In tema di scissione non esiste alcuna norma che impone all'imprenditore di attribuire alla società beneficiaria proporzione fra attività e passività uguale a quelle esistente presso la scissa

La Corte di Cassazione ha stabilito che non esiste alcuna norma del diritto societario che impone all'imprenditore, quando effettua una scissione, di attribuire alla società scorporata, ovvero alla nuova società appositamente costituita, un'eguale proporzione di attività e passività; al contrario, nella necessaria libertà che deve caratterizzare tutte le scelte imprenditoriali, la società può scegliere con ampia discrezione cosa scorporare. Pertanto, anche ove la società scindenda trasferisca alla new company solo liquidità, ciò sarebbe in sè irrilevante, non potendosi ritenere aprioristicamente distrattivo tale trasferimento.

Cassazione penale, Sezione V, 4 marzo 2013 n. 10201



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 Cassazione penale, Sezione V, 4 marzo 2013 n. 10201

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUINTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MARASCA Gennaro - Presidente -

Dott. BEVERE Antonio - Consigliere -

Dott. PALLA Stefano - Consigliere -

Dott. SABEONE Gerardo - Consigliere -

Dott. DEMARCHI ALBENGO P. - rel. Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

PROCURATORE DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE DI UDINE;

FALLIMENTO FINGESTIM S.R.L. IN LIQUIDAZIONE;

nei confronti di:

M.L. N. IL (OMISSIS);

R.M. N. IL (OMISSIS);

P.M.F. N. IL (OMISSIS);

C.D. N. IL (OMISSIS);

avverso la sentenza del Giudice Udienza Preliminare di Udine n. 1769/2012 del 18/04/2012;

sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. PAOLO GIOVANNI DEMARCHI ALBENGO;

il Procuratore Generale della Corte di Cassazione, Dott. PIERO GAETA, ha concluso chiedendo annullarsi il provvedimento impugnato con rinvio al Tribunale di Udine per nuovo giudizio;

per la parte civile è presente l'avv. MAURIZIO CONTI, il quale conclude chiedendo accogliersi il ricorso e per l'effetto annullarsi il provvedimento impugnato;

per tutti gli indagati è presente l'avv. LUCA PONTI il quale chiede il rigetto di entrambi i ricorsi.

RITENUTO IN FATTO

1. M.L., R.M., P.M.F. e C.D. sono indagati a vario titolo per reati fallimentari commessi nella loro qualità di amministratori di varie società, tra cui, per quanto riguarda il presente giudizio, la FINGESTIM Spa (poi FINGESTIM SRL).

2. Il giudice per l'udienza preliminare del tribunale di Udine, nel rinviare a giudizio gli imputati per altre ipotesi di reato, ha tuttavia emesso sentenza di non luogo a procedere con riferimento al capo 4, nel quale veniva contestato il delitto di cui all'art. 110 c.p., L.Fall., art. 216, art. 223, comma 1, e comma 2, n. 2.

3. Agli imputati viene sostanzialmente contestato di avere distratto una rilevante somma di denaro senza reale giustificazione dalla FINGESTIM Spa - dichiarata fallita dal tribunale di Udine nel novembre 2010 - mediante una scissione con creazione di una newco (FINGESTIM FINANZIARIA Srl) alla quale veniva attribuita una liquidità di Euro 1.930.000.

4. Il pubblico ministero ha ritenuto inoltre di ravvisare nel complesso procedimento di scissione, che ha portato successivamente all'acquisto per la somma di Euro 1.600.000 - pari, secondo l'organo di accusa, al doppio del valore patrimoniale - dell'intero pacchetto azionario della FINGESTIM Spa da parte della FINGESTIM FINANZIARIA Srl, un'operazione dolosa che ha cagionato il fallimento della prima società.

