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Irpeg - Reddito d'impresa - Determinazione - Fattispecie - Disavanzo di fuzione - iscrizione ad avviamente - sussiste legittimità
Pubblicata il 24/06/2010
Sentenza . n. 20424 del 28 settembre 2007 (ud. del 4 luglio 2007)
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Svolgimento del processo - La S.r.l. E.V.P.I. impugnava l'avviso di accertamento col quale l'Ufficio imposte dirette di Milano riprendeva a tassazione la quota di ammortamento riferita ad avviamento iscritta in bilancio, con riguardo all'esercizio finanziario 1990/1991 utilizzando il disavanzo di fusione relativo ad incorporazione di società partecipata. La Commissione tributaria provinciale di Milano accoglieva il ricorso e la Commissione tributaria regionale della Lombardia, investita dell'appello della società, lo rigettava confermando la sentenza di primo grado. In particolare, i giudici d'appello rilevavano, anche alla luce della giurisprudenza della Commissione tributaria centrale e della Corte di Cassazione, che doveva ritenersi pienamente legittima l'inserzione in bilancio della voce avviamento e la deducibilità delle quote di ammortamento a seguito di fusione. Avverso questa sentenza ricorrono per cassazione l'Amministrazione finanziaria dello Stato e l'Agenzia delle Entrate; resiste con controricorso la società. Motivi della decisione - Le ricorrenti, denunziando violazione e falsa applicazione dell'art. 123 del D.P.R. n. 917/1986 - cosi come modificato dall'16 del D.P.R. n. 598/1973 e 2427 del codice civile nel testo applicabile ratione temporis, censurano la sentenza impugnata per aver ritenuto illegittima la ripresa a tassazione della quota di ammortamento dell'avviamento iscritto in bilancio dalla resistente utilizzando il disavanzo di fusione derivante dall'incorporazione di società partecipata, senza considerare: a) che, in base all'art. 2427 del codice civile, nel testo antecedente all'entrata in vigore del D.Lgs. n. 127/1991, l'avviamento poteva essere iscritto solo quando fosse stata "pagata una somma a tale titolo nell'acquisto dell'azienda alla quale si riferisce" e che in tale previsione non potevano farsi rientrare le ipotesi in cui l'acquisizione del patrimonio sociale fosse stata conseguita mediante l'incorporazione della società, in quanto la differenza tra il costo dei titoli rappresentativi della società incorporata posseduti dall'incorporante ed annullati per effetto della fusione ed il valore del patrimonio netto della suddetta incorporata - costituente il cosiddetto disavanzo di fusione - sarebbe un astratto risultato contabile che in sé non prova necessariamente il sussistere di un avviamento e il valore di esso; b) che, in ogni caso, l'art. 123 del citato D.P.R. n. 917/1986, nella formulazione assunta dopo il 1° gennaio 1988, non consentirebbe l'iscrizione di tale bene in esenzione d'imposta, utilizzando il disavanzo di fusione; c) che, anche ammessa l'utilizzabilità del disavanzo di fusione per l'iscrizione di una posta attiva "avviamento" anteriormente alla vigenza della L. n. 724/1994, la società avrebbe dovuto provare di aver sopportato per l'acquisto della partecipazione un prezzo effettivamente superiore al valore del patrimonio netto della partecipata al momento dell'acquisizione della partecipazione e di averlo fatto in considerazione di un valore di avviamento effettivamente esistente. Le esposte censure sono infondate. Secondo la copiosa e univoca giurisprudenza di questa Corte in materia (vd., tra numerose altre, Cass. n. 8104 del 2003; n. 2716 del 2002; n. 2697 del 2002), il disavanzo di fusione, realizzato per incorporazione da parte di una società che gia possedeva l'intero capitale sociale dell'incorporata e che procede alla fusione senza aumentare il proprio capitale sociale e annullando tutte le quote rappresentative dell'intero capitale sociale dell'incorporata, può, nel regime previgente al 1° gennaio 1995 (data di entrata in vigore della L. n. 724 del 1994, il cui art. 27 ha introdotto il principio di neutralità fiscale delle fusioni), essere iscritta in bilancio alla voce avviamento, con la conseguenza che, ai sensi del comma 3 dell'art. 68 del D.P.R. n. 917 del 1986, è legittima la deduzione fiscale della quota di ammortamento. In particolare, è da rilevare che l'art. 2427 del codice civile, nel suo testo originario, era così formulato: "l'avviamento può essere iscritto all'attivo del bilancio soltanto