Elusione fiscale - Prova decisiva - Necessità

La Cassazione ha riscontrato che nella fattispecie esaminata, il materiale probatorio, di cui viene lamentato l'omesso esame, è privo del carattere della decisività, perché inidoneo a provare la dedotta elusione dell'art. 123 del tuir, tenuto conto che nel regime previgente al 1 gennaio 1995 - data di entrata in vigore della legge n. 724 del 1994, il cui art. 27 ha introdotto il principi di neutralità fiscale delle fusioni, atteso che al comma 2 si stabilisce che "le disposizioni del comma precedente, relative ai disavanzi di fusione, si applicano alle operazioni deliberate successivamente alla data di entrata in vigore della presente legge" e nella specie le operazioni di incorporazione risalgono al 1993 - l' art. 123 del d.P.R. n. 917 del 1986 consentiva l'iscrizione in bilancio, alla voce avviamento, del disavanzo di fusione per incorporazione da parte di una società che già possedeva l'intero capitale sociale dell' incorporata (Cass. n. 20423 del 2007; si veda inoltre Cass. n. 19863 del 2012, concernente una controversia analoga alla presente).

CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 22 gennaio 2014, n. 1233



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CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 22 gennaio 2014, n. 1233

Elusione fiscale - Prova decisiva - Necessità

Svolgimento del processo

L'Agenzia delle entrate propone ricorso per cassazione, affidato ad un motivo, nei confronti della sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio che, rigettandone l'appello, ha confermato l'annullamento dell'avviso di rettifica, ai fini dell' IRPEG e dell'ILOR, della dichiarazione dei redditi per l'anno 1995 della T.I. spa, poi incorporata nella spa L.T. spa, a sua volta incorporata nella spa T.I., avviso con il quale era stata contestata l'indebita deduzione dall'imponibile della quota di ammortamento annuale relativa al disavanzo da fusione - costituita dall'incorporazione, nel 1993, di dodici società possedute interamente -, e segnatamente l'iscrizione in bilancio di un bene immateriale identificato dalla contribuente nel diritto di preuso delle frequenze, assimilabile ad avviamento non imponibile, con ciò rivalutando i patrimoni delle società incorporande, non altrimenti rivalutabili.

Ad avviso del giudice d'appello, infatti, nell'operazione posta in essere dalla società contribuente non sarebbe ravvisabile un fine elusivo, che giustificherebbe l'applicazione del disposto dell'art. 10 della legge 29 dicembre 1990, n. 408, non avendo l'ufficio fornito prove adeguate in proposito. L'imputazione del disavanzo di fusione ad avviamento era anzi considerata operazione del tutto legittima nel 1993. Essa andava considerata operazione neutra, potendosi iscrivere in bilancio il disavanzo da fusione alla voce avviamento e conseguentemente, ai sensi dell'art. 68 del tuir, era legittima la deduzione fiscale della quota di ammortamento.

La contribuente resiste con controricorso proponendo un motivo di ricorso incidentale.

Motivi della decisione

Il ricorso principale e quello incidentale, siccome proposti nei confronti della medesima sentenza devono essere riuniti per essere definiti con unica pronuncia.

Con l'unico motivo del ricorso principale, denunciando insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia in relazione all'art. 360, n. 5, cod. proc. civ., l'amministrazione ricorrente assume che la sentenza impugnata non avrebbe considerato gli elementi probatori, dedotti con l'appello, dai quali si evinceva l'intento elusivo della contribuente, osservando in particolare che questa aveva inserito il valore del diritto di preuso delle frequenze delle società oggetto della fusione nell’avviamento delle stesse; "l'imputazione autonoma del diritto di preuso tra le immobilizzazioni immateriali, separatamente dall'avviamento, si spiegava solo con l’intento di rivalutare patrimoni altrimenti non rivalutabili..". Osservavano i verbalizzanti che "esso doveva considerarsi non distinguibile dall'avviamento...", difettando "i presupposti per iscriverlo per la prima volta nel bilancio della incorporante a pareggio del disavanzo di fusione...". La prova di ciò era contenuta nel verbale di constatazione, sul quale era fondata la rettifica, richiamato nell’ 'appello dell'ufficio, in particolare nei passi riportati.

