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Imposta di registro - Agevolazioni per le società incorporate
Pubblicata il 24/06/2010
Sent. n. 12168 del 15 maggio 2008 (ud. del 14 novembre 2007) della Corte Cassazione
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Svolgimento del processo - L’Amministrazione finanziaria ricorre per cassazione deducendo un unico motivo avverso la sentenza 141/1/00 del 12 maggio 2000 con cui la Commissione Tributaria Regionale dell’Emilia-Romagna accoglieva l’appello della Cassa di Risparmio di Ravenna e per l’effetto dichiarava che a seguito del conferimento della azienda in una apposita spa avvenuto nel quadro della L. "Amato" n. 218 del 1990, erano dovute le imposte di registro, ipotecaria e catastale entro il limite massimo di L. 100 milioni. La Cassa resiste con controricorso in cui invoca anche l’applicazione dell’art. 7, della direttiva CEE 9 aprile 1973 n. 10, modificativa della direttiva CEE 17 luglio 1969, n. 69/335. Motivi della decisione - 1. Prima di esaminare le specifiche questioni svolte dalle parti è necessario premettere che sulle agevolazioni tributarie previste dalla L. 30 luglio 1990, n. 218, (c.d. legge Amato) sulla ristrutturazione del sistema bancario pubblico è intervenuta la sentenza della Corte di Giustizia delle Comunità europee 15 dicembre 2005 in causa C - 148/04, Unicredito Italiano s.p.a., con la quale è stata affermata la legittimità della decisione della Commissione CE 11 dicembre 2001, 2002/581/CEE relativa alle dette agevolazioni, ritenendosi che tali misure costituissero un aiuto di Stato, soggetto alla disciplina di cui agli artt. 88, del Trattato CE, e pertanto non applicabili in difetto di preventiva notifica alla Commissione e in presenza di una decisione negativa di quest’ultima, resa ai sensi dell’art. 88 Trattato CE. Nella stessa sentenza la Corte ha riconosciuto la legittimità e doverosità delle misure volte al recupero dei vantaggi economici - consistenti in un risparmio d’imposte - ottenuti attraverso il regime agevolativo. L’efficacia vincolante di tale pronuncia comporta che anche la misura agevolativa della quale si discute (L. n. 218 del 1990, art. 7) non può essere invocata dai destinatali e la norma che la prevede deve essere disapplicata, oltre che dall’amministrazione finanziaria, dal giudice nazionale. Pur trattandosi di questione non dibattuta nel presente processo, il principio affermato dalla Corte comunitaria deve essere applicato da questa Corte, in forza del principio di effettività del diritto comunitario derivante dall’art. 10, del Trattato CE, come affermato da una consolidata giurisprudenza comunitaria e di questa stessa Corte: il Collegio richiama la sentenza delle Sezioni Unite n. 26948 del 18 dicembre 2006, resa proprio in materia di tassazione sui conferimenti. Da quanto sopra deriva che l’intero regime agevolativo previsto dall’art. 7, è da ritenersi contrario al diritto comunitario e che, pertanto, anche la tassazione effettuata in sede di registrazione, nella quale si è applicato il tetto massimo previsto da detta norma per ciascun tributo dovuto (e non per la somma delle tre imposte, come successivamente preteso dalla società con la domanda di rimborso) era da considerarsi non corretta, dovendosi applicare l’ordinario regime di tassazione. Ne consegue, a fortiori, l’infondatezza della pretesa di rimborso esercitata dalla società. La funzione di nomofilachia attribuita alla Corte rende, comunque, necessaria una corretta interpretazione della norma agevolativa. 2. Non merita accoglimento neppure la tesi sostenuta dalla società nel controricorso, secondo la quale sarebbe applicabile nella specie il regime agevolativo previsto in tema di tassazione di conferimenti di cui all’art. 7, della direttiva 17 luglio 1969, n. 69/335/CEE, come modificato dalle direttive 73/79/CEE e 85/303/CEE, il quale prevede un’esenzione totale da imposta delle operazioni nelle quali viene conferita la totalità di un patrimonio sociale o uno o più rami d’azienda ad una o più società di capitali in via di creazione o già esistenti (art. 4, lett. a e c, direttiva 69/335). Anche per tale regime deve ammettersi, per le considerazioni già svolte, l’applicabilità nel giudizio di cassazione anche in difetto di specifiche difese in sede di merito. Secondo un principio affermato dalla giurisprudenza comunitaria (sentenza della Corte di Giustizia del - 5 febbraio 1991 in causa C-15/89, Deltakabel), la direttiva in materia di tassazione sulla raccolta di capitali ha come finalità il rafforzamento di una società esistente o di una società in via di costituzione, per cui per cui devono ritenersi escluse dal regime di agevolazione ivi previsto