L'Enel è responsabile per la morte del lavoratore dovuta ad una scarica elettrica, dovuta alla mancanza di adeguata protezione della cabina

In materia di responsabilita' civile, il limite della responsabilita' per l'esercizio di attivita' pericolose ex articolo 2050 cod. civ. risiede nell'intervento di un fattore esterno, il caso fortuito, il quale attiene non gia' ad un comportamento del responsabile ma alle modalita' di causazione del danno, che puo' consistere anche nel fatto dello stesso danneggiato recante i caratteri dell'imprevedibilita' e dell'eccezionalita'. In ordine alla presunzione di responsabilita' per chi esercita attivita' pericolose, il fatto del terzo o dello stesso danneggiato puo' avere effetto liberatorio solo quando nell'ambito del rapporto di causalita' materiale esso abbia operato in modo tale da rendere, per la sua sufficienza, giuridicamente irrilevante il fatto di chi esercita detta attivita', non quando abbia semplicemente concorso nella produzione del danno per essersi inserito in una situazione gia' di per se pericolosa a causa dell'inidoneita' delle misure preventive adottate, senza la quale l'evento non si sarebbe verificato" (Cass. 24 novembre 2003 n. 17851). Pertanto, l'Enel è responsabile per la morte del lavoratore dovuta ad una scarica elettrica, dovuta alla mancanza di adeguata protezione della cabina.

Corte di Cassazione Sezione 3 Civile, Sentenza del 18 luglio 2011, n. 15733



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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MORELLI Mario Rosario - Presidente

Dott. FILADORO Camillo - rel. Consigliere

Dott. SPAGNA MUSSO Bruno - Consigliere

Dott. D'ALESSANDRO Paolo - Consigliere

Dott. SCARANO Luigi Alessandro - Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 15401-2009 proposto da:

TA. AN. , LU. GI. (OMESSO), in proprio e nella qualita' di genitori esercenti la patria potesta' sulla figlia minore LU. CE. , nonche' LU. VA. (OMESSO), anche quali eredi di L. G. , selettivamente domiciliati in ROMA, VIA FEDERICO CESI 21, presso lo studio dell'avvocato MASSIMILIANO SALVATORE TORRISI, rappresentati e difesi dall'avvocato PETRUCCI RODOLFO giusta delega in atti;

- ricorrenti -

e contro

EN. SPA (OMESSO), CL. SRL, IT. AS. SPA (OMESSO);

- intimati -

avverso la sentenza n. 401/2008 della CORTE D'APPELLO di LECCE, Sezione 1 Civile, emessa il 27/02/2008, depositata il 04/06/2008; R.G.N. 935/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 07/06/2011 dal Consigliere Dott. CAMILLO FILADORO;

udito l'Avvocato PETRUCCI RODOLFO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. APICE Umberto che ha concluso per accoglimento del 5 e 6 motivo, assorbiti o rigettati gli altri.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

I genitori e la sorella di L.G. hanno convenuto in giudizio l'EN. s.p.a. dinanzi al Tribunale di Lecce per sentirla condannare, quale proprietaria di una cabina di distribuzione della energia elettrica, al pagamento del risarcimento dei danni derivati dalla morte di un loro congiunto, avvenuta il (OMESSO), a seguito di infortunio sul lavoro.

Esponevano gli attori che mentre il giovane G. , al suo primo giorno di lavoro, stava eseguendo lavori di rifacimento di un impianto elettrico presso un locale (ex cabina di trasformazione di energia elettrica) di proprieta' della s.r.l. Cl. , posto in aderenza ad una cabina elettrica di proprieta' dell'EN. - comunicante con essa attraverso una piccola finestra di circa cm. 50x 80, sito alla altezza di m. 2,50 dal pavimento - lo stesso era stato folgorato da una scarica elettrica, avendo accidentalmente urtato un cavo portante di energia a media tensione (pari a 20.000 volts) che l'EN. societa' distributrice della energia elettrica e proprietaria della cabina elettrica non aveva adeguatamente protetto.

