Il lavoratore che subisca lesioni in servizio ha diritto al risarcimento del danno morale

"La responsabilità del datore di lavoro per lesioni fisiche riportate in servizio dal lavoratore a causa di mancanza di misure di sicurezza si fonda sia sull’inadempimento degli obblighi, inerenti al rapporto di lavoro, di tutela delle condizioni di lavoro del dipendente, sia sulla violazione dell’obbligo generale di non provocare danni ad altri soggetti anche indipendentemente dall’esistenza di un rapporto contrattuale. Al lavoratore danneggiato sono dovuti (se ed in quanto non sia maturata la prescrizione) non solo il danno strettamente patrimoniale, ma anche quello biologico, ed in via di principio, dato che la condotta addebitabile al datore configura astrattamente un reato, anche il danno morale".
E' quanto stabilito dalla Corte di Cassazione, Sezione Lavoro con sentenza n. 19022 dell'11 settembre 2007, la quale gha altresì precisato che al credito del lavoratore per risarcimento deve essere applicata la prescrizione decennale, che decorre dal momento in cui il danno si è manifestato, e non da un successivo aggravamento che non sia dovuto ad una causa autonoma, dotata di una separata efficienza causale, ma soltanto allo sviluppo di un processo morboso già in atto.



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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il signor Ce. Ot., gia' dipendente delle Fe. de. St. con la qualifica prima di manovale e poi di aggiustatore meccanico ha convenuto in giudizio le Fe. chiedendo il risarcimento del danno biologico dovuto all'ipoacusia bilaterale di cui soffriva a seguito dell'adibizione a lavorazioni nocive.

Costituitosi il contraddittorio ed espletata l'istruttoria, il primo giudice condannava la societa' al risarcimento del danno biologico e del danno morale quantificati complessivamente in lire 37.783.000, oltre accessori.

Questa prima pronunzia veniva impugnata di entrambe le parti, e, con sentenza n. 439/2005, depositata il 14 gennaio 2005, il Tribunale di Roma la riformava parzialmente e condannava societa' Fe. de. St. a corrispondere al Ce. l'importo di euro 65.679,00 a titolo di risarcimento del danno biologico, gia' rivalutato fino alla sentenza, oltre gli altri accessori.

La sentenza riteneva, in particolare, che l'eccezione di prescrizione quinquennale, proposta dalla convenuta non fosse fondata, perche' il lavoratore aveva esperito sia l'azione relativa contrattuale ai sensi dell'articolo 2087 c.c., cui si applicava la prescrizione decennale, sia l'azione relativa alla responsabilita' extracontrattuale ai sensi dell'articolo 2043 c.c., e liquidava il danno sulla base di una percentuale di invalidita' del 34%, cosi' arrotondando quella, prossima, indicata dal consulente di ufficio.

Avverso la sentenza d'appello, notificata il 21 luglio 2005, la Societa' Re. Fe. It. s.p.a. ha proposto ricorso per cassazione, con cinque motivi di impugnazione, notificata, in termine, l'8 settembre 2005.

L'intimato Ce. Ot. resiste con controricorso notificato, in termine, il 5 ottobre 2005.

Entrambe le parti hanno depositato memorie difensive.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di impugnazione la ricorrente principale denunzia la violazione e/o falsa applicazione degli articoli 2935, 2943 e 2946 c.c., anche in relazione all'articolo 2087 e articolo 2043 c.c., e l'omessa, insufficiente contraddittoria motivazione su di un punto decisivo della controversia.

Il Tribunale aveva violato l'articolo 2935 c.c., che dispone che la prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto puo' essere fatta valere.

L'ipoacusia era stata diagnosticata al Ce. nel 1979, e percio' la prescrizione decorreva dal 1979.

La ricorrente rileva che la sentenza aveva ritenuto che la prescrizione fosse stata interrotta da una lettera del legale del Ce. ricevuta dalle Fe. il 15 maggio 1991, e ne deduce che avrebbe dovuto sussistere un comportamento colposo delle Fe. protratto almeno fino 15 maggio 1981, cioe' dieci anni prima dell'evento interruttivo.

La sentenza non specificava, pero', quale sarebbe stato l'ultimo comportamento illecito da cui far decorrere la prescrizione.

La ricorrente, peraltro, contesta l'esattezza della ricostruzione della sentenza e nega che la gia' richiamata lettera del 15 maggio 1991 potesse avere valore interruttivo della prescrizione.