5. Il giudice dell'udienza preliminare ha ritenuto non sussistente il fatto di reato contestato sulla considerazione - tra il resto - che la composizione qualitativa del patrimonio dei due enti all'esito della scissione era proporzionale e non presentava alcuna anomalia e che al trasferimento

dell'attività alla newco (i predetti Euro 1.930.000) corrispondeva anche l'attribuzione di poste passive.

6. Il G.u.p. ha poi osservato che l'operazione di scissione non aveva assunto alcun rilievo penale ai sensi dell'art. 2629 c.c., e che l'intera operazione non poteva essere qualificata come operazione dolosa ai sensi dell'art. 223, comma 1, n. 2, ritenendo che tale categoria fosse residuale rispetto a quella del numero uno dello stesso comma. Riteneva, infine, non provata la determinazione del fallimento da parte dell'operazione in esame, facendo riferimento alle conclusioni dei consulenti tecnici del Pubblico ministero.

7. In conclusione, il G.u.p. osservava che se l'operazione di scissione era del tutto legittima, non era possibile qualificare il trasferimento di beni alla nuova società in termini di distrazione, ne vi era un depauperamento indebito del soggetto scisso, poi fallito.

8. Contro la sentenza di non luogo a procedere hanno proposto ricorso per cassazione sia il fallimento FINGESTIM srl, sia il pubblico ministero presso tribunale di Udine, per i seguenti motivi:

9. Fallimento FINGESTIM srl:

a. travisamento del fatto con conseguente contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione. Secondo il legale del fallimento il giudice di merito avrebbe erroneamente ritenuto che al trasferimento alla newco delle poste attive corrispondessero anche delle poste passive. Tale errore avrebbe condizionato la congruità e la logicità della motivazione. La difesa della parte civile ritiene, inoltre, che sia contraddittoria la motivazione laddove ha fatto riferimento al vincolo di solidarietà per i debiti gravanti sulla società scissa, posto che i debiti sono stati onorati e quindi la beneficiarla del trasferimento non ha dovuto pagare alcunchè;

b. inosservanza ed erronea applicazione della L.Fall., artt. 223 e 216, nonchè artt. 2629 e 2634 c.c.; ritiene il ricorrente che la complessiva operazione di scissione attuata dai soci configuri un abuso del diritto, e quindi un'operazione dolosa ai sensi della L.Fall., art. 223, comma 2, n. 2, in quanto determinata non dall'esigenza di costituire un nuovo soggetto giuridico da iscrivere all'albo degli intermediari finanziari (soggetto distinto dall'agente finanziario), quanto piuttosto finalizzata a consentire ai soci di incassare una somma rilevante di denaro, di molto superiore al valore delle loro azioni, pur mantenendo inalterato il controllo su entrambe le società.

10. Pubblico Ministero:

a. erronea applicazione della legge penale e manifesta illogicità della motivazione con riferimento alla L.Fall., art. 223; sostiene il pubblico ministero che la motivazione sia illogica laddove afferma che una condotta può essere distrattiva solo se correlata ad un negozio giuridico illecito, nonchè nella parte in cui afferma che le operazioni di scissione integrano un reato fallimentare solo nell'ottica della L.Fall., art. 223, comma 2, n. 1;

b. erronea applicazione della legge penale ed illogicità della motivazione con riferimento all'art. 2634 c.c., e L.Fall., art. 216;

secondo il ricorrente il richiamo all'art. 2634 è errato e perfino inapplicabile come causa di giustificazione per escludere il reato di cui alla L.Fall., art. 216, essendo indubbio che la FINGESTIM Spa ha subito un depauperamento pari ad Euro 1.930.000;

c. inosservanza ed erronea applicazione dell'art. 106 del testo unico bancario, che non imponeva affatto di operare la separazione tra l'agente finanziario e l'intermediario mediante scissione.

