incombe sul lavoratore che lamenti di aver subito un danno a causa dell'attivita' lavorativa svolta, l'onere di provare l'esistenza di tale danno

L'articolo 2087 c.c., non configura un' ipotesi di responsabilita' oggettiva, in quanto la responsabilita' del datore di lavoro va collegata alla violazione degli obblighi di comportamento imposti da norme di legge o suggeriti dalle conoscenze sperimentali o tecniche del momento (v., ex plurimis, tra le ultime, Cass. n. 2038 del 2013). Come ricordato ancora da ultimo da Cass. n. 27364 del 2014, pur sussistendo diversita' di opinioni sulla necessita' o meno che il lavoratore debba specificamente indicare le misure che avrebbero dovuto essere adottate in prevenzione (tra le altre, affermano tale esigenza Cass. n. 8855 del 2013; n. 19826 del 2013; n. 4184 del 2006; n. 14469 del 2000, mentre la negano: Cass. n. 3788 del 2009; n. 21590 del 2008; n. 9856 del 2002; n. 1886 del 2000; n. 3234 del 1999), e' invece assolutamente univoco l'insegnamento di questa Corte secondo il quale incombe sul lavoratore che lamenti di aver subito un danno a causa dell'attivita' lavorativa svolta, un danno, l'onere di provare l'esistenza di tale danno, come pure la nocivita' dell'ambiente di lavoro, nonche' il nesso di causalita' tra l'una e l'altra, mentre spetta al datore di lavoro dimostrare di aver adottato tutte le cautele necessarie ad impedire il verificarsi del danno (v., oltre tutte le sentenze sopra citate, Cass. n. 10361 del 1997; n. 12661 del 1995; n. 11351 del 1993).

Corte di Cassazione, Sezione L civile, Sentenza 7 maggio 2015, n. 9209



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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LAMORGESE Antonio - Presidente

Dott. MAMMONE Giovanni - Consigliere

Dott. NAPOLETANO Giuseppe - Consigliere

Dott. TRIA Lucia - Consigliere

Dott. GHINOY Paola - rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 7331/2011 proposto da:

(OMISSIS) C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell'avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dagli avvocati (OMISSIS), (OMISSIS), giusta delega in atti;

- ricorrente -

contro

(OMISSIS) S.N.C. C.F. (OMISSIS), in persona del legale rappresentate pro tempore (OMISSIS) (OMISSIS), (OMISSIS) (OMISSIS), (OMISSIS) (OMISSIS), soci illimitatamente responsabili della detta societa', elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio dell'avvocato (OMISSIS), rappresentati e difesi dall'avvocato (OMISSIS), giusta delega in atti;

- controricorrenti -

avverso la sentenza n. 2376/2009 della CORTE D'APPELLO di BARI, depositata il 15/03/2010 r.g.n. 163/2007;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 14/01/2015 dal Consigliere Dott. PAOLA GHINOY;

udito l'Avvocato (OMISSIS);

udito l'Avvocato (OMISSIS) per delega verbale (OMISSIS);

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. MASTROBERARDINO Paola, che ha concluso per l'inammissibilita' del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con la sentenza n. 2376 del 2009, la Corte d'appello di Bari confermava la sentenza del Tribunale di Lucera che aveva respinto la domanda proposta da (OMISSIS) per ottenere ex articolo 2087 c.c., dalla s.n.c. (OMISSIS) s.n.c. il risarcimento dei danni, a titolo di inabilita' permanente e danno morale, determinati dall'infortunio subito in data (OMISSIS) quando, verso le ore 13, intento a lavori di giardinaggio con l'ausilio di apposite forbici, inciampava e cadeva, venendo colpito all'occhio sinistro da un corpo appuntito, al che conseguiva l'enucleazione del globo oculare e l'applicazione di una protesi, con inabilita' permanente riconosciuta dall'Inail nella misura del 40%.

La Corte, ritenuta l'inattendibilita' della deposizione del teste (OMISSIS), unico asserito testimone dei fatti, per contraddittorieta' della sua versione rispetto a quella fornita dallo stesso ricorrente e da altro teste, riteneva che non fosse stata fornita la prova del fatto che l'infortunio si fosse verificato in costanza di attivita' lavorativa, condizione indispensabile perche' l'omessa fornitura di attrezzatura protettiva lamentata dall'infortunato integrasse il profilo di colpa contrattuale legittimante la richiesta di risarcimento del danno.

Per la cassazione della sentenza (OMISSIS) ha proposto ricorso, affidato a un solo articolato motivo, cui ha resistito con controricorso la s.n.c. (OMISSIS).

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Il ricorso e' basato sulla censura di violazione e falsa applicazione dell'articolo 2087 c.c., e dell'articolo 112 c.p.c., e di vizio di motivazione nei quali sarebbe incorsa la Corte di merito, laddove non ha considerato che il lavoratore aveva assolto l'onere probatorio a lui imposto dall'articolo 2087 c.c., con riguardo alla sussistenza del rapporto di lavoro ed al verificarsi dell'infortunio, mentre il nesso causale risultava dall'accertamento dell'Inail che aveva provveduto ad indennizzare l'evento con la liquidazione della rendita.

