Imposta di registro Fusione per incorporazione - esclusione

Relativamente alla fusione tra società, deve valutarsi se l'atto per il quale è stata corrisposta l'imposta proporzionale di registro, assolta ai sensi dell'art. 4 della Tariffa, Parte I, allegata al D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131 - di cui si chiede la restituzione, contenga una fusione per incorporazione "propria" (e, come tale, non sia assoggettabile, alla stregua del diritto comunitario, ad imposta proporzionale di registro) o non, piuttosto, una fusione per incorporazione "impropria" che, per converso, la normativa dell'Unione europea ritiene assoggettabile alla predetta imposta. Nel caso di incorporazione di una società la quale detiene la totalità delle azioni o delle quote dell'incorporata, la direttiva del Consiglio n. 69/335/CEE, come modificata dalle direttive n. 73/80/CEE e n. 85/303/CEE, non osta alla riscossione dell'imposta proporzionale di registro poiché siffatta operazione non può inquadrarsi nella fattispecie regolata dalle norme comunitarie dei conferimenti dell'intero patrimonio societario in altra società di capitali, remunerati esclusivamente mediante attribuzione di quote sociali, visto che già tutte le quote od azioni appartengono all'incorporante. In altre parole, non si realizza, nella specie, alcun spostamento o movimento di capitali o, comunque, modifica dell'assetto societario e, quindi, difettano i presupposti della tutela apprestata dalle norme comunitarie alla libertà di circolazione dei capitali medesimi.

Sent. n. 13225 del 16 luglio 2004 (ud. del 25 febbraio 2004) della Corte Cass., Sez. tributaria



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Sent. n. 13225 del 16 luglio 2004 (ud. del 25 febbraio 2004) della Corte Cass., Sez.  tributaria  -  Pres.  Cristarella  Orestano,  Rel. D'Alfonso Imposta di registro -  Fusione  societaria  -  Fusione  per  incorporazione "propria" - Assoggettabilità, alla luce del diritto comunitario, ad imposta proporzionale  -  Esclusione  -  Fusione  per  incorporazione  impropria  - Assoggettabilità ad imposta - Affermazione - Condizioni     Massima - Relativamente alla fusione tra  società,  deve  valutarsi  se l'atto  per  il  quale  è  stata  corrisposta  l'imposta  proporzionale  di registro, assolta ai sensi dell'art. 4 della Tariffa, Parte I, allegata  al D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131 - di cui si chiede la restituzione,  contenga una  fusione  per  incorporazione  "propria"  (e,  come   tale,   non   sia assoggettabile,  alla  stregua  del   diritto   comunitario,   ad   imposta proporzionale di registro) o non, piuttosto, una fusione per incorporazione "impropria" che, per converso, la  normativa  dell'Unione  europea  ritiene assoggettabile alla predetta imposta.     Nel caso di incorporazione di una società la quale detiene la  totalità delle azioni o delle quote dell'incorporata,  la  direttiva  del  Consiglio n. 85/303/CEE,  non  osta  alla  riscossione  dell'imposta  proporzionale   di registro poiché siffatta operazione non può inquadrarsi  nella  fattispecie regolata dalle norme comunitarie dei  conferimenti  dell'intero  patrimonio societario in altra società di capitali, remunerati esclusivamente mediante attribuzione di quote sociali, visto che  già  tutte  le  quote  od  azioni appartengono all'incorporante. In altre  parole,  non  si  realizza,  nella specie, alcun spostamento o movimento di  capitali  o,  comunque,  modifica dell'assetto societario e, quindi, difettano  i  presupposti  della  tutela apprestata  dalle  norme  comunitarie  alla  libertà  di  circolazione  dei capitali medesimi.   (Oggetto della controversia: istanza di rimborso imposta di registro)