11. M.L., R.M., P.M.F. hanno depositato tre distinte memorie in data 11/01/2013, con le quali hanno chiesto dichiararsi inammissibili o rigettarsi i ricorsi.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. I ricorsi sono parzialmente fondati nei termini che seguono;

innanzitutto occorre precisare che nonostante l'allegazione di un travisamento del fatto - inammissibile in sede di legittimità - emerge dalla motivazione del ricorso che il fallimento ha inteso dedurre un travisamento della prova. Non occorre, peraltro, soffermarsi sull'esistenza o meno di tale travisamento, posto che anche ove esso fosse esistente, la circostanza del trasferimento alla nuova società solo di poste attive sarebbe del tutto irrilevante.

2. Ed invero, non esiste alcuna norma del diritto societario che impone all'imprenditore, quando effettua una scissione, di attribuire alla società scorporata, ovvero alla nuova società appositamente costituita, un'eguale proporzione di attività e passività; al contrario, nella necessaria libertà che deve caratterizzare tutte le scelte imprenditoriali, la società può scegliere con ampia discrezione cosa scorporare. Pertanto, anche ove la FINGESTIM Spa avesse effettivamente trasferito alla new company solo liquidità per Euro 1.930.000, ciò sarebbe in sè irrilevante, non potendosi ritenere aprioristicamente distrattivo tale trasferimento. Ed invero, la L.Fall. art. 216, comma 1, tutela prima di tutto i diritti patrimoniali dei creditori, con la conseguenza che il reato non può sussistere ove tali diritti non solo non siano pregiudicati, ma nemmeno siano posti in pericolo; nel caso della scissione i diritti dei creditori sono adeguatamente salvaguardati delle disposizioni che prevedono il loro diritto di opposizione al progetto di scissione e ancor più dalla norma che impone la solidarietà, nei limiti dell'attivo trasferito, della società scorporata (o creata ex novo).

E' per tale motivo che il ragionamento del pubblico ministero è errato laddove pretende di assegnare al trasferimento di Euro 1.930.000 a favore della new company natura oggettivamente distrattiva.

3. Quanto alla asserita contraddittorietà della motivazione con riferimento all'obbligo solidale del pagamento delle passività, da parte di tutte le società risultanti dalla scissione, davvero non si vede come possa ravvisarsi il vizio lamentato dal fallimento. La considerazione svolta, in argomento, dal GUP è assolutamente logica e coerente e la circostanza invocata dalla difesa del fallimento (l'avvenuto pagamento dei debiti sociali da parte della FINGESTIM Spa) non solo non può essere interpretata a favore della tesi della parte civile, ma, al contrario depone per la tesi contraria di insussistenza di alcun collegamento dell'operazione con il fallimento. Non si può infatti presumere che quest'ultimo sia concatenato causalmente con una operazione societaria avvenuta ben cinque anni prima, specie dal momento che i debiti di allora sono stati tutti onorati. Quantomeno sotto un profilo presuntivo, allora, è più logico ritenere che il fallimento si sia determinato per fatti successivi che nulla hanno a che vedere con lo scorporo di una parte delle attività.

4. E' ipoteticamente possibile che la insolvenza societaria sia stata determinata da una sottrazione eccessiva di risorse finanziarie, che possono aver posto in crisi la società scorporante, ma di tale circostanza deve fornirsi una prova certa, idonea a superare la presunzione contraria basata sul lungo tempo trascorso dall'operazione (cinque anni) e sull'avvenuto pagamento dei debiti allora (nel 2005) esistenti in capo alla società. Sebbene tale prova non risulti dagli atti a disposizione di questa Corte, tuttavia si deve rilevare che non è l'udienza preliminare la sede per valutare la responsabilità penale, ben potendo gli elementi ivi allegati essere suscettibili di ulteriori approfondimenti istruttori nel corso del dibattimento; tanto più che, come rilevato nel ricorso, il curatore del fallimento nella relazione ex art. 33 affermava che l'attività gestoria della società scorporante, dopo la scissione, non era più in grado di remunerare i fattori produttivi.

