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FISCALITA' INTERNAZIONALE - IMPOSTE DOGANALI - Esclusione POSSIBILITA' DELLA DOMANDA DI RIMBORSO DEI DAZI IN ECCEDENZA SUCCESSIVA A STIPULA DI CONTRATTO DI "TRANSFER PRICING"
Pubblicata il 06/11/2013
Corte di Cassazione, Sezione Tributaria civile Sentenza 27 marzo 2013, n. 7716
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Corte di Cassazione, Sezione Tributaria civile
Sentenza 27 marzo 2013, n. 7716
Integrale
FISCALITA' INTERNAZIONALE - IMPOSTE DOGANALI - DOMANDA DI RIMBORSO DEI DAZI IN ECCEDENZA SUCCESSIVA A STIPULA DI CONTRATTO DI "TRANSFER PRICING" - ESCLUSIONE
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PIVETTI Marco - Presidente
Dott. CIRILLO Ettore - Consigliere
Dott. VALITUTTI Antonio - rel. Consigliere
Dott. PERRINO Angelina Maria - Consigliere
Dott. CONTI Giovanni - Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 28654-2011 proposto da:
(OMISSIS) SPA in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell'avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dagli avvocati (OMISSIS), (OMISSIS) giusta delega a margine;
- ricorrente -
contro
AGENZIA DELLE DOGANE in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l'AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;
- controricorrente -
avverso la sentenza n. 110/2010 della COMM. TRIB. REG. di GENOVA, depositata il 07/10/2010;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 12/02/2013 dal Consigliere Dott. ANTONIO VALITUTTI;
udito per il ricorrente l'Avvocato (OMISSIS) che ha chiesto l'accoglimento;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. GAMBARDELLA Vincenzo che ha concluso per il rigetto del ricorso.
PREMESSO IN FATTO
1. Con sentenza n. 110/6/10, depositata il 7.10.10, la Commissione Tributaria Regionale della Liguria accoglieva l'appello proposto dall'Agenzia delle Dogane di Genova avverso la decisione di primo grado, con la quale era stato accolto il ricorso proposto dalla contribuente nei confronti del silenzio rifiuto serbato dall'Amministrazione sull'istanza di revisione e di rimborso dei dazi corrisposti - a suo dire - in eccedenza per importazioni di autovetture dalla (OMISSIS), avvenute nell'anno 2003.
2. La CTR - in riforma della decisione di prime cure - riteneva, invero, non ammissibile la revisione dell'accertamento doganale definitivo, ai sensi del Decreto Legislativo n. 374 del 1990, articolo 11 e articolo 78 Regolamento CE 2913/92, e quindi non accoglibile la domanda di rimborso dei dazi in eccedenza proposta dall'importatore, in conseguenza della stipula, successivamente a tale accertamento, di un contratto di transfer price, dal quale era conseguita una riduzione del prezzo delle merci importate, ed al di fuori della procedura semplificata della dichiarazione incompleta ex articolo 253 e segg. Regolamento CE 2454/93.
3. Per la cassazione della sentenza n. 110/6/10 ha proposto ricorso la (OMISSIS) s.p.a. articolando tre motivi, ai quali il contribuente ha replicato con controricorso.
OSSERVA IN DIRITTO
1. Con i tre motivi di ricorso - che, per la loro evidente connessione, vanno esaminati congiuntamente - la (OMISSIS) s.p.a. denuncia la violazione e falsa applicazione del Decreto Legislativo n. 374 del 1990, articolo 11, articoli 29, 78 e 236 del Regolamento CE n. 2913/92, articoli 254 e 256 del Regolamento CE n. 2454/93, in relazione all'articolo 360 c.p.c., n. 3.
