Casa:
Polizze Performance: Compagnia condannata
Dal Tribunale di Milano arriva la prima sentenza a favore dei risparmiatori sulle ormai famose polizze Performance, con la condanna della Cnp Unicredit Vita al rimborso in favore dell'attore.
Onde prevenire il prevedibile contenzioso, nei mesi successivi al default della Lehman Brothers, la Cnp Unicredit, così come molte altre compagnie, ha inviato ai titolari delle polizze coinvolte nel fallimento della Lehman Brothers una proposta di trasformazione della polizza a suo tempo sottoscritta. Ma tale proposta non risultava particolarmente vantaggiosa per i risparmiatori ed in particolare per i titolari delle polizze Performance nn.5,6,7,8,9. Anche perché, così come prevede il codice del consumo, nell’ipotesi di clausole contraddittorie prevalgono quelle che dispongono condizioni più favorevoli per il risparmiatore. Infatti, sulla scorta della missiva, spedita ai propri clienti coinvolti nella vicenda, dalla Cnp Unicredit, veniva proposto di riscattare la polizza incassando circa là metà del premio versato oppure di trasformare la index in un prodotto tradizionale, prolungando la durata del contratto di qualche anno in modo da arrivare alla nuova scadenza con il capitale iniziale, al netto delle cedole già incassate.
Poiché però le index Performance sembrano prevedere la garanzia di restituzione del capitale corrisposto dal cliente, di fronte al rifiuto della Compagnia di pagare la prestazione prevista dalle diverse emissioni Performance (aventi scadenze collocate tra la primavera e l’estate del 2009) alcuni risparmiatori hanno seguito la via giudiziaria. Viceversa, circa il 93% dei titolari delle polizze in parola ha, in un primo tempo, aderito alla transazione proposta da Cnp Unicredit; ma ha poi, in diversa percentuale, dato vita ad un Movimento dei consumatori ed adito, in tale forma, il Tribunale di Milano, ottenendo l’ordine, rivolto alla Cnp Unicredit, di scrivere una seconda lettera ai propri clienti coinvolti nella vicenda, con la quale la Compagnia stessa riconoscesse che il proprio comportamento era stato lesivo dei diritti dei consumatori e contrario a principi di buona fede, correttezza e lealtà. E durante lo svolgimento di tale complessa vicenda si inserisce ora la sopra meglio descritta sentenza del Tribunale di Milano, che dando vita ad un importante precedente, condanna, come detto, la Cnp Unicredit al rimborso in favore di un proprio cliente, che aveva scelto da subito la via giudiziaria per la tutela dei propri diritti. Si ha ragione di ritenere che tale sentenza farà da apri-pista, così come era previsto e prevedibile, per ulteriori provvedimenti di analogo tenore in relazione alla suesposta questione.
Ciò detto però, risulta necessario chiedersi cosa possano fare, aldilà del riconoscimento di slealtà, ottenuto, da parte della Cnp Unicredit, i risparmiatori titolari delle polizze in parola che abbiano accettato la transazione proposta dalla Compagnia. Andrà in primo luogo valutata la convenienza ed i costi di un eventuale giudizio (di impugnazione della transazione), che appare di certo più complesso rispetto ad una semplice domanda di condanna al pagamento del premio versato. Tale azione giudiziaria risulta infatti consigliabile soprattutto per chi ha subito dei danni significativi, avendo corrisposto dei premi elevati. Chi ha accettato di “chiudere” il vecchio contratto di assicurazione per stipularne uno nuovo, dovrà infatti chiedere l’annullamento di quest’ultimo, sostenendo di avere assunto tale decisione sulla scorta di informazioni discutibili fornite dalla Cnp Unicredit (la quale dava per scontato, nella propria proposta, che il fallimento Lehman provocava danni a carico solo dei clienti) e quindi di un vizio della volontà; un errore indotto dalla propria controparte negoziale. Sempre in relazione alla vicenda delle polizze Performance pendono altri giudizi di merito originati da opposizioni (proposte dalla Cnp Unicredit) a decreti ingiuntivi emessi a fronte di ricorsi presentanti da vari clienti residenti a Parma.
La Compagnia, pur proponendo le opposizioni, ha preferito rimborsare spontaneamente i premi pagati dai ricorrenti, onde evitare ulteriori oneri accessori. In sintesi, quanto sopra descritto rappresenta l’ennesimo caso di risparmio “tradito” in Italia, in applicazione del principio “il profitto ad ogni costo”, che ha contraddistinto gli anni più recenti, senza più etica né pudore. E proprio in considerazione di quanto precede si sta avviando, in sede europea, il processo di restyling della Direttiva Mifid, emanata per regolamentare il settore dei servizi d’investimento ma che ha provocato degli esiti sconfortanti, in quanto nessun vantaggio ha apportato ai consumatori, a differenza di quanto avvenuto in favore degli investitori istituzionali e dei grandi brokers. Manca infatti un tassello regolamentare, un obbligo per la CONSOB di imporre alle Banche di realizzare veramente la “best execution” degli ordini dei propri clienti. Diversamente gli scopi cui mira la Mifid continueranno a restare promesse sulla carta.