L'amministratore condominiale è legittimato a chiedere in via riconvenzionale - la condanna del condomino attore al pagamento di contributi condominiali

La legittimazione dell'amministratore del condominio dal lato attivo coincide con i limiti delle sue attribuzioni e in tale contesto l'amministratore ha la facoltà di proporre tutti i gravami che successivamente si rendano necessari in conseguenza della vocatio in ius. Deriva da quanto precede, pertanto, che qualora l'amministrazione condominiale sia stata evocata in giudizio da uno dei condomini per la ripetizione di contributi che si assumono non dovuti, agisce nei limiti delle attribuzioni di cui all'articolo 1130 del Cc l'amministratore che chieda - in via riconvenzionale - la condanna del condomino attore al pagamento di contributi condominiali. In una tale evenienza, quindi, detto amministratore non solo può agire attivamente in giudizio, a prescindere da una previa delibera dell'assemblea ma a seguito del rigetto della domanda da parte del primo giudice, può proporre impugnazione innanzi alla Corte di appello. (Corte di Cassazione Sezione 3 Civile, Sentenza del 22 aprile 2008, n. 10369)






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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MAZZA Fabio - Presidente

Dott. FINOCCHIARO Mario - rel. Consigliere

Dott. URBAN Giancarlo - Consigliere

Dott. LANZILLO Raffaella - Consigliere

Dott. D'AMICO Paolo - Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso (n. 13398/04 R.G.) proposto da:

ME. Ad., QU. Ba., elettivamente domiciliati in Roma, Via Alberico II n. 4, presso l'avv. Alfonso Picone, difesi dall'avv. QUINTAVALLE Battista giusta delega in atti;

- ricorrenti -

contro

Condominio di (OMESSO);

- intimato -

nonche' sul ricorso (n. 16878/04 R.G.) proposto da:

Condominio di (OMESSO), in persona dell'amministratore pro tempore Tr. Au., elettivamente domiciliato in Roma, Piazza Cavour n. 1, presso la Cancelleria della Corte Suprema di Cassazione, difeso dall'avv. Tr. Au., giusta delega in atti;

- controricorrente ricorrente incidentale -

contro

ME. Ad., QU. Ba.;

- intimati -

avverso la sentenza della Corte di Appello di Napoli, n. 1627/03 del 28 marzo - 14 maggio 2003 (R.G. 3983/99);

Udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 27 marzo 2008 dal Relatore Cons. Dott. Mario Finocchiaro;

Lette le conclusioni scritte del P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SALVI Giovanni, che ha concluso chiedendo che l'adita Corte rigetti il ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto 10 maggio 1990 il Condominio di (OMESSO), in persona dell'amministratore pro tempore, TR. Au. ha proposto opposizione avverso il decreto ingiuntivo emesso dal presidente del tribunale di Napoli il 3 aprile 1990, notificato il 24 aprile 1990, con il quale gli era stato ingiunto di pagare in favore di QU. Gi. e ME. Ad. la somma di lire 7.066.443 oltre interessi legali e spese.

Tali importi erano reclamati dal QU. e dalla ME., quali somme pagate al Condominio a seguito di conversione del pignoramento immobiliare eseguito in virtu' di due decreti ingiuntivi - del 18 luglio 1985 e del 17 marzo 1986 per il pagamento di contributi condominiali - successivamente revocati dal Tribunale di Napoli con sentenza del 28 settembre 1989 per ritenuta nullita' delle delibere assembleari.

A sostegno dell'opposizione il Condominio ha dedotto che nell'assemblea del 15 gennaio 1990 era stato deliberato di approvare "integralmente il Delib. assemblea 13 aprile 1985 e Delib. assemblea 1 luglio 1985, che qui abbiansi integralmente ripetute e trascritte", e che, pertanto, le controparti non potevano richiedere la restituzione delle somme per le quali era stata pronunciata l'ingiunzione.

Gli stessi ha riferito ancora l'opponente, non potevano neanche chiedere il rimborso delle spese giudiziarie per lire 2.414.435 in quanto essi avevano dato causa al procedimento e il credito dell'opponente nei confronti dei coniugi QU. - pari a lire 4.652.000 (lire 1.537.600 piu' lire 2.189.467, piu' lire 930.000 per interessi legali) - per la esecuzione di lavori condominiali, comunque, poteva dimostrarsi attraverso CTU.

