interessi sempre più alti sui propri debiti. Nella pratica oggi i cds sono titoli scambiati tra operatori al telefono. E dato che i prezzi di tali polizze salgono e scendono ogni giorno in base alla maggiore o minore rischiosità dei soggetti emittenti i titoli obbligazionari (siano essi Stati o società privata), tanti operatori li usano solo per “scommettere” sul rialzo o sul ribasso. Dato che nessuno sa cosa fanno gli altri, si arriva quindi al paradosso che su certe società esistono più cds che debiti da assicurare. L’opacità del sistema fa paura ai Capi di Stato (come di recente in Grecia) ed agli operatori (che non conoscono l’operatività degli altri) e desta sospetti di speculazioni o manipolazioni: mentre al contrario le grandi banche traggono da tali meccanismi maggiori guadagni. Proprio a causa di pochi speculatori si è infatti creato un pesante debito per le generazioni future; il mondo è però stanco di crisi economiche causate dalla speculazione finanziaria. La vigente normativa italiana (introdotta con l’articolo 62 del Dl 112/2008) nega quindi ora (dalla metà del 2008) la possibilità di stipula di nuovi contratti derivati per gli enti locali, ma permette ancora le rinegoziazioni dei vechi swap ancora in essere, a patto che sia rimodulato anche il debito sottostante. Ma è proprio sulle rimodulazioni di contratti esistenti che i clienti (enti, imprese, famiglie) devono prestare la massima attenzione per evitare di reiterare i precedenti errori con le banche (leggasi costi occulti applicati a contratti spesso non adeguati al cliente). Il contratto derivato non è in sé un male, se applicato in modo trasparente. Ma poiché ciò non avviene e non è avvenuto in passato, sempre di più gli enti locali fuggono ora dai derivati ed approfittando del ribasso dei tassi chiudono anticipatamente gli swap rispetto alle scadenze scritte nei contratti, senza farsi troppo male o magari guadagnando qualcosa. Anche se negli enti pubblici l’indebitamento è sinonimo di investimento e per tracciare il confine tra un’amministrazione attiva ed una mal gestita il dato sul passivo da solo non basta!

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