Imposta sul reddito delle persone fisiche (IRPEF) - Soggetti passivi

Massima - Deve ritenersi applicabile la norma convenzionale ex art. 19, dell'accordo internazionale fra la Repubblica Italiana e la Confederazione svizzera all'ipotesi di cittadino iscritto all'AIRE e legato da rapporto di pubblico impiego con ente italiano ancorché impiegato all'estero. Conseguentemente, in virtù dei criteri di residenza, territorialità ed origine del reddito prodotto ed in assenza di prelievi tributari operati all'estero, la retribuzione del contribuente risulta imponibile nel territorio dello Stato.

Sent. n. 29455 del 17 dicembre 2008 (ud. del 30 ottobre 2008) della Corte Cass., Sez. tributaria - Pres. Miani Canevari, Rel. Merone



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Sent. n. 29455 del 17 dicembre 2008 (ud. del 30 ottobre 2008)
della Corte Cass., Sez. tributaria - Pres. Miani Canevari, Rel. Merone
Imposta sul reddito delle persone  fisiche  (IRPEF)  -  Soggetti  passivi  -
Persone fisiche Residenza nel territorio dello Stato -  20,
D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 - Rapporto di pubblico impiego  -  Luogo  di
lavoro - Stato estero - Art. 19, Convenzione Italia-Confederazione  svizzera

contro le doppie imposizioni

Massima - Deve ritenersi applicabile la norma convenzionale ex art.  19,
dell’accordo internazionale fra la Repubblica Italiana e  la  Confederazione
svizzera all’ipotesi di cittadino iscritto all’AIRE e legato da rapporto  di
pubblico  impiego  con  ente   italiano   ancorché   impiegato   all’estero.
Conseguentemente, in virtù  dei  criteri  di  residenza,  territorialità  ed
origine del reddito prodotto ed in assenza  di  prelievi  tributari  operati
all’estero,  la  retribuzione  del  contribuente  risulta   imponibile   nel

territorio dello Stato.

Rilevato in fatto - Il sig. P.D.C., dipendente dell’ente Ferrovie  dello
Stato (ora Trenitalia s.p.a.), dal 1994  ha  prestato  la  propria  attività
presso la sede delle Ferrovie italiane di Chiasso, in Svizzera.  Assume  che
dall’anno 1994 la  propria  famiglia  è  stata  iscritta  nell’anagrafe  dei
cittadini residenti all’estero (AIRE) e che  dallo  stesso  anno  risiede  a
Vacallo, appunto in Svizzera.
    Con raccomandata del 2 luglio 2001, il sig. D.C. ha chiesto il  rimborso
delle ritenute irpef operate sulla retribuzione, a suo dire indebitamente.
    Formatosi il silenzio  rifiuto,  il  contribuente  ha  proposto  ricorso
dinanzi alla competente Commissione tributaria provinciale sostenendo che:
    - in forza del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 3, comma  3,  lett.
c), (T.U.I.R.), vigente ratione temporis, le ritenute  non  dovevano  essere
effettuate, trattandosi di reddito derivante da lavoro dipendente  "prestato
all’estero in via continuativa e come oggetto esclusivo del rapporto";
    - non trova applicazione nella specie l’art. 19, della  convenzione  tra
la Repubblica italiana e la Confederazione Svizzera per  evitare  le  doppie
imposizioni, ratificata e resa esecutiva con L. 23 dicembre  1978,  n.  943,
(che prevede l’imposizione nello Stato di origine delle remunerazioni  degli
enti  pubblici),  perché  con  l’approvazione  del  T.U.I.R.  è  mutata   la
disciplina fiscale nazionale, nel senso che mentre la convenzione  aveva  un
senso (nel prevenire le doppie imposizioni) vigente il  D.P.R.  n.  597  del
1973, che  considerava  soggetti  passivi  di  imposta  le  persone  fisiche
"residenti e non residenti nel territorio dello Stato" (art.  2,  comma  1),
tale convenzione non ha  più  ragione  di  essere  dopo  l’approvazione  del
T.U.I.R. che esclude dalla base imponibile "i redditi  derivanti  da  lavoro
dipendente prestato all’estero in via continuativa e come oggetto  esclusivo
del rapporto" (art. 3, comma 3, lett. c);
    - che, comunque,  la  citata  convenzione  non  è  applicabile  dopo  la
trasformazione  delle  ferrovie  dello  Stato   nella   società   denominata
Trenitalia s.p.a..
