Irpeg - Reddito d'impresa - Determinazione - Fattispecie - Disavanzo di fuzione - iscrizione ad avviamente - sussiste legittimità

Costituisce ius receptum nella giurisprudenza di legittimità il principio secondo il quale è pienamente legittima l'iscrizione in bilancio del disavanzo di fusione da annullamento, realizzato per l'incorporazione di una società che deteneva una partecipazione totalitaria al capitale dell'incorporata, mediante imputazione alla posta "avviamento" con conseguente deducibilità delle relative quote di ammortamento. Tuttto ciò rappresenta un indubbio vantaggio per il contribuente

Sentenza . n. 20424 del 28 settembre 2007 (ud. del 4 luglio 2007)



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Sentenza . n. 20424 del 28 settembre 2007 (ud. del 4 luglio 2007) della Corte Cass., Sez. tributaria - Pres. Altieri, Rel. Di Iasi Irpeg - Reddito d'impresa - Determinazione  -  Fattispecie  -  Disavanzo  di fusione - Iscrizione a titolo di  avviamento  -  Legittimità  -  Sussiste  - Ammortamento - Deducibilità - Sussiste - art. 172) del  D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917     Massima - Costituisce ius receptum nella giurisprudenza  di  legittimità il principio  secondo  il  quale  è  pienamente  legittima  l'iscrizione  in bilancio  del  disavanzo  di  fusione  da   annullamento,   realizzato   per l'incorporazione di una società che deteneva una partecipazione  totalitaria al capitale dell'incorporata, mediante imputazione alla  posta  "avviamento" con conseguente deducibilità delle relative quote di ammortamento.
    Svolgimento del processo - La  S.r.l.  E.V.P.I.  impugnava  l'avviso  di accertamento col quale l'Ufficio imposte  dirette  di  Milano  riprendeva  a tassazione la quota di  ammortamento  riferita  ad  avviamento  iscritta  in bilancio, con riguardo all'esercizio finanziario  1990/1991  utilizzando  il disavanzo di fusione relativo ad incorporazione di società partecipata.     La Commissione tributaria provinciale di Milano accoglieva il ricorso  e la Commissione tributaria regionale della Lombardia, investita  dell'appello della società, lo rigettava confermando  la  sentenza  di  primo  grado.  In particolare,  i  giudici  d'appello  rilevavano,  anche  alla   luce   della giurisprudenza della  Commissione  tributaria  centrale  e  della  Corte  di Cassazione,  che  doveva  ritenersi  pienamente  legittima  l'inserzione  in bilancio della voce avviamento e la deducibilità delle quote di ammortamento a seguito di fusione.     Avverso  questa  sentenza  ricorrono  per  cassazione  l'Amministrazione finanziaria dello Stato e l'Agenzia delle Entrate; resiste con controricorso la società.       Motivi della decisione - Le ricorrenti, denunziando violazione  e  falsa applicazione dell'art. 123 del D.P.R. n. 917/1986  -  cosi  come  modificato dall'16 del D.P.R. n. 598/1973 e 2427  del  codice civile  nel  testo  applicabile  ratione  temporis,  censurano  la  sentenza impugnata per aver ritenuto illegittima la ripresa a tassazione della  quota di  ammortamento  dell'avviamento  iscritto  in  bilancio  dalla  resistente utilizzando il disavanzo di fusione derivante dall'incorporazione di società partecipata, senza considerare:         a) che, in base all'art. 2427 del codice civile, nel testo antecedente all'entrata in vigore del D.Lgs. n.  127/1991,  l'avviamento  poteva  essere iscritto  solo  quando  fosse  stata  "pagata  una  somma  a   tale   titolo nell'acquisto dell'azienda alla quale si riferisce" e che in tale previsione non potevano farsi rientrare le ipotesi in cui l'acquisizione del patrimonio sociale fosse stata conseguita mediante l'incorporazione della  società,  in quanto la differenza tra il costo dei titoli rappresentativi  della  società incorporata posseduti  dall'incorporante  ed  annullati  per  effetto  della fusione ed il valore del  patrimonio  netto  della  suddetta  incorporata  - costituente il  cosiddetto  disavanzo  di  fusione  -  sarebbe  un  astratto risultato contabile che in sé