    Svolgimento del processo - Con ricorso notificato alla S.p.a.  R...  il 12 marzo 2001 (depositato il 30 marzo 2001), il Ministero delle  finanze  - premesso in fatto che detta società aveva impugnato innanzi  al  competente giudice tributario il silenzio rifiuto formatosi  sull'istanza,  presentata il 29 ottobre 1996, con la quale la stessa, assumendo che  l'atto  «avrebbe dovuto essere  sottoposto  ad  imposta  in  misura  fissa  ai  sensi  della Direttiva 69.355 CEE», aveva chiesto il rimborso dell'imposta proporzionale di registro corrisposta  per  l'atto,  registrato  il  20  marzo  1996,  di incorporazione della S.p.a.  COMMERCIALE  R...  della  quale  già  deteneva l'intero capitale sociale in forza di un solo motivo chiedeva di cassare la sentenza n. 202/33/00 depositata  il  6  novembre  2000  dalla  Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, notificata i .15  gennaio  2001,  che aveva respinto  l'appello  proposto  da  essa  amministrazione  avverso  la decisione (n. 93/16/98) della Commissione tributaria provinciale di  Milano che aveva accolto il ricorso della contribuente.     La società intimata non si costituiva in giudizio né svolgeva. attività difensiva.       Motivi della decisione - 1. Con  la  sentenza  gravata  la  Commissione tributaria della Lombardia - dopo aver esposto  [1]  che  la  S.p.a.  R..., «incorporante  della  Commerciale   R.   S.p.A.»,   Si   era   opposta   al «silenzio-rifiuto  dell'Ufficio   del   Registro   di   Milano»   formatosi sull'istanza, «presentata in data 4 novembre 1996», con la quale era  stato chiesto il rimborso dell'«imposta proporzionale di registro dell'1% pari  a £. 66.781.000 che  assumeva  indebitamente  percetta  su  atto  di  fusione registrato a Milano-Atti Pubblici in data 20 marzo 1996»,  imposta  chiesta all'atto della registrazione in  «applicazione  dell'art.  4,  lettera  b), parte prima Tariffa allegata al D.P.R. n. 131/1988» ma «in contrasto con la disciplina comunitaria di cui alla direttiva CEE  73/88  la  quale,  a  sua volta, modificava la 69/335 del 17 luglio 1969» e [2] che  la  società  (a) aveva sostenuto che «l'atto di fusione non doveva  essere  assoggettato  ad imposta (salvo la misura fissa) in quanto la direttiva  CEE  n.  85/303  in vigore dal 1 giugno 1986 prevede l'esenzione dall'imposta sui  conferimenti per tutte e operazioni che "alla data del 1° luglio 1984 erano  esentate  o assoggettate  ad  una  aliquota  pari   o   inferiore   allo   0,50%"   [e] l'assoggettamento all'aliquota dell'1% per tutti  gli  altri  casi»  e  (b) aveva confutato «l'eventuale tesi che le direttive menzionate  escludessero il caso di fusione» ricordando «la sentenza n. 168 del 18 aprile  1991  con la quale la Corte Costituzionale a riconosciuto  la  diretta  applicabilità nell'ordinamento interno delle disposizioni contenute nelle  direttive  con il solo limite che  si  tratti  di  disposizioni  incondizionate  (che  non lascino margini di discrezione agli Stati membri  nella  loro  attuazione), sufficientemente precise, non  recepite  nel  diritto  nazionale  entro  il termine previsto o recepite in modo inadeguato» - ha rigettato  il  gravame dell'Amministrazione Finanziaria dello Stato adducendo che:         «a) nell'eventualità di contrasto  fra  la  disciplina  comunitaria contenuta nelle direttive 73/80  del  9  aprile 1973 e 85/303 del 10 giugno 1985 e le disposizioni degli artt. 50, comma 4, e 4, lettera b), della Tariffa, Parte prima allegata al D.P.R. n.  131/1986 deve essere disapplicata la norma di diritto interno  in  forza  di  quanto deciso dalla Corte Costituzionale con la sentenza  n.  168  del  18  aprile 1991»;         «b)  l'atto  di  fusione  deve  essere  assimilato  agli  atti   di conferimento  