1.1. Avrebbe, invero, errato la CTR - a parere della ricorrente - nel ritenere inammissibile il rimborso - ai sensi dell'articolo 236 del Regolamento CE n. 2913/92 (Codice Doganale Comunitario, in prosieguo c.d.c.) - dei maggiori dazi doganali pagati in occasione dell'importazione di merci (autovetture dalla (OMISSIS)), sulla base delle caratteristiche e del valore dichiarato in Dogana, nel caso di variazione del prezzo stabilita in forza di un contratto di transfer price fra la societa' italiana (OMISSIS) e s.p.a. e la casa madre (OMISSIS) (OMISSIS), e senza che fosse stata attivata la procedura semplificata di dichiarazione incompleta ex articolo 76 Regolamento CE 2913/92 (c.d.c.) e articolo 253 e segg. Regolamento CE 2454/93 (Disposizioni di Applicazione del Codice, in prosieguo DAC). Al disconoscimento di tale rimborso il giudice di appello sarebbe, invero, pervenuto considerando inammissibile la revisione dell'accertamento definitivo della dichiarazione all'importazione, ai sensi del Decreto Legislativo n. 374 del 1990, articolo 11 e articolo 78 c.d.c., richiesto, non in conseguenza di un errore spontaneo nella compilazione della bolletta doganale, bensi' per effetto di una scelta effettuata all'atto dello sdoganamento delle autovetture da parte della ditta importatrice. Ed infatti, la stipula di un contratto di transfer price - in data (OMISSIS), ma con effetto retroattivo all'1.1.03, si' da coprire l'intero anno in contestazione - che si fonda su elementi intervenuti successivamente alle operazioni di importazione effettuate dalla (OMISSIS), non varrebbe ad integrare - secondo la CTR -quelle inesattezze ed incompletezze nell'applicazione delle disposizioni che disciplinano il regime doganale, per effetto di un errore compiuto nella fase della dichiarazione, che sole possono giustificare - a norma delle disposizioni suindicate - la revisione dell'accertamento definitivo della dichiarazione all'importazione.
1.2 Di contro, a parere della (OMISSIS), la diposizione di cui al Decreto Legislativo n. 374 del 1990, articolo 11 - per la sua portata generale - si applicherebbe a qualsiasi caso nel quale fosse necessaria la revisione dell'accertamento doganale, in uno qualunque dei suoi elementi, ed - in special modo - per quanto concerne il valore della merce importata. D'altro canto, la tesi sostenuta dal giudice di appello -secondo il quale una variazione del prezzo di transazione non consentirebbe la rettifica del valore doganale dichiarato, e conseguentemente dei dazi dovuti - porterebbe alla conclusione, paradossale, secondo cui neppure l'Ufficio potrebbe procedere alla revisione dell'accertamento nel caso di variazione in aumento del prezzo di transazione, e - di conseguenza - del valore della merce sul quale calcolare i dazi doganali.
Inoltre, l'articolo 78 c.d.c. - ad avviso della ricorrente - comporterebbe la sussistenza di un obbligo dell'Amministrazione di procedere alla revisione dell'accertamento definitivo della dichiarazione doganale, ed alla conseguente rettifica dei dazi dovuti, ogni qual volta - per qualsiasi ragione - la determinazione del valore doganale dei beni importati sia stata operata sulla base di elementi inesatti o incompleti. E non potrebbe revocarsi in dubbio - a parere della (OMISSIS) - che la variazione del prezzo della transazione determini l'inesattezza degli elementi posti a bade della determinazione del valore, con conseguente necessita' di disporre la relativa variazione, ai sensi dell'articolo 78 c.d.c.. Il che - contrariamente a quanto ritenuto dalla CTR - eliderebbe anche la necessita', peraltro non stabilita da alcuna norma, di seguire la procedura della dichiarazione incompleta, ai sensi dell'articolo 76 c.d.c. e articolo 253 e segg. DAC.