non prova necessariamente il sussistere di  un avviamento e il valore di esso;       b) che, in ogni caso, l'art. 123 del citato D.P.R. n. 917/1986,  nella formulazione assunta dopo il 1° gennaio 1988, non consentirebbe l'iscrizione di tale bene in esenzione d'imposta, utilizzando il disavanzo di fusione;       c) che, anche ammessa l'utilizzabilità del disavanzo  di  fusione  per l'iscrizione di una posta attiva  "avviamento"  anteriormente  alla  vigenza della L. n. 724/1994, la società avrebbe dovuto provare di  aver  sopportato per l'acquisto della partecipazione un prezzo  effettivamente  superiore  al valore del patrimonio netto della partecipata al  momento  dell'acquisizione della partecipazione e di averlo fatto in considerazione  di  un  valore  di avviamento effettivamente esistente.     Le esposte censure sono infondate.     Secondo la copiosa e univoca giurisprudenza di questa Corte  in  materia (vd., tra numerose altre, Cass. n. 8104 del 2003; n.  2716 del 2002; n. 2697  del  2002),  il  disavanzo  di  fusione,  realizzato  per incorporazione da parte di una società che gia possedeva  l'intero  capitale sociale dell'incorporata e che  procede  alla  fusione  senza  aumentare  il proprio  capitale  sociale  e  annullando  tutte  le  quote  rappresentative dell'intero capitale sociale dell'incorporata, può, nel regime previgente al 1° gennaio 1995 (data di entrata in vigore della L. n. 724 del 1994, il  cui art. 27 ha introdotto il principio di  neutralità  fiscale  delle  fusioni), essere iscritta in bilancio alla voce avviamento, con la conseguenza che, ai sensi del comma 3 dell'art. 68 del D.P.R. n. 917 del 1986,  è  legittima  la deduzione fiscale della quota di ammortamento.     In particolare, è da rilevare che l'art. 2427 del codice civile, nel suo testo originario, era così  formulato:  "l'avviamento  può  essere  iscritto all'attivo del bilancio soltanto quando è stata  pagata  una  somma  a  tale titolo nell'acquisto dell'azienda alla quale si riferisce e per  un  importo non superiore al prezzo pagato".     Lo specifico riferimento al pagamento di una somma di denaro,  contenuto in tale formulazione, aveva ingenerato il dubbio che,  così  disponendo,  il legislatore avesse  inteso  limitare  l'iscrivibilità  dell'avviamento  alle ipotesi in cui l'azienda  fosse  stata  acquistata  mediante  compravendita, posto che solo in tale ipotesi poteva propriamente  parlarsi  di  "pagamento del prezzo". Ma tale dubbio fu superato considerando che la disposizione  in esame aveva, come  suo  unico  scopo,  quello  di  vietare  l'iscrizione  in bilancio dell'avviamento originario (dovuto, cioè,  unicamente  all'attività del titolare dell'impresa), per la ragione  che  in  tal  caso  l'iscrizione sarebbe stata effettuata sulla base di valori realizzabili solo in  caso  di cessione e quindi allo stato solo sperati, in contrasto con il principio  di prudenza; e  che  non  poteva,  quindi,  trarsi  argomento  dal  suo  tenore letterale per negare l'iscrivibilità in bilancio  dell'avviamento  acquisito da terzi sulla base di un atto diverso dalla compravendita, ma pur sempre  a titolo oneroso.     Da ciò il riconoscimento  che  anche  la  fusione  potesse  giustificare l'iscrizione  in  bilancio  dell'avviamento,  non  diversamente  da   quanto previsto dalla disciplina vigente,  introdotta  dall'art.  9  del  D.Lgs.  9 aprile 1991, n. 127 che, facendo ricorso, sulla scorta di  quanto  stabilito dall'art.  9  della  Direttiva   n.   78/660/CEE   del   25   luglio   1978, all'espressione più comprensiva di "acquisto a titolo  oneroso"  -  prevista nel nuovo testo dell'art. 2426,  n.  6),  del  codice  civile  -  ha  fugato definitivamente  i  dubbi  interpretativi  ingenerati   dalla   formulazione originaria del citato art. 2427 del codice civile.     Tale  conclusione,   contrariamente   a   quel   che   sembra   ritenere l'Amministrazione finanziaria, è corretta.     