esclusivamente  remunerati  mediante  attribuzione  di  quote sociali considerata la  finalità  delle  direttive  comunitarie  richiamate (incentivare le  operazioni  di  raggruppamento  e  di  concentrazione  tra imprese al fine di ridurre il più possibile gli ostacoli allo  sviluppo  ed al funzionamento del mercato comune dei  capitali)  (cfr.  anche  Corte  di Giustizia 13 ottobre 1992, causa 50/95; relazione governativa al disegno di legge 16 luglio 1977 n. 904)»;         «c) la  norma  applicabile  nella  fattispecie  è  pertanto  quella compresa nella direttiva CEE 85/303 del 10 giugno 1985  per  la  quale  non devono  essere  assoggettate  ad  imposizione  i  conferimenti   remunerati mediante attribuzione di quote sociali».     2. Con l'unico motivo di ricorso il Ministero - dopo avere esposto che, «come risultava chiaramente  dalla  pagina  3  dell'atto  di  fusione»,  la società incorporante «alla data dell'atto di fusione per incorporazione era già in possesso dell'intero capitale azionario della società incorporata» - lamenta, in relazione all'art. 360, n. 3, del codice di  procedura  civile, «violazione e falsa applicazione degli 12  della  Direttiva 69/335/CEE» adducendo che, come chiarito dalla  Corte  di  Giustizia  delle Comunità Europee con la sentenza del 27 ottobre 1998  (in  causa  C-152/97, Abbruzzi Gas S.p.a.) e da questa Corte (Cass. 3 settembre 1999, n. 9284 e 6 ottobre 1999, n. 11100), alla fattispecie «non si rendeva  applicabile»  la disposizione dettata  dal  detto  art.  7  (nel  testo  introdotto  con  la direttiva n. 85/303/CEE) «per mancanza del requisito essenziale, e cioè che il conferimento fosse esclusivamente remunerato "mediante  attribuzione  di quote sociali"» atteso che, «essendo la incorporante già  proprietaria  del 100%  del  capitale  della  società  incorporata»,  la  fusione  non  aveva comportato nessun  aumento  di  capitale  «con  conseguente  esclusione  di qualsiasi attribuzione di quote o azioni della società incorporante».     Secondo il ricorrente, quindi, «non essendosi realizzate le  condizioni a cui l'art. 7  della  direttiva  subordinava  la  riduzione  (fino  al  31 dicembre 1985) dell'aliquota e, successivamente, la esenzione dall'imposta, correttamente la fusione è stata tassata in misura  proporzionale  in  base alla normativa interna».     3. In via preliminare va  verificata  ex  officio  l'ammissibilità  del ricorso per cassazione proposto dal Ministero.     A. La questione nasce dal fatto che in tale  ricorso  l'inapplicabilità alla  specie  della  Direttiva  CEE  n.  69/335/CEE  viene  collegata  alla peculiarità, della quale non vi è cenno nella sentenza impugnata  e  che  e stata  evidenziata  per  la  prima  volta  solo  in  questo   giudizio   di legittimità, secondo la quale, nella concreta fattispecie, la  fusione  per incorporazione è stata operata  da  una  società  la  quale  possedeva  già l'intero capitale sociale della società incorporata.     B. Il ricorso deve ritenersi ammissibile in forza  di  due  concorrenti ordini di argomenti.     B.1.  In  ordine  al  primo,  va,  innanzi  tutto,  ricordato  che  per l'art. 2501, primo comma, del codice civile «la fusione di più società  può eseguirsi» o «mediante la costituzione di una società  nuova»  o  «mediante l'incorporazione in una società di una o più  altre»  (fusione  detta  «per incorporazione)».     Dalla prima specie di fusione,  come  noto,  nasce  un  nuovo  soggetto giuridico mentre la fusione per  incorporazione  determina  (Cass.,  I,  28 giugno 2002 n. 9504; id.,  III,  2  agosto  2001,  n.  10595)  l'estinzione dell'ente incorporato.     