Gli attori precisavano che il cavo era posto in prossimita' della finestrella della cabina EN. (attigua a quella nella quale il giovane stava lavorando) e che la scarica elettrica aveva determinato il decesso del L. dopo 39 giorni di degenza presso l'Ospedale.

L'EN. , costituendosi in giudizio, contestava la pretesa attrice, deducendo che l'evento era da attribuirsi esclusivamente alla condotta imprudente del L. , considerato che la cabina era regolarmente chiusa con porta metallica e munita di appositi cartelli che vietavano l'ingresso a persone non autorizzate. L'apertura della finestrella, sottolineava l'EN. , era adeguatamente protetta in modo da impedire l'ingresso da parte di estranei. In via subordinata, la societa' convenuta sosteneva un concorso di colpa della societa' Cl. , quale proprietaria della ex cabina (attigua a quella ancora in uso all'EN. ) e committente dei lavori di rifacimento dell'impianto elettrico, affidati al L. .

Su richiesta della societa' convenuta, si costituiva in giudizio la s.r.l. Cl. e previa richiesta di chiamata in garanzia, anche la compagnia di assicurazione di questa, It. As. s.p.a..

Con sentenza 30 luglio-30 dicembre 2004, il Tribunale rigettava tutte le domande proposte dagli attori, condannandoli al pagamento delle spese del giudizio nei confronti dell'EN. .

Dichiarava compensate le spese del giudizio tra le altre parti.

Avverso tale sentenza gli originari attori proponevano appello deducendo che l'EN. aveva contravvenuto alle disposizioni CEI 11-1, recepite nella 340 e che il detto comportamento omissivo non poteva essere giustificato dall'eventuale azione autonoma ed imprudente del danneggiato, atteso che comunque tale condotta non era tale da escludere in modo certo il nesso causale tra l'attivita' pericolosa e l'evento.

Si costituivano in giudizio l'EN. e la It. as. s.p.a. alla quale l'atto di appello era stato notificato solo come "litis denuntiatio", dunque senza richiesta risarcitoria.

Con sentenza 27 febbraio - 4 giugno 2008, la Corte di appello di Lecce confermava la decisione di primo grado.

I giudici di appello osservavano preliminarmente che erano stati acquisiti tutti gli atti relativi al procedimento penale relativo ai fatti di causa.

In base a tali atti, ed alle deposizioni testimoniali raccolte, era risultato che l'EN. non era incorsa in alcuna delle specifiche violazioni di norme di legge indicate dall'appellante.

Infatti, la porta di accesso alla cabina era risultata regolarmente chiusa con apposito lucchetto e su di essa erano apposti i prescritti cartelli monitori. La finestrella in questione era collocata ad una altezza di metri 2,50/3,00 da terra, Essa era adeguatamente protetta da tondini di rame (uno dei quali era risultato segato, presumibilmente dallo stesso infortunato che era stato trovato all'interno dalla cabina dai compagni di lavoro, i quali, per soccorrerlo, avevano dovuto forzare la porta).

Non poteva, pertanto, essere affermata la responsabilita' dell'EN. , in base alla presunzione di cui all'articolo 2050 c.c..

prevista per gli esercenti attivita' pericolose.

Infatti, questa disposizione presuppone comunque un previo accertamento della esistenza del nesso eziologico, tra l'esercizio della attivita' pericolosa e l'evento dannoso.

