Le norme dettate in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro tutelano il lavoratore non solo dagli incidenti derivanti dalla sua disattenzione, ma anche da quelli ascrivibili a imperizia, negligenza e imprudenza dello stesso

Le norme dettate in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, tese a impedire l'insorgenza di situazioni pericolose, sono dirette a tutelare il lavoratore non solo dagli incidenti derivanti dalla sua disattenzione, ma anche da quelli ascrivibili a imperizia, negligenza e imprudenza dello stesso; ne consegue che il datore di lavoro è sempre responsabile dell'infortunio occorso al lavoratore, sia quando ometta di adottare le idonee misure protettive, sia quando non accerti e vigili che di queste misure venga fatto effettivamente uso da parte del dipendente, non potendo attribuirsi alcun effetto esimente per l'imprenditore che abbia provocato un infortunio sul lavoro per violazione delle relative prescrizioni all'eventuale concorso di colpa del lavoratore, atteso che la condotta del dipendente può comportare l'esonero totale del datore di lavoro da responsabilità solo quando essa presenti i caratteri dell'abnormità, inopinabilità ed esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo e alle direttive ricevute, come pure dell'atipicità ed eccezionalità, così da porsi come causa esclusiva dell'evento. Il comportamento imprudente del lavoratore, quando non presenti i caratteri estremi sopra indicati, può invece rilevare come concausa dell'infortunio, e in tale caso le responsabilità del datore di lavoro può essere proporzionalmente ridotta ai sensi della norma di cui all'articolo 1227 del codice civile. (Corte di Cassazione Sezione Lavoro Civile, Sentenza del 14 aprile 2008, n. 9817)



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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MATTONE Sergio - Presidente

Dott. DE RENZIS Alessandro - Consigliere

Dott. DI NUBILA Vincenzo - Consigliere

Dott. DE MATTEIS Aldo - rel. Consigliere

Dott. NAPOLETANO Giuseppe - Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

AV. EU., elettivamente domiciliato in ROMA VIA RAVA' 124, presso lo studio A.N.M.I.L. ONLUS - ASSOCIAZIONE NAZIONALE MUTILATI E INVALIDI DEL LAVORO, rappresentato e difeso dall'avvocato DALLA CHIESA Mauro, giusta procura speciale atto notar RAIMONDO MALINCONICO di SALERNO del 23/06/05, rep. 58489;

- ricorrente -

contro

SI. CE. gia' TE. LA. DITTA S.R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA LUNGOTEVERE DELLA VITTORIA 9, presso lo studio dell'avvocato AMATO Renato, che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati VARONE PASQUALE, LIONE AUGUSTO, giusta delega in atti;

- controricorrente -

e contro

FO. SA. S.P.A., (gia' SA. So. As. In.), RA. Ri. Ad. di. Si. S.P.A.;

- intimate -

avverso la sentenza n. 45/05 della Corte d'Appello di MILANO, emessa il 16/11/04 r.g.n. 1090/03;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del 04/03/08 dal Consigliere Dott. Aldo DE MATTEIS;

udito l'Avvocato MAURO DALLA CHIESA;

udito l'Avvocato VARONE;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. PATRONE Ignazio, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il sig. Av.Eu. ha convenuto in giudizio dinanzi al Tribunale di Milano, giudice del lavoro, la societa' datrice di lavoro Si. s.r.l., chiedendo di condannarla a pagargli, a titolo di danno differenziale, euro 548.121,91 per invalidita' permanente, danno biologico, danno morale e 12 mesi di inabilita' temporanea, oltre interessi legali pari a lire 177.411.000 e interessi compensativi, in quanto responsabile, ex articoli 2043 e 2087 c.c., dell'infortunio da lui subito in data (OMESSO).

Narrava che, mentre era intento a smontare imponenti casseformi per il getto di calcestruzzo, per la costruzione di muri di contenimento, alti 10 metri, per la linea ferroviaria ad alta velocita' (OMESSO), una cassaforma si inclinava perche' male agganciata dalla squadra precedente, sicche' egli si lanciava nella scarpata sottostante per evitare di essere schiacciato dalla stessa, riportando cosi' gravissime lesioni permanenti.