Una particolare ipotesi di fusione «per incorporazione»,  poi,  è  data dalla «incorporazione di una società in  un'altra  che  possiede  tutte  le azioni o le quote della prima» alla quale, per  l'art.  2504-quinquies  del codice civile (aggiunto dall'ari. 16 del D.Lgs. 16  gennaio  1991  n.  22); «non si applicano le disposizioni dell'articolo 2501-bis, comma  1,  numeri 3), 4), 5),  e  degli  2501-quinquies»,  cioè  le disposizioni per le quali:         1) gli amministratori delle società partecipanti          (a) non debbono indicare nel progetto di fusione redatto ai  sensi dell'art.  2501-bis  del  codice  civile  (aggiunto  dall'art.   3   D.Lgs. n. 22/1991 cit.) «3) il rapporto di cambio delle  azioni  o  quote,  nonché l'eventuale conguaglio in denaro», «4) le modalità  di  assegnazione  delle azioni o delle quote della società che risulta dalla fusione  o  di  quella incorporante» e «5) la data dalla quale tali  azioni  o  quote  partecipano agli utili» previsti dal primo comma dell'art. 2501-bis, e          (b) non  debbono  redigere  la  «relazione  la  quale  illustri  e giustifichi, setto il  profilo  giuridico  ed  economico,  il  progetto  di fusione e in particolare il rapporto di cambio delle azioni o delle  quote» richiesta per le fusioni ordinarie dal primo  comma  dell'art.  2501-quater del codice civile (aggiunto  dall'art.  5  D.Lgs.  n.  22/1991  cit.),  né, quindi, «indicare i criteri  di  determinazione  del  rapporto  di  cambio» (secondo comma) né «le eventuali difficoltà d'valutazione» (terzo comma);         2)  non  si  deve  redigere  la  «relazione  degli  esperti»  sulla «congruità del rapporto di cambio delle  azioni  o  delle  quote»  prevista dall'art. 2501-quinquies (aggiunto dall'art. 6 D.Lgs. n. 22/1991 cit.).     Ulteriore ipotesi riscontrata nella pratica  (alla  quale  parte  della dottrina ritiene applicabile, in via definita «iperestensiva», la delineata procedura semplificata), infine,  è  costituita  dalla  fusione  cosiddetta inversa (reverse merger), caratterizzata dal fatto  che  l'intero  capitale sociale è posseduto non già dalla incorporante ma  dalla  incorporanda,  in ordine alla quale questa Corte (con ordinanza n. 994/04  depositata  il  21 gennaio 2004) ha investito la Corte di Giustizia delle Comunità Europee, ai sensi dell'art. 234 (ex 177)  del  Trattato  di  Roma,  per  l'esame  della compatibilità con le norme  contenute  nella  Direttiva  del  Consiglio  17 luglio 1969 n.  73/80/CEE  e n. 85/303/CEE) della norma di diritto interno che,  nel  testo  applicabile anche a quella fattispecie ratione temporis,  prevedeva  la  soggezione  ad imposta proporzionale di registro dell'atto con il quale veniva attuata una fusione Inversa, in  particolare  sotto  l'aspetto  della  riscontrabilità, nella peculiare fattispecie, di un ostacolo alla  libera  circolazione  dei capitali.     B.2. In secondo luogo si deve rammentare che per la Corte di  Giustizia CEE (decisione 13 febbraio 1996, n. 197) l'interpretazione di una norma  di diritto comunitario da essa fornita chiarisce e precisa il significato e la portata della  norma,  quale  deve,  o  avrebbe  dovuto,  essere  intesa  e applicata al momento della sua entrata in vigore con la conseguenza che  la norma così interpretata deve essere applicata dal giudice  nazionale  anche ai rapporti giuridici sorti e costituiti dopo l'entrata in vigore detta  ma prima della sentenza interpretativa (salvo che la stessa Corte,  invia  del tutto eccezionale, limiti gli effetti della sua pronuncia).     