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Tributi erariali diretti - Imposta sul reddito delle persone giuridiche
Pubblicata il 20/04/2010
Sent. n. 21657 del 16 novembre 2004 (ud. del 26 ottobre 2004) della Corte Cass., Sez. tributaria - Pres. Riggio, Rel. Sotgiu
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Sent. n. 21657 del 16 novembre 2004 (ud. del 26 ottobre 2004)
della Corte Cass., Sez. tributaria - Pres. Riggio, Rel. Sotgiu
Tributi erariali diretti - Imposta sul reddito delle persone giuridiche
(Irpeg) - Base imponibile - In genere - Dividendi percepiti in Italia -
Convenzione Italo-Britannica del 21 ottobre 1988 ratificata con
L. n. 329/1990 - Disciplina prevista dall'art. 10 - Portata
Massima - La società residente in Inghilterra che riceva da una società
residente in Italia - di cui controlli il 10 per cento o più de potere di
voto - dividendi soggetti a ritenuta d'acconto che darebbero luogo ad un
credito d'imposta se fossero ricevuti da un residente in Italia, ha diritto
in base all'art. 10 della L. n. 329/1990, di ratifica della Convenzione con
la Gran Bretagna del 21 ottobre 1988, ad un credito di imposta pari alla
metà del credito cui avrebbe diritto una persona fisica residente in
Italia, e poiché si tratta di un rimborso non specificamente disciplinato
dalla legge la relativa richiesta non è soggetta al termine decadenziale di
cui all'(1)
Svolgimento del processo - La Società Inglese B.S.L. Ltd, con istanza
1° marzo 1995, chiese, a' sensi della Convenzione sulle doppie imposizioni
Italia/Regno Unito del 21 ottobre 1988, recepita dalla L. n. 329 del 1990,
il rimborso della somma di L. 196.735.000, quale credito d'imposta sui
dividendi deliberati nel 1993 dalla Società italiana partecipata C.C.L.
s.p.a..
La Direzione Generale delle Entrate della Liguria rigettò l'istanza, in
quanto prodotta oltre il termine decadenziale di diciotto mesi, di cui
all'art. 38 del D.P.R. n. 602 del 1973. La Commissione tributaria regionale
della Liguria, nel rigettare, con sentenza 7 aprile 2000, l'appello
dell'Ufficio, ha ritenuto l'inapplicabilità del termine di cui all'art. 38
D.P.R. n. 602/1973 ai crediti d'imposta nascenti, come nella specie, da
erogazione di dividendi, per i quali la Società non residente non aveva
effettuato, in qualità di sostituto d'imposta, alcun versamento diretto, e
la conseguente assoggettabilità della richiesta di restituzione
dell'indebito pagamento all'ordinario termine di prescrizione decennale.
L'Amministrazione finanziaria dello Stato e l'Agenzia delle imposte
hanno chiesto la cassazione di tale sentenza sulla base di un unico motivo.
La B.S.L. Ltd resiste con controricorso illustrato da memoria.
Motivi dalla decisione - Adducendo la violazione dell'art. 38 del
D.P.R. n. 602 del 1973 e dell'art. 10 della L. 20 del 1992, i ricorrenti
sostengono l'applicabilità alla fattispecie in esame dell'art. 38
D.P.R. n. 602/1973, poiché si tratterebbe di evidente duplicazione di
imposta, dovuta a doppia imposizione. La Convenzione Italo-britannica, nel
prevedere il recupero (per metà) del credito d'imposta, si affida infatti,
secondo i ricorrenti, alla legge italiana per quanto attiene le modalità di
recupero,come ribadito dalla Circolare ministeriale n. 151/E/14/658 del 18
agosto 1994.
Obietta la controricorrente che il pagamento dei dividendi da cui
l'Amministrazione finanziaria intende far decorrere il termine
decadenziale, non rappresenta il "versamento diretto" richiesto
dall'art. 38 del citato D.P.R., per attivare il meccanismo di rimborso,
essendo peraltro assente un sostituto d'imposta.
Il ricorso non è fondato.
Premesso che la norma convenzionale che si sostiene sia stata violata
viene erroneamente indicata dalla ricorrente con riferimento alla
disposizione (art. 10 della L. n. 20/1992) che regola le doppie imposizioni
fra Italia e Francia, mentre nella specie va applicato l'art. 10 della
L. 329 del 1990 di ratifica della Convenzione sulla stessa materia fra
Italia e Regno Unito, tale erronea indicazione non incide tuttavia sul
contenuto del ricorso, che si incentra chiaramente sulla individuazione
della norma applicabile alle ipotesi di rimborsi dovuti a società inglesi
non residenti, allo scopo di evitare doppie imposizioni.
L'art. 10 della L. 5 novembre 1990, n. 329 stabilisce al n. 4-A che "un
residente del Regno Unito che riceve dividendi da una società residente
dell'Italia ... ha diritto ... ad un credito d'imposta pari alla metà del
credito d'imposta, con riguardo a tali dividendi, cui una persona fisica
residente dell'Italia avrebbe avuto diritto se avesse ricevuto gli stessi
dividendi ...".
