"In tema di capitalizzazione trimestrale degli interessi sui saldi di conto corrente bancario passivi per il cliente, la nullità della clausola, in quanto stipulata in violazione dell'art. 1283, è rilevabile (anche) d'ufficio, ai sensi dell'art. 1421 cod. civ., anche nel giudizio di gravame, quando vi sia contestazione, ancorché per ragioni diverse, sul titolo posto dalla banca a sostegno della richiesta dagli Interessi anatocistici, rientrando nei compiti del giudice l'indagine sulla sussistenza della condizioni dell'azione (cfr., tra le altre, Cass. 1 marzo 2007, n. 4853; 25 febbraio 2005 n. 4092)". E' quanto affermato dalla Corte di Cassazione, prima sezione civile, con Sentenza del 10 ottobre 2007, n. 21141. La S.C. ha latersì precisato che "nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, il creditore ha veste sostanziale d'attore, sicché, laddove l'opponente abbia contestato l'ammontare degli interessi, il giudice, nel determinare tali interessi, dovendo utilizzare il titolo contrattuale che è al fondamento della pretesa, deve rilevare d'ufficio la nullità dalla quale il negozio sia affetto".
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Svolgimento del processo
Con atto di citazione notificato il 25 ottobre 1996 Attorre Antonio, Palumbo Carmine e Bagnardi Cosimo convenivano in giudizio innanzi al Pretore di Brindisi la Banca Mediterranea e si opponevano al decreto ingiuntivo con il quale era stato loro intimato, in qualità di fideiussori della Eurochimica s.r.l., la somma di L. 45.692.915 quale saldo finale del c/c n. 026818 intrattenuto dalla debitrice presso la Banca. Gli opponenti deducevano l'insufficiente ed illegittima, documentazione, posta a base del ricorso, consistente in una semplice dichiarazione del condirettore generale attestante l'importo finale del .credito, senza il dettaglio delle voci costituenti il credito e delle operazioni compiute sul conto, mentre nel giudizio di primo grado gli estratti conto furono depositati il 18 febbraio 1999, ad istruttoria chiusa, dopo che la causa era stata riservata a sentenza e rimessa sul ruolo con ordinanza del 23 dicembre 1998.
La mancata produzione dei documenti attestanti l'esistenza del credito, e la mancata ammissione di una Ctu che pur era stata richiesta, non avevano consentito la conoscenza del dettaglio delle voci costituenti il credito stesso, ivi compresi gli interessi con la loro modalità di calcolo, annuale o trimestrale. Gli opponenti deducevano inoltre che non si era tenuto conto dei parziali versamenti effettuati dalla debitrice principale.
Con sentenza del 17 gennaio 20012 il Pretore revocava il decreto ingiuntivo a condannava gli opponenti al pagamento della somma di £ 45.692.915, oltre interessi convenzionali; e la decisione veniva confermata dalla Corte d'appello di Lecce con sentenza dell'11 dicembre 2002 - 3 febbraio 2003 contro la quale hanno proposto ricorso sulla base di quattro motivi, ulteriormente illustrati con memoria successiva.
La parte intimata non ha svolto difese.
Motivi della decisione
Con il primo motivo i ricorrenti hanno dedotto violazione e falsa applicazione di norme di diritto, nonché insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della .controversia, in relazione agli artt. 115 c.p.c. e 2697 cod. civ. in quanto la Corte d'appello non ha tenuto conto che l'ordine di esibizione da parte del giudice non può sopperire all'onere della prova gravante .sulla parte; e nella specie è solo in virtù dell'ordine di esibizione degli estratti conto, che l'opposta si era astenuta dal produrre autonomamente nel giudizio di opposizione, che si è potuto ritenere raggiunta la prova del credito della banca.