Invero, l'efficacia traslativa della fusione, nelle due  forme  previste dall'art. 2501 del codice civile, non può essere  revocata  in  dubbio,  dal momento che l'unificazione di più società separate ed indipendenti, che tale operazione determina, comporta concentrazione (e  quindi  il  trasferimento) dei loro rispettivi patrimoni in un'unica struttura produttiva.     Nè può dubitarsi che tale operazione abbia carattere oneroso, posto  che i  trasferimenti  delle  masse  patrimoniali  delle  singole   società   che partecipano alla fusione sono tra loro collegati e interdipendenti.     Questo aspetto è evidente quando la fusione porta alla  costituzione  di una società nuova, ma è non meno certo nel caso di incorporazione, in quanto i soci della società incorporata entrano a far parte della compagine sociale della   società   incorporante,   acquisendo   una   nuova   partecipazione, rappresentativa dell'intero patrimonio aziendale risultante  dalla  fusione, la cui entità è determinata sulla base del rapporto (cosiddetto  di  cambio) esistente tra i valori netti emergenti dalle situazioni  patrimoniali  delle due società.     L'avviamento deve dirsi acquisito a titolo oneroso tutte le volte che il patrimonio delle società partecipanti alla fusione viene  acquisito  per  un valore superiore a quello risultante dai rispettivi bilanci, a meno che  non vi siano elementi per ritenere che tale eccedenza debba essere  diversamente imputata. Quando la fusione avviene,  come  nel  caso  di  specie,  mediante incorporazione di una società interamente posseduta non si determina  alcuno scambio di partecipazioni, non avendo  la  società  incorporata  altri  soci all'infuori dell'incorporante, e non vi è quindi necessità di procedere alla determinazione  del  rapporto  di  cambio.  In  tal  caso   il   "costo   di acquisizione"  del   patrimonio   sociale   dell'incorporata   deve   essere necessariamente riferito all'acquisto delle  sue  partecipazioni  effettuato preventivamente  dalla  società  incorporante.  Il  riferimento   non   deve sorprendere, poiché le partecipazioni sociali sono beni di secondo grado, e, in quanto tali,  sono  rappresentative  del  patrimonio  sociale,  alla  cui gestione ciascun socio è ammesso a partecipare, nei  limiti  e  nelle  forme stabilite dall'ordinamento della società (Cass. 12 dicembre 1995, n. 12733). Tra le partecipazioni al capitale  di  una  determinata  società  e  i  beni ricompresi nel suo patrimonio  vi  è  quindi  un  collegamento  [di  cui  il legislatore ha preso atto; art.  33, comma 2, del D.Lgs. 9 aprile 1991, n. 127], il quale  autorizza  a  ritenere che, in caso di incorporazione di una società  (totalmente  o  parzialmente) posseduta dall'incorporante il patrimonio aziendale  dell'incorporata  possa essere iscritto in bilancio, invece che  al  valore  indicato  nel  bilancio dell'incorporata, a quello attribuito alle partecipazioni che,  prima  della fusione, attribuivano alla società incorporante la qualità  di  socia  della società incorporata.     Altrettanto erroneo è l'assunto che il testo dell'art. 123, comma 2, del D.P.R. n. 917/1986 applicabile ratione temporis non consentisse l'iscrizione dell'avviamento  nel  bilancio  della  società  incorporante  in   esenzione d'imposta.     Tale articolo, dopo aver stabilito nel  comma  1,  che  la  fusione  non costituisce realizzo né distribuzione delle plusvalenze e  minusvalenze  dei beni delle società fuse, comprese quelle relative alle rimanenze e il valore di avviamento", dispone con il comma 2 che nella determinazione del  reddito della società incorporante o di quella  risultante  dalla  fusione  "non  si tiene conto ... delle plusvalenze iscritte in bilancio  fino  a  concorrenza della differenza tra il costo delle azioni o quote delle società incorporate annullate per effetto della fusione e il valore del patrimonio  netto  delle società stesse risultante dalle scritture  contabili.  Il  testo  originario faceva riferimento alle "plusvalenze dei beni ... comprese  quelle  relative alle rimanenze e il valore di avviamento".     