Ha chiesto, per l'effetto il condominio opponente che, in virtu' delle spiegate riconvenzionali, fosse dichiarato estinto per compensazione il credito dei ricorrenti, e condannati gli stessi al risarcimento dei danni ex articolo 96 c.p.c., da liquidarsi in via equitativa.

Costituitisi gli opposti QU. Gi. e ME. Ad. hanno dedotto che il loro credito trovava causa nella dichiarata nullita' delle delibere condominiali per effetto della inesistenza della pretesa azionata, che la nullita' delle delibere, con le quali era stata disposta la assunzione e la ripartizione tra i condomini della spesa, non poteva essere convalidata ne' sanata con effetti retroattivi, ma soltanto rinnovata con effetto ex nunc e che la dedotta ratifica con l'assemblea del 15 gennaio 1990 era anche irrilevante, posto che essi concludenti dal 22 dicembre 1987 non e-rano piu' condomini, avendo alienato l'unita' immobiliare per la quale risultavano condomini.

Il rimborso delle spese processuali sostenute - hanno ancora evidenziato gli opposti - era dovuto in quanto l'attivita' esecutiva era stata malamente intrapresa ed astiosamente realizzata e che il vantato credito era prescritto, essendo connesso alla qualita' di condomini degli esponenti.

Hanno chiesto, per l'effetto, gli opposti fosse rigettata la opposizione ed in via gradata condannato il Condominio al pagamento della somma di lire 7.066.443 oltre interessi dal 7 settembre 1988.

Svoltasi la istruttoria del caso l'adito Tribunale di Napoli, con sentenza 7-28 marzo 2000 ha rigettato la opposizione nonche' la domanda riconvenzionale con condanna dell'opponente Condominio al pagamento delle spese del grado.

Gravata tale pronunzia in via principale dal Condominio di (OMESSO) e in via incidentale da QU. Gi. e ME. Ad. la Corte di appello di Napoli, con sentenza 28 marzo - 14 maggio 2003, in riforma della sentenza impugnata, ha accolto in parte l'opposizione proposta dal Condominio avverso il Decreto 3 aprile 1990 del presidente del tribunale di Napoli nonche', in parte, la domanda riconvenzionale e, per l'effetto, da un lato, ha annullato il decreto ingiuntivo opposto, dall'altro, ha dichiarato il debito del Condominio verso gli appellati essere pari a lire 2.414.335, oltre interessi dal 24 aprile 1990, compensato il credito vantato nei confronti di QU. Gi. e ME. Ad. pari a lire 2.444.350 oltre interessi dal 10 maggio 1990, da ultimo, ha condannato QU. Gi. e ME. Ad. al pagamento della residua somma di euro 46,58, oltre interessi legali dal 10 maggio 1990.

Per la cassazione di tale pronunzia non notificata hanno proposto ricorso, affidato a due motivi, ME. Ad. e QU. Gi..

Resiste, con controricorso e ricorso incidentale condizionato, affidato a due motivi, il Condominio di (OMESSO).

Il P.G. ha chiesto la trattazione della causa in Camera di consiglio ai sensi dell'articolo 375 c.p.c..

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. I vari ricorsi avverso la stessa sentenza devono essere riuniti, ai sensi dell'articolo 335 c.p.c..

2. L'eccezione di difetto di legittimazione processuale del Condominio, sollevata dagli appellati - ha affermato la sentenza impugnata - e' infondata.

L'amministratore del condominio e' legittimato a riscuotere i contributi dai singoli condomini in base alla ripartizione approvata dalla assemblea o anche in difetto del piano di riparto approvato senza necessita' di autorizzazione alcuna.

Di conseguenza, hanno precisato i giudici a quibus, l'amministratore e' legittimato promuovere il procedimento monitorio ed a resistere all'opposizione al decreto ingiuntivo.