L'art. 7 della Direttiva 69/335/CEE («concernente le imposte  indirette sulla raccolta di capitali»)  emanata  il  17  luglio  1969  dal  Consiglio dell'Unione Europea - dopo aver disposto che, fino  all'entrata  in  vigore delle disposizioni  adottate  dal  medesimo  Consiglio  in  conformità  del paragrafo 2, (a) «l'aliquota dell'imposta sui conferimenti non può superare il 2% né essere inferiore all'1%» e (b) che «tale aliquota  è  ridotta  del 50% almeno quando una o più società di capitali  conferiscono  la  totalità dei loro patrimoni, o uno o più rami della loro  attività,  ad  una  o  più società di capitali  in  via  di  creazione  o  già  esistenti»  nella  sua originaria formulazione, ha previsto che «questa  riduzione  è  subordinata alla condizione che ...  i  conferimenti  siano  esclusivamente  remunerati mediante attribuzione di quote sociali».     Con l'art. 1  della  Direttiva  n.  73/80/CEE  del  9  aprile  1973  il Consiglio ha  deliberato  che  «l'aliquota  dell'imposta  sui  conferimenti prevista all'articolo 7 della  direttiva  precitata,  è  fissata  all'1%  a partire dal 1° gennaio 1976»; con l'art. 2, poi,  si  è  disposto  che  «le aliquote ridotte di cui all'articolo 7, paragrafo 1, lettere b)  e  b)-bis, della precitata direttiva sono fissate dallo 0 allo 0,50% a partire dal  1° gennaio 1976».     Successivamente, infine, con l'art. 1 della Direttiva 85/303/CEE del 10 giugno 1985 il Consiglio ha modificato l'art. 7 della direttiva  69/335/CEE come segue:         1) «gli Stati membri  esentano  dall'imposta  sui  conferimenti  le operazioni diverse da quelle di cui all'articolo 9 e che, alla rata del  1° luglio 1984, erano esentate o assoggettate ad un'aliquota pari o  inferiore a 0,50%. L'esenzione è sottoposta alle condizioni che  a  tale  data  erano applicabili  per  la  concessione  dell'esenzione  o,  se  del  caso,   per l'assoggettamento ad un'aliquota pari o inferiore a 0,50 (omissis)»;         2) «gli Stati membri possono esentare dall'imposta sui conferimenti o assoggettare ad un'unica aliquota  non  superiore  all'1%  le  operazioni diverse da quelle di cui al paragrafo 1».     B.4. In ordine a tali disposizioni la Corte di Giustizia delle Comunità Europee, all'uopo investita «a norma dell'art. 177 del Trattato CE»,  nella sentenza del 27 ottobre 1998 resa nel procedimento C-152/97 (Abbruzzi  Gas, S.p.a. [Agas] e Amministrazione  Tributaria  di  Milano),  ha  testualmente statuito che:         - «un, operazione di fusione  ad  opera  di  una  società  che  già detiene la totalità delle azioni e delle quote  delle  società  incorporate non comporta un aumento del capitale sociale della  stessa  società  e  non rientra, pertanto, nella previsione dell'art. 4,  n.  1,  lett.  c),  della direttiva»;         -  «una  simile  operazione  non  rientra  neanche  nell'ambito  di applicazione dell'art. 4, n. 1, lett. d), della direttiva» in  quanto,  pur potendo «il conferimento alla  società  incorporante  dei  patrimoni  netti delle società incorporate ... causare un  aumento  del  patrimonio  sociale della prima  società»,  tale  operazione,  «per  essere  assoggettabile  ad imposta»,  deve,  «secondo  la   disposizione   in   esame,   trovare   una contropartita non in quote rappresentative del capitale  o  del  patrimonio sociale, bensì in diritti della stessa natura di quelli dei soci, quali  il diritto di voto, la partecipazione agli utili o all'attivo risultante dalla liquidazione» mentre «nel caso di incorporazione ad opera  di  una  società che detiene la totalità delle azioni o delle quote  sociali  della  società incorporata,   una   remunerazione   di   questo   tipo   è   semplicemente inapplicabile».     La stessa Corte, infine, ha dichiarato che «un'operazione  come  quella considerata nella causa a  qua  non  rientra  nell'ambito  di  applicazione dell'art. 4, n. 2, lett. b), della direttiva» perché  «questa  disposizione presuppone ... che l'aumento del patrimonio sociale consista in prestazioni effettuate da un socio, il che non si verifica nell'operazione in esame».     