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SWAP: contratto pericoloso
Dagli strumenti finanziari derivati già sottoscritti originano, per enti territoriali ed imprese, perdite potenziali in crescita nei confronti delle banche italiane.
Infatti, ogni qualvolta una banca stipula con un operatore un derivato di durata pluriennale carica sul contratto una commissione pluriennale (che di solito non viene compresa dall’operatore). Se poi il contratto pluriennale viene rinegoziato più volte nel corso degli anni, di solito le banche non scontano le commissioni per gli anni di mancata durata del contratto, ma le compongono nel nuovo contratto (insieme alle nuove commissioni).
Com’è noto, quelli che oggi vengono comunemente conosciuti come derivati (e la cui denominazione corretta è strumenti finanziari derivati), sono contratti basati sull'andamento di alcune variabili, che possono essere di natura diversa. Ad esempio quotazioni azionarie, tassi di interesse quali l'Euribor o tassi di cambio, prezzi di merci, tariffe, variabili climatiche, merito creditizio di uno o più soggetti. Il termine "derivato" indica quindi che il valore del contratto deriva, appunto, dal valore di un altro strumento finanziario oppure da un'attività o ancora da un altro indice sottostante.
Operare in derivati, comporta così un rischio più articolato e complesso legato alla dipendenza di rischi connessi con altri mercati e con l'andamento delle variabili collegate al contratto stesso. Il rischio legato a contratti derivati diventa particolarmente elevato e difficilmente controllabile quando questi assumono forme che amplificano, attraverso meccanismi di leva finanziaria, l'entità delle prestazioni a carico dei contraenti. In conseguenza di ciò l'esposizione finanziaria può assumere dimensioni assolutamente non quantificabili a priori da parte di persone che non abbiano una vera ed approfondita conoscenza non solo dei mercati finanziari internazionali, ma anche di tutte le sfumature tecniche che sottendono alla formulazione ed articolazione di un contratto derivato. Le tipologie dei derivati sono svariate ed a quelle già esistenti se ne aggiungono quotidianamente altre con schemi sempre più complessi, frutto di avanzate tecniche di ingegneria finanziaria, che combinano più derivati di base.
Il rischio di controparte è sempre a carico del cliente; la Società Gestione Risparmio svolge un ruolo di intermediazione finanziaria agendo per conto terzi (non per conto proprio). Il cliente non firma un contratto con la SGR, ma con un altro cliente della SGR; la controparte resta anonima e non controfirma il contratto. Ossia ogni cliente ha copia di un contratto con la sua firma senza la sottoscrizione della controparte. Il contratto, tipicamente, abbina un cliente con mutuo a tasso variabile con uno a tasso fisso e dunque consiste in uno scambio di tassi di interesse passivi (cliente verso la banca) ossia uno scambio di debiti, invisibile alle banche interessate per le quali il cliente titolare del mutuo resta lo stesso. Lo schema dei flussi finanziari è quello di un cliente A che ha un mutuo a tasso fisso e inizia a pagare alla SGR un mutuo a tasso variabile di un cliente B; la SGR non darà il denaro direttamente alla banca di B (dal momento che non la conosce), ma al cliente B che pagherà la sua banca. In cambio il cliente A riceverà le rate del suo mutuo a tasso fisso dalla SGR, pagatele dal cliente B. I passaggi di denaro sono gli stessi sia che la SGR operi in conto proprio che in conto terzi.
Se il contratto non prevede che la SGR sia garante del debito, nel caso di insolvenza del cliente B, il cliente A dovrà pagare due mutui: il proprio, senza ricevere somme dalla SGR in quanto B è insolvente, e quello di B alla sua banca, poiché resta valido l'impegno con la SGR. Occorre dunque che nelle clausole sia prevista la cessazione dell'obbligo (per le scadenze successive) verso la SGR se essa (per insolvenza della controparte anonima) non è più in grado di pagare il mutuo del cliente; oppure che la SGR paghi al soggetto A il mutuo (esempio attingendo ad un assicurazione o fondo di garanzia contro le insolvenze) al posto del cliente B, quando questo non sia più in grado di pagare La magistratura civile ha già avuto modo di occuparsi della questione, sollecitata da investitori “traditi”, ma è sin’ora giunta a conclusioni non univoche.
Infatti il Tribunale di Reggio Emilia era giunto, con sentenza depositata nell’ottobre scorso, a conclusioni favorevoli all’impresa investitrice, dopo aver preso atto della la bassa scolarizzazione dei clienti che avevano sottoscritto lo swap proposto dalla banca, della scarsa preparazione finanziaria del personale dell’azienda investitrice (di piccolissime dimensioni) e soprattutto della assoluta inesperienza della stessa in materia di derivati. Ed aveva quindi ritenuto del tutto fuorviante la dichiarazione scritta, rilasciata dal cliente ed esibita dalla banca in giudizio, in manleva delle proprie responsabilità, di “operatore qualificato”.
Viceversa il Tribunale di Torino con successiva sentenza n.8151 del 2009 giunge a conclusioni opposte ed afferma che la dichiarazione di operatore qualificato, sottoscritta dall’investitore al momento della conclusione del contratto solleva la banca da responsabilità in materia di swap, esonerandola da qualsiasi indagine sulla competenza del cliente (a meno che questa non sia già messa in dubbio da documenti e circostanze noti). E quindi, mentre i Tribunali civili procedono in ordine sparso sulla dichiarazione di “operatore qualificato”, che, evidentemente, dovrebbe rivestire, per quanto sopra esposto, grande importanza per la conclusione di un contratto di swap, su tali “contratti pericolosi” è scattata ora un’offensiva incrociata delle Procure nazionali, che vogliono (finalmente) vederci chiaro sui derivati sottoscritti dagli enti territoriali. Dopo i casi dei Comuni di Milano (rinvio a giudizio di varie banche, di funzionari delle stesse e del Comune) e di Acqui Terme (sequestro ordinato presso la banca e dipendenti indagati), adesso tocca alle Regioni (sequestri e dipendenti indagati per presunte truffe ai danni della Regione Puglia e Liguria).