    La Commissione tributaria provinciale  adita  ha  accolto  in  parte  il
ricorso, sul rilievo che la trasformazione delle  Ferrovie  dello  Stato  ha
reso inapplicabile nella specie la citata convenzione, ma ha riconosciuto il
diritto al rimborso soltanto in relazione ai quarantotto mesi precedenti  la
richiesta del contribuente, dovendo trovare  applicazione  nella  specie  la
disciplina di cui al D.P.R. n. 602 del 1973, art. 38, e non  il  termine  di
prescrizione decennale, invocato dal contribuente.
    Avverso tale decisione hanno proposto appello l’Agenzia delle Entrate in
via principale e  il  contribuente  in  via  incidentale  (per  ottenere  il
riconoscimento decennale del diritto al rimborso).
    La Commissione tributaria regionale ha  accolto  l’appello  dell’Agenzia
delle Entrate, assorbito quello del  contribuente,  ritenendo  legittimo  il
prelievo in Italia, sulla base dei seguenti rilievi
    a) la trasformazione delle Ferrovie dello Stato in Trenitalia S.p.a. non
rileva  sulla  applicazione  della  convenzione,  che  continua  a   trovare
applicazione "reciproca", in relazione alle Ferrovie federali svizzere (art.
19, comma 2, lett. b, n. 1);
    b)  la  trasformazione  non   può   incidere   "unilateralmente"   sulla
applicazione della convenzione, anche perché avrebbe  l’effetto  paradossale
di escludere da ogni forma di prelievo il reddito  in  questione,  piuttosto
che sottrarlo al rischio della doppia imposizione;
    c) lo Stato italiano non  ha  attribuito  a  tale  trasformazione  alcun
effetto sulla convenzione, dal momento che  anche  le  convenzioni  adottate
successivamente utilizzano la stessa terminologia ("Ferrovie dello Stato"  e
non "Trenitalia s.p.a.").
    Con un  unico  articolato  motivo,  illustrato  anche  con  memoria,  il
contribuente denuncia, sotto vari profili, violazioni di  legge  e  vizi  di
motivazione, in relazione al D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 3,  comma
3, lett. c), (T.U.I.R.) vigente fino al 31 dicembre 2000,  e  artt.  15
(ora 169), del medesimo T.U.I.R., artt. 19  e
15 della Convenzione italo-svizzera ratificata con L. n. 943 del 1978,  D.L.
5 dicembre 1991, n. 386, art.  1,  conv.  in  L.  n.  35  del  1992,  (sulla
trasformazione dell’Ente pubblico Ferrovie dello Stato in società per azioni
di diritto privato), art. 2,  comma  2  bis,  citato  T.U.I.R.,  e  art.  4,
paragrafo 2, della citata convenzione.
    L’amministrazione finanziaria resiste con controricorso.
    Considerato in diritto - Il ricorso è infondato e va rigettato.
    1. Posto nei suoi corretti termini, il  quesito  di  diritto,  al  quale
questa Corte deve rispondere, è il seguente:  "se  i  redditi  derivanti  da
lavoro dipendente prestato all’estero, nella specie  in  Svizzera  (paese  a
fiscalità  privilegiata),  da   parte   di   cittadini   italiani   iscritti
nell’anagrafe dei  cittadini  residenti  all’estero  (AIRE)  e  asseritamene
residenti all’estero, dipendenti delle Ferrovie dello Stato, ora  Trenitalia
s.p.a., siano soggetti a prelievo fiscale.
    a) in Italia;
    b) nella Confederazione svizzera;
    c) in entrambi gli Stati;
    d) in nessuno dei due Stati".