B.5. In base a tale principio, il contrasto della  normativa  nazionale italiana; che sottopone(va) ad imposta proporzionale di registri l'atto  di fusione delle società,con il diritto comunitario  «concernente  le  imposte indirette sulla raccolta di capitali»  sussiste  non  già  in  qualsivoglia ipotesi di fusione per incorporazione ma unicamente in quelle d'fusione per incorporazione per così dire "propria" perché  il  medesimo  contrasto  non sussiste nell'ipotesi di fusione (definibile "impropria") di cui al  citato art 2504-quinquies del codice civile,  ovverosia  nell'ipotesi  di  fusione operata  mediante  l'incorporazione  di  una  società  di  cui  la  società incorporante, al momento della  fusione,  già  possiede  l'intero  capitale sociale.     La  pronuncia  della  Corte  di  Giustizia,  quindi,   ha   esattamente delimitato la fattispecie cui è applicabile  la  normativa  comunitaria  su indicata «concernente le imposte  indirette  sulla  raccolta  di  capitali» precisando che è esclusa dal divieto della stessa normativa la  riscossione di un'imposta di registro nel peculiare caso di fusione per  incorporazione "impropria" di una società ad opera di un'altra società che già detiene  la totalità delle sue azioni e delle sue quote.     B.6.  Discende  da  tanto  che  quando  si  invoca  il   riconoscimento giudiziale del diritto al rimborso dell'imposta proporzionale  di  registro corrisposta in sede di registrazione di un atto societario di  fusione  per incorporazione [1] la contribuente  deve  allegare  e  provare  (in  quanto elemento costitutivo del diritto preteso e  da  essa  azionato)  e  [2]  il giudice nazionale (del merito) adito, nell'esercizio del suo potere-dovere, deve accertare se, nella specifica fattispecie  sottoposta  al  suo  esame, l'atto per il quale è stata corrisposta l'imposta proporzionale di registro di cui si chiede la restituzione contenga una  fusione  per  incorporazione "propria" (e come tale, quindi, non  sia  assoggettabile,  per  il  diritto comunitario, ad imposta proporzionale di registro) o  non,  piuttosto,  una fusione per incorporazione "impropria" che, invece,  il  medesimo  diritto, ritiene assoggettabile a detta imposta.     Ovviamente, giusta le  ordinarie  norme  procedurali,  il  giudizio  di diritto e di fatto all'uopo espresso dal giudice nazionale (del merito), se contenuto in sentenza avverso la quale è possibile proporre ricorso innanzi a questa Corte, sarà censurabile in sede di  legittimità,  rispettivamente, per «violazione o falsa applicazione di norme  di  diritto»  ex  art.  360, n. 3), del codice di procedura civile ovvero, in forza del n. 5  di  questo medesimo   articolo,   per   «omessa,   insufficiente   o   contraddittoria motivazione».     B.7. In  base  ai  rilievi  che  precedono,  quindi,  deve  concludersi affermando [1] che la deduzione della circostanza del possesso, al  momento della fusione, dell'intero capitale sociale della società  incorporanda  da parte della società incorporante costituisce  mera  specificazione  di  una particolarità della concreta fattispecie-fusione sottoposta  all'esame  del giudice del merito, necessaria al fine di stabilire se la  fusione  dedotta in giudizio possa essere sussunta nell'invocato schema legale di  contrasto con norme comunitarie, e [2] che l'indicazione, anche per  la  prima  volta nel  ricorso  per  cassazione,  di  quella  specificazione  non   significa inammissibile introduzione  nel  thema  decidendi  di  un  fatto  nuovo  ma soltanto la segnalazione, con il porla  in  evidenza,  di  una  peculiarità della fattispecie concreta - non considerata, (od erroneamente considerata, in fatto od in diritto) dal giudice del merito benché a tanto  obbligato  - idonea ad escludere l'applicabilità al caso della disposizione invocata  ex adverso e, quindi, a determinare una decisione opposta da quella impugnata.     