quando è stata pagata una somma a tale titolo nell'acquisto dell'azienda alla quale si riferisce e per un importo non superiore al prezzo pagato". Lo specifico riferimento al pagamento di una somma di denaro, contenuto in tale formulazione, aveva ingenerato il dubbio che, così disponendo, il legislatore avesse inteso limitare l'iscrivibilità dell'avviamento alle ipotesi in cui l'azienda fosse stata acquistata mediante compravendita, posto che solo in tale ipotesi poteva propriamente parlarsi di "pagamento del prezzo". Ma tale dubbio fu superato considerando che la disposizione in esame aveva, come suo unico scopo, quello di vietare l'iscrizione in bilancio dell'avviamento originario (dovuto, cioè, unicamente all'attività del titolare dell'impresa), per la ragione che in tal caso l'iscrizione sarebbe stata effettuata sulla base di valori realizzabili solo in caso di cessione e quindi allo stato solo sperati, in contrasto con il principio di prudenza; e che non poteva, quindi, trarsi argomento dal suo tenore letterale per negare l'iscrivibilità in bilancio dell'avviamento acquisito da terzi sulla base di un atto diverso dalla compravendita, ma pur sempre a titolo oneroso. Da ciò il riconoscimento che anche la fusione potesse giustificare l'iscrizione in bilancio dell'avviamento, non diversamente da quanto previsto dalla disciplina vigente, introdotta dall'art. 9 del D.Lgs. 9 aprile 1991, n. 127 che, facendo ricorso, sulla scorta di quanto stabilito dall'art. 9 della Direttiva n. 78/660/CEE del 25 luglio 1978, all'espressione più comprensiva di "acquisto a titolo oneroso" - prevista nel nuovo testo dell'art. 2426, n. 6), del codice civile - ha fugato definitivamente i dubbi interpretativi ingenerati dalla formulazione originaria del citato art. 2427 del codice civile. Tale conclusione, contrariamente a quel che sembra ritenere l'Amministrazione finanziaria, è corretta. Invero, l'efficacia traslativa della fusione, nelle due forme previste dall'art. 2501 del codice civile, non può essere revocata in dubbio, dal momento che l'unificazione di più società separate ed indipendenti, che tale operazione determina, comporta concentrazione (e quindi il trasferimento) dei loro rispettivi patrimoni in un'unica struttura produttiva. Nè può dubitarsi che tale operazione abbia carattere oneroso, posto che i trasferimenti delle masse patrimoniali delle singole società che partecipano alla fusione sono tra loro collegati e interdipendenti. Questo aspetto è evidente quando la fusione porta alla costituzione di una società nuova, ma è non meno certo nel caso di incorporazione, in quanto i soci della società incorporata entrano a far parte della compagine sociale della società incorporante, acquisendo una nuova partecipazione, rappresentativa dell'intero patrimonio aziendale risultante dalla fusione, la cui entità è determinata sulla base del rapporto (cosiddetto di cambio) esistente tra i valori netti emergenti dalle situazioni patrimoniali delle due società. L'avviamento deve dirsi acquisito a titolo oneroso tutte le volte che il patrimonio delle società partecipanti alla fusione viene acquisito per un valore superiore a quello risultante dai rispettivi bilanci, a meno che non vi siano elementi per ritenere che tale eccedenza debba essere diversamente imputata. Quando la fusione avviene, come nel caso di specie, mediante incorporazione di una società interamente posseduta non si determina alcuno scambio di partecipazioni, non avendo la società incorporata altri soci all'infuori dell'incorporante, e non vi è quindi necessità di procedere alla determinazione del rapporto di cambio. In tal caso il "costo di acquisizione" del patrimonio sociale dell'incorporata deve essere necessariamente riferito all'acquisto delle sue partecipazioni effettuato preventivamente dalla società incorporante. Il riferimento non deve sorprendere, poiché le partecipazioni sociali sono beni di secondo grado, e, in quanto tali, sono rappresentative del patrimonio sociale, alla cui gestione ciascun socio è ammesso a partecipare, nei limiti e nelle forme stabilite dall'ordinamento della società (Cass. 12 dicembre 1995, n. 12733). Tra le partecipazioni al capitale di una determinata società e i beni ricompresi nel suo patrimonio vi è quindi un collegamento [di cui il legislatore ha preso atto; art. 33, comma 2, del D.Lgs. 9 aprile 1991, n. 127], il quale autorizza a ritenere che, in caso di incorporazione di una società (totalmente o parzialmente) posseduta dall'incorporante il patrimonio aziendale dell'incorporata possa essere iscritto in bilancio, invece che al valore indicato nel bilancio dell'incorporata, a quello attribuito alle partecipazioni che, prima della fusione, attribuivano alla società incorporante la qualità di socia della società incorporata. Altrettanto erroneo è l'assunto che il testo dell'art. 123, comma 2, del D.P.R. n. 917/1986 applicabile ratione temporis non consentisse l'iscrizione dell'avviamento nel bilancio della società incorporante in esenzione d'imposta. Tale articolo, dopo aver stabilito nel comma 1, che la fusione non costituisce realizzo né distribuzione delle plusvalenze e minusvalenze dei beni delle società fuse, comprese quelle relative alle rimanenze e il valore di avviamento", dispone con il comma 2 che nella determinazione del reddito della società incorporante o di quella risultante dalla fusione "non si tiene conto ... delle plusvalenze iscritte in bilancio fino a concorrenza della differenza tra il costo delle azioni o quote delle società incorporate annullate per effetto della fusione e il valore del patrimonio netto delle società stesse risultante dalle scritture contabili. Il testo originario faceva riferimento alle "plusvalenze dei beni ... comprese quelle relative alle rimanenze e il valore di avviamento". Secondo i ricorrenti, l'eliminazione di tale specifica menzione sarebbe indicativa della volontà del legislatore di rendere la disposizione inapplicabile all'iscrizione dell'avviamento nel bilancio del l'incorporante, che, pertanto, anche se consentita dalle disposizioni civilistiche, non avrebbe potuto essere operata in esenzione d'imposta, essendo tale possibilità circoscritta, cosi come era in precedenza stabilito dall'art. 16 del D.P.R. n. 598/1973, alle plusvalenze di singoli beni ricompresi nel patrimonio aziendale, tra i quali non poteva essere annoverato l'avviamento. In effetti, quest'ultima disposizione, che enunciava un principio analogo a quello sancito dal citato art. 123, non faceva alcun riferimento all'avviamento. La sua applicabilità non era tuttavia revocabile in dubbio, in quanto la possibilità di assorbire il disavanzo da annullamento non solo in caso di "rivalutazione effettiva e diretta di uno o più cespiti autonomamente individuati", ma anche nell'ipotesi di "rivalutazione indiretta dell'intera azienda acquisita, mercè iscrizione di una posta a titolo di avviamento", rispondeva a "principi ... non solo affermati dalla giurisprudenza (e dalla dottrina) precedenti l'entrata in vigore della riforma tributaria, ma altresì ... impliciti nella ricostruzione civilistica, prima ancora che fiscale, di quel particolare istituto che va sotto il nome di fusione per incorporazione senza cambio di azioni" (vd. già Cass. 3 luglio 1986, n. 4382). Il riferimento all'avviamento, contenuto nel. testo originario dell'art. 123 del testo unico del 1986, non era stato quindi innovativo, ma solo chiarificatore della disciplina previgente. Va tuttavia considerato che detta disposizione, nella sua nuova formulazione, consentiva l'iscrizione nel bilancio dell'incorporante di una posta a titolo di avviamento, sia che il disavanzo da fusione fosse correlato all'annullamento delle azioni o delle quote dell'incorporante, sia che esso fosse invece derivato dal rapporto di cambio delle società che avevano partecipato all'operazione di fusione. Tale assimilazione era stata oggetto di critiche. Disavanzo da annullamento e disavanzo da concambio sono infatti radicalmente diversi; il primo, presupponente l'incorporazione di una società (totalmente o parzialmente) posseduta, esprime, infatti, la differenza tra il valore netto del patrimonio dell'incorporata e il prezzo pagato per l'acquisto delle partecipazioni che lo rappresentano annullate per effetto della fusione, con la conseguenza che la sua utilizzazione è diretta a "riallineare" il valore contabile del patrimonio netto dell'incorporata al costo delle partecipazioni, facendo emergere valori (come quello relativo all'avviamento) che nel bilancio di esercizio dell'incorporata non erano stati (né potevano essere) considerati, mentre il secondo (cosiddetto disavanzo da concambio in caso di incorporazione) è dato dalla differenza tra il capitale della società incorporante e quello dell'incorporata, esso non è quindi espressivo di una differenza tra i valori - contabili e quelli correnti del patrimonio di