    Si tratta, come oggi si dice, di un quesito a risposta  multipla,  delle
quali una soltanto è quella corretta.
    Ritiene il Collegio che debba escludersi a priori che le risposte sub c)
e d) possano essere corrette.
    Infatti, l’ipotesi della doppia imposizione è esclusa, sul  piano  della
disciplina interna, in forza principio generale  del  divieto  della  doppia
imposizione (v. art. 126, cit.  T.U.I.R.,  nel  testo  vigente  fino  al  31
dicembre 2003, ora D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 163 e 67, per i  quali  "La
stessa imposta non può essere applicata più volte in dipendenza dello stesso
presupposto neppure nei confronti di soggetti diversi"), e,  sul  piano  dei
rapporti internazionali, nella specie con la Confederazione Svizzera,  dalla
convenzione bilaterale citata in narrativa, intesa  appunto  a  "evitare  le
doppie imposizioni",  come  si  legge  nel  titolo  e  nel  preambolo  della
convenzione stessa.
    Anche la soluzione che si tratti di reddito sottratto ad imposizione  in
entrambi gli Stati  non  può  essere  presa  in  considerazione,  perché  si
risolverebbe in una esenzione non prevista dalla legge, in contrasto con  il
principio della tassazione in  base  alla  capacità  contributiva  (art.  53
Cost). È noto che le esenzioni, in quanto derogano al  regime  generale  del
prelievo fiscale, devono essere espressamente previste dal  legislatore  (né
sono suscettibili di applicazione analogica), e  sono  legittime  in  quanto
siano giustificate da ragioni di equità o di politica fiscale,  che  non  le
ponga in rotta di collisione con i principi di uguaglianza (art.  3  Cost.),
di capacità contributiva (art.  23
Cost.).  Proprio  per  impedire  che,  nell’intento  di  evitare  le  doppie
imposizioni, le convenzioni relative possano essere  utilizzate  invece  per
eludere gli obblighi fiscali, è previsto (almeno con riferimento ai rapporti
tra Italia e Confederazione Svizzera) che quando uno degli Stati  contraenti
abbia  riscosso  mediante  ritenuta  una  imposta  in  ipotesi  non  dovuta,
l’istanza di rimborso presentata allo  Stato  contraente  (contrariamente  a
quanto eccepisce con l’ultima  censura  la  parte  ricorrente)  deve  essere
accompagnata  da  un  "attestato  ufficiale",  rilasciato  dall’altro  Stato
contraente, che certifichi che sussistono le condizioni richieste per  avere
diritto al rimborso (art. 19, paragrafi 1 e 2,  della  convenzione  italo  -
svizzera). Nella specie non risulta che il contribuente (sul  quale  gravava
il relativo onere di allegazione e  di  prova,  trattandosi  circostanza  di
fatto costitutiva del fondamento del diritto fatto valere in giudizio) abbia
corredato la istanza di restituzione con la richiesta documentazione.
    2.  Restano  soltanto  le   prime   due   alternative:   tassazione   in
Italia/tassazione in Svizzera.
    Posto che il D.C. non ha mai sostenuto di  aver  subito  alcun  prelievo
fiscale in Svizzera, basterebbe questo  per  concludere,  sulla  base  delle
osservazioni già svolte, che legittimamente il prelievo è  stato  effettuato
in Italia e che  nessun  rimborso  è  dovuto  al  contribuente.  Giova  però
effettuare una più analitica ricognizione normativa per verificare anche sul
piano  della  specifica  disciplina  positiva   la   correttezza   di   tale
conclusione, al fine di escludere che possano  esistere  "sacche"  normative
inesplorate che legittimino una qualsiasi forma di esenzione per  i  redditi
in esame.