2. Il motivo non e' fondato.

Il riferimento all'articolo 2087 c.c., determina la qualificazione della fattispecie di causa come inadempimento contrattuale del datore di lavoro, con ogni conseguenza di regime giuridico, anche in relazione al riparto degli oneri di allegazione e prova.

2.1. Per consolidato orientamento di legittimita', l'articolo 2087 c.c., non configura un' ipotesi di responsabilita' oggettiva, in quanto la responsabilita' del datore di lavoro va collegata alla violazione degli obblighi di comportamento imposti da norme di legge o suggeriti dalle conoscenze sperimentali o tecniche del momento (v., ex plurimis, tra le ultime, Cass. n. 2038 del 2013). Come ricordato ancora da ultimo da Cass. n. 27364 del 2014, pur sussistendo diversita' di opinioni sulla necessita' o meno che il lavoratore debba specificamente indicare le misure che avrebbero dovuto essere adottate in prevenzione (tra le altre, affermano tale esigenza Cass. n. 8855 del 2013; n. 19826 del 2013; n. 4184 del 2006; n. 14469 del 2000, mentre la negano: Cass. n. 3788 del 2009; n. 21590 del 2008; n. 9856 del 2002; n. 1886 del 2000; n. 3234 del 1999), e' invece assolutamente univoco l'insegnamento di questa Corte secondo il quale incombe sul lavoratore che lamenti di aver subito un danno a causa dell'attivita' lavorativa svolta, un danno, l'onere di provare l'esistenza di tale danno, come pure la nocivita' dell'ambiente di lavoro, nonche' il nesso di causalita' tra l'una e l'altra, mentre spetta al datore di lavoro dimostrare di aver adottato tutte le cautele necessarie ad impedire il verificarsi del danno (v., oltre tutte le sentenze sopra citate, Cass. n. 10361 del 1997; n. 12661 del 1995; n. 11351 del 1993).

2.2. Allegare e provare la nocivita' dell'ambiente di lavoro significa che dalla fonte dell'obbligo altrui che il creditore di sicurezza invoca deve scaturire l'indicazione del comportamento che il debitore avrebbe dovuto tenere, sicche' il lavoratore deve fornire una descrizione del fatto materiale che consenta di individuare una condotta del datore contraria o a misure di sicurezza espressamente imposte da una disposizione normativa, ovvero a misure di sicurezza che, sebbene non individuate specificamente da una norma, siano comunque rinvenibili nel sistema dell'articolo 2087 c.c.. L'inadempimento rilevante nell'ambito dell'azione di responsabilita' per risarcimento del danno nelle obbligazioni cosi' dette di comportamento non e' infatti qualunque inadempimento, ma solo quello che costituisce causa (o concausa) efficiente del danno. Cio' comporta che l'allegazione del creditore non puo' attenere ad un inadempimento, qualunque esso sia, ma ad un inadempimento, per cosi' dire, qualificato, e cioe' astrattamente efficiente alla produzione del danno. Competera' al debitore dimostrare o che tale inadempimento non vi e' proprio stato ovvero che, pur esistendo, non e' stato nella fattispecie causa del danno (cosi' Cass. SS.UU. n. 577 del 2008).

2.3. Nel caso in esame, la Corte ha quindi fatto applicazione di tali principi ritenendo che la privazione di attendibilita' della deposizione del teste (OMISSIS), unico asserito testimone oculare, impedisse di ricostruire le modalita' del fatto, essendo rimasto incerto sia l'essere o meno il ricorrente caduto, sia che cosa sia stato a colpire l'occhio (le forbici, la spalliera del pitosforo, una palma), dimodoche' la stessa ascrivibilita' dell'evento all'attivita' di lavoro risultava revocata in dubbio. L'incertezza nella ricostruzione dei fatti impediva infatti di individuare quale fosse stata la causa efficiente del danno e quindi la nocivita' dell'ambiente di lavoro imputabile al datore.

3. Quanto all'avvenuto riconoscimento della rendita da parte dell'Inail, occorre distinguere i presupposti per razionabilita' della tutela prevista dall'assicurazione infortuni e malattie professionali garantita dall'INAIL e quelli necessari per l'accertamento di una responsabilita' contrattuale del datore di lavoro ai sensi dell'articolo 2087 c.c.. Il meccanismo assicurativo prescinde infatti dall'accertamento della colpa e si fonda sulla mera occasione di lavoro, cioe' su di una condizione di collegabilita', anche indiretta, dell'evento all'attivita' lavorativa, sicche' l'indennizzo puo' essere riconosciuto finanche per eventi verificatisi nel percorso fatto dal dipendente per recarsi al lavoro. Invece, in un giudizio risarcitorio proposto nei confronti del datore di lavoro e' indispensabile fornire al giudice ed alla controparte tutti gli elementi fattuali necessari affinche' sia apprezzabile, anche solo in ipotesi, un colpevole inadempimento, non potendo il lavoratore limitarsi a dedurre di avere riportato un danno in occasione o durante la prestazione lavorativa (cosi' Cass. n. 27364 del 2014).

4. Segue alle superiori considerazioni il rigetto del ricorso.

5. Le spese, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimita', che liquida in euro 2.000,00 per compensi professionali, oltre ad euro 100,00 per esborsi, rimborso spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.

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