La controricorrente oppone l'intervenuta formazione del giudicato esterno costituito dalla sentenza di merito, divenuta definitiva, resa in una controversia fra le stesse parti avente ad oggetto un avviso di accertamento ai fini dell’ IRPEG e dell' ILOR per il 1993, contenente una pretesa analoga.

Il rilievo va disatteso, ove si consideri che "qualora due giudizi tra le stesse parti abbiano riferimento al medesimo rapporto giuridico, ed uno di essi sia stato definito con sentenza passata in giudicato, l'accertamento così compiuto in ordine alla situazione giuridica ovvero alla soluzione di questioni di fatto e di diritto relative ad un punto fondamentale comune ad entrante la cause, formando la premessa logica indispensabile della statuizione contenuta nel dispositivo della sentenza, preclude il riesame dello stesso punto di diritto accertato e risolto, anche se il successivo giudizio abbia finalità diverse da quelle che hanno costituito lo scopo ed il "petitum" del primo. Tale efficacia, riguardante anche i rapporti di durata, non trova ostacolo, in materia tributaria, nel princi dell' autonomia dei periodi d'imposta, in quanto l'indifferenza della fattispecie costitutiva dell'obbligazione relativa ad un determinato periodo rispetto ai fatti che si siano verificati al di fuori dello stesso, oltre a riguardare soltanto le imposte sui redditi ed a trovare significative deroghe sul piano normativo, si giustifica soltanto in relazione ai fatti non aventi caratteristica di durata e comunque variabili da periodo a periodo (ad esempio la capacità contributiva, le spese deducibili), e non anche rispetto agli elementi costitutivi della fattispecie che, estendendosi ad una pluralità di periodi d'imposta (ad esempio le qualificazioni giuridiche preliminari all'applicazione di una specifica disciplina tributaria), assumono carattere tendenzialmente permanente" [Cass., sez. un., 16 giugno 2006, n. 13916; Cass. n. 8709 del 2003).

Nella specie, concernente un giudizio in materia di imposte dirette, si controverte, appunto in ordine alla deducibilità di quote di ammortamento dall' imponibile, e non di qualificazioni giuridiche preliminari.

La contribuente eccepisce poi l’inammissibilità del ricorso dell'amministrazione, osservando che si sarebbe formato il giudicato sulla riconosciuta legittimità, ai sensi dell'art. 123 del d.P.R. n. 917 del 1986, dell'iscrizione in bilancio, come quote di ammortamento deducibili, del disavanzo di fusione, non essendo tale statuizione stata censurata ex adverso; e deducendo che la legittimità, ai sensi dell'art. 123 citato dell'imputazione del disavanzo all'avviamento, con la conseguente deduzione delle quote di ammortamento, era stata riconosciuta dalla stessa Amministrazione finanziaria, che aveva invitato gli uffici ad abbandonare i giudizi pendenti, con conseguente carenza di interesse ad impugnare.

Le eccezioni sono entrambe infondate: la prima, infatti, è smentita dal tenore del ricorso, sopra in parte trascritto, con il quale si contesta appunto alla contribuente di aver ottenuto un risultato (id est la deduzione delle quote di ammortamento della parte di disavanzo imputata ad avviamento) non consentito dal diritto positivo, e cioè dall’ 'art. 123 tuir, mentre la seconda non tiene canto che le circolari o le risoluzioni, cui si fa riferimento, non costituiscono fonte di diritto, sicché le stesse non vincolano né il contribuente né gli uffici, né il giudice (Cass., sez. un., n. 23031 del 2007; n. 21154 del 2008) e non sono idonee, pertanto, a precludere il diritto ad agire in giudizio, o di impugnare la sentenza da parte del soccombente.