I giudici di appello rilevavano che: "anche nella ipotesi in cui l'esercente della attivita' pericolosa non abbia adottato tutte le misure idonee ad evitare il danno - realizzando quindi una situazione astrattamente idonea a fondare una sua responsabilita' ex articolo 2050 c.c.. - la causa efficiente sopravvenuta che abbia i requisiti del caso fortuito (eccezionalita' ed oggettiva improbabilita') e sia idonea da sola a causare l'evento, recide il nesso eziologico tra quest'ultimo e l'attivita' pericolosa, producendo effetti liberatori anche quando sia attribuibile al fatto del danneggiato stesso o di un terzo"

Nel caso di specie, era risultato che il L. si era arrampicato sino alla finestrella di ridotte dimensioni ed aveva divelto dal soffitto un isolatore e tagliato uno dei tondini di rame, la cui presenza rendeva non agevole il passaggio nella adiacente cabina elettrica a media-alta tensione, circostanza che appariva "anche a questa Corte comportamento assolutamente straordinario, anomalo e imprevedibile, in alcun modo collegato con il lavoro al quale il L. era interessato, e tale da recidere il nesso di causalita' eventualmente esistente tra una ipotizzata condotta colpevolmente omissiva dell'EN. e l'evento morte che ha colpito il L. medesimo".

Avverso tale decisione Lu.Gi. , Ta.An. , in proprio e nella qualita' di genitori esercenti la potesta' genitoriale sulla figlia minore Lu.Ce. , nonche' Lu. Va. , anche quali eredi di L.G. , hanno proposto ricorso per cassazione, sorretto da sei motivi.

Le societa' intimate non hanno svolto difese.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli articoli 115 e 116 c.p.c in relazione all'articolo 360 c.p.c., n. 3.

La sentenza impugnata aveva affermato - contrariamente al vero - che la decisione resa dal giudice del lavoro (nel procedimento tra gli eredi Lu. e l'INAIL) riguardava parti diverse ed era fondata su elementi differenti rispetto a quelli che formano oggetto del presente giudizio. Il fatto storico esaminato dal giudice del lavoro era, in realta', lo stesso posto all'esame del Tribunale ordinario. Per questo motivo, i giudici di appello avrebbero dovuto tener conto (come del resto gia' il primo giudice) delle dichiarazioni rese dai testimoni nella causa di lavoro, poiche' gli attuali ricorrenti erano decaduti dalle prove testimoniali nel presente giudizio, per un disguido occorso alla parte.

In ogni caso, i giudici di merito avrebbero dovuto ammettere una consulenza tecnica di ufficio che era stata richiesta sia in primo che in secondo grado.

Con il secondo motivo si deduce violazione dell'articolo articolo 340.

I ricorrenti con il terzo motivo denunciano violazione e falsa applicazione dell'articolo Decreto del Presidente della Repubblica n. 547 del 1955, articolo 340 (richiamando le prove acquisite nel giudizio penale, conclusosi, tuttavia, con una dichiarazione di non doversi procedere).

Con il quarto motivo si deduce violazione dell'articolo 116 c.p.c. omessa valutazione di norme di diritto e delle prove, contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e "decisivo" L. , dopo aver tagliato uno dei vecchi conduttori (che riteneva al pari degli altri disattivo) era venuto in contatto - dall'esterno della cabina EN. - attraverso i propri attrezzi con le strutture elettriche ancora in tensione ed era rimasto folgorato cadendo dal detto vano finestra all'interno della cabina, che non era protetta adeguatamente.

I ricorrenti segnalano che il punto 6.1.05 delle norme CEI prevede espressamente che le aperture delle cabine devono essere adeguatamente sistemate e protette, in modo da impedire che con la introduzione di corpi estranei, si possa venire in contatto, dall'esterno, con parti in tensione.

Il quinto motivo ha per oggetto violazione e falsa applicazione degli articoli 115 e 116 c.p.c. nonche' motivazione insufficiente e contraddittoria circa un punto decisivo della controversia.

Con il sesto motivo si deducono ulteriori vizi della motivazione circa un punto decisivo della controversia d in particolare la violazione dell'articolo 115 c.p.c. per non avere i giudici di merito disposto la ammissione della richiesta consulenza tecnica di ufficio. Osserva il Collegio:

I sei motivi possono essere esaminati congiuntamente in quanto connessi tra di loro. Essi sono fondati, nei limiti di seguito specificati.