2. Con il secondo motivo di impugnazione la societa' Re. Fe. It. s.p.a. lamenta la violazione e/o falsa applicazione della Legge n. 564 del 1981, e del Decreto del Presidente della Repubblica 29 dicembre 1973, n. 1092 nonche' della Legge 30 luglio 1990, n. 212, articolo 7, e del Decreto Legislativo n. 277 del 1991, articolo 45 quella degli articoli 1362 e 1324 c.c., quella degli articoli 2087 e 2697 c.c., e degli articoli 115 e 116 c.p.c., nonche' l'omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa vari punti decisivi della controversia.

Contesta, in particolare, le valutazioni contenute nella consulenza tecnica di ufficio e lamenta che il Tribunale abbia disatteso le osservazioni critiche delle Fe. sulla consulenza.

3. Con il terzo motivo la societa' ricorrente deduce la violazione e/o falsa applicazione dell'articolo 2087 e articolo 2059 c.c., e l'omessa, insufficiente e contraddico ria motivazione circa un punto decisivo della controversia.

I giudici del merito avevano ricondotto il risarcimento del danno biologico ad una responsabilita' della societa' ai sensi dell'articolo 2087 c.c..

Questa, pero', non era una responsabilita' oggettiva, e, secondo la ricorrente, il lavoratore non aveva assolto agli oneri probatori che gravavano su di lui.

La societa', invece, aveva offerto numerosi elementi probatori nel senso del rispetto degli specifici obblighi imposti dall'articolo 2087 c.c..

4. Con il quarto motivo di impugnazione la ricorrente lamenta la violazione e/o falsa applicazione dell'articolo 2059 c.c., e l'omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia.

A norma dell'articolo 2059 c.c., il danno morale era risarcibile soltanto in presenza di un fatto che costituiva reato.

Nel caso di specie la sentenza aveva individuato genericamente il reato di lesioni colpose in relazione agli obblighi che derivavano dall'articolo 2087 c.c., nel fatto che anche dopo un accertamento medico effettuato nel 1979 l'azienda avrebbe adibito ugualmente il ricorrente a mansioni per lui dannose.

L'azienda, invece, dopo l'accertamento del 1979 aveva disposto una limitazione delle mansioni proprie della qualifica, con esclusione delle lavorazioni che comportavano esposizione a fonti di rumore dannose.

Ne' era stata provato che questa prescrizione fosse stata violata.

L'azienda sottolinea anche che, dopo la diagnosi ipoacusia del 1979 e della conseguente esenzione dalle lavorazioni rumorose, era stato proprio il Ce. a presentare istanza per la conservazione in servizio in mansioni ridotte, dato che la parziale inidoneita' alle mansioni che gli erano attribuite avrebbe potuto costituire un motivo per il licenziamento.

5. Infine con il quinto motivo la ricorrente denunzia la violazione e/o falsa applicazione dell'articolo 1227 e articolo 1176 c.c., e l'omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia.

La ricorrente aveva criticato la perizia, sostenendo che era infondata perche' basata unicamente su di un esame audiometrico effettuato nel 2000, vale a dire ad oltre venti anni dall'esonero, avvenuto nel 1979, del Ce. dalle lavorazioni a rischio di rumore, ed aveva contestato che l'aggravamento della patologia con il passare degli anni fosse conseguenza del permanere di una condotta illecita della societa', e sostenuto che era piuttosto effetto di sociopresbiacusia.

Su questo punto la motivazione della sentenza era stata assolutamente inidonea.

La sentenza era illegittima, percio', anche per quanto concerneva la liquidazione del danno, perche' aveva considerato anche l'aggravamento della patologia dopo altri quindici anni.

Vi era stata, infine, violazione dell'articolo 1227 e articolo 1176 c.c., perche' la sentenza non aveva tenuto conto del comportamento colposo e carente del Ce., che, peraltro, sarebbe stato utilizzato in mansioni rumorose soltanto per un periodo di tempo limitato, dal giugno del 1978 al gennaio del 1979, ma non avrebbe utilizzato gli apposti dispositivi di protezione contro il rumore (tappi per le orecchie, cuffie, ecc.) e non si sarebbe astenuto dalle lavorazioni che comportavano l'esposizione a rumori e a vibrazioni.

6. Nei limiti di quanto di ragione, il ricorso e' fondato e deve essere accolto.

E' fondato, infatti, il primo motivo di impugnazione, sulla decorrenza della prescrizione, in quanto in caso di danno alla persona subito dal lavoratore per effetto della mancata tutela da parte del datore delle condizioni di lavoro in violazione degli obblighi a lui imposti dall'articolo 2087 c.c., la prescrizione decorre dal momento in cui il danno si e' manifestato, e non da un successivo aggravamento che non sia dovuto ad una causa autonoma, dotata di una separata efficienza causale, ma soltanto allo sviluppo di un processo morboso gia' in atto, anche perche' il diritto al risarcimento in relazione ad un successivo aggravamento fa parte della domanda originaria e non configura una nuova posta risarcitoria.