Chiamata in causa le societa' assicuratrici della Si., SA. s.p.a. e RA. s.p.a., il giudice adito ha respinto la domanda, con decisione confermata dalla Corte d' Appello di Milano, con sentenza 16 novembre 2004/31 gennaio 2005 n. 45.

Il primo giudice, sentiti i testi, aveva ritenuto non provata la responsabilita' della societa', considerata anche l'esperienza del lavoratore e il suo ruolo di caposquadra. Il giudice d'appello ha ricapitolato la tesi dell'appellante, secondo cui l'infortunio e' accaduto perche' altre squadre avevano operato sulle casseformi prima di lui, omettendo l'aggancio dell'ultimo pannello, e perche' egli si e' trovato, al momento dell'infortunio, all'altezza di sei metri dal suolo, in mancanza di sistemi di sicurezza.

Ha ammesso che la prima circostanza e' stata confermata dai testi, ma ha ritenuto che da cio' non consegua la responsabilita' del datore di lavoro, perche' l' Av. era un caposquadra esperto nel montaggio delle casseformi, un dirigente della societa' lo aveva saggiato all'opera (era il primo giorno di lavoro dell'Av. presso la Si.), gli aveva dato istruzioni ed effettuato controlli sulla sua competenza e sulla regolarita' del lavoro gia' svolto, pertanto aveva avuto modo e tempo di verificare all'arrivo lo stato dei lavori e, in particolare, il regolare ancoraggio dei pannelli con sostegni telescopici.

Quanto alle modalita' dell'infortunio, queste sono state accertate dagli ufficiali di p.g., i quali hanno ispezionato i luoghi e sentito l' Av. ed i suoi colleghi di lavoro; hanno riferito che il lavoratore si trovava, nell'ultima fase del lavoro, con i piedi appoggiati su una putrella sporgente ad altezza non superiore a due metri, per la quale non erano richieste misure particolari di sicurezza. L' Av., a fronte di questa puntuale ricostruzione dei fatti, non ha fornito alcun elemento utile a provare che lavorasse ad un'altezza superiore rispetto a quella indicata negli accertamenti; nulla egli ha precisato circa le modalita' di aggancio del pannello alla gru, la visibilita' dei tiranti, l'esigenza di operare dall'altezza massima del pannello, l'altezza di eventuali putrelle o passerelle esistenti. Anche il teste Fe. indica l'altezza in relazione alla fase del lavoro, precisando che i pannelli hanno dei camminamenti o passerelle che non vengono mai smontati e si trovano circa a meta' o piu' esattamente a circa 1,80 dalla parte dove non c'e' il puntello e dalla parte, dove c'e' il puntello, nella parte superiore. Il teste Sessa, quanto all'altezza dal suolo, ha riferito al giudice in modo estremamente evasivo, che l'operazione di imbragatura andava fatta intorno ai due-tre metri di altezza, o persino in cima; nelle dichiarazioni allegate al ricorso del gennaio 2001 ha dato una nuova versione dei fatti riferendo che Av. lavorava a sei metri, sempre contraddicendo la prima (h.m. 1,60) fatta all'ufficiale di polizia giudiziaria, l'unica attendibile, confermata dallo stesso Av. e da Gr. appena dopo l'infortunio.

Quanto alla regola juris da applicare all'infortunio sul lavoro cosi' ricostruito, il giudice d'appello ha rilevato che l'articolo 2087 cod. civ., non prevede un'ipotesi fa di responsabilita' oggettiva, ma occorre sempre che l'evento sia riferibile a colpa del datore di lavoro, per violazione di obblighi di comportamento imposti da norme di fonte legale o suggeriti dalla tecnica, concretamente individuati.

Sulla base di tali elementi di fatto e di diritto ha confermato la sentenza impugnata.

Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per Cassazione l' Av., con due motivi.

Si e' costituita con controricorso, resistendo, la s.r.l. Si..

Le due compagnie assicuratrici sono rimaste intimate.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli articoli 2697, 2043, 2087 cod. civ.; articoli 115 e 116 c.p.c.; Decreto del Presidente della Repubblica 27 aprile 1955, n. 547, articoli 4 e 150; omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su punto decisivo della controversia (articolo 360 c.p.c., nn. 3 e 5). Censura la ricostruzione dei fatti, limitatamente alla circostanza relativa all'altezza dal suolo alla quale l' Av. operava, la valutazione della relativa prova testimoniale, e le conseguenze giuridiche tratte dalla sentenza impugnata.

Il motivo non e' fondato nella parte in cui censura la valutazione della prova testimoniale, e la conseguente ricostruzione dei fatti operata dal giudice del merito, ad esso devoluta, e congruamente motivata quanto alla attendibilita' delle varie versioni fornite dai colleghi di lavoro e dallo stesso Av. nell'imminenza dei fatti agli ufficiali di P.G. ed in sede giudiziaria.

Il motivo e' fondato per quanto attiene ai principi giuridici applicati dal giudice d'appello ai fatti, come dallo stesso ricostruiti, ed agli effetti di tale mancata applicazione sulla valutazione giuridica complessiva dei medesimi fatti.

Come accertato dal giudice d'appello, vi sono stati in sequenza temporale due fattori: la negligenza della squadra precedente, che ha omesso di agganciare l'ultimo pannello, come era tenuta a fare; il comportamento dell'Av., che ha omesso di rilevare tale negligenza. L'infortunio non e' dunque conseguenza esclusiva dell'operato dell'Av., come ritenuto dal giudice d'appello, ma, quantomeno, del concorso di questa con quella di altro dipendente, del cui operato il datore di lavoro e' tenuto a rispondere, ai sensi dell'articolo 2049 cod. civ..

Alla fattispecie in questione il giudice d'appello ha applicato esclusivamente il principio di diritto secondo cui l'articolo 2087 cod. civ., non prevede un'ipotesi di responsabilita' oggettiva, ma occorre sempre che l'evento sia riferibile a colpa del datore di lavoro, per violazione di obblighi di comportamento imposti da norme di fonte legale o suggeriti dalla tecnica, concretamente individuati.

Tale principio, in se' esatto, non esaurisce la regola juris che questa Corte ha individuato nella norma in esame.

Essa deve percio' essere riassunta nelle sue varie implicazioni.

1. la responsabilita' conseguente alla violazione dell'articolo 2087 cod. civ., ha natura contrattuale, perche' il contenuto del contratto individuale di lavoro risulta integrato per legge (ai sensi dell'articolo 1374 c.c.) dalla disposizione che impone l'obbligo di sicurezza (articolo 2087 c.c.) (Cass. 25 maggio 2006 n. 12445), che entra cosi' a far parte del sinallagma contrattuale. Ne consegue che il riparto degli oneri probatori nella domanda di danno differenziale da infortunio sul lavoro proposta dal lavoratore si pone negli stessi termini che nell'articolo 1218 cod. civ., sull'inadempimento delle obbligazioni (Cass. 8 maggio 2007 n. 10441, Cass. 24 febbraio 2006 n. 4184).

La regola sovrana in tale materia, desumibile dall'articolo 1218 cod. civ., e' che il creditore che agisca per il risarcimento del danno deve provare tre elementi: la fonte (negoziale o legale) del suo diritto, il danno, e la sua riconducibilita' al titolo dell'obbligazione; a tale scopo egli puo' limitarsi alla mera allegazione della circostanza dell'inadempimento della controparte, mentre e' il debitore convenuto ad essere gravato dell'onere di provare il proprio adempimento, o che l'inadempimento e' dovuto a causa a lui non imputabile (Cass. Sez. un. 30 ottobre 2001 n. 13533, cui si e' conformata tutta la giurisprudenza di legittimita' successiva: ex plurimis Cass. 25 ottobre 2007 n. 22361, Cass. 19 aprile 2007 n. 9351, Cass. 26 gennaio 2007 n. 1743).