C. Il  secondo  argomento  in  favore  dell'ammissibilità  del  ricorso discende da principi di diritto comunitario.     C.1. La Corte di Giustizia delle Comunità Europee, invero:         1) nella sentenza  14  dicembre  1995  (C-312/93,  Peterbroek,  Van Campenhout & C.ie SCS), dopo aver ricordato che «i giudici nazionali  hanno l'obbligo di verificare la compatibilità del diritto interno con  le  norme di diritto comunitario primario  e  secondario,  indipendentemente  da  una specifica domanda di parte», ha affermato  il  principio  secondo  cui  «il diritto  comunitario  osta  all'applicazione  di  una   norma   processuale nazionale che, in condizioni analoghe a  quelle  del  procedimento  di  cui trattasi nella causa davanti al giudice a quo, vieta al giudice  nazionale, adito  nell'ambito  della  sua  competenza,  di   valutare   d'ufficio   la compatibilità di un provvedimento di diritto nazionale con una disposizione comunitaria, quando quest'ultima non sia stata invocata dal  singolo  entro un determinato termine"»;         2) nella sentenza resa nella  medesima  data  nelle  cause  riunite C-430 e 431/93 (Van Schijndel), al punto 1 del sommario,  ha  statuito  che «"è  compito  del  giudice  nazionale  applicare  disposizioni  comunitarie vincolanti anche qualora la parte che ha interesse alla  loro  applicazione non le abbia invocate", pur nei  procedimenti  aventi  ad  oggetto  diritti disponibili»;         3) nella sentenza 13 marzo 1997, C-358/95 (Morellato), ha ribadito, al punto 2 del sommario, che «"allorché si richieda al giudice nazionale di applicare una legge nazionale incompatibile con  l'art.  30  del  Trattato, esso  ha  l'obbligo  di  garantire  la  piena  efficacia  di  tale   norma, disapplicando di propria iniziativa la detta legge"».     C.2.  Sulla  scorta  di  tali  decisioni,  quindi,  questo  giudice  di legittimità (Cass., Sez. tributaria, 28 marzo 2001, n. 4555 ma  già  Cass., trib., 9 giugno 2000 n. 7909) ha avuto  modo  di  statuire  e  di  ribadire (Cass., Sez. tributaria, 10 dicembre 2002  n.  17564)  il  principio  -  da confermare per carenza di contrarie argomentazioni logiche e  giuridiche  - secondo  il  quale,  poiché  «il  giudice  nazionale  deve  verificare   la compatibilità  del  diritto  interno  con   le   disposizioni   comunitarie vincolanti  e  fare  applicazione  delle  medesime  anche  d'ufficio»,  nel giudizio  di  cassazione  la  verifica  della  compatibilità  col   diritto comunitario «non è condizionata alla deduzione di uno specifico  motivo  e, come nei casi dello ius superveniens e della modifica normativa determinata dalla dichiarazione di illegittimità costituzionale, le relative  questioni possono essere conosciute anche d'ufficio purché l'applicazione del diritto interno sia ancora controversa costituendo oggetto del dibattito introdotto con i motivi di ricorso».     C.3. Nel caso emerge incontestabilmente dalla  lettura  dei  conferenti atti processuali che l'applicabilità  del  diritto  interno  ha  costituito oggetto specifico ed unico del dibattito processuale néi pregressi gradi di giudizio e costituisce unico oggetto del ricorso per  cassazione  in  esame avendo l'Amministrazione Finanziaria  sempre  protestato  l'inapplicabilità alla specifica fattispecie delle  disposizioni  contenute  nella  direttiva comunitaria invocata da controparte e, di conseguenza, la  applicabilità  a tale fattispecie delle norme di diritto interno per la  loro  compatibilità con le disposizioni comunitarie invocate ex adverso.     4. Il ricorso del Ministero va accolto perché fondato.     