Risponde in prima persona dell'infortunio del dipendente il membro del consiglio di amministrazione di una società che riveste la qualifica di "responsabile della gestione aziendale"

Risponde in prima persona dell'infortunio del dipendente il membro del consiglio di amministrazione di una società che riveste la qualifica di "responsabile della gestione aziendale". Se poi l'azienda non è neppure in regola con le norme antinfortunistiche, allora alla "colpa generica" si aggiunge quella "specifica". Peraltro, il fatto che alla produzione dell'infortunio concorra la parte offesa, con condotta imprudente, ovviamente non vale ad escludere la responsabilità dell'amministratore, in qualità di datore di lavoro, e tantomeno potrebbe condurre ad escludere l'aggravante dovuta alla violazione della disciplina antinfortunistica.

Corte di Cassazione Sezione 4 Penale, Sentenza del 18 maggio 2011, n. 19555



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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MARZANO Francesco Presidente del 03/02/2 -

Dott. BRUSCO Carlo Giuseppe Consigliere SENTE -

Dott. MASSAFRA Umberto Consigliere N. -

Dott. MARINELLI Felicetta Consigliere REGISTRO GENER -

Dott. VITELLI CASELLA Luca rel. Consigliere N. 36996/2 -

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

1) PA. AM. N. IL (OMESSO);

avverso la sentenza n. 5011/2009 CORTE APPELLO di MILANO, del 17/05/2010;

visti gli atti, la sentenza e il ricorso;

udita in PUBBLICA UDIENZA del 03/02/2011 la relazione fatta dal Consigliere Dott. LUCA VITELLI CASELLA;

Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Oscar Cedrangolo che ha concluso per l'inammissibilita' del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza in data 17 maggio 2010, la Corte d'appello di Milano, in parziale riforma della sentenza emessa il 15 gennaio 2008 dal Tribunale di Monza, riduceva la pena inflitta a PA. Am. , a giorni QUINDICI di reclusione, confermando l'affermazione della penale responsabilita' dell'imputato in ordine al delitto di cui all'articolo 590 cod. pen., comma 1, 2 e 3, perche', in qualita' di componente del Consiglio di amministrazione della P.C.R. s.r.l. e di responsabile della gestione aziendale, cagionava al dipendente Be. Ro. lesioni personali gravi alle dita della mano sinistra, guarite in termine superiore a 40 giorni che il predetto si era procurato per aver inavvertitamente appoggiato la mano sulla lama della macchina rettificatrice, il cui funzionamento non aveva provveduto ad arrestare allorche' aveva allungato la stessa mano nel tentativo di fermare la caduta a terra di uno dei pezzi che aveva allineato sulla macchina. L'infortunio si era verificato in (OMESSO), per la colpa generica in cui versava l'imputato nonche' per la colpa specifica, avendo questi omesso di adeguare la macchina alle prescrizioni antinfortunistiche sopravvenute nel tempo, con idonee protezioni e con i presidi tecnici (essendo la stessa dotata unicamente di una cuffia) a tutela della sicurezza e della incolumita' dei lavoratori dipendenti ed avendo altresi' omesso di richiedere agli stessi l'osservanza delle disposizioni aziendali in materia di sicurezza; cio' quindi in violazione dell'articolo 2087 cod. civ. e del Decreto Legislativo n. 626 del 1994, articolo 35, commi 1 e articolo 72.

Avverso la sentenza ricorre per cassazione l'imputato, per tramite del difensore, articolando un'unica censura, per inosservanza della legge penale e per mancanza, contraddittorieta' e manifesta illogicita' della motivazione. Si duole il difensore che la Corte d'appello, pur in difetto di perizia medico-legale ed in mancanza di qualsivoglia prova idonea, abbia ritenuto che la durata della malattia conseguente alle lesioni patite dal lavoratore, avesse superato i giorni quaranta, pur avendo tuttavia escluso che fosse residuata una diminuita funzionalita' della mano sinistra.

