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Residenza fiscale delle persone fisiche
In base all'art. 2, comma 2 TUIR sono considerate residenti le persone fisiche che per la maggior parte dell'anno, ossia per un periodo di almeno 183 giorni (184 per gli anni bisestili) anche non continuativi, rientrano in determinate ipotesi previste dalla legge.
- soggetti iscritti nelle anagrafi della popolazione residente per la maggior parte del periodo di imposta;
- soggetti non iscritti nelle anagrafi, che hanno nello Stato il domicilio (inteso come il luogo in cui una persona ha stabilito la sede principale dei suoi affari ed interessi anche di carattere affettivo familiare) per la maggior parte del periodo di imposta;
- soggetti non iscritti nelle anagrafi, che hanno nello stato la residenza (inteso come il luogo in cui la persona ha la dimora abituale) per la maggior parte del periodo di imposta.
Come visto la presunzione di residenza opera anche nel caso in cui sussista un legame affettivo con Stato italiano. Questa concetto di legame effettivo è stato ampiamente illustrato dalla circolare ministeriale nr. 304/E del 2 dicembre 1997 e, sinteticamente, sussiste qualora la persona abbia mantenuto in Italia i propri legami familiari o il centro dei propri interessi patrimoniali e sociali.
Il riferimento alla maggior parte del periodo d’imposta consente di attuare la menzionata regola dei 183 giorni, fugando ogni dubbio interpretativo rispetto al testo delle convenzioni.
Il requisito temporale della maggior parte del periodo d’imposta condiziona l’applicabilità dei tre criteri sostanziali in base ai quali l’art. 2, comma 2 TUIR ricava la dimostrazione della residenza in Italia. Ne consegue la presunzione legale assoluta (iuris de iure) scatta allorquando venga dimostrata la effettiva sussistenza di almeno uno di essi per la maggior parte del periodo d’imposta.
Al fine dell’applicazione dell’art. 2, comma 2 TUIR è dunque necessario e sufficiente che il soggetto su cui incombe l’onere della prova dimostri l’esistenza (o, se del caso, la mancanza) del presupposto territoriale per l’applicazione dell’imposizione italiana sul reddito mondiale. Sul piano pratico la prova comporta indubbiamente non poche difficoltà, che però possono essere superate anche con l’ausilio di argomentazioni logiche a contrario, che dimostrino cioè l’incompatibilità dell’assunto della residenza in Italia.
In particolare si rileva che, a seguito del trasferimento di residenza dall’Italia all’estero, la persona fisica ha l’incombenza di iscriversi all’AIRE; tale inscrizione è condizione necessaria per fare valere il trasferimento stesso, ma non sufficiente, giacchè essa deve pur sempre corrispondere alla situazione effettiva.
Per quanto riguarda il concetto di domicilio si mette in evidenza che, ai fini civilistici, esso è caratterizzato da caratteri oggettivi rappresentati dalla la concentrazione di affari ed interessi in un determinato luogo, e dall’elemento soggettivo, consistente nell’intenzione di operare tale concentrazione da parte della persona fisica.
Diversamente in ambito tributario ciò che rileva è esclusivamente l’aspetto oggettivo; pertanto qualora il centro degli affari e degli interessi di un soggetto fosse oggettivamente riscontrabile in un determinato luogo, non avrebbe alcun rilievo l’aspetto soggettivo, e si realizzerebbe la presunzione assoluta di residenza fiscale di cui all’art. 2, comma 2 TUIR.
Di particolare importanza appare la presunzione relativa in forza della quale si considerano fiscalmente residenti in Italia i cittadini italiani inscritti all’AIRE ed emigrati in paesi a fiscalità privilegiata. In questa situazione incombe al cittadino dimostrare che il trasferimento all’estero è effettivo e la conseguente perdita di residenza in Italia.
La circolare ministeriale 24 giugno 1999, nr. 140/E ha fornito importanti chiarimenti in ordine all’applicazione delle nuove disposizioni, in materia di onere della prova in capo alle persone fisiche che hanno la residenza fiscale in uno dei paesi di cui al D.M. 4 maggio 1999.
Dal punto di vista formale, la prova contraria dovrebbe consistere nella dimostrazione di non essere residenti in Italia ai sensi dell’art. 2, comma 2 TUIR. Tuttavia è evidente che si tratta di una dimostrazione molto difficile da fornire essendo una dimostrazione in negativo. A tale riguardo la relazione governativa afferma che la prova contraria consiste nella dimostrazione di fatti o atti che comprovino l’effettività della situazione dichiarata (cancellazione dall’anagrafe della popolazione residente) in coerenza con un reale e duraturo collegamento con lo Stato di immigrazione. Nello stesso senso si pronuncia la circolare ministeriale nr. 140/E la quale aggiunge che va dimostrata anche l’interruzione di significativi rapporti con lo Stato Italiano.