A. In ordine all'influenza delle  specifiche  disposizioni  comunitarie indicate supra, sub 3.B.3., sulle norme di diritto interno  (in  specie  su quella contenuta nell'art. 4 della tariffa allegata  al  D.P.R.  26  aprile 1986, n. 131),  infatti,  questa  Corte  (Cass.,  trib.,  18  aprile  2003, n. 6234; id., trib., 6 novembre 2002 n. 15528; id., trib., 26  marzo  2002, n.  11100;  id.,  I,  3  settembre  1999, n. 9284) ha già affermato il  principio  -  che  deve  essere  ribadito  in difetto  di   qualsivoglia   contraria   osservazione   od   argomentazione convincenti - secondo il quale in tema di imposta di registro, in  caso  di incorporazione di una società ad opera di altra società la quale detiene la totalità delle azioni o delle quote della società incorporata, la direttiva del  Consiglio  17  luglio  1969,  n.  69/335/CEE,  come  modificata  dalle direttive  n.  85/303/CEE,  non  osta  alla   riscossione dell'imposta proporzionale di  registro  perché  tale  operazione  non  può inquadrarsi  nella  fattispecie  (regolata  dalle  norme  comunitarie)  dei conferimenti dell'intero patrimonio societario in altra società di capitali remunerati esclusivamente mediante attribuzione di  quote  sociali  essendo già tutte le quote od azioni appartenenti all'incorporante in quanto non si realizza nessuno spostamento o movimento di capitali o, comunque,  modifica dell'assetto societario e, quindi, difettano  i  presupposti  della  tutela apprestata  dalle  norme  comunitarie  alla  libertà  di  circolazione  dei capitali medesimi.     B. Gli esposti principi giuridici  impongono  di  cassare  la  sentenza impugnata perché la stessa si è limitata ad affermare la  prevalenza  delle norme del diritto  comunitario  su  quelle  nazionali  ma  non  ha  neppure verificato se per la  specifica  fusione  dedotta  in  giudizio  ricorresse effettivamente il delineato contrasto normativo e, quindi,  se  il  giudice nazionale dovesse disapplicare le norme nazionali confliggenti  con  quelle comunitarie.     5. La cassazione della sentenza impugnata non comporta il rinvio  della causa al giudice del merito in quanto la controversia non  richiede  nessun ulteriore accertamento di fatto e, di conseguenza, può  essere  decisa  nel merito come impone il primo comma dell'art. 384  del  codice  di  procedura civile     L'accertata inesistenza di qualsivoglia contrasto tra la norma  interna - contenuta, come detto, nell'art. 4, lettera b), della tariffa allegata al D.P.R. 26 aprile 1986 n. 131 [nel testo, applicabile  alla  specie  ratione temporis, anteriore alle modifiche apportate a detta lettera con l'art.  10 del D.L. 6 novembre 1996 n. 323, convertito nella L. 8 agosto 1996 n. 425], che  assoggettava  gli  atti   di   «fusione   tra   società»   all'imposta proporzionale  dell'uno  per  cento  -  e   le   disposizioni   comunitarie surrichiamate impone di rigettare il ricorso proposto in primo grado  dalla contribuente  perché  questa  non  vanta   nessun   diritto   al   rimborso dell'imposta di registro corrisposta sull'atto di fusione registrato il  20 marzo 1996 in quanto essa, al  momento  della  fusione,  già  possedeva  la totalità del capitale sociale della società incorporata.     6.  Le  spese  processuali  dell'intero   giudizio   vanno   compensate integralmente tra le parti ai sensi del  secondo  comma  dell'art.  92  del codice di procedura civile       P.Q.M. - La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza  impugnata  e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso di primo grado della contribuente; compensa integralmente  tra  le  parti  le  spese  processuali  dell'intero giudizio.          

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