La legittimazione processuale dell'amministratore del condominio - ha evidenziato ancora la sentenza impugnata - dal lato passivo non incontra limiti e sussiste anche nei giudizi relativi alla ripartizione delle spese per le cose ed i servizi comuni promossi dal condomino dissenziente dalla relativa delibera e in tale contesto l'amministratore ha facolta' di proporre tutti i gravami che si rendano necessari in conseguenza della vocatio in ius.

Nel caso in esame, per di piu' - ha concluso la propria indagine sul punto la sentenza impugnata - con Delib. 7 maggio 1990 l'Assemblea del Condominio ha li deliberato di proporre opposizione avverso il decreto ingiuntivo emesso su ricorso dei coniugi QU. e ME., dando mandato all'avv. Tr. per gli atti consequenziali, ed ancora con Delib. 21 gennaio 2000 ha deciso di proporre appello avverso la sentenza del tribunale di Napoli in oggetto, nominando legale l'avv. Tr..

3. I ricorrenti principali censurano nella parte de qua la sentenza impugnata, con il primo motivo, con il quale lamentano, in particolare, "violazione e falsa applicazione dell'articolo 132 c.p.c., nn. 3 e 4 e articolo 118 disp. att. c.p.c., in riferimento all'articolo 160 c.p.c., nn. 3, 4 e 5; violazione articolo 112 c.p.c., per ultrapetizione e extrapetizione per illegittimo accertamento di fatti costitutivi diversi da quelli allegati in violazione articoli 1130 e 1131 c.c., in relazione all'articolo 360 c.p.c., n. 5, omessa e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della causa - nullita' della sentenza per omessa trascrizione delle conclusioni delle parti - omessa e insufficiente motivazione errores in procedendo - errores in judicando - violazione e falsa applicazione articolo 1241 c.c.".

Si osserva, infatti, che la Corte di Appello di Napoli ha ritenuto infondato il difetto di legittimazione processuale, mai contestato da controparte, sollevato nel giudizio di primo grado dai condomini ME. - QU., assumendo che l'amministratore, dal lato passivo, non incontra limiti e pertanto puo' promuovere tutti i gravami necessari in conseguenza della vocatio in ius, mentre il caso prospettato e' diverso.

In particolare, si osserva che l'opponente non si e' limitato a resistere solo all'ingiunzione ma ha spiegato anche varie domande autonome (riconvenzionali), le quali, poiche' non sorrette da apposita autorizzazione debitamente deliberata dall'assemblea condominiale, andavano dichiarate inammissibili, trattandosi, nel caso di specie, di lite attiva (articolo 1131 c.c., comma 1).

In effetti - si precisa - non si nega la facolta' dell'amministratore di proporre gravame, ossia di appellare una sentenza a lui sfavorevole, ma il diritto dello stesso a proporre domande riconvenzionali, senza specifica delibera autorizzativa, trattandosi, si ripete, di lite attiva.

Inoltre, proseguono i ricorrenti, la dedotta inammissibilita' va eccepita anche sotto altro aspetto.

L'istituto della compensazione - si precisa - presuppone l'autonomia dei rapporti cui si riferiscano i crediti contrapposti, autonomia che, nel caso in esame, non sussiste, atteso che il presunto credito vantato dal condominio si riferisce ad un unico rapporto (oneri condominiali) per cui le domande riconvenzionali vanno respinte perche', appunto, inammissibili.

4. La censura, inammissibile per alcuni profili, manifestamente infondata per altri, non puo' trovare accoglimento.

4.1. Giusta la testuale previsione di cui all'articolo 366 c.p.c., nel testo anteriore alle modifiche introdotte dal Decreto Legislativo 2 febbraio 2006, n. 40 articolo 5, e applicabile nella specie ratione temporis - da cui totalmente prescinde parte ricorrente - "il ricorso per Cassazione deve contenere, a pena di inammissibilita' ... 4) i motivi per i quali chiede la cassazione".

Pacifico quanto sopra e' palese la inammissibilita' di tutte le censure genericamente "anticipate" nella "intestazione del motivo" e che non trovano alcun riscontro nella parte dedicata alla esposizione dei motivi che sorreggono la deduzione (atteso che in questa si fa menzione esclusivamente della, erroneamente a parere dei ricorrenti, affermata legittimazione a agire dell'amministratore del condominio controparte).

