Imposte sui redditi delle persone fisiche e iscrizione anagrafe comune

Massima - La mera iscrizione nella anagrafe della popolazione residente in un comune italiano determina, ai sensi dell'art. 2 del D.P.R. n. 597/1973, l'assoggettamento ad Irpef del soggetto iscritto. E non assumono rilievo in senso contrario né la sentenza penale di proscioglimento dal reato di omessa denuncia dei redditi, né l'attestazione di un'ambasciata straniera (nella specie Kuwait) dalla quale risulti che il contribuente era residente in uno stato estero.

Sent. n. 9319 del 20 aprile 2006 (ud. del 23 gennaio 2006) della Corte Cass., Sez. tributaria - Pres. Paolini, Rel. Chiarini



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Sent. n. 9319 del 20 aprile 2006 (ud. del 23 gennaio 2006)
della Corte Cass., Sez. tributaria - Pres. Paolini, Rel. Chiarini
Imposte sui redditi delle persone fisiche -  Assoggettamento  -  Iscrizione
nell'anagrafe di un comune italiano - Sufficienza - Art. 2  del  D.P.R.  29
settembre 1973, n. 597
    Massima - La mera iscrizione nella anagrafe della popolazione residente
in  un  comune  italiano  determina,  ai  sensi  dell'art.  2  del   D.P.R.
n. 597/1973, l'assoggettamento  ad  Irpef  del  soggetto  iscritto.  E  non
assumono  rilievo  in  senso   contrario   né   la   sentenza   penale   di
proscioglimento dal reato di omessa denuncia dei redditi, né l'attestazione
di un'ambasciata straniera (nella specie Kuwait) dalla quale risulti che il
contribuente era residente in uno stato estero. (1)
Svolgimento del processo  -  Con  avviso  del  1985  l'Ufficio  imposte
dirette di Lucca accertava a carico di W.B.,  ai  fini  Irpef,  un  reddito
netto di lavoro autonomo per il 1980 e 1981, pari a lire  107.350.000,  non
dichiarato.
    L'avviso era impugnato da W.B. e  il  suo  appello  era  accolto  dalla
Commissione di II grado con decisione del settembre 1989.
    La Commissione centrale, con decisione del  3  maggio  2001,  n.  3260,
accoglieva   l'impugnazione   dell'ufficio   finanziario   sulle   seguenti
considerazioni: 1) W.B. era soggetto passivo di Irpef a norma  dell'art. 2,
comma 2, del D.P.R. n. 597/1973, applicabile ratione temporis,  secondo  il
quale si considerano residenti nel territorio dello Stato:  a)  le  persone
iscritte nelle anagrafi della popolazione residente; b)  coloro  che  hanno
nel territorio dello Stato la sede principale dei loro affari ed  interessi
o vi dimorano per più di sei  mesi  dell'anno;  c)  i  cittadini  residenti
all'estero ...". Quindi la legge tributaria, con valutazione legale tipica,
assoggetta all'imposta le persone fisiche  iscritte  nelle  anagrafi  della
popolazione residente e questo dato formale è sufficiente e preclusivo,  sì
che non è rilevante ogni circostanza diretta a dimostrare  che  la  persona
iscritta dimora soltanto pochi giorni all'anno nel territorio dello Stato o
che  non  ha  in  esso  la  sede  di  propri  affari  o   interessi:   tale
interpretazione è confermata dall'art. 3 del D.P.R. n. 597/1973 in cui, con
norma eccezionale, sono esclusi dall'imposta i redditi di lavoro dipendente
prestato all'estero da cittadini emigrati, benché "siano  rimasti  iscritti
nelle anagrafi  della  popolazione  residente".  Pertanto  nessuna  nozione
civilistica di residenza poteva rilevare essendo pacifico che nel l979 W.B.
era residente  a  Lucca;  2)  questa  conclusione  non  era  inficiata  dal
giudicato (Tribunale penale di Lucca del l9 marzo 1986) in quanto, premesso
che la sentenza di assoluzione si riferiva all'omessa  presentazione  della