Secondo i ricorrenti, l'eliminazione di tale specifica menzione  sarebbe indicativa  della  volontà  del  legislatore  di  rendere  la   disposizione inapplicabile    all'iscrizione    dell'avviamento    nel    bilancio    del l'incorporante,  che,  pertanto,  anche  se  consentita  dalle  disposizioni civilistiche, non avrebbe potuto  essere  operata  in  esenzione  d'imposta, essendo tale possibilità circoscritta, cosi come era in precedenza stabilito dall'art. 16 del D.P.R.  n.  598/1973,  alle  plusvalenze  di  singoli  beni ricompresi  nel  patrimonio  aziendale,  tra  i  quali  non  poteva   essere annoverato l'avviamento.     In  effetti,  quest'ultima  disposizione,  che  enunciava  un  principio analogo a quello sancito dal citato art. 123, non faceva  alcun  riferimento all'avviamento. La sua applicabilità non era tuttavia revocabile in  dubbio, in quanto la possibilità di assorbire il disavanzo da annullamento non  solo in caso  di  "rivalutazione  effettiva  e  diretta  di  uno  o  più  cespiti autonomamente  individuati",  ma  anche   nell'ipotesi   di   "rivalutazione indiretta dell'intera azienda acquisita, mercè iscrizione  di  una  posta  a titolo di avviamento", rispondeva a "principi ... non solo  affermati  dalla giurisprudenza (e dalla  dottrina)  precedenti  l'entrata  in  vigore  della riforma  tributaria,  ma   altresì   ...   impliciti   nella   ricostruzione civilistica, prima ancora che fiscale, di quel particolare istituto  che  va sotto il nome di fusione per incorporazione senza cambio di azioni" (vd. già Cass. 3 luglio 1986, n. 4382).     Il  riferimento  all'avviamento,   contenuto   nel.   testo   originario dell'art. 123 del testo unico del 1986, non era stato quindi innovativo,  ma solo chiarificatore della disciplina previgente. Va tuttavia considerato che detta disposizione, nella sua nuova  formulazione,  consentiva  l'iscrizione nel bilancio dell'incorporante di una posta a titolo di avviamento, sia  che il disavanzo da fusione fosse  correlato  all'annullamento  delle  azioni  o delle quote dell'incorporante,  sia  che  esso  fosse  invece  derivato  dal rapporto di cambio delle società che avevano partecipato  all'operazione  di fusione.     Tale assimilazione era stata oggetto di critiche.     Disavanzo  da  annullamento  e  disavanzo  da  concambio  sono   infatti radicalmente  diversi;  il  primo,  presupponente  l'incorporazione  di  una società  (totalmente  o  parzialmente)  posseduta,  esprime,   infatti,   la differenza tra il valore netto del patrimonio dell'incorporata e  il  prezzo pagato per l'acquisto delle partecipazioni che  lo  rappresentano  annullate per effetto della fusione, con la conseguenza che  la  sua  utilizzazione  è diretta  a  "riallineare"  il  valore   contabile   del   patrimonio   netto dell'incorporata al costo  delle  partecipazioni,  facendo  emergere  valori (come  quello  relativo  all'avviamento)  che  nel  bilancio  di   esercizio dell'incorporata non erano stati (né potevano essere) considerati, mentre il secondo (cosiddetto disavanzo da concambio in caso di incorporazione) è dato dalla differenza  tra  il  capitale  della  società  incorporante  e  quello dell'incorporata, esso non è quindi  espressivo  di  una  differenza  tra  i valori - contabili e quelli correnti del patrimonio di quest'ultima società, con l'evidente conseguenza che  un'eventuale  rivalutazione  del  patrimonio dell'incorporata assumerebbe in tal caso un significato del tutto diverso da quello appena considerato.     L'intervento correttivo attuato con l' art. 7, comma 6, della L.  n.  68 del 1988 era diretto ad  eliminare  tale  incongruenza,  escludendo  che  il disavanzo  da  concambio  potesse  essere  utilizzato  per   rivalutare   il patrimonio della società incorporata.     