L'applicazione corretta di tale norma richiede innanzi tutto una
precisazione in ordine al concetto di credito d'imposta afferente i
dividendi del socio residente, che risiede nel riconoscimento dell'avvenuto
parziale assolvimento del prelievo tributario da parte della società, con
conseguente necessità di riduzione dell'onere impositivo sulla componente
reddituale attribuita al socio. In sostanza, la ritenuta d'imposta gravante
sui dividendi corrisposti al socio residente è strettamente correlata alle
imposte dirette già pagate dalla società sugli utili distribuiti. Diversa
connotazione assume invece il dividendo pagato al socio estero: non solo
non vi è infatti correlazione fra l'imposta versata all'Erario in Italia e
l'importo di cui il socio estero può richiedere il riconoscimento a titolo
di credito d'imposta, ma soprattutto il socio estero non può definirsi,
come ha precisato la sentenza impugnata, sostituito d'imposta, poiché né la
società italiana può, in veste di sostituto, chiedere in sua vece, la
restituzione del tributo a credito, né il socio estero, tassato in base al
proprio regime tributario, è abilitato a richiedere il rimborso di ritenute
alla fonte, non corrispondendo a ciò la restituzione del credito d'imposta
sui dividendi percepiti, che egli è abilitato a pretendere in virtù della
norma pattizia intervenuta fra gli Stati.
Questa Corte ha già avuto modo di chiarire, in relazione alla norma che
regola la restituzione dei crediti d'imposta sui dividendi alle società
francesi, alcuni punti fondamentali, consistenti:
1) nella competenza impositiva dello Stato in cui i dividendi
vengono corrisposti, concorrente con quella principale dello Stato di
residenza del percipiente (Cass. n. 1231/2001);
2) nel fatto che la esistenza del potere impositivo dello Stato
estero autorizza di per sé a ritenere comunque dovuta nel proprio Stato
dalle società francesi l'imposta relativa a dividendi percepiti dalla
società italiana;
3) che l'attribuzione al solo socio estero, e non alla società
italiana, della legittimazione ad azionare la richiesta di rimborso del
credito d'imposta evidenzia l'avvenuto adempimento dell'obbligazione
tributaria da parte del socio italiano, in adempimento della normativa
nazionale, cui non poteva sottrarsi;
4) che le convenzioni internazionali relative alle doppie
imposizioni in materia intervengono soltanto al fine di correggere tale
iniquo meccanismo, attribuendo un diritto alla restituzione diversamente
azionabile, in relazione alla residenza dei soggetti d'imposta
(Cass. n. 13678/2004).
Tali principi sono egualmente applicabili a tutte le convenzioni
intervenute sulla materia, a prescindere dalle locuzioni parzialmente
diverse in esse contenute, poiché il credito d'imposta azionabile dal socio
straniero non cambia natura sia che lo si definisca (come avviene nella
citata Convenzione Italia-Francia n. 20 del 1992) come "pagamento" da parte
del Tesoro italiano, sia che lo si qualifichi più esattamente come credito
d'imposta, come avviene appunto nella Convenzione fra Italia e Regno Unito,
di cui è causa.
La stessa Circolare sulle doppie imposizioni n. 151/E/14/658 del 18
agosto 1994, della quale l'Amministrazione ricorrente chiede la
applicazione in ordine alle modalità e ai tempi del rimborso da parte dei
soci esteri, fa comune riferimento,nel titolo, a tutte le convenzioni in
materia stipulate "con la Francia, con il Regno Unito, con la Repubblica
Federale di Germania e con i Paesi Bassi", per stabilire che dovrebbe, per
tutte indistintamente tali fattispecie, applicarsi l'art. 38 del D.P.R. 29
settembre 1973, n. 602, in quanto norma generale afferente tutti i
"versamenti diretti".
Tale norma pacificamente applicabile (Cass. n. 7360/1998; n.
n. 7804/2003) in ogni caso di rimborso derivante
da "errore rnateriale,duplicazione o inesistenza parziale o totale
dell'obbligo di versamenti", non può tuttavia riferirsi alla restituzione
(parziale) di credito d'imposta a socio non residente, poiché in tal caso
il tributo è stato pagato dalla Società italiana che ha erogato i dividendi
non per errore, o in eccedenza, rispetto al dovuto, ma in ottemperanza alla
legge, e il diritto ad una parziale restituzione legittima alla relativa
azione non la predetta società italiana, ma il solo socio estero, in base
alla previsione di una norma convenzionale garantistica del riequilibrio
fiscale delle posizioni di soci residenti in Stati diversi.
Sulla base delle esposte considerazioni il Collegio ritiene di non
poter condividere il diverso assunto della sentenza n. 1770/2004 di questa
Corte che, con riferimento alla Convenzione intervenuta fra Italia e Regno
Unito sulle doppie imposizioni, ha ritenuto invece l'applicabilità di tale
norma, in luogo del termine di prescrizione ordinaria, e ciò esclusivamente
in base alla formulazione letterale della disposizione di cui al citato
art. 10, paragrafo 4-A.
Deve infatti ritenersi che, in assenza di qualsiasi indicazione nella
Convenzione Italo-britannica circa il termine da osservarsi da parte degli
soci non residenti per la richiesta di rimborso non valga un generico
riferimento alle leggi italiane, specie in presenza del dettato
dell'art. 29, n. 3 della L. n. 329 del 1990 che afferma che "le Autorità
competenti negli Stati contraenti stabiliranno di comune accordo ..., le
modalità di applicazione del presente articolo" (relativo ai rimborsi),
dettato che ha trovato un inidoneo riscontro, a quattro anni di distanza
dalla emanazione della legge, in una circolare interpretativa del solo
Stato italiano.
Nella carenza dunque di specifica normativa sul punto, deve ritenersi
che il termine di cui può giovarsi il soggetto estero che aziona un
diritto, non strettamente qualificabile come "rimborso", sia quello
generale di prescrizione dei diritti soggettivi.
Il proposto ricorso deve pertanto essere rigettato.
Sussistono giusti motivi di compensazione delle spese del presente
giudizio.
P.Q.M. - la Corte rigetta il ricorso.
Compensa le spese.