5. Per tale motivo, sussistendo elementi di segno contrario rispetto alla (pur legittima) presunzione di assenza di nesso causale, il Gup avrebbe dovuto o indicare con maggiore precisione gli elementi da cui poteva desumere con certezza, e non solo in via presuntiva, che il successivo fallimento era completamente slegato dai fatti di scissione del 2005, ovvero disporre ugualmente il rinvio a giudizio affinchè tale circostanza fosse accertata nel contraddittorio delle parti in dibattimento. E' unicamente per tale motivo che la sentenza impugnata merita un annullamento; il giudice di rinvio dovrà motivare in modo più approfondito e con preciso riferimento a fonti di prova certe ed inequivocabili in ordine alla mancanza di nesso causale tra le operazioni compiute in sede di scissione e il successivo fallimento; in alternativa potrà disporre il rinvio a giudizio affinchè tale accertamento, come sembra più opportuno, sia effettuato nella sede dibattimentale.

6. Ciò vale sia con riferimento al trasferimento di liquidità operato in sede di scissione, sia con riferimento alla complessiva operazione realizzata e culminata con l'acquisto delle azioni dei soci da parte della nuova società FINGESTIM FINANZIARIA Srl (somma, peraltro, successivamente

reimpiegata dai soci per l'aumento di capitale di quest'ultima società; elemento correttamente valorizzato dal GUP ai fini della valutazione dell'elemento soggettivo degli indagati).

7. Non si deve dimenticare, infatti, che i ricorrenti hanno posto anche la questione di diritto relativa alla possibilità che la complessiva operazione di scorporo, riacquisto di azioni ed aumento di capitale possa essere ricompresa tra le "operazioni dolose" di cui alla L.Fall. art. 223, comma 2, n. 2.

3. Ebbene, senza addentrarci troppo nella delicata questione della valutazione del concetto di "operazioni dolose", retaggio del vecchio codice di commercio, che tanti problemi ha dato agli interpreti, può certamente convenirsi su una valutazione di fondo e cioè che la fattispecie di fallimento determinato da operazioni dolose si distingue dalle ipotesi generali di bancarotta fraudolenta patrimoniale, di cui al combinato disposto della L.Fall., art. 223, comma 1, e art. 216, comma 1, n. 1), in quanto la nozione di "operazione" postula una modalità di pregiudizio patrimoniale discendente non già direttamente dall'azione dannosa del soggetto attivo (distrazione, dissipazione, occultamento, distruzione), bensì da un fatto di maggiore complessità strutturale riscontrabile in qualsiasi iniziativa societaria implicante un procedimento o, comunque, una pluralità di atti coordinati all'esito divisato (così Sez. 5^, n. 17690 del 18/02/2010, Cassa Di Risparmio Di Rieti S.p.a., Rv. 247314).

9. La complessa operazione realizzata dagli amministratori indagati nel presente procedimento sicuramente può configurare, ove se ne riscontrino il nesso causale con il fallimento ed i caratteri soggettivi, "operazione dolosa" ai sensi della L.Fall., art. 223, comma 2, n. 2.

10. E' per tale motivo che il giudice di rinvio dovrà verificare, sia con riferimento al semplice trasferimento di liquidità, sia con riferimento alla complessiva operazione realizzata, se possano escludersi con certezza assoluta sia l'elemento soggettivo in capo agli amministratori, sia il nesso causale con il successivo fallimento; in caso contrario dovrà disporre il rinvio a giudizio affinchè tali elementi siano accertati nella sede propria dibattimentale. Ne consegue che i ricorsi, parzialmente fondati, comportano l'annullamento della sentenza con rinvio al tribunale di Udine per nuovo esame. Spese al definitivo.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata con rinvio al Tribunale di Udine per nuovo esame.

Così deciso in Roma, il 18 gennaio 2013.

Depositato in Cancelleria il 4 marzo 2013.

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