    Le norme interne da esaminare sono quelle che definiscono, in materia di
imposte sui redditi, il presupposto dell’imposta,  i  soggetti  passivi  che
subiscono il prelievo fiscale e la base imponibile incisa dal tributo; norme
che la  parte  ricorrente  assume  che  siano  state  violate  o  falsamente
applicate, anche per vizi logici nella ricostruzione dei fatti controversi.
    Il  presupposto  dell’imposta  sul  reddito  delle  persone  fisiche   è
costituito dal "possesso di redditi in denaro o in natura", "proveniente  da
qualsiasi fonte" (secondo quanto disponeva il D.P.R. n. 597 del  1973,  art.
1), ovvero rientranti in una delle nelle  categorie  previste  dal  T.U.I.R.
(D.P.R. n. 917 del 1986, art. 1). Quindi, il possesso del  reddito  comporta
di per sé la nascita dell’obbligazione tributaria in Italia, salvo  che  non
si tratti di redditi esenti in forza di specifiche disposizioni di legge. Le
altre disposizioni legislative, intese ad individuare  il  soggetto  passivo
dell’obbligazione tributaria e le modalità  di  calcolo  dell’imposta  (base
imponibile ed aliquota), non influiscono sulla sussistenza  del  presupposto
d’imposta, sull’an debeatur, ma servono soltanto ad individuare il  soggetto
obbligato al pagamento del tributo e il quantum debeatur. Soggetto attivo  è
in ogni caso lo Stato italiano, salvo che in base a specifiche  disposizioni
di diritto internazionale interno o di diritto internazionale  pattizio  non
sia diversamente stabilito. Infatti, in forza del principio della tassazione
del reddito mondiale sono soggetti passivi d’imposta, in Italia,  tutte  "le
persone fisiche residenti  e  non  residenti  nel  territorio  dello  Stato"
(D.P.R. n. 597 del 1973, art.  2,
comma 1), purché, per i non residenti, si tratti di redditi  "posseduti"  in
Italia; rectius, "prodotti nel territorio dello Stato" (D.P.R.  n.  597  del
1973, art, 2, comma 3, e D.P.R. n. 917  del  1986,  art.  3,  comma  1).  Si
considerano sempre prodotti nel territorio dello Stato, e quindi soggetti al
prelievo territoriale, i redditi di lavoro dipendente prestato  nello  Stato
stesso (art. 20, comma 1, lett. c), cit. T.U.I.R.). Di converso erano sempre
esclusi dalla base imponibile in Italia,  "i  redditi  derivanti  da  lavoro
dipendente prestato all’estero in via continuativa e come oggetto  esclusivo
del rapporto" (art. 3, comma 3, lett. c), vigente fino  al  31.12.2000).  L’
esclusione aveva come implicito presupposto la  tassazione  nello  Stato  di
produzione del reddito di lavoro dipendente, speculare rispetto alla omologa
disposizione già ricordata (art. 20, comma 1, lett. c), cit.  T.U.I.R.)  che
prevede la tassazione in Italia, e che era intesa ad  attuare  il  principio
del divieto della doppia imposizione. Si tratta di disposizioni  di  diritto
internazionale interno di carattere generale,  rispetto  alle  quali,  però,
prevalgono le speciali disposizioni stabilite con le convenzioni bilaterali,
che recano appunto  le  norme  di  disciplina  particolare  calibrate  sulle
reciproche  esigenze  degli  Stati  contraenti.  Proprio  per  fornire   una
disciplina differenziata, in relazione alle  peculiarità  degli  ordinamenti
tributari degli Stati, la prassi internazionale registra il  fenomeno  degli
accordi bilaterali, piuttosto che trattati internazionali  multilaterali  da
valere per tutti gli Stati.  Nella  specie,  pur  in  presenza  della  norma
interna (valida comunque nei confronti degli altri  Stati,  in  mancanza  di
convenzioni bilaterali)  che  limitava  il  potere  impositivo  dello  Stato
italiano attraverso il meccanismo della esclusione  del  reddito  di  lavoro
dipendente (che abbia il carattere della  continuità  e  della  esclusività)