4.2. Sotto il profilo che doveva essere dichiarata la inammissibilita' della domanda riconvenzionale spiegata in primo grado (e ribadita in appello) dalla controparte per difetto di legittimazione dell'amministratore, la deduzione - come anticipato - pur se ammissibile in rito e' manifestamente infondata nel merito.

Come riteputamente affermato da questa Corte (tra l'altro proprio con la sentenza 2 dicembre 1997, n. 12204, richiamata in ricorso a sostegno dei propri assunti dai ricorrenti) "la legittimazione dell'amministratore del condominio dal lato attivo coincide con i limiti delle sue attribuzioni" e "in tale contesto l'amministratore ha la facolta' di proporre tutti i gravami che successivamente si rendano necessari in conseguenza della vocatio in ius".

Pacifico quanto precede, pacifico che qualora il convenuto propone una domanda riconvenzionale lo stesso si fa, a sua volta, "attore" e non controverso - per stessa ammissione dei ricorrenti - che nella specie la riconvenzionale spiegata dall'amministratore riguardava proprio la pretesa di ottenere il pagamento di contributi condominiali, e' evidente che l'amministratore, avendo agito nell'ambito nei limiti delle attribuzioni dell'articolo 1130 c.c. (in particolare, del n. 3 di tale articolo), bene poteva agire attivamente in giudizio al fine di "riscuotere i contributi per le spese occorrenti per la manutenzione ordinaria delle parti comuni dell'edificio e per l'esercizio dei servizi comuni", a prescindere da una previa delibera della assemblea e correttamente, a seguito del rigetto di tale domanda da parte del primo giudice, ha proposto impugnazione innanzi alla Corte di appello.

In alcun modo pertinenti e idonee a giustificare la cassazione della sentenza impugnata sono, ancora, le considerazioni svolte in margine alla denunziata "inammissibilita'" della riconvenzionale, non riguardando la stessa un rapporto autonomo e distinto, rispetto a quello azionato da essi concludenti.

Se, infatti, la compensazione in senso proprio presuppone l'autonomia dei due crediti, con la conseguenza che, quando si tratti di un unico rapporto, ancorche' complesso, non ricorre un'ipotesi di compensazione, e, quindi, il calcolo delle somme a credito e a debito puo' essere compiuto dal giudice anche d'ufficio, in sede di accertamento della fondatezza della domanda, restando inapplicabili le regole processuali dettate per tale istituto (cfr., ad esempio, Cass. 23 gennaio 1996, n. 479, nonche' Cass. 23 aprile 1998, n. 4174 ricordate dai ricorrenti) cio' non puo' che significare che se i giudici del merito potevano - dovevano verificare anche ex officio la esistenza di controcrediti del condominio, nascenti dello stesso rapporto, e' palese che non era affatto necessaria una apposita delibera assembleare perche' l'amministratore - legittimamente convenuto in giudizio dagli odierni ricorrenti - invocasse la esistenza di altre ragioni di credito, a favore del debitore condominio, nascenti dall'unico rapporto dedotto in giudizio dagli attori sostanziali e, cioe', dagli odierni ricorrenti.

Con tale deduzione, infatti, l'amministratore si e' limitato a sollecitare il giudice a compiere accertamenti cui questo ultimo era comunque tenuto anche di ufficio.

5. Ha accertato la Corte di appello di Napoli, sulla scorta delle risultanze della consulenza tecnica espletata in primo grado, che con delibere rispettivamente del 30 aprile 1984 e del 4 ottobre 1984 il Condominio ora controricorrente aveva deliberato, da un lato, di eseguire lavori di attintatura della facciata con tutte le opere connesse di rifacimento, ripristino e sistemazione, dall'altro, aveva affidato l'appalto dei lavori di attintatura e ripristino del fabbricato alla societa' SIEM per l'importo forfetario di 26 milioni.