1.3. Assume, infine, la ricorrente che i maggiori dazi percepiti dall'Amministrazione doganale - in relazione alle operazioni di importazione in questione - sarebbero stati "legalmente riscossi" dall'Agenzia delle Dogane, ma non "legalmente dovuti", ai sensi dell'articolo 236 c.d.c.. Ed infatti, a parere della (OMISSIS) s.p.a., i dazi correttamente applicati in Dogana sul valore dichiarato dall'importatore, pur essendo "legalmente riscossi", non potrebbero considerarsi "legalmente dovuti" dall'importatore, ossia applicati sul valore effettivo della merce, corrispondente al prezzo pagato o da pagare. E cio' in quanto il contratto di transfer price, stipulato tra le parti, avrebbe inciso sul prezzo di cessione dei beni importati, determinando - di conseguenza - che i dazi riscossi dall'Agenzia delle Dogane non erano piu' legalmente dovuti.
2. Tali deduzioni della (OMISSIS) s.p.a., sebbene pregevolmente svolte, non possono essere condivise dalla Corte.
2.1. Dall'esame degli atti del presente giudizio, si evince, invero, che, nell'anno 2003, la (OMISSIS) s.p.a. presentava alla Dogana di Genova numerose dichiarazioni di importazione di autovetture, vendute all'esportazione dalla casa madre (OMISSIS) (OMISSIS). Peraltro, nel corso dell'anno 2003 la societa' italiana importatrice concludeva con la esportatrice (OMISSIS) un contratto di transfer price, stipulato in data (OMISSIS), ma con efficacia dall'1.1.03, in forza del quale il valore delle autovetture importate veniva rivisto trimestralmente. In seguito a tale accordo, la (OMISSIS) emetteva, quindi, quattro note di credito, con le quali rettificava, in diminuzione, l'intero importo da essa fatturato alla (OMISSIS), per i quattro trimestri del 2003. La societa' importatrice italiana presentava, pertanto, in data 21.9.2006, istanza - ai sensi dell'articolo 78 c.d.c. - di revisione degli accertamenti definitivi effettuati dall'Amministrazione per tutte le bollette emesse presso la Dogana di Genova per l'anno 2003. Con tale istanza la (OMISSIS) chiedeva, di conseguenza, il rimborso dei maggiori dazi pagati sul valore delle merci dichiarato in Dogana, essendo tale valore venuto a diminuire, per effetto della diminuzione del prezzo di cessione della autovetture acquistate dalla (OMISSIS) negli anni suindicati. Su tale istanza si formava il silenzio rifiuto dell'Amministrazione doganale, per decorso di 90 giorni dalla sua presentazione, ai sensi del Decreto Legislativo n. 374 del 1990, articolo 11, comma 6.
2.2. Il contenzioso - instaurato dalla (OMISSIS) in relazione al silenzio rifiuto - si concludeva, quindi, con decisione di accoglimento della CTP di Genova, avverso la quale l'Agenzia delle Dogane proponeva appello alla CTR della Liguria. Quest'ultima, con la sentenza n. 110/6/10, oggetto di esame in questa sede, accoglieva il gravame dell'Amministrazione, compensando le spese del giudizio.
3. Tale decisione - a giudizio della Corte - e' da ritenersi del tutto corretta e condivisibile.
3.1. Va - per vero - anzitutto osservato che la regola generale in materia di determinazione del valore delle merci importate, al momento della loro presentazione in Dogana, si desume dall'articolo 29 c.d.c., secondo il quale "il valore in dogana delle merci importate e' il valore di transazione, cioe' il prezzo effettivamente pagato o da pagare per le merci quando siano vendute per l'esportazione a destinazione del territorio doganale della Comunita'". E tuttavia, la stessa norma succitata dispone che, nell'ipotesi in cui il compratore ed il venditore siano "legati" - il che, evidentemente si verifica nel caso, ricorrente nella specie, di transazioni tra societa' infragruppo - il valore della transazione deve essere "accettabile a fini doganali", e tale va considerato - ai sensi del paragrafo 2 a) della stessa disposizione - quello "ammesso", a seguito dell'esame delle circostanze della vendita, in considerazione del fatto che i "legami" tra le predette societa' "non abbiano influito sul prezzo".