le operazioni che non determinino un tale risultato. In applicazione di tale principio, nella sentenza 27/10/ 1998 in causa C -152/97, A.G. – A. s.p.a., la Corte di Lussemburgo ha affermato che l’operazione di fusione per incorporazione nella quale l’incorporante detiene già il 100% del capitale dell’incorporata non comporta un aumento di capitale della società incorporante e non rientra, pertanto, nell’ambito di applicazione dell’art. 4, n. 1, lett. c), e art. 4, n. 2, lett. b), della direttiva, a differenza dei casi di fusione definiti propri. Pertanto, chi invoca il diritto ad ottenere il rimborso dell’imposta proporzionale di registro è tenuto ad allegare e provare che l’atto contenga una fusione per incorporazione propria, e cioè tale da comportare un effettivo trasferimento di capitali. Secondo la detta sentenza (p. 29) la direttiva ha l’obiettivo “di evitare che i trasferimenti di attivi tra società incontrino ostacoli di natura fiscale in modo da favorire la riorganizzazione e il raggruppamento di imprese”, obiettivo che non può ritenersi conseguito nel caso di detenzione totalitaria del capitale dell’incorporata. L’applicazione di tale principio, costantemente seguito da questa Corte, da ultimo nella già richiamata sentenza delle Sezioni Unite n. 26948/2006, comporta che anche l’ipotesi di agevolazione della quale qui si discute non possa essere ricondotto a quelle previste dalla direttiva 69/335. Occorre considerare, infatti, che il meccanismo disciplinato dalla Legge - Delega n. 218 del 1990 (art. 2, comma 1, lett. A), e dal decreto delegato 20 novembre 1990, n. 356, comporta, non già la creazione di una nuova impresa o il rafforzamento di un’impresa già esistente, ma soltanto la mera sostituzione di un soggetto titolare (la società bancaria conferitaria) a quello preesistente, e cioè l’originario ente pubblico economico creditizio. L’attività bancaria esercitata da tale ente, infatti, era soggetta all’ordinaria disciplina del settore creditizio, e non viene in alcun modo dimostrato che il subentrare del nuovo soggetto nella titolarità e nell’esercizio dell’impresa abbia comportato un effettivo rafforzamento dell’impresa bancaria. Il meccanismo di creazione della nuova società con attribuzione alla stessa della titolarità dell’azienda bancaria, il quale non avviene nell’ambito di una logica di mercato e nel quale, come si è detto, si realizza una mera sostituzione del soggetto originario che viene nello stesso tempo soppresso non può, quindi equipararsi ad altre forme di operazioni straordinarie, e in particolare alla scissione societaria, per la quale questa Corte (sentenza n. 11656 del 2001), sulla base di univoche indicazioni della giurisprudenza comunitaria, ha ritenuto applicabile il regime agevolativo previsto in tema di tassazione della raccolta di capitali. Che si tratti di una mera trasformazione del soggetto cui era affidata la gestione dell’impresa bancaria risulta dalla stessa lettera del D.Lgs. 20 novembre 1990, n. 356, art. 4, intitolato, appunto, “T.”, il cui comma 1 stabilisce che “Gli enti di cui all’art. 1, comma 1, aventi il fondo di dotazione a composizione associativa possono trasformarsi in società per azioni bancarie”. L’operazione di costituzione società ex lege, secondo la previsione dalla L. n. 218 del 1990, non può, in definitiva, considerarsi come costituzione di nuova società, nel quadro di un incentivo a promuovere la libertà di circolazione di capitali, contenuto nel preambolo della direttiva 69/335. L’esistenza di chiare ed univoche indicazioni della giurisprudenza comunitaria non rende necessario un rinvio pregiudiziale d’interpretazione, ai sensi dell’art. 234 del Trattato CE. 3. Il ricorso deve essere, pertanto, accolto, con la cassazione della sentenza impugnata. Non essendo necessarie ulteriori indagini di fatto, la Corte, nell’esercizio del potere di decisione nel merito ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 1, rigetta la domanda di rimborso della contribuente. La novità della questione giustifica una pronuncia di compensazione delle spese dell’intero giudizio. La qualificazione del regime agevolativo come aiuto di Stato incompatibile e la disposizione contenuta nella già richiamata decisione della Commissione CE, confermata dalla Corte di Giustizia, impone all’amministrazione finanziaria il dovere di procedere al recupero dell’aiuto, corrispondente al risparmio d’imposta realizzato con la registrazione dell’atto, per il quale non è stata applicata l’ordinaria tassazione. P.Q.M. - La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e decidendo nel merito rigetta il ricorso introduttivo della contribuente. Compensa le spese dell’intero giudizio.