Il motivo è infondato. Risulta invero dagli stessi atti difensivi dei ricorrenti (cfr., in particolare, la memoria ex art. 378 c.p.c.) che l'ordine di esibizione venne disposto, in sede di decisione, mediante ordinanza del 23 dicembre 1998 dopo che il giudice istruttore, con altra ordinanza del 26 febbraio 1997, aveva precedentemente negato l'autorizzazione al deposito della documentazione relativa al rapporto: con la conseguenza che l’ordine di esibizione (che sarebbe comunque avvenuto, nel contesto indicato, su istanza della parte, così come richiesto dall'art. 210 c.p.c.) altro non è che un provvedimento mediante il quale il giudice di primo grado ha ritenuto che gli estratti conto, al cui deposito la Banca aveva chiesto di essere autorizzata ed i deposito dei quali era stato negato, potessero essere in realtà prodotti. Non si tratta, dunque, di alcun atto istruttorio esercitato d'ufficio in violazione dei principi sull'onere della prova, ma di una modifica (sempre possibile in sede di decisione) dell'ordinanza precedentemente emessa.
Con il secondo motivo i ricorrenti hanno dedotto violazione e falsa applicazione di norme di diritto, nonché omessa motivazione su un puntò decisivo della controversia, in relazione agli artt. 1938, 1942 e 1944 cod. civ. in quanto la Corte ,d'appello non ha tenuto conto che la disciplina di cui al d.lgs. n. 385/1993 è applicabile anche ai rapporti pendenti alla data di entrata in vigore di detta legge per la regolamentazione degli effetti ancora pendenti, e non ha considerato che la configurazione del reato di usura come reato permanente (art. 644 ter cod. pen.) comporta che il perfezionamento di esso non coincide con il momento della pattuizione, ma con quello dell'ultima riscossione del capitale e degli interessi da parte del creditore.
Il motivo è infondato. È ben vero infatti che, secondo l'orientamento consolidato di questa Corte, la previsione imperativa contenuta nell'art. 4 della legge 17 febbraio 1992, n. 154 sulla trasparenza bancaria (poi trasfuso nell'art. 117 del testo unico 1 settembre 1993, n. 385), ove è sancita la nullità delle clausole di rinvio agli usi per la determinazione dei tassi di interesse, se non incide, in base ai principi regolanti la successione delle leggi nel tempo, sulla validità delle clausole contrattuali inserite in contratti già conclusi, impedisce tuttavia che esse, nei rapporti ancora in corso, possano produrre per l'avvenire ulteriori effetti (cfr., tra le altre. Cass. 28 marzo 2002, n. 4490); ma nella specie non risulta che nei precedenti gradi di giudizio sia sta sollevata una specifica contestazione avente ad oggetto il rinvio,» per la determinazione degli interessi, agli usi di piazza, né i ricorrenti hanno indicato in quale atto difensivo una simile: ipotetica eccezione sia sta sollevata, dalla sentenza impugnata desumendosi unicamente che le contestazioni attenevano unicamente al tasso convenzionale del 20,50%. Quanto, poi, all'affermata usurarietà degli interessi, secondo l’insegnamento costante di questa Corte la disciplina relativa ai tassi di interesse sui mutui introdotta dalla 1. 7 marzo 1996 n. 108, recante disposizioni in materia di usura - e quindi anche quella dettata dall'art. 1 d.l. 29 dicembre 2000 n. 394, conv. in 1. 28 febbraio 2001 n. 24, di interpretazione autentica della precedente - non può essere applicata a rapporti completamente esauriti prima della sua entrata in vigore (cfr. tra le altre, Cass. 22 luglio 2005, n.. 15497; Cass. 25 febbraio 2005, n. 4092). L'art. 1 d.l. 29 dicembre 2000 n. 394, conv. in 1. 28 febbraio 2001 n. 24, ha infatti chiarito, con norma avente carattere di interpretazione autentica che ai fini dell’applicazione dell’art. 644 cod. pen. e dell’art. 1815, secondo comma cod. civ. si intendono usurari gli interessi che superano il limite stabilito dalla legge nel momento in cui essi sono promessi e comunque convenuti a qualunque titolo, indipendentemente dal momento del loro pagamento.