quest'ultima società, con l'evidente conseguenza che un'eventuale rivalutazione del patrimonio dell'incorporata assumerebbe in tal caso un significato del tutto diverso da quello appena considerato. L'intervento correttivo attuato con l' art. 7, comma 6, della L. n. 68 del 1988 era diretto ad eliminare tale incongruenza, escludendo che il disavanzo da concambio potesse essere utilizzato per rivalutare il patrimonio della società incorporata. Non può, quindi, trarsi argomento dalla mancata riproduzione, nel nuovo testo, del riferimento all'avviamento per sostenere che, a seguito di tale innovazione, anche l'ambito di applicazione del disavanzo da annullamento era stato modificato, precludendone l'utilizzazione per l'iscrizione di una posta a titolo di avviamento nell'attivo del bilancio della società incorporante. Anche perché nel testo originario dell'art. 123 il termine "plusvalenze" era accompagnato dal riferimento delimitativo a quello di "beni", che non compare più nel nuovo testo introdotto dall'art. 7, comma 6, della L. n. 67/1988. In esso figura, invece, l'espressione più generica di "plusvalenze iscritte", che appare idonea a ricomprendere anche l'avviamento, posto che nel sistema del testo unico delle imposte sui redditi approvato con il D.P.R. n. 917/1986, come nella disciplina previgente (art. 5, comma 3, del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 598), il termine "plusvalenze" è utilizzato per designare qualsiasi entità, pertinente all'impresa, suscettibile di assumere un valore superiore a quello iniziale [59, comma 8, 123, comma 1, del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917]). Deve quindi ritenersi che, contrariamente a quanto sostenuto dalle ricorrenti, l'iscrizione dell'avviamento nel bilancio del l'incorporante non fosse assoggettabile ad imposta. Non varrebbe richiamarsi, in contrario, all'art. 21, comma 1, del D.L. 23 febbraio 1995, n. 41 (convertito, con modificazioni, nella L. 22 marzo 1995, n. 85), il quale stabilisce che i maggiori valori iscritti in bilancio per effetto dell'imputazione dei disavanzi di fusioni deliberate anteriormente al 14 gennaio 1995 si considerano fiscalmente riconosciuti a condizione che venga corrisposta una somma pari al 20 per cento dei valori medesimi. Detta previsione, infatti, è seguita dall'esplicita salvezza dell'operatività del regime tributario altrimenti applicabile relativamente ai maggiori valori per i quali non ci si avvalga di detto atipico condono, e, dunque, dichiaratamente, si astiene dal prendere posizione sull'interpretazione di quel regime, limitandosi ad offrire al contribuente la possibilità di "fiscalizzare" le plusvalenze da disavanzo di fusione, mediante una definizione, agevolata che prevenga o elida le controversie inerenti ai presupposti nel caso concreto del riconoscimento ai fini tributari di quei maggiori valori. Deve infine rilevarsi, con specifico riferimento alla questione posta nell'ultima parte del ricorso in esame (relativa alla mancata prova dell'effettivo pagamento, per l'acquisto della partecipazione, di un prezzo superiore al valore del patrimonio netto della partecipata al momento dell'acquisizione della partecipazione e dell'effettuazione di tale pagamento in ragione di un valore di avviamento effettivamente esistente) che, a prescindere da ogni altra considerazione, né dal ricorso né dalla sentenza impugnata tale questione risulta essere mai stata proposta nel corso del giudizio di merito e in tali termini essa deve essere considerata inammissibile in questa sede in quanto questione nuova implicante accertamenti di fatto, dovendosi in ogni caso evidenziare che nella specie non risulta essere mai stata in precedenza contestata l'esistenza di un "disavanzo di fusione" e che, come già sopra specificato, l'avviamento deve dirsi acquisito a titolo oneroso tutte le volte che il patrimonio delle società partecipanti alla fusione viene acquisito per un valore superiore a quello risultante dai rispettivi bilanci, a meno che non vi siano elementi per ritenere che tale eccedenza debba essere diversamente imputata (sul punto vd., tra le altre, Cass. n. 15093 del 2000). Il ricorso deve essere quindi rigettato. Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza. P.Q.M. - rigetta il ricorso e condanna le soccombenti al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in euro 1.600,00 di cui euro 1.500,00 per onorari oltre spese processuali e accessori di legge.