E', pertanto, evidente che - gia' in forza della disposizione di base, in materia di accertamento del valore delle merci importate - i legami tra la ditta importatrice e quella esportatrice, che - nella specie - trovano una loro concretizzazione, in relazione all'operazione in questione, nel contratto di transfer price stipulato tra le stesse, impongono alla Dogana una speciale cautela nella determinazione del valore della merce importata. Il che non puo' non riflettersi anche nella revisione successiva del valore a suo tempo accertato.
3.2. Ed invero, va considerato, al riguardo, che - ai sensi del Decreto Legislativo n. 374 del 1990, articolo 11 - e' sempre consentito all'Ufficio doganale di procedere alla revisione dell'accertamento divenuto definitivo, sebbene le merci siano gia' state svincolate e lasciate alla libera disponibilita' dell'operatore. In tale ipotesi, dispone la norma, "quando dalla revisione, eseguita sia d'ufficio che su istanza di parte, emergono inesattezze, omissioni o errori relativi agli elementi presi a base dell'accertamento, l'ufficio procede alla relativa rettifica". Se ne deve necessariamente inferire, dunque, che la revisione dell'accertamento definitivo, richiesta dall'importatore o disposta d'ufficio, non puo' che essere effettuata - e pervenire alla rettifica del valore delle merci inizialmente accertato - solo, ed esclusivamente, sulla scorta degli elementi posti a fondamento dell'accertamento iniziale, e non certo di elementi successivi. Il che equivale a dire che la revisione in parola potra' essere operata, ad esempio, a seguito del riscontro di una differente qualita' delle merci, del loro danneggiamento durante il trasporto, o della ritenuta erronea classificazione delle stesse nelle relative voci di tariffa doganale. Di contro, tale revisione, e la conseguente rettifica del valore dichiarato all'atto dell'importazione, non potranno essere operate sulla base di una scelta contrattuale deliberatamente effettuata dalle parti private (esportatore ed importatore), per di piu' legate dall'appartenenza ad uno stesso gruppo, in un momento successivo alla presentazione della merce in Dogana.
Tale conclusione non vale, peraltro, ad escludere - come sostenuto dalla ricorrente - che, cosi' opinandosi, si finirebbe col precludere allo stesso Ufficio la revisione dell'accertamento, nel caso di variazione in aumento del prezzo di transazione e - di conseguenza - del valore della merce sul quale calcolare i dazi doganali. A tale revisione l'Amministrazione puo', invero, - come sopra detto - in ogni caso procedere, sia in pregiudizio che a favore del contribuente (operando, in tal caso, come una sorta di autotutela), purche', pero', essa avvenga in base ad elementi posti, a suo tempo, a fondamento dell'accertamento doganale ed erroneamente valutati, e non sulla scorta di elementi successivi posti in essere - ad accertamento definito - in forza di scelte negoziali delle parti private dell'operazione.
3.3. Tale conclusione e', peraltro, ulteriormente avvalorata dalla considerazione del quadro normativo comunitario in materia.
3.3.1. Va - per vero - osservato che alla rettifica della dichiarazione doganale, quanto a valore delle merci importate, puo' procedersi, in base al Codice Doganale Comunitario, mediante due diversi procedimenti, disciplinati rispettivamente dagli articoli 65 e 78 c.d.c..
La prima di tali norme consente, invero, la rettifica unilaterale, da parte dello stesso importatore, della sua dichiarazione in Dogana, dopo l'accettazione di quest'ultima da parte dell'autorita' doganale e fino al momento della concessione dello svincolo delle merci. Ed infatti, a norma dell'articolo 65 c.d.c., comma 2 "nessuna rettifica puo' piu' essere autorizzata se la richiesta e' fatta dopo che l'autorita' doganale (....) c) ha autorizzato lo svincolo delle merci".