dalla base imponibile (senza però sancirne l’esenzione assoluta),  lo  Stato
italiano, in sede convenzionale, si è riappropriato del potere impositivo  e
l’altro Stato contraente ha  rinunciato  ad  esercitare  il  proprio  potere
impositivo, altrimenti riconosciuto dalla norma interna italiana.  La  norma
convenzionale, dunque, contrariamente a quanto eccepisce la parte ricorrente
non ha introdotto un nuovo presupposto impositivo (che  rimane  il  possesso
del reddito), ha solamente ricostituito  in  capo  allo  Stato  italiano  il
potere impositivo,  facendo  rientrare  nella  base  imponibile  un  reddito
comunque  generatore  di  obbligazione   tributaria,   riconducibile   nella
fattispecie del presupposto d’imposta definita dall’art. 1, cit. T.U.I.R..
    In definitiva, la norma interna che escludeva dalla  base  imponibile  i
redditi in questione resta valida nei rapporti con gli Stati con i quali non
vi  fossero  diverse  disposizioni  convenzionali.   Nei   confronti   della
Confederazione svizzera, deve trovare applicazione la disposizione  speciale
contenuta  nell’art.  19  della  convenzione,  la  quale,  peraltro,  non  è
totalmente sovrapponile alla norma interna. In forza  del  citato  art.  19,
paragrafo 1, "Le remunerazioni, comprese le pensioni, pagate  da  uno  Stato
contraente o da una sua suddivisione politica o amministrativa o da  un  suo
ente locale, oppure ancora da una persona giuridica o da un ente autonomo di
diritto pubblico di detto Stato, sia direttamente sia mediante  prelevamento
da un fondo speciale, a una persona fisica che ha la  nazionalità  di  detto
Stato a  titolo  di  servizi  resi  presentemente  o  precedentemente,  sono
imponibili  soltanto  nello  Stato  contraente  da  dove  provengono   dette
remunerazioni". Il paragrafo 2, poi,  precisa  che  "Ai  fini  del  presente
articolo l’espressione persona giuridica o ente autonomo di diritto pubblico
designa: a) per  quanto  riguarda  l’Italia:  1)  le  Ferrovie  dello  Stato
(F.S.);... b) per quanto riguarda  la  Svizzera:  1)  le  Ferrovie  federali
svizzere  (FFS);...".  La   norma   convenzionale,   dunque,   si   attaglia
perfettamente alla fattispecie in esame.
    La norma interna resta applicabile, ratione temporis, quando il  reddito
derivante da lavoro dipendente prestato in Svizzera in  via  continuativa  e
come oggetto esclusivo del rapporto, non  sia  costituito  da  remunerazioni
pagate da enti ed amministrazioni pubbliche a favore di persone fisiche  che
abbiano la stessa  nazionalità  e  per  particolari  attività.  Infatti,  la
somiglianza tra le due norme (art. 3, comma 3, lett. c),  cit.  T.U.I.R.,  e
art. 19 della convenzione) è soltanto apparente, nel senso  che  vi  possono
essere fattispecie  sussumibili  ad  entrambe  le  previsioni  normative  in
relazione alle quali vale il principio di specialità, ma vi sono anche  casi
in cui le due disposizioni non si pongono in termini di concorso.  In  altri
termini, dal quadro normativo di  riferimento,  costituito  dalla  normativa
interna e da quella convenzionale, risulta che il legislatore ha individuato
tre criteri di collegamento territoriale per disciplinare l’esercizio  della
"sovranità fiscale":
    a) il criterio della residenza, in forza del quale il  reddito  mondiale
del residente deve essere tassato in Italia, salvo le deroghe  espressamente
previste;
    b) il criterio della territorialità del reddito prodotto, in  forza  del
quale il reddito viene tassato nel luogo di produzione;
    c) il criterio  della  origine  del  reddito,  in  forza  del  quale  la
tassazione avviene sulla base della nazionalità dell’ente pagatore.