La circolare 140/E chiarisce che la persona fisica, per poter dimostrare l’effettività della residenza nello Stato fiscalmente privilegiato, potrà utilizzare ogni più ampio mezzo di prova di natura documentale o dimostrativa, atto a stabilire in particolare:
- la sussistenza della dimora abituale nel paese fiscalmente privilegiato, sia personale che dell’eventuale nucleo familiare;
- l’iscrizione ed effettiva frequenza dei figli presso istituti scolastici o di formazione del Paese estero;
- lo svolgimento di un rapporto lavorativo a carattere continuativo stipulato nello stesso Paese estero ovvero l’esercizio di una qualunque attività economica con carattere di stabilità;
- la stipula di contratti di acquisto o di locazione di immobili residenziali, adeguati ai bisogni abitativi nel Paese di immigrazione;
- fatture e ricevute di erogazione di gas, luce, telefono e di altri canoni tariffari pagati nel Paese estero;
- la movimentazione a qualsiasi titolo di somme di danaro o di altre attività finanziarie nel Paese estero da e per l’Italia;
- l’eventuale iscrizione nelle liste elettorali del Paese di immigrazione;
- l’assenza di unità immobiliari tenute a disposizione in Italia o di atti di donazione, compravendita, costituzione di società;
- la mancanza nel nostro Paese di significativi e duraturi rapporti di carattere economico, familiare, politico, sociale, culturale e ricreativo.
Inoltre la circolare afferma che i predetti ed eventuali altri elementi di prova, come peraltro precisato nella stessa circolare nr. 304/E del 1997, vanno considerati e valutati in una visione globale, atteso che il superamento della prova contraria alla presunzione legale non può che scaturire da una complessiva considerazione della posizione del contribuente.
In definitiva spetta alla persona fisica dimostrare in modo pieno ed incontrovertibile di aver reciso in modo significativo il collegamento con lo Stato italiano e di essersi stabilita realmente ed in modo duraturo nel Paese fiscalmente privilegiato.
Concetto di residenza fiscale nelle convenzioni contro le doppie imposizioni
In via generale le norme convenzionali prevalgono sulle norme interne. Esse però devono essere interpretate operando un rinvio alle leggi interne dello Stato contraente.
Sono quindi configurabili le seguenti situazioni:
- se non vi è una convenzione si applicano esclusivamente le norme interne dello stato (della fonte o della residenza);
- se vi è una convenzione si applicano le norme convenzionali se pure interpretate, salvo esplicite diverse definizioni contenute nelle convenzioni stesse, con riferimento alle leggi interne.
Per quanto riguarda l’Italia si rileva che l’art.4 di quasi tutte le convenzioni ratificate in Italia è conforme al modello OCSE di convenzione per evitare le doppie imposizioni. Tale articolo, al paragrafo 2, cerca di risolvere il conflitto impositivo in merito alla residenza fiscale della persona fisica avvalendosi si quattro criteri (tie-breaker rules).
Le quattro tie-breaker rules trovano l’applicazione secondo un preciso ordine di priorità, che attribuisce prioritariamente il potere esclusivo di tassazione sul reddito mondiale dello Stato in cui il soggetto ha a sua disposizione una abitazione permanente (permanent home), in subordine a quello in cui il soggetto ha il proprio centro di interessi vitali (centre of vital interests) ed ancora a quello in cui lo stesso ha una dimora abituale (habitual abode), ed infine a quello di cui la persona fisica possiede la nazionalità. Nel caso in cui nessuno di questi criteri permetta di risolvere il problema di doppia residenza, allora l’unico rimedio applicabile è quello della procedura amichevole, di cui all’art. 25 della Convenzione stessa.
Pertanto, nel caso in cui un soggetto risulti, in base alla legislazione degli Stati contraenti, residenti in entrambi gli Stati, si applica l’art. 4 paragrafo 2 del trattato per risolvere il conflitto fra i due ordinamenti e stabilire lo Stato di effettiva residenza.
L’applicazione delle tie-breaker rules esclude automaticamente la normativa nazionale, attuandone la subordinazione rispetto alla lex superior di fonte convenzionale. Né potrebbe il legislatore incidere su questa situazione con una normativa di fonte interna che, pur salvaguardando il concetto di residenza applicabile ai sensi dell’art. 4, paragrafo 2 del Modello Ocse, prevedesse diverse modalità relativamente all’accertamento della situazione sostanziale.
In conclusione si rileva che la regola interna dell’inversione dell’onere della prova, applicabile nel caso di residenza in un paese a fiscalità privilegiata, può essere applicata senza alcuna limitazione soltanto quando il Paese di immigrazione non abbia alcuna convenzione internazionale contro la doppia imposizione sul reddito con l’Italia. In caso contrario prevale e va applicata la su indicata norma convenzionale.