La previsione in parola si spiega agevolmente con la considerazione che, fino al momento dello svincolo delle merci, l'esattezza delle rettifiche puo' essere piu' agevolmente verificata - rispetto all'ipotesi della revisione successiva ex articolo 78 c.d.c. - mediante un controllo fisico delle merci stesse, ancora presenti in Dogana. Di piu', e' ben possibile che - attesa la tempestivita' della rettifica, che avviene subito dopo la presentazione della dichiarazione all'importazione - essa intervenga perfino in un momento nel quale l'importo dei dazi doganali non sia stato ancora stabilito dall'Amministrazione (cfr. C. Giust. CE, 20.10.05, C-468/03). Tali connotazioni fattuali della vicenda ne hanno giustificato, pertanto, la sottoposizione - da parte del legislatore comunitario - al regime della rettifica unilaterale della dichiarazione all'importazione.
3.3.2. Ben diverso si palesa, invece, il regime della revisione della dichiarazione doganale che venga effettuata, d'ufficio o su richiesta del dichiarante, dopo la concessione dello svincolo delle merci, ai sensi dell'articolo 78 c.d.c.. Ed e' appunto questa seconda forma di rettifica della dichiarazione doganale - come si e' in precedenza evidenziato - l'ipotesi che si e' verificata nel caso di specie.
Non puo', invero, revocarsi in dubbio che la norma succitata istituisca un regime piu' restrittivo, di quanto non lo sia quello di cui alla vista disposizione dell'articolo 65 c.d.c.. Per intanto, la revisione dell'accertamento definitivo sulle merci importate, men che essere demandata - come stabilisce tale ultima norma - al solo importatore, mediante rettifica unilaterale, e' - per contro - affidata alle autorita' doganali, che pervengono all'eventuale rettifica della dichiarazione all'importazione, procedendo ad un'attenta valutazione dei presupposti previsti dall'articolo 78 c.d.c.. Il che si spiega con la considerazione che, a differenza di quanto si verifica per l'ipotesi disciplinata dall'articolo 65 c.d.c., in questo caso la revisione avviene in un momento in cui la presentazione delle merci all'Ufficio doganale procedente puo' rivelarsi impossibile, per la gia' avvenuta concessione dello svincolo, e nel quale la determinazione dei dazi all'importazione e' gia' stata effettuata dall'Amministrazione competente. Il presupposto essenziale che autorizza il ricorso a siffatta forma speciale di revisione, successiva allo svincolo delle merci, e' - per vero - costituito dal fatto che "dalla revisione della dichiarazione o dai controlli a posteriori risulti che le disposizioni che disciplinano il regime doganale considerato sono state applicate in base ad elementi inesatti o incompleti". Ebbene, tale espressione - atteso il chiaro tenore letterale della stessa - non puo' che essere intesa nel senso che l'incompletezza o l'inesattezza dell'esame degli elementi posti a base della dichiarazione di importazione, alla stregua del regime doganale considerato, deve attenere ad "errori od omissioni materiali", ovvero ad "errori di interpretazione del diritto applicabile", con riferimento, dunque, - com'e' del tutto evidente - ad errori involontari dell'interessato, siano essi di fatto o di diritto, commessi, in ogni caso, in sede di accertamento della dichiarazione (es. errata inclusione, nel valore dichiarato in Dogana, di una commissione di acquisto) (cosi' C. Giust. CE, 20.10.05, C-468/03).
3.3.3. Orbene, in siffatta ipotesi, e' chiaro che la revisione avviene sulla base dei nuovi elementi di cui l'Ufficio doganale entra in possesso, a seguito dell'apertura del procedimento di revisione ex articolo 78 c.d.c.. Ma bisogna bene intendersi.
Tali elementi possono, difatti, essere acquisiti dalla stessa Amministrazione d'ufficio, o mediante un rinnovato "controllo dei documenti", a suo tempo allegati dall'importatore, e dei "dati commerciali relativi alle operazioni di importazione, nonche' delle "successive operazioni commerciali (vendite) concernenti le merci stesse", oppure mediante "visita delle merci quando queste possano esserle ancora presentate". Si tratta - com'e' di tutta evidenza - di riscontri successivi diretti a portare alla luce eventuali errori od omissioni, involontari, posti in essere all'atto della presentazione delle merci alla Dogana, e concernenti la situazione di fatto o di diritto delle stesse a quel momento.