Non può, quindi, trarsi argomento dalla mancata riproduzione, nel  nuovo testo, del riferimento all'avviamento per sostenere che, a seguito  di  tale innovazione, anche l'ambito di applicazione del  disavanzo  da  annullamento era stato modificato, precludendone l'utilizzazione per l'iscrizione di  una posta  a  titolo  di  avviamento  nell'attivo  del  bilancio  della  società incorporante. Anche perché nel testo originario  dell'art.  123  il  termine "plusvalenze" era accompagnato dal  riferimento  delimitativo  a  quello  di "beni", che non compare più nel nuovo testo introdotto dall'art. 7, comma 6, della L. n. 67/1988. In esso figura, invece, l'espressione più  generica  di "plusvalenze  iscritte",   che   appare   idonea   a   ricomprendere   anche l'avviamento, posto che nel  sistema  del  testo  unico  delle  imposte  sui redditi  approvato  con  il  D.P.R.  n.  917/1986,  come  nella   disciplina previgente (art. 5, comma 3, del D.P.R.  29  settembre  1973,  n.  598),  il termine  "plusvalenze"  è  utilizzato  per   designare   qualsiasi   entità, pertinente all'impresa, suscettibile  di  assumere  un  valore  superiore  a quello iniziale [59,  comma  8, 123, comma 1, del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917]).     Deve quindi ritenersi  che,  contrariamente  a  quanto  sostenuto  dalle ricorrenti, l'iscrizione dell'avviamento nel bilancio del l'incorporante non fosse assoggettabile ad imposta. Non  varrebbe  richiamarsi,  in  contrario, all'art. 21, comma 1, del D.L. 23 febbraio  1995,  n.  41  (convertito,  con modificazioni, nella L. 22 marzo 1995, n. 85), il  quale  stabilisce  che  i maggiori valori  iscritti  in  bilancio  per  effetto  dell'imputazione  dei disavanzi  di  fusioni  deliberate  anteriormente  al  14  gennaio  1995  si considerano fiscalmente riconosciuti a condizione che venga corrisposta  una somma pari al 20 per cento dei valori medesimi. Detta previsione, infatti, è seguita  dall'esplicita  salvezza  dell'operatività  del  regime  tributario altrimenti applicabile relativamente ai maggiori valori per i quali  non  ci si avvalga di detto atipico condono, e, dunque, dichiaratamente, si  astiene dal prendere posizione sull'interpretazione di quel regime,  limitandosi  ad offrire al contribuente la possibilità di "fiscalizzare" le  plusvalenze  da disavanzo di fusione, mediante una definizione,  agevolata  che  prevenga  o elida  le  controversie  inerenti  ai  presupposti  nel  caso  concreto  del riconoscimento ai fini tributari di quei maggiori valori.     Deve infine rilevarsi, con specifico riferimento  alla  questione  posta nell'ultima  parte  del  ricorso  in  esame  (relativa  alla  mancata  prova dell'effettivo pagamento, per l'acquisto della partecipazione, di un  prezzo superiore al valore  del  patrimonio  netto  della  partecipata  al  momento dell'acquisizione  della  partecipazione  e   dell'effettuazione   di   tale pagamento in ragione di un valore di  avviamento  effettivamente  esistente) che, a prescindere da ogni altra considerazione, né  dal  ricorso  né  dalla sentenza impugnata tale questione risulta  essere  mai  stata  proposta  nel corso del giudizio di merito e in tali termini essa deve essere  considerata inammissibile  in  questa  sede  in  quanto   questione   nuova   implicante accertamenti di fatto, dovendosi in ogni caso evidenziare che  nella  specie non risulta essere mai stata in  precedenza  contestata  l'esistenza  di  un "disavanzo di fusione" e che, come già sopra specificato, l'avviamento  deve dirsi acquisito a titolo oneroso tutte le  volte  che  il  patrimonio  delle società partecipanti alla fusione viene acquisito per un valore superiore  a quello risultante dai rispettivi bilanci, a meno che non vi  siano  elementi per ritenere che tale eccedenza  debba  essere  diversamente  imputata  (sul punto vd., tra le altre, Cass. n. 15093 del 2000).     Il ricorso deve essere quindi rigettato. Le  spese,  liquidate  come  in dispositivo, seguono la soccombenza.       P.Q.M. - rigetta il ricorso e condanna le soccombenti al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in euro  1.600,00  di cui euro 1.500,00 per onorari oltre spese processuali e accessori di legge.            

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