L'invalidità non comporta di per sé una lesione patrimoniale (accanto a quella biologica) e spetta al giudice accertare la riduzione della capacità di lavoro e di guadagno

L'invalidita' permanente (totale o parziale), mentre di per se' concorre a dar luogo a danno biologico, non comporta necessariamente anche un danno patrimoniale, a tal fine occorrendo che il giudice, oltre ad accertare in quale misura la menomazione fisica abbia inciso sulla capacita' di svolgimento dell'attivita' lavorativa specifica e questa, a sua volta, sulla capacita' di guadagno, accerti se ed in quale misura in tale soggetto persista o residui, dopo e nonostante l'infortunio subito, una capacita' ad attendere ad altri lavori, confacente alle sue attitudini e condizioni personali ed ambientali, ed altrimenti idonei alla produzione di altre fonti di reddito, in luogo di quelle perse o ridotte. Solo se dall'esame di detti elementi risulti una riduzione della capacita' di guadagno e del reddito effettivamente percepito, questo e' risarcibile sotto il profilo del lucro cessante. La relativa prova incombe a danneggiato e puo' essere anche presuntiva, purche' sia certa la riduzione della capacita' di lavoro specifica. Ne consegue che è onere del professionista provare che la struttura in cui egli operava non produceva reddito nel periodo di assenza forzata.
(Corte di Cassazione Sezione 3 Civile, Sentenza del 1 ottobre 2009, n. 21062)



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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FINOCCHIARO Mario - Presidente

Dott. FEDERICO Giovanni - Consigliere

Dott. TALEVI Alberto - Consigliere

Dott. CHIARINI Maria Margherita - Consigliere

Dott. D'AMICO Paolo - rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:



SENTENZA

sul ricorso 15388/2005 proposto da:

FO. AN. , elettivamente domiciliato in ROMA, VIA TIGRE' 37, presso lo studio dell'avvocato CAFFARELLI FRANCESCO, che lo rappresenta e difende unitamente all'avvocato PARZIALE CARMELA giusta mandali a margine del ricorso;

- ricorrente -

contro

RA. AS. SPA, in persona dei legali rappresentanti Dott.ssa MI. RI. e Dott. CE. AN. elettivamente domiciliato in ROMA, VIA PANAMA 88, presso lo studio dell'avvocato SPADAFORA GIORGIO, che lo rappresenta e difende giusta procura in calce al controricorso;

- controricorrente -

e contro

SC. IT. ;

- intimati -

avverso la sentenza n. 714/2004 della CORTE D'APPELLO di VENEZIA, Sezione 4 Civile, emessa il 19/11/2003; depositata il 27/04/2004; R.G.N. 2667/1999;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 09/06/2009 dal Consigliere Dott. D'AMICO PAOLO;

udito 'Avvocato CAFFARELLI FRANCESCO;

udito l'Avvocato SPADAFORA GIORGIO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DE NUNZIO Wladimiro, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Fo.An. conveniva in giudizio davanti al Tribunale di Treviso Sc.It. e la Ra. s.p.a. per sentirli condannare in solido al pagamento di tutti i danni derivatigli da un sinistro stradale che riteneva imputabile al medesimo Sc. .

I convenuti, costituendosi, non contestavano la responsabilita', ma chiedevano la liquidazione dei danni secondo giustizia.

Con sentenza n. 1852 del 22.10.1998 il Tribunale, sulla base di criteri equitativi, stimava il danno in complessive lire 71.320.000 e condannava in solido i convenuti al pagamento, oltre agli acconti gia' versati, della somma residua di lire 4.313.000 piu' accessori.

Avverso tale decisione proponeva appello Fo.An. chiedendo la condanna solidale di Sc.It. e della Ra. al pagamento della somma di lire 170.547.466 o di altra minore ritenuta di giustizia.

Si costituiva la Ra. s.p.a. contestando il fondamento dell'appello e chiedendone il rigetto.

La Corte d'Appello di Venezia rigettava l'appello e confermava l'impugnata sentenza, condannando l'appellante alla rifusione delle spese processuali in favore dell'appellata.

Proponeva ricorso per cassazione Fo.An. .

Resisteva la Ra. .

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo parte ricorrente denuncia "Violazione e falsa applicazione di norme di diritto Erronea, omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia (articoli 1223 e 2697 c.c. articoli 113, 115, 116 e 244 c.p.c., in relazione all'articolo 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5).