Nell'applicare tali fondamentali civilistici alle complesse obbligazioni scaturenti dal contratto di lavoro, in particolare alla distribuzione degli oneri probatori per la responsabilita' del danno da infortunio sul lavoro, questa Corte ha ritenuto, ad es., in caso di infortunio provocato dall'uso di un macchinario, che il lavoratore deve provare il nesso causale tra uso del macchinario ed evento dannoso, restando gravato il datore di lavoro dell'onere di dimostrare di avere osservato le norme stabilite in relazione all'attivita' svolta, nonche' di avere adottato, ex articolo 2087 c.c., tutte le misure necessarie per tutelare l'integrita' del lavoratore (Cass. 1 ottobre 2003 n. 14645, Cass. 28 luglio 2004 n. 14270); analoga soluzione in caso, ad es., di caduta accidentale di operaio edile da palazzo in costruzione, dove nessuno sostiene che tocchi al lavoratore provare l'inadempimento del datore di lavoro all'obbligo di sicurezza nell'apprestamento delle opere provvisionali.

La formulazione che si rinviene in alcune pronunce di questa Corte, secondo cui il lavoratore infortunato ha l'onere di provare il fatto costituente l'inadempimento del datore di lavoro all'obbligo di sicurezza (Cass. 24 febbraio 2006 n. 4184, Cass. 11 aprile 2006 n. 8386, Cass. 25 maggio 2006 n. 12445, Cass. 8 maggio 2007 n. 10441, 19 luglio 2007 n. 16003) non appare conforme al principio enunciato dalle Sezioni Unite (e con l'applicazione coerente che ne ha fatto questa Sezione Lavoro nei casi sopra citati), e non puo' pertanto essere seguita.

Il principio sopra esposto non comporta l'affermazione di una responsabilita' oggettiva ex articolo 2087 cod. civ., nella stessa misura in cui l'allegazione del mancato pagamento di una somma di denaro non comporta una responsabilita' oggettiva del debitore, ai sensi dell'articolo 1218 cod. civ..

La colpa del danneggiante e' essenziale per qualsiasi tipo di responsabilita' civile. Vi e' pero' una diversita' di regime probatorio: nella responsabilita' extracontrattuale, il danneggiato deve provare quattro elementi, e la loro connessione: il fatto, il danno, il nesso causale, e la colpa del danneggiante, ai sensi dell'articolo 2697 cod. civ.; nella responsabilita' contrattuale l'articolo 1218 cod. civ. (e l'articolo 2087 c.c.), pone una presunzione legale di colpa del debitore, ed opera una inversione dell'onere probatorio, nel senso che il debitore e' ammesso a provare l'assenza di colpa, pur sempre elemento essenziale anche della sua responsabilita' contrattuale.

Si deve conclusivamente formulare sul punto il seguente principio di diritto:

"La responsabilita' del datore di lavoro ex articolo 2087 codice civile e' di carattere contrattuale, perche' il contenuto del contratto individuale di lavoro risulta integrato per legge (ai sensi dell'articolo 1374 c.c.) dalla disposizione che impone l'obbligo di sicurezza e lo inserisce nel sinallagma contrattuale. Ne consegue che il riparto degli oneri probatori nella domanda di danno da infortunio sul lavoro si pone negli stessi termini che nell'articolo 1218 cod. civ., sull'inadempimento delle obbligazioni; da cio' discende che il lavoratore che agisca per il riconoscimento del danno differenziale da infortunio sul lavoro, deve allegare e provare la esistenza dell'obbligazione lavorativa, del danno, ed il nesso causale di questo con la prestazione, mentre il datore di lavoro deve provare che il danno e' dipeso da causa a lui non imputabile, e cioe' di avere adempiuto al suo obbligo di sicurezza, apprestando tutte le misure per evitare il danno".