L'acquisizione di ulteriori elementi, che consentano l'apertura del procedimento di revisione e di rettifica, puo' essere, tuttavia, effettuata anche su iniziativa dello stesso importatore, il quale chieda procedersi alla revisione ex articolo 78 c.d.c., offrendo all'Amministrazione dati suscettibili di evidenziare l'erroneita' della situazione, cosi' come cristallizzata nell'accertamento definitivo della dichiarazione doganale all'importazione. Tali dati non possono, peraltro, che riguardare inesattezze od omissioni nell'applicazione del regime doganale, dovuti ad errori materiali o di diritto commessi nella dichiarazione di valore delle merci, effettuata in Dogana all'atto della loro importazione. Tanto vero che gli strumenti che la citata norma pone a disposizione dell'Amministrazione, al fine di verificare quanto allegato dal contribuente, sono pur sempre quelli del riesame documentale e della verifica delle merci, che non possono - logicamente - che riguardare il controllo degli elementi tenuti presente dalla Dogana al momento della presentazione dei beni importati.
Ne discende che sono sicuramente al di fuori dell'ambito applicativo della norma in questione quegli elementi successivi che consistono, non nel rilievo di errori dell'interessato rappresentati da una svista o da un'omissione involontaria, bensi' da scelte volontarie poste in essere dal medesimo, successivamente alla dichiarazione di importazione (C. Giust. CE, n. 468/05, cit., C. Giust. CE, 5.10.06, C-100/05). E non puo' revocarsi in dubbio che tra le scelte in parola dell'importatore rientri, in special modo, la stipula di contratti - avvenuta nella specie - suscettibili di provocare una riduzione del valore di transazione, ovverosia del prezzo pagato per le merci, e sulla base del quale era stato calcolato il valore doganale delle stesse, ai sensi dell'articolo 29 c.d.c..
3.3.4. Uno specifico rilievo in tal senso assume, d'altro canto, anche il disposto dell'articolo 236 c.d.c., laddove dispone che il rimborso dei dazi all'importazione - nella specie richiesto dalla (OMISSIS) s.p.a. - viene disposto dall'Amministrazione "quando si constati che al momento del pagamento il loro importo non era legalmente dovuto, o che e' stato contabilizzato contrariamente all'articolo 220, par. 2". Se ne deve necessariamente inferire, che le Amministrazioni doganali sono tenute ad accogliere una richiesta di rimborso di dazi all'importazione ogni qual volta risulti che "per errore dell'interessato e non in base ad una scelta", sia stato contabilizzato un importo dei dazi doganali non dovuto "al momento del pagamento"; e sempre che i fatti che hanno dato luogo al pagamento non dovuto non risultino da "una frode dell'interessato" (cosi' C. Giust. CE, 100/06, cit.).
Ne risulta, pertanto, ribadita la natura di errore involontario - e non di libera scelta successiva alla dichiarazione di importazione - che il fatto, che da luogo alla revisione ex articolo 78 c.d.c. ed all'eventuale rimborso (o sgravio, per i dazi non ancora pagati) ex articolo 236 c.d.c., deve rivestire. E tuttavia - com'e' di chiara evidenza - siffatta natura non e' di certo ascrivibile al contratto di transfer price, stipulato, nel caso concreto, tra l'importatrice italiana e l'esportatrice (OMISSIS).
3.3.5. Ne' giova alla (OMISSIS) addurre, a suo difesa, la differenza che la giurisprudenza comunitaria - e segnatamente la citata decisione della C. Giust. Ce, 20.10.05, C-468/03 - ha tracciato tra dazi "legalmente riscossi" e dazi "legalmente dovuti", ai sensi dell'articolo 236 c.d.c..