Con l'unico motivo del ricorso incidentale la società contribuente deduce la nullità, per violazione dell'art. 112 cod. proc. civ., in relazione all'art. 360, n. 4, cod. proc. civ., della sentenza con la quale la Commissione regionale, a fronte della formulazione di uno specifico motivo di gravame avente ad oggetto l'inammissibilità del motivo di appello dell'ufficio afferente all'asserita elusività della condotta posta in essere dalla contribuente, in quanto preposto in violazione dell'art. 57 del d.lgs. n. 546 del 1992, avrebbe omesso di pronunciarsi sul punto.

Il motivo, dal cui esame occorre muovere, è mal posto, ove si consideri che "nel processo tributario di appello la novità della domanda deve essere verificata in stretto riferimento alla pretesa effettivamente avanzata nell'atto impositivo impugnato e, quindi, alla stregua dei presupposti di fatto e di diritto in esso indicati, poiché il processo tributario, in quanto rivolto a sollecitare il sindacato giurisdizionale sulla legittimità del provvedimento impositivo, è strutturato come un giudizio di impugnazione del provvedimento stesso, nel quale l'Ufficio assume la veste di attore in senso sostanziale, e la sua pretesa è quella risultante dall'atto impugnato, sia per quanto riguarda il "petitum" sia per quanto riguarda la "causa petendi". Ne consegue che, per eccepire validamente la inammissibilità dell’ 'appello per novità della domanda, è necessario dimostrare che gli elementi dedotti in secondo grado dall’ 'Amministrazione non sono stati evidenziati neppure nel processo verbale di constatazione e nel conseguente avviso di accertamento oggetto dell'impugnazione" (Cass. n. 10806 del 2012).

Una prova siffatta non è stata offerta dalla contribuente.

In proposito è appena il caso di rilevare come nel verbale di constatazione, trascritto in parte nel ricorso, si osserva come la T.I. aveva fatto ricorso ad un "facile espediente per la rivalutazione dei patrimoni delle società incorporate non altrimenti rivalutabili".

Quanto al ricorso principale, nel merito il motivo è infondato. Costituisce princi ripetutamente affermato da questa Corte che in tema di valutazione del materiale probatorio la denuncia ex art. 360, n. 5, cod. proc. civ. è idonea a comportare la cassazione della sentenza quando la prova non annessa ovvero non esaminata sia decisiva, e, cioè, in concreto idonea a dimostrare circostanze tali da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l'efficacia delle altre risultanze istruttorie che hanno determinato il convincimento del giudice di merito (Cass. n. 11417 del 2007, n. 4369 del 2009; n. 5377 del 2011). Nella specie, il materiale probatorio, di cui viene lamentato l'omesso esame, è privo del detto carattere della decisività, perché inidoneo a provare la dedotta elusione dell'art. 123 del tuir, tenuto conto che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, nel regime previgente al 1 gennaio 1995, data di entrata in vigore della legge n. 724 del 1994, il cui art. 27 ha introdotto il princi di neutralità fiscale delle fusioni, qui rilevante ratione temporis - atteso che al comma 2 si stabilisce che "le disposizioni del comma precedente, relative ai disavanzi di fusione, si applicano alle operazioni deliberate successivamente alla data di entrata in vigore della presente legge" e nella specie le operazioni di incorporazione risalgono al 1993 -, il menzionato art. 123 del d.P.R. n. 917 del 1986 consentiva l'iscrizione in bilancio, alla voce avviamento, del disavanzo di fusione per incorporazione da parte di una società che già possedeva l'intero capitale sociale dell' incorporata (Cass. n. 20423 del 2007; si veda inoltre Cass. n. 19863 del 2012, concernente una controversia analoga alla presente).

In conclusione il ricorso principale ed il ricorso incidentale devono essere rigettati.

La reciproca soccombenza giustifica la compensazione fra le parti delle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

Riuniti i ricorsi, li rigetta.

Dichiara compensate fra le parti le spese del presente giudizio.

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