2. Alla responsabilita' del datore di lavoro nei confronti del lavoratore per danni da infortunio sul lavoro per inadempimento all'obbligo contrattuale di sicurezza si applicano, oltre l'articolo 1218 cod. civ., le altre regole civilistiche sull'inadempimento dell'obbligazione, ed in particolare l'articolo 1227 cod. civ., comma 1, sul concorso di colpa del creditore, e cio' diversamente dal regime di tutela previdenziale degli infortuni sul lavoro, nei quali l'istituto assicuratore e' tenuto a pagare la rendita nella sua interezza anche in caso di concorso del lavoratore nella causazione della lesione della integrita' psicofisica.

La giurisprudenza di questa Corte individua la responsabilita' del debitore dell'obbligo di sicurezza in termini molto severi, e puo' essere cosi' riassunta: "Le norme dettate in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, tese ad impedire l'insorgenza di situazioni pericolose, sono dirette a tutelare il lavoratore non solo dagli incidenti derivanti dalla sua disattenzione, ma anche da quelli ascrivibili ad imperizia, negligenza ed imprudenza dello stesso; ne consegue che il datore di lavoro e' sempre responsabile dell'infortunio occorso al lavoratore, sia quando ometta di adottare le idonee misure protettive, sia quando non accerti e vigili che di queste misure venga fatto effettivamente uso da parte del dipendente, non potendo attribuirsi alcun effetto esimente per l'imprenditore che abbia provocato un infortunio sul lavoro per violazione delle relative prescrizioni all'eventuale concorso di colpa del lavoratore, atteso che la condotta del dipendente puo' comportare l'esonero totale del datore di lavoro da responsabilita' solo quando essa presenti i caratteri dell'abnormita', inopinabilita' ed esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo ed alle direttive ricevute, come pure dell'atipicita' ed eccezionalita', cosi' da porsi come causa esclusiva dell'evento. Il comportamento imprudente del lavoratore, quando non presenti i caratteri estremi sopra indicati, puo' invece rilevare come concausa dell'infortunio, e in tal caso la responsabilita' del datore di lavoro puo' essere proporzionalmente ridotta" (Cass. 17 aprile 2004 n. 7328).

3. Le qualita' professionali di un lavoratore (nella specie caposquadra), tenuto ad una particolare diligenza e sorveglianza sull'operato degli altri lavoratori della squadra, possono indurre il giudice del merito ad una particolare valutazione del suo concorso causale ad un infortunio a proprio danno, ma non ad escludere l'incidenza causale su tale infortunio dell'operato di altri lavoratori non dipendenti dal medesimo caposquadra, del cui operato il datore di lavoro e' tenuto a rispondere, ai sensi dell'articolo 2049 cod. civ..

Come conseguenza della omessa applicazione dei principi sopra ricordati, il giudice d'appello ha omesso di valutare: il possibile concorso causale della negligenza della squadra precedente; l'eventuale responsabilita' del dirigente che ha collaudato l' Av., lo ha introdotto sul teatro lavorativo ed ha presidiato all'inizio dei lavori della sua squadra; se, attesa la dinamica dell'infortunio - inclinazione di una cassaforma male agganciata delle dimensioni di metri 6 per 1,50, con pericolo di schiacciamento del lavoratore sotto di essa - l'altezza alla quale operava l' Av. potesse avere incidenza determinante.

La sentenza impugnata, che non si e' attenuta ai principi di diritto sopra riassunti o enunciati, ed e' insufficiente nella valutazione dei fattori sopra cennati, va cassata, e gli atti trasmessi alla Corte d'appello di Torino, la quale decidera' la causa sulla base delle circostanze di fatto acquisite al processo, che provvedere a valutare autonomamente, applicando ad esse i principi di diritto sopra enunciati; essa provvedere altresi' alle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Corte d'appello di Torino.

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