E' appena il caso di ricordare che, nel caso di specie, la responsabilita' dell'EN. non viene in rilievo nella qualita' di datrice di lavoro del L. (in effetti, lavoratore dipendente da altra impresa), ma in quanto esercente attivita' pericolosa, con la presunzione di colpa di cui all'articolo 2050 c.c..

I giudici di appello hanno escluso qualsiasi responsabilita' di EN. , per avere questo apposto i prescritti cartelli monitori e munito di chiusura con lucchetto numerato la porta di accesso alla cabina contenente i casi che conducevano elettricita' di media tensione.

Ma nulla gli stessi giudici hanno precisato in ordine alla legittimita' di aperture ulteriori (finestrella) esistenti nella cabina, in aggiunta alla porta di accesso, ed alla adeguatezza degli sbarramenti apposti a tale finestrella, in modo da impedire ad estranei l'accesso alla cabina.

Anche in ordine alla dinamica dell'infortunio sussistono incertezze che la motivazione della sentenza impugnata non riesce a dissipare.

La Corte territoriale, infatti, ha escluso la esistenza di qualsiasi nesso di causalita' tra incidente mortale occorso al L. e lo svolgimento di attivita' lavorativa da parte dello stesso, rilevando che il fatto di avere segato i tondini di sbarramento della finestrella e di essere entrato nella cabina - cosi' venendo in contatto con i conduttori attraverso il quali passava la corrente elettrica - costituiva comportamento del L. assolutamente anomalo ed imprevedibile, tale da spezzare qualsiasi nesso di causalita' anche tra eventuali omissioni dell'EN. ed infortunio. La Corte territoriale, nella sentenza impugnata, mostra di non tener conto della giurisprudenza di questa Corte relativa alla presunzione di responsabilita' relativa all'esercizio di attivita' pericolose di cui all'articolo 2050 c.c. e piu' in generale dei principi piu' volte affermato in materia di nesso eziologico tra condotta del danneggiante ed evento e concorso di colpa del danneggiato.

In particolare, nel caso di specie, non risulta essere stata accertata la conformita' alle disposizioni di prevenzione infortuni della finestrella posta in alto nella cabina elettrica, sia sotto il profilo della sua liceita' e collocazione che sotto quello della adeguatezza delle protezioni installate, le quali - secondo le norme richiamate nella stessa decisione - avrebbero dovuto comunque impedire la possibilita' di accesso dall'esterno.

I giudici di appello hanno ricostruito la dinamica dell'infortunio, dando per scontato che il L. avesse - incautamente, nel suo primo giorno di lavoro - tagliato uno dei tondini di protezione della finestrella, penetrando all'interno della cabina elettrica dell'EN. , senza prestare attenzione ai cartelli di segnalazione affissi sulla stessa ed alle chiusure apposte sulla porta, che facevano chiaramente intendere la esistenza di un preciso divieto di accesso, motivato con la evidente pericolosita' del luogo (per la presenza di cavi di corrente elettrica in tensione, con 20.000 volts).

I giudici di appello hanno sul punto osservato, richiamando gli accertamenti compiuti dal primo giudice in sede civile e da quello penale, che il comportamento posto in essere dal L. costituiva "comportamento assolutamente straordinario, anomalo ed imprevedibile, in alcun modo collegato con il lavoro al quale il L. era interessato, e tale da recidere il nesso di causalita' eventualmente esistente tra una ipotizzata condotta colpevolmente omissiva dell'EN. e l'evento morte che ha colpito il L. medesimo".

I giudici di appello hanno accennato al fatto che, in ordine alla dinamica dei fatti, non era sorta contestazione tra le parti e che comunque la istruttoria compiuta dal giudice civile in primo grado aveva confermato tale ricostruzione, la quale escludeva qualsiasi violazione di norme di prevenzione infortuni da parte dell'EN. .