Con il terzo motivo i ricorrenti hanno dedotto violazione e falsa di norme di diritto, nonché omessa e contraddittoria motivazione in relazione agli artt. 1175, 1375 e 1941 cod. civ. non avendo il giudice d'appello tenuto conto degli obblighi generali di correttezza e buona fede gravanti sulla Banca, e che avrebbero imposto all'intimata di salvaguardare gli interessi dell’altro contraente, nei limiti in cui ciò non comportasse un apprezzabile sacrificio a suo carico.
Il motivo è infondato. La Corte d’appello ha infatti evidenziato con chiarezza, nell'impugnata decisione, che la Banca aveva revocato il fido ed invitato i coobbligati al pagamento con lettera del 13 giugno 1994, anteriore all'atto con il quale l'amministratore della Eurochiomica s.r.l. alienò i beni. Poiché si tratta di alienazione successiva alla chiusura del conto, e non risulta che posteriormente a tale data la Banca abbia continuato a praticare credito alla debitrice principale, non si vede su quale base fondare l'asserita violazione degli obblighi di buona fede, correttezza e diligenza; né - all'evidenza - il fatto che la stessa banca abbia successivamente intrapreso azione di simulazione per la vendita dei beni di cui sopra, vale in alcun modo a far emergere comportamenti della banca in contrasto con quegli obblighi o a mettere in luce, lacune, contraddizioni od omissioni nella sentenza impugnata.
Con il quarto motivo i ricorrenti hanno dedotto violazione e falsa applicazione di norme, di diritto, nonché motivazione contraddittoria su un punto decisivo della controversia, in relazione agli artt. 1283 e 1942 cod. civ. in quanto la Corte d'appello non ha tenuto conto che la questione relativa alla illegittimità dei tassi di interessi ultralegali applicati dalle banche, prospettandosi in termini di nullità del rapporto negoziale, è rilevabile anche d'ufficio in ogni stato e grado del processo, né ha considerato che la deduzione relativa alla illegittimità della capitalizzazione trimestrale degli interessi doveva considerarsi implicita nei motivi formulati con l'atto di opposizione a decreto ingiuntivo.
Il motivo è infondato. È ben vero infatti che, secondo l'orientamento consolidato -di questa Corte, nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, il creditore ha veste sostanziale d'attore, sicché, laddove l'opponente abbia contestato l'ammontare degli interessi, il giudico, nel determinare tali interessi, dovendo utilizzare il titolo contrattuale che è al fondamento della pretesa, deve rilevare d'ufficio la nullità dalla quale il. negozio sia affetto. Dove pertanto trovare anche in tal caso applicazione il principio per cui, in tema di capitalizzazione trimestrale degli interessi sui saldi di conto corrente bancario passivi per il cliente, la nullità della clausola, in quanto stipulata in violazione dell'art. 1283, è rilevabile (anche) d'ufficio, ai sensi dell'art. 1421 cod. civ., anche nel giudizio di gravame, quando vi sia contestazione, ancorché per ragioni diverse, sul titolo posto dalla banca a sostegno della richiesta dagli Interessi anatocistici, rientrando nei compiti del giudice l'indagine sulla sussistenza della condizioni dell'azione (cfr., tra le altre, Cass. 1 marzo 2007, n. 4853; 25 febbraio 2005 n. 4092).
Nella specie, peraltro, con l'atto di opposizione i ricorrenti si sono limitati a contestare la mancata dimostrazione del credito e l'inidoneità probatoria, a tal fine, del saldaconto, ma non risulta che essi abbiano posto in discussione la validità del contratto, né comunque hanno, indicato l'atto difensivo in cui una simile contestazione sarebbe stata sollevata.
Consegue da quanto, sopra che il ricorso deve essere rigettato.
Non vi è luogo a pronuncia sulle spese, atteso il mancato svolgimento di attività difensiva da parte dell'intimata.
PQM
La Corte respinge il ricorso.