Il ctu, ha ancora evidenziato la Corte di appello, ha verificato sia che il fabbricato condominiale era stato oggetto di interventi di ristrutturazione per un importo di lire 28.278.670, al quale l'ausiliare ha effettuato la detrazione di lire un milione, quale sconto applicato dall'impresa, sia che i condomini ME. e QU. non avevano pagato la quota a loro carico di tale spese determinata in lire 2.444.350 oltre interessi dalla domanda (10 maggio 1990) si' che correttamente tale importo e' stato opposto in compensazione ai predetti.

6. Con il secondo motivo i ricorrenti denunziano nella parte de qua la sentenza gravata, lamentando "violazione del giudicato in relazione all'articolo 2209 c.c. - violazione agli articoli 112 e 115 c.p.c. - omessa pronunzia in ordine ai fatti dedotti violazione del giusto contraddittorio - errores in procedendo errores in judicando - nullita' della sentenza per omessa e contraddittoria motivazione in relazione all'articolo 360 c.p.c., n. 4, violazione e falsa applicazione dell'articolo 2033 c.c. - illogicita' violazione articolo 24 Cost.".

Si osserva, infatti:

- che le Delib. 30 aprile e Delib. 4 ottobre 1984, emerse in modo irrituale, ovvero anomalo, e quindi fuori da ogni regola processuale, non possono trovare considerazione perche' non proposte dalle parti; oltretutto di esse non vi e' traccia nelle difese del resistente condominio;

le spiegate riconvenzionali, in compensazione, sono inammissibili per effetto dei giudicati che hanno determinato l'immutabilita' dei provvedimenti giurisdizionali, relativi alla dichiarata nullita' delle Delib. 13 aprile e Delib. 1 luglio 1985, mediante la preclusione del riesame e pronunzia del medesimo oggetto;

- secondo la Corte, non sono dovuti gli interessi ex articolo 2033 c.c., perche' non puo' desumersi che il condominio fosse consapevole di agire in base a un decreto ingiuntivo nullo, aggiungendo ancora che la richiesta rivalutazione monetaria e' inammissibile perche' non e' stata proposta nel ricorso per il decreto ingiuntivo del 12 marzo 1990, avendone i coniugi ricorrenti fatta espressa riserva di richiederla in separata sede;

- in realta' il nel giudizio definito con la sentenza n. 6757/91 del Tribunale di Napoli, l'amministratore, a seguito della querela di falso presentata dal QU. aveva dichiarato di non volersi avvalere dei documenti prodotti a sostegno della legittimita' dell'impugnata Delib. 13 aprile 1985, concernenti proprio l'approvazione dei lavori e l'illegittimo addebito della relativa quota (lire 2.444.350) ai condomini ME. - QU.;

- emerge quindi in modo ancor piu' palese ed inequivocabile che il condominio fosse ben consapevole di agire in mala fede, per cui andavano e vanno riconosciute fondate le richieste degli attuali ricorrenti in ordine agli interessi dovuti dal giorno del pagamento con la aggiunta della svalutazione monetaria oltre al risarcimento dei danni ex articolo 96 c.p.c..

7. Il motivo e' manifestamente infondato.

Alla luce delle considerazioni che seguono.

7.1. Come puntualmente evidenziato dalla difesa del controricorrente le Delib. del 1984, lungi dall'essere state irritualmente allegate al proprio fascicolo dall'appellante evidentemente nel corso del giudizio di appello, erano state in realta' prodotte in occasione della opposizione a decreto ingiunto, da parte del condominio ingiunto (come da annotazione del cancelliere).

Le stesse, comunque, sono state prese in esame e valutate dal consulente tecnico d'ufficio nel corso del giudizio di primo grado e non risulta in alcun modo sollevata, in quel grado di giudizio, successivamente al deposito dell'elaborato, alcuna eccezione di nullita', da parte degli odierni ricorrenti principali, per avere il consulente posto a base delle proprie indagini documenti non ritualmente acquisiti in atti.

7.2. Come pacifico tra le parti le sentenze coperte da giudicato, invocate dai ricorrenti principali, hanno dichiarato la nullita' delle Delib. del 1985.

E' di palmare evidenza, pertanto, che le stesse non spiegano alcun effetto con riguardo alle precedenti Delib. del 1984 (da cui sono nati i crediti opposti in compensazione) che non risulta ne' e' stato mai dedotto siano state poste nel nulla a seguito delle sentenze del 1989 e del 1991.