    Nella specie, dunque, occorre procedere  all’analisi  comparativa  delle
due disposizioni in ipotesi applicabili e non v’è dubbio  che  la  soluzione
della controversia  debba  passare  attraverso  l’applicazione  della  norma
convenzionale.
    L’art. 3, comma 3,  lett.  c),  cit.  T.U.I.R.,  prevedeva  che  fossero
esclusi dalla base imponibile  i  redditi  imponibili  derivanti  da  lavoro
dipendente prestato all’estero a certe condizioni. L’unica possibile ragione
giustificativa della sottrazione di questa tipologia reddituale  dalla  base
imponibile era costituita dal suo carattere di extraterritorialità (si  badi
che la norma prescinde anche dalla residenza del  dipendente).  Testimoniava
dunque la volontà di  autolimitazione  del  potere  impositivo  dello  Stato
italiano che,  come  già  rilevato,  costituisce  il  reciproco  del  potere
impositivo sui redditi comunque prodotti sul territorio italiano.  La  norma
non presentava indici che facessero pensare  ad  una  agevolazione/esenzione
fiscale   (la   quale   peraltro   sarebbe   di   difficile    compatibilità
costituzionale), anche perché l’esclusione dalla base imponibile dei redditi
esenti (in contrapposizione a quelli soltanto esclusi dalla base  imponibile
"italiana") è espressamente prevista nel medesimo art. 3, comma 3, lett. a),
citato T.U.I.R.. La  riprova  che  la  disposizione  limitativa  della  base
imponibile in  Italia  fosse  dovuta  alla  considerazione  che  il  reddito
prodotto all’estero era esposto alla tassazione dello Stato  in  cui  veniva
svolto è data dal fatto che assieme alla sua abrogazione è stato  introdotto
un  meccanismo  di  credito  d’imposta  pari  all’ammontare  delle  ritenute
gravanti sul reddito di lavoro dipendente  prestato  all’estero  (D.Lgs.  23
dicembre 1999, n. 505, art. 15).
    Rispetto alla previsione interna, che riguarda in generale  soltanto  il
reddito di lavoro subordinato, la norma convenzionale prevede  espressamente
una diversa disciplina che riguarda però tutte le "remunerazioni" (anche non
dipendenti da lavoro subordinato), le quali sono imponibili "soltanto  nello
Stato contraente da dove provengono dette remunerazioni", quando il soggetto
percipiente ed il soggetto erogante abbiano  determinati  requisiti:  l’ente
pagatore deve essere un ente pubblico in senso lato  e  il  lavoratore  deve
avere la stessa nazionalità dell’ente. Quando si verifica  questa  specifica
fattispecie,  il  prelievo  fiscale   va   effettuato   secondo   la   norma
convenzionale.  Questa,  disciplinando  fiscalmente   tutte   le   tipologie
reddituali, copre un area di rapporti molto più  ampia,  rispetto  a  quella
disciplinata dall’art. 3, comma 3, lett. c), citato T.U.I.R..
    Nell’ambito  del  lavoro  dipendente,  invece,  la  norma  convenzionale
disciplina esclusivamente i rapporti tra enti pubblici,  in  senso  lato,  e
dipendenti che abbiano la stessa nazionalità e, quindi, si pone, per  questo
verso, in rapporto di specialità con la norma interna. Di qui la  prevalenza
della norma convenzionale in forza appunto del principio di specialità.