Sostiene parte ricorrente che la maggiore contestazione alla sentenza del Tribunale di Treviso si riferiva alla eccessiva limitazione del risarcimento del danno emergente (ed in parte del lucro cessante) subito dal professionista per effetto della sua forzata assenza dallo studio a causa del sinistro. L'appellante aveva, cioe', segnalato una palese "svista valutativa" del Tribunale, nella quantificazione delle spese vive per la mantenuta apertura dello studio legale durante i periodo di forzata assenza. La Corte d'Appello, invece, aveva fatto prevalente riferimento alle c.d. "micropermanenti", che nulla avevano a che fare con il nocciolo dell'appello, costituito dalla quantificazione del danno emergente.

Date queste premesse, prosegue parte ricorrente, il ragionamento adottato dalla Corte che rigettava il motivo di appello, ancorando la sua decisione all'istituto della c.d. "micro - permanente", era risultato del tutto inspiegabile.

Il motivo e' infondato.

Non si puo' affermare infatti che la Corte abbia applicato "un parametro del tutto inconferente quale risultava (...) quel lo della micro permanente"; piuttosto, essa ha accertato, per quanto riguarda il danno emergente, che "l'appellante non ha (...) offerto alcun elemento concreto idoneo a corroborare il pagamento a vuoto delle spese correlate all'esercizio della professione" e quindi il mancato adempimento dell'onere probatorio da parte del soggetto che vi era tenuto. Tale accertamento, del resto, e' un accertamento di merito, sottratto alla valutazione di questa Corte in quanto congruamente motivato.

Con il secondo motivo si denuncia "Violazione e falsa applicazione, sotto altro profilo, di norme di diritto - Erronea, omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, sotto altro profilo, su un punto decisivo della controversia - Erronea esclusione della prova testimoniale dedotta - (Decreto Legge n. 857 del 1976, articolo 4, conv. in Legge 26 febbraio 1977, n 39 - articoli 1223, 2727, 2729 e 2697 c.c., articoli 113, 115, 116 e 244 c.p.c., in relazione all'articolo 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5).

Parte ricorrente ritiene erroneo il ragionamento del collegio laddove ha omesso di attribuire efficacia probatoria della dichiarazione dei redditi in relazione a tutti i dati dalla stessa emergenti.

Tale documento, secondo Fo.An. , doveva invece essere ritenuto idoneo, per espressa previsione legislativa, ad apportare al processo dati da considerarsi "veridici e comprovati fino a prova contraria"; e cio' anche ai sensi del Decreto Legge n. 857 del 1976, articolo 4, convertito in Legge 26 febbraio 1977, n. 39.

In sintesi, secondo il ricorrente, erano molti gli elementi che il Collegio d'appello avrebbe dovuto trarre dalla produzione documentale, proprio in quanto finalizzati, per espressa previsione di legge, a determinare il risarcimento conseguente ad invalidita' temporanea. Idonea a documentare le spese sostenute nel corso dell'annualita' reddituale di riferimento risultava in particolare la dichiarazione dei redditi prodotta agli atti dalla difesa di Fo. An. .

La censura dev'essere rigettata.

In primo luogo infatti si deve considerare che la dichiarazione dei redditi e' idonea a dimostrare il reddito e non certo e spese sostenute.

In secondo luogo la dichiarazione prodotta dal Fo. risultava inidonea a documentare il reddito dal quale trarre la diminuzione di guadagno netto in quanto il danno patrimoniale da invalidita' permanente ed inabilita' temporanea, conseguite ad un sinistro stradale, va liquidato, ai sensi della Legge n. 39 del 1977, articolo 4, sulla base delle risultanze delle dichiarazioni dei redditi presentate dal danneggiato nei tre anni precedenti il sinistro non della dichiarazione di un solo anno. E le risultanze di tali dichiarazioni fondano comunque una mera presunzione juris tantum sull'entita' del reddito percepito dal danneggiato (Cass. 19 dicembre 1996, n. 11368).

Anche le successive argomentazioni addotte dalla Corte in tema di causalita' e di ammissibilita' dei capitoli istruttori risultano, secondo parte ricorrente, erronee ed illogiche.

Ritiene infatti Fo.An. che avendo la Corte veneziana ritenuto valide le conclusioni della CTU, mai avrebbe potuto ritenere non presente agli atti la prova relativa al nesso causale tra la documentata assenza e la documentata contrazione dei guadagno.

Parte ricorrente censura infine l'esclusione delle circostanze di prova orale che risultano a suo avviso capitolate in osservanza dei requisiti di specificita' e determinatezza necessari e sufficienti per apportare al processo ogni elemento che il Fo. aveva offerto.

Anche questi ultime censure meritano rigetto.