Secondo l'insegnamento di questa Corte, infatti, "qualora la percezione del danno non sia manifesta ed evidente, il termine di prescrizione del diritto al risarcimento del danno da fatto illecito cosi' come di quello dipendente da responsabilita' contrattuale sorge non dal momento in cui il fatto del terzo determina ontologicamente il danno all'altrui diritto, bensi' dal momento in cui la produzione del danno si manifesta all'esterno, divenendo oggettivante percepibile e riconoscibile" (Cass. civ., 29 agosto 2003, n. 12666), ma "in riferimento alla azione contrattuale di risarcimento del danno alla persona fondata sull'articolo 2087 c.c., l'aggravamento del danno non vale a determinare lo spostamento del termine iniziale della prescrizione decennale qualora esso derivi da un mero peggioramento del processo morboso gia' in atto, e non sia manifestazione di una lesione nuova ed autonoma rispetto a quella gia' esteriorizzatasi" (Cass. civ., 21 febbraio 2004, n. 3498; nello stesso senso, 10 giugno 2000, n. 7937; 13 febbraio 1998, n. 1520, ancora nello stesso senso, ma con riferimento ad una domanda di risarcimento di danno extracontrattuale, 16 novembre 2005, n. 23220).

7. La soluzione adottata dal giudice del merito e' invece esatta (con conseguente infondatezza del relativo profilo di censura) la' dove ha ritenuto che al caso di specie debba essere applicata la prescrizione decennale, e non quella quinquennale (o non soltanto questa), in quanto in queste ipotesi il prestatore di lavoro ha a disposizione, in concorso tra loro, sia l'azione contrattuale che quella extracontrattuale con distinti termini prescrizionali.

Infatti, la responsabilita' contrattuale dell'imprenditore derivante dal mancato adempimento dell'obbligo, stabilito dall'articolo 2087 c.c., di adottare, nell'esercizio dell'impresa, le misure che, secondo la particolarita' del lavoro, l'esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l'integrita' fisica e la personalita' morale dei dipendenti, puo' concorrere con la responsabilita' extracontrattuale dello stesso datore di lavoro, che sussiste qualora dalla medesima violazione sia derivata anche la lesione dei diritti che spettano alla persona del lavoratore indipendentemente dal rapporto di lavoro; in tali ipotesi il danneggiato ha a propria disposizione due distinte azioni, delle quali quella contrattuale si fonda sulla presunzione di colpa stabilita dall'articolo 1218 c.c., e limita il risarcimento ai danni prevedibili al momento della nascita dell'obbligazione, mentre l'azione extracontrattuale pone a carico del danneggiato la prova della colpa o dei dolo dell'autore della condotta lesiva e, nel caso in cui detta condotta integri gli estremi di un reato, estende il diritto al risarcimento anche ai danni non patrimoniali" (Cass. civ., 20 gennaio 2000, n. 602; nello stesso senso, 25 settembre 2002, n. 13942; 20 giugno 2001, n. 8381 10 maggio 1997, n. 4097; 26 ottobre 1995, n. 11120; 8 aprile 1995, n. 4078; primo febbraio 1995, n. 1168; 5 ottobre 1994, n. 8090).

8. Proprio perche' in questo caso la responsabilita' del datore di lavoro si fonda sia sull'inadempimento degli obblighi, inerenti al rapporto di lavoro, di tutela delle condizioni di lavoro del dipendente, sia sulla violazione dell'obbligo generale di non provocare danni ad altri soggetti anche indipendentemente dall'esistenza di un rapporto contrattuale, non solo si applica la prescrizione decennale, ma sono dovuti (se ed in quanto non sia maturata la prescrizione) non solo il danno strettamente patrimoniale, ma anche quello biologico, ed in via di principio, dato che la condotta addebitabile al datore configura astrattamente un reato, anche il danno morale.

Debbono essere rigettati, percio', il terzo ed il quarto motivo di impugnazione, che si riferiscono appunto al riconoscimento del danno biologico e del danno morale.

9. Il secondo ed il quinto motivo di impugnazione, in materia di valutazione delle consulenza tecnica d'ufficio, e di motivazione della sentenza sulle risultanze dell'indagine peritale, rimangono assorbite.

10. La sentenza deve essere cassata per il motivo accolto, e la causa rimessa, per un nuovo esame, da compiersi alla luce dei principi affermati in questa sentenza, alla Corte d'Appello di Roma che provvedere anche alla liquidazione delle spese di questa fase di legittimita'.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso per quanto di ragione, e rinvia, anche per le spese, alla Corte d'Appello di Roma.

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