7.3. Nella specie, giusta la stessa prospettazione dei ricorrenti principali, non si e' a fronte a una compensazione in senso tecnico, ma all'accertamento dei crediti debiti nascenti da un unico rapporto giuridico.

E' evidente, pertanto, alla luce della stessa giurisprudenza invocata dai ricorrenti principali, la inapplicabilita' delle norme che regolano la compensazione, ivi compresa quella concernente il divieto di rilevarla di ufficio, le quali riguardano la ipotesi della compensazione in senso tecnico, la quale postula l'autonomia dei contrapposti rapporti di credito, ma non si applicano allorche' i rispettivi crediti e debiti abbiano origine da un unico rapporto ovvero da rapporti accessori, in assenza quindi di autonomia.

In questo caso - giusta quanto assolutamente pacifico presso una giurisprudenza piu' che consolidata - il calcolo delle somme a credito o a debito puo' essere compiuto dal giudice anche d'ufficio, in sede d'accertamento della fondatezza della domanda (cfr. Cass. 16 febbraio 2007, n. 3628; Cass. 25 agosto 2006, n. 18498; Cass. 11 gennaio 2006, n. 260).

E' di palmare evidenza, pertanto, che la dedotta violazione dell'articolo 112 c.p.c., non sussiste.

7.4. Quanto, ancora, alla richiesta attribuzione - sulle somme pagate in esecuzione delle delibere poi dichiarate mille - degli interessi dalla data del pagamento la censura e' in primis inammissibile.

I ricorrenti, infatti, prescindono dal considerare che la verifica in concreto, come compiuta nella specie dal giudice del merito (che ha accertato che "dagli atti di causa non puo' desumersi che il condominio fosse consapevole di agire in executivis in base a un decreto ingiuntivo nullo") integra un accertamento di fatto, come tale insindacabile in sede di legittimita'.

7.5. Anche a prescindere da quanto precede, comunque, si osserva che giusta quanto assolutamente pacifico presso una giurisprudenza piu' che consolidata di questa Corte regolatrice - e da cui totalmente e senza alcuna motivazione prescinde parte ricorrente - nel giudizio di cassazione e' preclusa alle parti la prospettazione di nuove questioni di diritto che postulino indagini ed accertamenti di fatto non compiuti dal giudice del merito, a meno che tali questioni non abbiano formato oggetto di gravame o di contestazione nel giudizio di appello (Cass. 16 agosto 2004, n. 15950; Cass. 19 marzo 2004 n. 5561).

Contemporaneamente, non puo' tacersi che ove una determinata questione giuridica - che implichi un accertamento di fatto - non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, il ricorrente che proponga la suddetta questione in sede di legittimita', al fine di evitare una statuizione di inammissibilita', per novita' della censura, ha l'onere non solo di allegare l'avvenuta deduzione della questione innanzi al giudice di merito, ma anche di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dare modo alla Corte di cassazione di controllare ex actis la veridicita' di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la questione stessa (Cass. 5 aprile 2004, n. 6656).

Pacifico quanto sopra, pacifico che nella sentenza impugnata si tace del verbale di udienza del 28 novembre 1988 relativa a altra controversia tra le stesse parti e che i ricorrenti principali hanno omesso di indicare in quale occasione abbiano invocato, a fondamento del proprio diritto a reclamare gli interessi ex articolo 2033 c.c., sulle somme indebitamente corrisposte al condominio, tale verbale e' evidente la inammissibilita' sotto il profilo in questione della deduzione.

7.6. Al riguardo, inoltre, e' assolutamente irrilevante che si si'a in presenza di un documento comunque gia' esistente negli atti del giudizio di appello.

In termini opposti rispetto a quanto invocato dai ricorrenti principali, infatti, deve ribadirsi - in conformita', del resto, ad una giurisprudenza piu' che consolidata di questa Corte regolatrice, che il giudice ha il potere-dovere di esaminare i documenti prodotti dalla parte e, quindi, a maggior ragione allegati dal consulente alla propria relazione solo nel caso in cui la parte, interessata, ne faccia specifica istanza esponendo nei propri scritti difensivi gli scopi della relativa esibizione con riguardo alle sue pretese, derivandone altrimenti per la controparte la impossibilita' di controdedurre e per lo stesso giudice impedita la valutazione delle risultanze probatorie e dei documenti ai fini della decisione (cfr. Cass. 16 agosto 1990, n. 8304).