Secondo questa Corte infatti qualora il ricorrente, in sede di legittimita', denunci l'omessa valutazione di prove documentali, per il principio di autosufficienza ha l'onere non solo di trascrivere il testo integrale, o la parte significativa del documento nel ricorso per cassazione, al fine di consentire il vaglio di decisivita', ma anche di specificare gli argomenti, deduzioni o istanze che, in relazione alla pretesa fatta valere, siano state formulate nel giudizio di merito, pena l'irrilevanza giuridica della sola produzione che non assicura il contraddittorio e non comporta quindi, per il giudice alcun onere di esame; e ancora meno di considerazione dei documenti stessi ai fini della decisione (Cass. 25 agosto 2006, n. 18506; Cass. 25 agosto 2006, n. 18498). E si deve altresi' rilevare che il giudice di merito e' libero di attingere il proprio convincimento da quelle prove o risultanze di prove che ritenga piu' attendibili ed idonee alla formazione dello stesso, essendo sufficiente, ai fini della congruita' della motivazione del relativo apprezzamento, che da quest'ultima risulti come il convincimento nell'accertamento dei fatti si sia realizzato attraverso una valutazione dei vari elementi probatori acquisiti al giudizio, considerati nel loro complesso (Cass. 20 febbraio 2006, n. 3601)

Con il terzo ed ultimo motivo si denuncia infine "Violazione e falsa applicazione, sotto altro profilo, di norme di diritto - Erronea, omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, sotto altro profilo, su un punto decisivo della controversia (articoli 1223, 2727, 2729 e 2697 c.c., articoli 113, 115, 116 e 244 c.p.c., in relazione agli articoli 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5)".

Sostiene parte ricorrente che, anche sotto questo profilo, la sentenza va decisamente censurata. In primo luogo perche' la Corte ha confermato la pronuncia del Tribunale dando cosi' per presupposte alla sua decisione le risultanze della CTU che aveva individuato un periodo di invalidita' totale e parziale subite dal professionista; in secondo luogo, perche' sia nel procedimento di primo grado che nel procedimento di appello era stata offerta la prova dell'assenza dal lavoro e di ogni altro apporto del professionista alla attivita' durante il periodo di invalidita'.

Sottolinea infine parte ricorrente che risulta manifestamente sovvertita la regola dell'onere della prova, posto che, una volta dimostrata l'invalidita' totale del professionista, stava semmai a controparte fornire al prova del fatto che la struttura in cui egli operava risultava, comunque, produttiva di reddito nel periodo di assenza forzata.

Anche quest'ultimo motivo e' infondato.

Secondo la giurisprudenza di questa Corte infatti l'invalidita' permanente (totale o parziale), mentre di per se' concorre a dar luogo a danno biologico, non comporta necessariamente anche un danno patrimoniale, a tal fine occorrendo che il giudice, oltre ad accertare in quale misura la menomazione fisica abbia inciso sulla capacita' di svolgimento dell'attivita' lavorativa specifica e questa, a sua volta, sulla capacita' di guadagno, accerti se ed in quale misura in tale soggetto persista o residui, dopo e nonostante l'infortunio subito, una capacita' ad attendere ad altri lavori, confacente alle sue attitudini e condizioni personali ed ambientali, ed altrimenti idonei alla produzione di altre fonti di reddito, in luogo di quelle perse o ridotte. Solo se dall'esame di detti elementi risulti una riduzione della capacita' di guadagno e del reddito effettivamente percepito, questo e' risarcibile sotto il profilo del lucro cessante. La relativa prova incombe a danneggiato e puo' essere anche presuntiva, purche' sia certa la riduzione della capacita' di lavoro specifica (Cass. 23 gennaio 2006, n. 1230; Cass. 20.10. 2005, n. 20321).

Alla luce di tale giurisprudenza deve dunque ritenersi che il giudice di merito ha correttamente applicato la disciplina dell'onere della prova in quanto l'attore e' tenuto a dimostrare il fatto costitutivo della domanda e quindi gli elementi che legittimano la sua pretesa mentre incombe al convenuto, ove eccepisca l'inefficacia dei fati dedotti a fondamento della sua domanda ovvero la modificazione o l'estinzione del diritto di provare i fatti su cui si basa la sua eccezione.

In questo processo incombeva all'attuale ricorrente l'onere di provare che la fattispecie concreta era riconducibile a quella astratta prevista dalla legge. E la Corte d'Appello ha fatto corretta applicazione di tale principio.

In conclusione, tutto le ragioni che precedono inducono a rigettare il ricorso.

Parte ricorrente deve essere condannata alle spese del giudizio di cassazione che si liquidano come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte:

Rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente alle spese del giudizio di cassazione che liquida in complessivi euro 5.200,00, di cui euro 5.000,00, per onorari oltre rimborso forfetario delle spese generali ed accessori come per legge.

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