denuncia dei redditi per  l'anno  1983,  i  fatti  accertati  nel  giudizio
penale, pur riferibili agli anni 1979-1984, non erano rilevanti ai fini  di
escludere la soggezione all'imposta per la  predetta  preclusione  di  ogni
indagine di fatto, né rileva che l'Ambasciata del  Kuwait  abbia  attestato
che nel 1981 W.B. fosse ivi residente  perché  fatto  inidoneo  a  superare
l'iscrizione  anagrafica  nel  comune  di  Lucca,  che  permane  fino  alla
cancellazione; 3) l'avviso dell'ufficio era adeguatamente  motivato  perché
la segnalazione della Polizia tributaria era nota a W.B. ed indicava i nomi
delle società estere da cui egli aveva  percepito  le  somme  e  perciò  il
medesimo era stato messo in condizioni di difendersi, né l'assimilazione di
"utili, stipendi, rimborsi spese"  a  redditi  di  lavoro  autonomo  poteva
inficiare la motivazione, incidendo non su di essa,  ma  sulla  legittimità
della pretesa impositiva, che il  predetto  poteva  contestare  e  che  era
identificabile e non  era  stata  modificata  dall'ufficio  nel  corso  del
giudizio.
    Avverso questa decisione ricorre per cassazione W.B.  per  due  motivi,
cui resistono l'Amministrazione delle finanze e l'Agenzia delle Entrate. Il
ricorrente ha altresì depositato memoria.
    Motivi della decisione - 1. Va  preliminarmente  disposto  lo  stralcio
della sentenza del 3 aprile 1986  del  Tribunale  penale  di  Lucca  perché
documento  estraneo  a  quelli  consentiti  dall'art.  372  del  codice  di
procedura civile.
    2. Con il primo  motivo  il  ricorrente  deduce:  "Violazione  e  falsa
applicazione in relazione all'art. 360, n.  3),  del  codice  di  procedura
civile dell'art. 2909".
    La  sentenza  passata  in  giudicato  non  può  essere  equiparata   ad
un'indagine di fatto e nella specie il Tribunale di Lucca ha affermato  che
W.B. non poteva essere ritenuto residente in Italia ai  sensi  dell'art.  2
del D.P.R. 597/1973. Altresì infondato è che  la  sentenza  di  assoluzione
"perché il fatto  non  sussiste"  si  riferisse  all'anno  1983  perché  il
processo penale era stato promosso per gli anni 1979-1984  e  l'istruttoria
si era svolta per tutto tale periodo. Soltanto in  sede  dibattimentale,  a
seguito dell'entrata in vigore della L. n. 516/1982, il pubblico  ministero
aveva  modificato   il   capo   di   imputazione   limitandolo   all'omessa
presentazione della dichiarazione dei redditi per  l'anno  l983.  E  poiché
l'autorità del giudicato penale in altri giudizi, a norma dell'art. 28  del
codice di procedura  penale,  riguarda  tutti  i  fatti  materiali  il  cui
accertamento è alla base del convincimento del giudice penale, anche se non
sono costitutivi o circostanze del reato contestato, ma presupposto  logico
della decisione - come nella fattispecie la mancata residenza in  Italia  -
hanno efficacia vincolante nel giudizio civile o amministrativo.
    Il motivo è infondato.
    Questa Corte ha già affermato (Cass. n.  1783/1999)  che
"l'art. 2, comma 2, del D.P.R. 29 settembre 1973,  n.  597,  fra  le  altre
ipotesi ivi previste, collega  la  qualità  di  residente,  ai  fini  della
determinazione del soggetto passivo dell'imposta sul reddito delle  persone
fisiche, all'iscrizione 'nelle anagrafi della  popolazione  residente'.  In
linea di principio deve ritenersi, quindi, in materia  fiscale,  tale  dato
preclusivo di ogni ulteriore accertamento ai fini della individuazione  del
soggetto  passivo  d'imposta,  diversamente  da  quanto  avviene  ai   fini
civilistici  ove  le  risultanze  anagrafiche  sono  invece   concordemente