    Né rileva, nella  specie,  quanto  dispone  l’art.  15,  della  medesima
convenzione, invocato dalla parte  ricorrente,  che  prevede  una  specifica
disciplina per i redditi da lavoro dipendente, in forza del quale "i salari,
gli stipendi e le altre remunerazioni analoghe che un residente di uno Stato
contraente riceve in corrispettivo di un’attività dipendente sono imponibili
soltanto  in  detto  Stato".   Infatti,   a   parte   altre   considerazioni
sull’effettivo tenore della norma, la stessa esordisce facendo salvo  quanto
dispone l’art. 19, che qui interessa.
    In definitiva, va affermato il principio  che  i  redditi  derivanti  da
lavoro dipendente  prestato  all’estero  che  abbiano  i  requisiti  di  cui
all’ari. 19, della convenzione italo - svizzera, ratificata e resa esecutiva
con L. 23 dicembre 1978, n. 943, sono disciplinati  da  tale  convenzione  e
quindi vanno tassati nello Stato di origine.
    3. Occorre ora esaminare se, nella specie, ricorrano tutti i presupposti
e le condizioni previste dalla norma convenzionale per la sua  applicazione.
È pacifico che la vicenda riguarda la tassazione dei  redditi  rappresentati
dalle  remunerazioni  erogate  dalle  Ferrovie  dello  Stato,  prima,  e  da
Trenitalia s.p.a., poi, in favore di un cittadino italiano, benché residente
all’estero. Quindi, si tratta di una fattispecie  perfettamente  sussumibile
alla  previsione  convenzionale,  la   quale   precisa   espressamente   che
l’espressione "persona giuridica o ente autonomo di  diritto  pubblico",  le
cui remunerazioni sono soggette alla disciplina dell’art. 19,  designa,  per
quanto riguarda l’Italia "le ferrovie dello Stato (FS)" (art.  19,  par.  2,
lett. a), n. 1) e, per quanto riguarda la  Svizzera  "le  Ferrovie  federali
Svizzere (FFSS). Pertanto, non v’è dubbio che i due Stati hanno stabilito la
tassazione domestica dei redditi in  questione  in  regime  di  reciprocità,
regime che non può essere modificato unilateralmente.
    La parte ricorrente, però, denunciando la violazione degli artt. 19 e 15
della convenzione e il D.L. n. 386 del 1991, art. 1, conv. in L. n.  35  del
1992, eccepisce che in forza della trasformazione delle Ferrovie dello Stato
in Trenitalia s.p.a., la convenzione non sarebbe più applicabile,  sul  solo
versante italiano, in relazione alle remunerazioni  erogate  da  tale  ente.
Ritiene il Collegio che sia invece da condividere la conclusione cui  giunge
la CTR, secondo la quale "la trasformazione delle Ferrovie dello Stato nella
società pubblica a partecipazione statale  "Trenitalia  s.p.a."  non  incide
sulla operatività e funzionalità della convenzione internazionale... sia per
il tenore letterale  dell’art.  19  della  convenzione  stessa,  laddove  si
individuano come enti autonomi di diritto  pubblico  (come  è  da  ritenersi
tuttora  "Trenitalia  s.p.a.")  interessati  dalla  convenzione  e  ad  essa
soggetti, le Ferrovie dello Stato e le Ferrovie  federali  indipendentemente
dalla struttura giuridica che tali  enti  abbiano  assunto  all’interno  dei
singoli Stati;... sia perché, essendo comunque (e dovendo  essere  comunque)
osservata quella convenzione dalla  Parte  che  non  ne  avrebbe  modificato
unilateralmente il contenuto, si perverrebbe alla illogica  conclusione  che
essa determinerebbe l’assoluta completa sottrazione dei redditi in questione
da qualsiasi imposizione tributaria" (pp. 2/3 della sentenza impugnata). Per
loro  natura  le  modifiche  agli  accordi  bilaterali  contro   le   doppie
imposizioni devono essere anch’essi bilaterali, perché lo spostamento  della
materia imponibile da una ad un’altra area della sovranità fiscale, se non è
concordata, comporta necessariamente o la  totale  sottrazione  al  prelievo
fiscale o il doppio prelievo, che le convenzioni intendono prevenire.