Ed invero, la suddetta sentenza si riferisce ad un caso del tutto diverso dalla fattispecie in esame, e precisamente all'ipotesi nella quale una dichiarazione in Dogana non conteneva la menzione separata di una commissione di acquisto, pur distinta dal prezzo delle merci, con la conseguenza che il valore doganale dei beni importati era stato erroneamente determinato anche in base a tale commissione. La Corte - preso atto del fatto che l'inclusione della commissione di acquisto nel prezzo dichiarato in Dogana era avvenuta per "un errore rappresentato da un'omissione involontaria" e che tale errore "non puo' essere considerato l'esercizio di una scelta" - ha concluso del senso che i "dazi legalmente riscossi sulla base di semplici regole di prova" (articolo 29 c.d.c., determinazione del valore doganale sulla base del prezzo dichiarato, erroneamente comprensivo della commissione d'acquisto) non possono considerarsi "legalmente dovuti", ex articolo 236 c.d.c., qualora vengano prodotti elementi di prova successivi.
E tuttavia, tali elementi devono pur sempre consistere nel porre in luce l'errore rappresentato da un'involontaria omissione - nella specie, l'omessa indicazione separata della commissione di acquisto, si' che essa non venisse ad essere inglobata nel prezzo delle merci - e non certo in dati desumibili da scelte volontarie, di tipo negoziale, poste in essere - ad accertamento definito - dall'importatore e dall'esportatore.
La decisione succitata, pertanto, finisce - in definitiva - con il costituisce un'ulteriore, chiara, conferma della non applicabilita', alla fattispecie concreta, del disposto del menzionato articolo 236 c.d.c..
4. Ma vi e' di piu'. Deve considerarsi, in proposito, che il contratto di transfer price o pricing (la prima espressione pone l'accento sul profilo statico del fenomeno, la seconda su quello dinamico) viene in rilievo, in tema di imposte sui redditi, con riferimento alla disciplina incentrata sulla corretta applicazione della normativa in materia di prezzi di trasferimento tra parti correlate. Tale normativa ha - per vero - la finalita' di consentire all'amministrazione finanziaria un controllo dei corrispettivi applicati alle operazioni commerciali e/o finanziarie intercorse tra societa' collegate e/o controllate residenti in nazioni diverse, al fine di evitare che vi siano aggiustamenti "artificiali" di tali prezzi, determinati dallo scopo di ottimizzare il carico fiscale di gruppo: ad esempio, canalizzando il reddito verso le societa' dislocate in aree o giurisdizioni caratterizzate da una fiscalita' piu' mite.
4.1. In tale prospettiva, viene - per vero - in rilievo il disposto del Decreto del Presidente della Repubblica n. 917 del 1986, articolo 110, comma 7, che, nel prevedere che i componenti derivanti da operazioni con societa' non residenti nel territorio dello Stato, le quali direttamente o indirettamente controllano l'impresa o ne sono controllate o sono controllate dalla stessa societa' controllante l'impresa nazionale, sono valutati in base al "valore normale" dei beni ceduti, dei servizi prestati e dei beni ricevuti, determinato ai sensi dell'articolo 9 del medesimo Decreto del Presidente della Repubblica, fissa una clausola antielusiva finalizzata ad evitare trasferimenti di utili mediante l'applicazione di prezzi inferiori o superiori al valore dei beni scambiati, onde sottrarli all'imposizione fiscale in Italia a favore di tassazioni estere inferiori. Nelle ipotesi in cui tali corrispettivi risultano scarsamente attendibili e possono essere manipolati in danno del Fisco italiano, come nel caso degli scambi transnazionali tra soggetti i cui processi decisionali sono condizionati, poiche' funzionali ad un unitario centro di interessi, i corrispettivi medesimi sono - per vero - sostituiti, per volonta' di legge, dal "valore normale" dei beni o dei servizi oggetto dello scambio, qualora tale sostituzione ricada, in concreto, a vantaggio del Fisco italiano (Cass. 17953/12).
