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Imposte sui redditi delle persone fisiche e iscrizione anagrafe comune
Pubblicata il 20/04/2010
Sent. n. 9319 del 20 aprile 2006 (ud. del 23 gennaio 2006) della Corte Cass., Sez. tributaria - Pres. Paolini, Rel. Chiarini
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Sent. n. 9319 del 20 aprile 2006 (ud. del 23 gennaio 2006)
della Corte Cass., Sez. tributaria - Pres. Paolini, Rel. Chiarini
Imposte sui redditi delle persone fisiche - Assoggettamento - Iscrizione
nell'anagrafe di un comune italiano - Sufficienza - Art. 2 del D.P.R. 29
settembre 1973, n. 597
Massima - La mera iscrizione nella anagrafe della popolazione residente
in un comune italiano determina, ai sensi dell'art. 2 del D.P.R.
n. 597/1973, l'assoggettamento ad Irpef del soggetto iscritto. E non
assumono rilievo in senso contrario né la sentenza penale di
proscioglimento dal reato di omessa denuncia dei redditi, né l'attestazione
di un'ambasciata straniera (nella specie Kuwait) dalla quale risulti che il
contribuente era residente in uno stato estero. (1)
Svolgimento del processo - Con avviso del 1985 l'Ufficio imposte
dirette di Lucca accertava a carico di W.B., ai fini Irpef, un reddito
netto di lavoro autonomo per il 1980 e 1981, pari a lire 107.350.000, non
dichiarato.
L'avviso era impugnato da W.B. e il suo appello era accolto dalla
Commissione di II grado con decisione del settembre 1989.
La Commissione centrale, con decisione del 3 maggio 2001, n. 3260,
accoglieva l'impugnazione dell'ufficio finanziario sulle seguenti
considerazioni: 1) W.B. era soggetto passivo di Irpef a norma dell'art. 2,
comma 2, del D.P.R. n. 597/1973, applicabile ratione temporis, secondo il
quale si considerano residenti nel territorio dello Stato: a) le persone
iscritte nelle anagrafi della popolazione residente; b) coloro che hanno
nel territorio dello Stato la sede principale dei loro affari ed interessi
o vi dimorano per più di sei mesi dell'anno; c) i cittadini residenti
all'estero ...". Quindi la legge tributaria, con valutazione legale tipica,
assoggetta all'imposta le persone fisiche iscritte nelle anagrafi della
popolazione residente e questo dato formale è sufficiente e preclusivo, sì
che non è rilevante ogni circostanza diretta a dimostrare che la persona
iscritta dimora soltanto pochi giorni all'anno nel territorio dello Stato o
che non ha in esso la sede di propri affari o interessi: tale
interpretazione è confermata dall'art. 3 del D.P.R. n. 597/1973 in cui, con
norma eccezionale, sono esclusi dall'imposta i redditi di lavoro dipendente
prestato all'estero da cittadini emigrati, benché "siano rimasti iscritti
nelle anagrafi della popolazione residente". Pertanto nessuna nozione
civilistica di residenza poteva rilevare essendo pacifico che nel l979 W.B.
era residente a Lucca; 2) questa conclusione non era inficiata dal
giudicato (Tribunale penale di Lucca del l9 marzo 1986) in quanto, premesso
che la sentenza di assoluzione si riferiva all'omessa presentazione della
denuncia dei redditi per l'anno 1983, i fatti accertati nel giudizio
penale, pur riferibili agli anni 1979-1984, non erano rilevanti ai fini di
escludere la soggezione all'imposta per la predetta preclusione di ogni
indagine di fatto, né rileva che l'Ambasciata del Kuwait abbia attestato
che nel 1981 W.B. fosse ivi residente perché fatto inidoneo a superare
l'iscrizione anagrafica nel comune di Lucca, che permane fino alla
cancellazione; 3) l'avviso dell'ufficio era adeguatamente motivato perché
la segnalazione della Polizia tributaria era nota a W.B. ed indicava i nomi
delle società estere da cui egli aveva percepito le somme e perciò il
medesimo era stato messo in condizioni di difendersi, né l'assimilazione di
"utili, stipendi, rimborsi spese" a redditi di lavoro autonomo poteva
inficiare la motivazione, incidendo non su di essa, ma sulla legittimità
della pretesa impositiva, che il predetto poteva contestare e che era
identificabile e non era stata modificata dall'ufficio nel corso del
giudizio.
Avverso questa decisione ricorre per cassazione W.B. per due motivi,
cui resistono l'Amministrazione delle finanze e l'Agenzia delle Entrate. Il
ricorrente ha altresì depositato memoria.
Motivi della decisione - 1. Va preliminarmente disposto lo stralcio
della sentenza del 3 aprile 1986 del Tribunale penale di Lucca perché
documento estraneo a quelli consentiti dall'art. 372 del codice di
procedura civile.
2. Con il primo motivo il ricorrente deduce: "Violazione e falsa
applicazione in relazione all'art. 360, n. 3), del codice di procedura
civile dell'art. 2909".