considerate  idonee  unicamente  a  dar  luogo  a   presunzioni   relative,
superabili, come tali, dalla prova contraria. In altri termini  in  materia
fiscale, a differenza di quanto avviene ai fini  civilistici,  la  forma  è
destinata a prevalere sulla sostanza nell'ipotesi in cui la residenza venga
collegata al presupposto anagrafico. Una diversa  interpretazione  dovrebbe
inevitabilmente considerare concorrenti infatti gli altri  due  presupposti
previsti dall'art. 2 (sede principale degli  affari  nel  territorio  dello
Stato o dimora per più di sei mesi), contrariamente  al  dettato  normativo
che  li  prevede  invece  in  via  alternativa.  La  prevalenza  sul  punto
dell'elemento formale su  quello  sostanziale  costituisce  del  resto  una
costante del sistema fiscale se è vero che anche  il  vigente  testo  unico
delle imposte sui  redditi  (D.P.R.  22  dicembre  1986,  n.  917)  prevede
all'art. 2, comma 2, tre ipotesi  alternative  fra  le  quali,  ancora  una
volta, l'iscrizione 'nelle anagrafi della  popolazione  residente'  la  cui
presenza è  considerata  sufficiente  per  l'acquisizione  della  residenza
fiscale" (cfr. Cass. art. 2 del
D.P.R. n. 597/1973 prevedeva tre distinti criteri di collegamento,  uno  di
diritto e due di fatto, reciprocamente alternativi, e che la sussistenza di
uno solo di essi era idonea a sancire la residenza fiscale in  Italia  fino
alla   data   di   cancellazione   dalle   anagrafi    della    popolazione
(Cass. n. 1215/1998, cit.).
    Dunque, risultando dall'impugnata  decisione  che  W.B.  nel  1979  era
rimasto iscritto nell'anagrafe  del  comune  di  Lucca,  deve  considerarsi
soggetto  passivo  di  imposta  in  Italia,  e  perciò   correttamente   la
Commissione centrale non  ha  riconosciuto  tale  criterio  legale  formale
superabile da prova contraria.
    3. Con il secondo motivo deducono: "Violazione dell'art.  360,  n.  5),
del  codice  di  procedura  civile   per   insufficiente,   contraddittoria
motivazione su un punto decisivo della controversia".
    Il  contribuente  aveva  concluso  per  la   nullità   o   annullamento
dell'accertamento  perché  generico  e  non   motivato   sui   criteri   di
determinazione  dell'imponibile  e  sull'imputabilità  dei   vari   titoli,
completamente diversi e indistinti  tra  capitale  e  lavoro  autonomo,  ed
infatti lo stesso ufficio, in appello, non aveva più insistito sugli  utili
o rimborsi spese, bensì aveva dedotto proventi  di  royalties  e  perciò  i
titoli  sono  stati  modificati  nel  corso  del  giudizio  e   dunque   il
contribuente non ha potuto difendersi non potendo fornire prove negative.
    Il motivo è inammissibile.
    Costituisce infatti ius receptum  il  principio  secondo  il  quale  il
ricorso per cassazione avverso le decisioni  della  Commissione  tributaria
centrale  (rese  nel  regime  del  processo  tributario  disciplinato   dal
D.P.R. 26 ottobre 1972, art.  111
della Costituzione, sicché sono deducibili, con tale rimedio straordinario,
soltanto i vizi di violazione  di  legge  e  non  anche  quelli  di  omessa
insufficiente o contraddittoria motivazione.
    Concludendo il ricorso va respinto e il ricorrente condannato a  pagare
le spese del giudizio di Cassazione.
    P.Q.M. - la  Corte  rigetta  il  ricorso;  condanna  il  ricorrente  al
pagamento delle spese del giudizio di cassazione  di  cui  euro  2.000  per

onorari ed euro 100 per spese, oltre spese generali e accessori di legge.

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