Deve ritenersi, pertanto, che la disciplina suesposta costituisca - secondo l'interpretazione piu' diffusa anche nella giurisprudenza di questa Corte - una "clausola antielusiva", in linea con i principi comunitari in tema di abuso del diritto, finalizzata ad evitare che all'interno del gruppo di societa' vengano effettuati trasferimenti di utili mediante l'applicazione di prezzi inferiori o superiori al valore normale dei beni ceduti, al fine di sottrarli all'imposizione fiscale in Italia a favore di tassazioni estere inferiori, o comunque a favore di situazioni che rendano fiscalmente conveniente l'imputazione di utili ad articolazioni del gruppo diverse da quelle nazionali (cfr. Cass. 22023/06, 11226/07, 11949/12).
4.2. Stando cosi' le cose, e' di tutta evidenza che il contratto di transfer price non puo' in alcun modo venire in rilievo in materia di determinazione del valore doganale dei beni importati, atteso che tale operazione negoziale, in quanto diretta ad operare una sorta di redistribuzione del reddito all'interno di un gruppo di societa', comporta che alla revisione dei prezzi si pervenga sulla base di elementi diversi dal valore effettivo della merce importata.
Inoltre, la circostanza che siffatta operazione sia, per lo piu', diretta a scopi di elusione delle imposte sui redditi, giustifica ulteriormente - nel caso concreto - la decisione dell'Amministrazione di non concedere il rimborso richiesto dalla (OMISSIS) s.p.a., non potendo ritenersi sussistente, in sua presenza, neppure la condizione essenziale per il diritto al rimborso, richiesta dall'articolo 236 c.d.c., consistente nella mancanza di frode del dichiarante. E' del tutto evidente, infatti, che la circostanza che la rettifica del prezzo delle merci importata debba avvenire, non in conseguenza di errori od omissioni involontari dell'importatore nella sua determinazione, bensi' in forza di un contratto - ossia di una scelta volontaria del soggetto interessato all'importazione - che fissi un prezzo di vendita disatteso dalla legge, e sostituito da un valore legale ai fini dell'imposizione, rende del tutto inattendibile il valore esposto nella stessa istanza di revisione ex articolo 78 c.d.c. e Decreto Legislativo n. 373 del 1990, articolo 11. La presenza di un abuso del diritto, ai fini delle imposte sui redditi, vale - in altri termini - ad integrare anche una frode relativa ai dazi doganali, mediante la richiesta di riduzione del valore delle merci, sulla base del prezzo di una transazione considerata non attendibile dalla legge.
E, non a caso, - come dianzi detto - l'articolo 29 c.d.c., nell'ipotesi in cui il compratore ed il venditore siano "legati", esclude che si possa porre a fondamento della determinazione del valore doganale della merce importata il prezzo della transazione tra importatore ed esportatore, quando il "legame" tra gli stessi esistente abbia, come nella specie, influito sul prezzo di vendita delle merci importate.
4.3. In definitiva, dunque, il quadro di riferimento nazionale e comunitario e' nel senso che, al di fuori degli errori od omissioni compiuti involontariamente dall'importatore nella dichiarazione di importazione, nonche' dei casi nei quali possa essere ammessa - escluse, evidentemente, le ipotesi di frode - la procedura della dichiarazione incompleta, ai sensi degli articolo 76 c.d.c. e articolo 253 DAC, non sia possibile una successiva rettifica della dichiarazione di importazione, a seguito di scelte volontarie dell'interessato.
5. Per tutte le ragioni suesposte, pertanto, il ricorso proposto dalla (OMISSIS) s.p.a. non puo' che essere rigettato, con conseguente condanna della ricorrente alle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione;
rigetta il ricorso; condanna la ricorrente alle spese del presente giudizio, che liquida in euro 8.000,00, oltre alle spese prenotate a debito