La sentenza passata in giudicato non può essere equiparata ad
un'indagine di fatto e nella specie il Tribunale di Lucca ha affermato che
W.B. non poteva essere ritenuto residente in Italia ai sensi dell'art. 2
del D.P.R. 597/1973. Altresì infondato è che la sentenza di assoluzione
"perché il fatto non sussiste" si riferisse all'anno 1983 perché il
processo penale era stato promosso per gli anni 1979-1984 e l'istruttoria
si era svolta per tutto tale periodo. Soltanto in sede dibattimentale, a
seguito dell'entrata in vigore della L. n. 516/1982, il pubblico ministero
aveva modificato il capo di imputazione limitandolo all'omessa
presentazione della dichiarazione dei redditi per l'anno l983. E poiché
l'autorità del giudicato penale in altri giudizi, a norma dell'art. 28 del
codice di procedura penale, riguarda tutti i fatti materiali il cui
accertamento è alla base del convincimento del giudice penale, anche se non
sono costitutivi o circostanze del reato contestato, ma presupposto logico
della decisione - come nella fattispecie la mancata residenza in Italia -
hanno efficacia vincolante nel giudizio civile o amministrativo.
Il motivo è infondato.
Questa Corte ha già affermato (Cass. n. 1783/1999) che
"l'art. 2, comma 2, del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, fra le altre
ipotesi ivi previste, collega la qualità di residente, ai fini della
determinazione del soggetto passivo dell'imposta sul reddito delle persone
fisiche, all'iscrizione 'nelle anagrafi della popolazione residente'. In
linea di principio deve ritenersi, quindi, in materia fiscale, tale dato
preclusivo di ogni ulteriore accertamento ai fini della individuazione del
soggetto passivo d'imposta, diversamente da quanto avviene ai fini
civilistici ove le risultanze anagrafiche sono invece concordemente
considerate idonee unicamente a dar luogo a presunzioni relative,
superabili, come tali, dalla prova contraria. In altri termini in materia
fiscale, a differenza di quanto avviene ai fini civilistici, la forma è
destinata a prevalere sulla sostanza nell'ipotesi in cui la residenza venga
collegata al presupposto anagrafico. Una diversa interpretazione dovrebbe
inevitabilmente considerare concorrenti infatti gli altri due presupposti
previsti dall'art. 2 (sede principale degli affari nel territorio dello
Stato o dimora per più di sei mesi), contrariamente al dettato normativo
che li prevede invece in via alternativa. La prevalenza sul punto
dell'elemento formale su quello sostanziale costituisce del resto una
costante del sistema fiscale se è vero che anche il vigente testo unico
delle imposte sui redditi (D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917) prevede
all'art. 2, comma 2, tre ipotesi alternative fra le quali, ancora una
volta, l'iscrizione 'nelle anagrafi della popolazione residente' la cui
presenza è considerata sufficiente per l'acquisizione della residenza
fiscale" (cfr. Cass. art. 2 del
D.P.R. n. 597/1973 prevedeva tre distinti criteri di collegamento, uno di
diritto e due di fatto, reciprocamente alternativi, e che la sussistenza di
uno solo di essi era idonea a sancire la residenza fiscale in Italia fino
alla data di cancellazione dalle anagrafi della popolazione
(Cass. n. 1215/1998, cit.).
Dunque, risultando dall'impugnata decisione che W.B. nel 1979 era
rimasto iscritto nell'anagrafe del comune di Lucca, deve considerarsi
soggetto passivo di imposta in Italia, e perciò correttamente la
Commissione centrale non ha riconosciuto tale criterio legale formale
superabile da prova contraria.
3. Con il secondo motivo deducono: "Violazione dell'art. 360, n. 5),
del codice di procedura civile per insufficiente, contraddittoria
motivazione su un punto decisivo della controversia".
Il contribuente aveva concluso per la nullità o annullamento
dell'accertamento perché generico e non motivato sui criteri di
determinazione dell'imponibile e sull'imputabilità dei vari titoli,
completamente diversi e indistinti tra capitale e lavoro autonomo, ed
infatti lo stesso ufficio, in appello, non aveva più insistito sugli utili
o rimborsi spese, bensì aveva dedotto proventi di royalties e perciò i
titoli sono stati modificati nel corso del giudizio e dunque il
contribuente non ha potuto difendersi non potendo fornire prove negative.
Il motivo è inammissibile.
Costituisce infatti ius receptum il principio secondo il quale il
ricorso per cassazione avverso le decisioni della Commissione tributaria
centrale (rese nel regime del processo tributario disciplinato dal
D.P.R. 26 ottobre 1972, art. 111
della Costituzione, sicché sono deducibili, con tale rimedio straordinario,
soltanto i vizi di violazione di legge e non anche quelli di omessa
insufficiente o contraddittoria motivazione.
Concludendo il ricorso va respinto e il ricorrente condannato a pagare
le spese del giudizio di Cassazione.
P.Q.M. - la Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al
pagamento delle spese del giudizio di cassazione di cui euro 2.000 per
onorari ed euro 100 per spese, oltre spese generali e accessori di legge.