    La tesi della irrilevanza della trasformazione nella  vicenda  in  esame
trova conforto anche nella la giurisprudenza di  questa  Corte,  secondo  la
quale, dopo la trasformazione stessa  dell’ente,  non  è  mutato  il  regime
fiscale del reddito dei lavoratori dipendenti  (Cass.  10087/2003)  e  nella
circostanza, già evidenziata dai giudici di appello, che  nelle  convenzioni
stipulate dopo la trasformazione non è mutata  la  dizione  per  individuare
l’ente in questione.
    Quindi,  ai  fini  dell’applicazione  dell’art.  19,  della  convenzione
citata, non rileva la trasformazione delle FF.SS. in Trenitalia s.p.a..
    4. In base  alle  considerazioni  svolte,  risulta  evidente  che  nella
vicenda in esame non rileva il requisito della residenza, posto  che  l’art.
19 della convenzione collega il potere  impositivo  al  diverso  presupposto
dell’origine della retribuzione e della cittadinanza. Quindi, il  motivo  di
ricorso con il quale il ricorrente denuncia violazioni di legge  e  vizi  di
motivazione, assumendo di avere dimostrato la propria  residenza  estera  in
base all’iscrizione all’AIRE, è irrilevante e quindi inammissibile. A  parte
l’ulteriore  motivo  di  inammissibilità  che  deriva   dalla   carenza   di
autosufficienza dello stesso.
    Per le stesse ragioni, non rilevano le particolari disposizioni  dettate
dall’art. 4 della convenzione, in tema di residenza, che la parte ricorrente
assume violate.
    Giova, però,  chiarire  che,  comunque,  nei  rapporti  con  i  Paesi  a
fiscalità privilegiata, quale è la Confederazione Svizzera (v. D.M. 4 maggio
1999, art. 1, che individua, con norma ricognitiva, gli Stati e i  territori
aventi un regime fiscale privilegiato), in base all’art.  2,  comma  2  bis,
citato T.U.I.R. (norma di interpretazione autentica, e quindi  ad  efficacia
retroattiva, introdotta dalla L. 23 dicembre 1998, n. 448,  art.  10,  comma
1), si considerano residenti in Italia i  cittadini  anche  dopo  che  siano
stati cancellati dalle anagrafi della popolazione residente e che  risultino
emigrati in tali Stati o territori e, quindi,  "l’iscrizione  del  cittadino
nell’anagrafe dei residenti  all’estero  non  è  elemento  determinante  per
escludere la residenza fiscale  in  Italia"  (Cass.  13803/2001).  Pertanto,
anche nel merito la censura non risulta fondata.
    5. Quanto alla giurisprudenza citata dal  ricorrente  a  sostegno  della
propria tesi, si tratta di controversie relative a un dipendente Rai  s.p.a.
che lavorava in Uruguay (Cass. n. 12201/2002), a un dipendente del Ministero
degli Esteri  per  attività  lavorativa  prestata  in  Giordania  (Cass.  n.
1540/2003), a un marittimo imbarcato su nave battente bandiera estera (Cass.
n. 251/2004) e al trattamento fiscale dell’assegno di confine corrisposto ad
un dipendente della dogana (Cass. n. 13053/2004) e in nessun caso si è posto
il problema della  applicazione  dell’art.  19  della  convenzione  italo  -
svizzera o di norme convenzionali in genere.
    6. Conseguentemente, il ricorso va rigettato, con la compensazione delle
spese del giudizio di legittimità,  in  considerazione  della  novità  della
questione.
    P.Q.M. - La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese del giudizio di

legittimità.

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