Lamenta altresi' il ricorrente che sia stata ritenuta sussistente l'aggravante della violazione della normativa antinfortunistica, con conseguente procedibilita' d'ufficio dell'azione penale nei confronti dell'imputato, giacche', come riferito dal tecnico dell'A.S.L. Ca. , la verificazione dell'infortunio doveva farsi risalire a colpa del lavoratore che, ove avesse prestato un minimo di attenzione all'operazione che stava compiendo, avrebbe potuto evitare l'infortunio, essendogli ben noto,alla luce dell'esperienza di lavoro ultraventennale, che l'operazione rientrava tra quelle a "protezione sospesa". Da ultimo lamenta il difensore che la Corte distrettuale, violando il divieto della reformatio in pejus, avrebbe omesso di riconoscere all'imputato i doppi benefici di legge invece accordatigli dal Primo Giudice.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il ricorso va giudicato inammissibile, per manifesta infondatezza, con ogni conseguenza di legge.

Come esaustivamente e condivisibilmente argomentato dalla Corte distrettuale, non puo' revocarsi in dubbio la sussistenza di entrambe le aggravanti previste nel primo e nel secondo capoverso dell'articolo 590 cod. pen.; donde la pacifica procedibilita' d'ufficio del reato ascritto al Pa. .

La durata della malattia - risultata di giorni 82 - puo' invero esser legittimamente dedotta dal periodo di effettiva assenza dal lavoro, cui la parte offesa e' stata costretta a cagione del certificato deficit nella ripresa funzionale della mano, secondario alle patite lesioni. Il che pare ragionevolmente incontestabile alla luce delle diagnosticate lesioni al tendine estensore del dito indice della mano sinistra ed al fascio vascolonervoso digit - radiale oltreche' della ferita lacero - contusa riportata al terzo ed al quarto dito, tenuto conto del fatto che, in buona sostanza, delle cinque dita della mano sinistra ben tre erano state lesionate. E' invece del tutto immune da profili di contraddittorieta' o di illogicita', posto quanto sin qui osservato, l'assunto del Giudici d'appello che hanno negato la sussistenza di una diminuita funzionalita' del secondo dito della mano sinistra (e quindi l'indebolimento della funzione prensile della mano) siccome esclusa dall'ultimo certificato rilasciato, comunque difettando, al riguardo, uno specifico accertamento peritale.

Il fatto che alla produzione dell'evento avesse concorso la parte offesa, con condotta imprudente,per aver fatto verosimilmente eccessivo affidamento sulla pregressa esperienza e sulla reiterazione delle stesse operazioni, ovviamente non solo non vale ad escludere la responsabilita' dell'imputato, in veste di datore di lavoro, ma tantomeno potrebbe condurre ad "escludere" la sussistenza dell'aggravante - contestata - del fatto commesso con violazione della disciplina antinfortunistica ed in particolare del Decreto Legislativo n. 626 del 1994, articolo 35, comma 1, come legittimamente ritenuto dalla Corte distrettuale. Era invero rimasto accertato, come rimarcato dalla sentenza impugnata, che l'Infortunio si era verificato perche' la macchina rettificatrice - gia' obsoleta all'epoca del fatto - non era stata adeguata, per omissione del Pa. , agli specifici congegni di sicurezza, individuati dal progredire della tecnica (ovvero gli "scudi di sicurezza" come precisato dal tecnico dell'A.S.L.) tali da bloccarne il funzionamento in difetto di espresso consenso all'apertura, elettricamente azionabile dall'operatore.

Da ultimo va rilevato che, ad onta delle infondate obiezioni della difesa, l'omessa statuizione, nel dispositivo della sentenza d'appello, della "conferma nel resto" con riferimento al decisum della sentenza di primo grado, non modificato in grado d'appello, non comporta la "revoca" implicita della concessione dei doppi benefici di legge, gia' accordati al Pa. dal Tribunale di Monza come pure delle riconosciute attenuanti generiche. E' invero pacifico che le statuizioni delle due sentenze di merito devono reciprocamente e necessariamente integrarsi, maxime quanto a quelle favorevoli all'imputato proprio stante il divieto della reformatio in pejus in caso di impugnazione proposta dall'imputato. Alla declaratoria di inammissibilita' segue, per legge, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonche' (trattandosi di causa di Inammissibilita' riconducibile alla volonta', e quindi a colpa, del ricorrente: cfr. Corte Costituzionale sent. N. 186 del 7-13 giugno 2000) al versamento, a favore della cassa delle ammende, di una somma che si ritiene equo e congruo determinare in euro 1.000,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 1.000 a favore della cassa delle ammende.

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