Poiche' nel vigente ordinamento processuale, caratterizzato dall'iniziativa della parte e dall'obbligo del giudice di rendere la propria pronunzia nei limiti delle domande delle parti, al giudice e' inibito trarre dai documenti comunque esistenti in atti determinate deduzioni o indicazioni, necessarie ai fini della decisione, ove queste non siano specificate nella domanda, o - comunque - sollecitate dalla parte interessata (cfr. Cass. 12 febbraio 1994, n. 1419) e' palese che e-sattamente i giudici del merito hanno ritenuto irrilevanti, al fine del decidere, i documenti allegati alla consulenza tecnica d'ufficio di primo grado su iniziativa unilaterale dello stesso consulente, ove nessuna delle parti abbia, esplicitamente, fondato sugli stessi alcuna difesa.

La regola, infatti, secondo cui il documento prodotto da uno dei contendenti, a sostegno delle proprie deduzioni, puo' essere utilizzato a vantaggio di un'altra parte, in relazione a contenuto ad essa favorevole, solo se e nei limiti in cui tale parte lo abbia specificamente e ritualmente invocato a corredo delle sue tesi, considerato che l'indagine sulla consistenza probatoria di un atto postula che l'interessato lo abbia allegato a dimostrazione di una determinata pretesa (cfr., Cass. 7 febbraio 1995, n. 1385) deve trovare, a maggior ragione, applicazione in caso di documenti acquisiti, esorbitando dall'incarico datogli dal giudice, dal consulente tecnico d'ufficio.

Le domande e le eccezioni sulle quali le parti hanno il diritto di ottenere una pronunzia nel giudizio di merito sono solo quelle proposte formalmente - id est espressamente formulate o, quantomeno, palesemente desumibili dal contesto dell'atto processuale nel quale sono inserite e, comunque, dotate dei prescritti requisiti di specificita' - nonche' tempestivamente introdotte, id est entro i limiti temporali o processuali stabiliti dal codice di rito, nel giudizio stesso.

Perche' il giudice, in altri termini, possa e debba esaminare documenti versati in atti lo stesso deve accertare, oltre la ritualita' della produzione, cioe' verificare che la produzione stessa sia avvenuta nel rispetto delle regole del contraddittorio, anche la esistenza di una domanda, o di una eccezione, espressamente basata su quei documenti (recentemente, in argomento, cfr., ad esempio, Cass., 22 novembre 2000, n. 15103, specie in motivazione).

7.7. Correttamente - concludendo sul punto - i giudici del merito hanno negato il diritto alla rivalutazione del credito "in quanto non proposta nel ricorso per decreto ingiuntivo ... ove i coniugi QU., hanno fatto espressa riserva di domandare separatamente il risarcimento del danno e la rivalutazione monetaria", nonche' rigettato la domanda ex articolo 96 c.p.c., atteso che il suo accoglimento presuppone - tra l'altro - la totale soccombenza dell'altra parte, mentre nella specie tale requisito, anche atteso che il giudizio si e' concluso non con la condanna del condominio al pagamento di una somma in favore degli odierni ricorrenti principali, ma nella condanna di questi ultimi al pagamento di un importo (ancorche' di non rilevante entita') in favore della controparte.

8. Risultato infondato in ogni sua parte il proposto ricorso deve rigettarsi, con assorbimento del ricorso incidentale, espressamente condizionato all'accoglimento di quello principale e con condanna dei ricorrenti principali al pagamento delle spese del giudizio, liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

LA CORTE

riunisce i ricorsi;

rigetta il ricorso principale; dichiara assorbito quello incidentale;

condanna i ricorrenti principali, in solido, al pagamento delle spese di questo giudizio di legittimita' liquidate in euro 1.600,00 di cui euro 1.500,00 per onorari, e oltre rimborso forfetario delle spese generali e accessori come per legge.

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