A tale conclusione - ad avviso del Collegio - i giudici di appello sono pervenuti, senza tener conto della - diversa -ricostruzione dei fatti prospettata dai ricorrenti, secondo i quali il giovane sarebbe invece stato sbalzato all'interno della cabina, mentre lavorava all'interno della attigua cabina di proprieta' della Cl. (che la proprietaria intendeva trasformare in spogliatoio per il personale dipendente) in conseguenza di un arco voltaico - causato dall'utilizzo di attrezzi metallici privi di adeguati sistemi di protezione-che avrebbe sbalzato il lavoratore all'interno della cabina, attraverso l'apertura posta in alto, in conseguenza della presenza di un cavo elettrico di media tensione (20.000 volts), collocato in prossimita' della finestrella.

Su questa diversa prospettazione della dinamica dei fatti, nessuna osservazione risulta essere stata formulata dai giudici di appello.

Sotto altro, e subordinato, profilo, i giudici di appello avrebbero dovuto esaminare la possibilita' che una eventuale condotta imprudente del lavoratore avesse concorso, unitamente alla mancanza di adeguata protezione della cabina da parte dell'EN. , al verificarsi dell'incidente (potendo, anche nel caso di specie, trovare applicazione la giurisprudenza di questa Corte relativa agli obblighi posti a carico del datore di lavoro, ed alla interruzione del nesso causale tra omissione di misure di prevenzione e infortunio, per effetto di comportamento del tutto anomalo del lavoratore dipendente: cfr. Cass. 17 febbraio 1999 n. 1331 e 28 luglio 2004 n. 14270). Tali principi, infatti, sono stati sostanzialmente ribaditi anche con riferimento al nesso di causalita' ed al concorso di colpa nella diversa ipotesi di danno derivato dall'esercizio di attivita' pericolosa (articolo 2050 c.c.).

La giurisprudenza di questa Corte e' ferma nel ritenere che: "In materia di responsabilita' civile, il limite della responsabilita' per l'esercizio di attivita' pericolose ex articolo 2050 cod. civ. risiede nell'intervento di un fattore esterno, il caso fortuito, il quale attiene non gia' ad un comportamento del responsabile ma alle modalita' di causazione del danno, che puo' consistere anche nel fatto dello stesso danneggiato recante i caratteri dell'imprevedibilita' e dell'eccezionalita'.

Peraltro, quando il comportamento colposo del danneggiato non e' idoneo da solo ad interrompere il nesso eziologico tra la condotta del danneggiante ed il danno, esso puo', tuttavia, integrare un concorso colposo ai sensi dell'articolo Cass. 8 maggio 2003 n. 6988). Ed ancora:

"In ordine alla presunzione di responsabilita' per chi esercita attivita' pericolose, il fatto del terzo o dello stesso danneggiato puo' avere effetto liberatorio solo quando nell'ambito del rapporto di causalita' materiale esso abbia operato in modo tale da rendere, per la sua sufficienza, giuridicamente irrilevante il fatto di chi esercita detta attivita', non quando abbia semplicemente concorso nella produzione del danno per essersi inserito in una situazione gia' di per se pericolosa a causa dell'inidoneita' delle misure preventive adottate, senza la quale l'evento non si sarebbe verificato" (Cass. 24 novembre 2003 n. 17851).

Alla luce di tale consolidato indirizzo giurisprudenziale, non risulta adeguatamente motivata la affermazione conclusiva, pure contenuta nella sentenza impugnata, secondo la quale il comportamento posto in essere dal L. doveva essere considerato come assolutamente "straordinario, anomalo ed imprevedibile" non collegato con il lavoro al quale il giovane era stato adibito e fosse dunque tale da recidere il nesso di causalita' esistente tra una condotta colpevolmente omissiva dell'EN. e l'infortunio mortale occorso allo stesso L. .

Conclusivamente la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio ad altro giudice che procedera' a nuovo esame, tenendo conto dei principi di diritto sopra enunciati, provvedendo anche in ordine alle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso.

Cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese di questo giudizio, alla Corte di appello di Lecce, in diversa composizione.

 

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