L’imprenditore commerciale per vedersi riconoscere il risarcimento del danno per ritardato pagamento deve dimostrare di aver fatto ricorso al credito bancario per il periodo immediatamente successivo alla mora

L’imprenditore commerciale per vedersi riconoscere il risarcimento del danno per ritardato pagamento deve dimostrare di aver fatto ricorso al credito bancario per il periodo immediatamente successivo alla mora. Non è necessario infatti fornire l’ulteriore prova secondo cui l’esposizione nei confronti dell’istituto è aumentata in conseguenza del mancato tempestivo godimento della somma di denaro oggetto della prestazione in quanto il nesso causale fra i due eventi, è da ritenersi provato in base a una presunzione semplice. Pertanto rispetto al maggior danno ex articolo 1224 Cc l’interessato deve fornire dati personalizzati utili a valutare, nel caso concreto, gli effetti negativi determinati dalla ritardata disponibilità della somma di denaro. Il che per l’imprenditore può significare il calcolo forfettario del danno alla luce del costo del prestito bancario. (Cassazione Civile, Sezione I, – sentenza del 31 agosto 2007, n. 18450).



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Svolgimento del processo

Con sentenza in data 31 marzo 1999, il Tribunale di Roma respinse l'opposizione proposta dalla Ragione Lazio contro il decreto ingiuntivo emesso dal Presidente del Tribunale di Roma il 5 agosto 1997 su istanza della s.a.s. Studio Ria, e compensò le spese del giudizio.

Contro questa sentenza la s.a.s. Studio Ria propose appello, chiedendo in riforma della sentenza di primo grado la condanna dell'appellata al risarcimento del maggior danno derivante dalle esposizioni bancaria nella misura indicata, ovvero in quelle diverse ritenute di giustizia, nonché al pagamento delle spese processuali anche del primo grado.

Con sentenza 11 novembre 2002, la Corte d'appello di Roma respinse il gravame. La corte ritenne generico il motivo di gravame, con il quale si allegavano la esposizioni bancarie con le quali la società avrebbe dovuto far fronte alla deficienza di cassa, affrontando spese molto maggiori degli interessi legali riconosciuti dall'ingiunzione, e che sarebbero stati riscontrabili dagli estratti conto in atti, con riferimento al rilevante ammontare degli interessi passivi, corrisposti in misura molto superiore al tasso legale: l'appellante, secondo la corte, non aveva fornito alcuna allegazione che l'asserito ricorso al credito bancario fosse diretta conseguenza del mancato tempestivo godimento della somma dovuta. La parte aveva, infatti, l'onore d'allegazione, il cui assolvimento consentisse al giudice di verificare ne, tenuto conto delle qualità personali del creditore, potesse essersi verosimilmente prodotto il maggior danno lamentato.

Per la cassazione della sentenza, non notificata, ricorre la s.a.s. studio Ria, con atto notificato il 4 aprile 2003, affidato a due motivi.

La Ragione Lazio resiste con controricorso notificato il 14 maggio 2003.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo di ricorso si denunzia la violazione e falsa applicazione degli artt. 1224 comma secondo e 2697 cc., e vizi i motivazione su un punto centrale della controversia. Si censura l’affermazione della mancata dimostrazione, da parte della società appellante, che il credito bancario fosse diretta conseguenza degli insoluti per cui è causa. Ciò sarebbe contraddetto dalle risultanze processuali, essendo pacifico che la ricorrente è un operatore commerciale, che ha fatto ricorso al credito bancario per rilevanti importi, essendo in atti numerosissimi estratti conto.

Con il secondo motivo di ricorso si denuncia la violazione degli artt. 1224, 1226, 2056, 2697, 2727 e 2729 c.c. e difetto di motivazione su un punto centrale della controversia. Si censura l'affermazione della corte d'appello, che nella liquidazione e quantificazione del maggior danno da svalutazione monetaria non possa farsi uso di criteri presuntivi, avuto riguardo alla qualità di imprenditore commerciale propria della società ricorrente.

I due motivi devono essere esaminati insieme, per la loro stessa connessione. Nel controricorso si eccepisce pregiudizialmente l’inammissibilità del ricorso, per non aver censurato la ratio decidendi: la corte d'appello non aveva negato la qualità di operatore commerciale né l'avvenuto ricorso al credito bancario, come si lamenta nel ricorso, bensì l’allegazione che ciò fosse diretta conseguenza del mancato tempestivo godimento della somma dovuta. L’eccezione non è fondata, perché con il ricorso si censura puntualmente la ratio decidendi dell'impugnata sentenza, costituita dall'affermazione che mancherebbe la dimostrazione che il passivo documentato con gli estratti conto bancari era dipeso anche dagli insoluti della Ragione.

Nel merito, le doglianze della ricorrente sono fondate. Deve qui trovare applicazione il principio affermato dalle Sezioni unite di questa corte, per il quale, ai fini del riconoscimento del maggior danno di cui all’art. 1224 cpv. c.c., l’interessato deve fornire dei dati personalizzati, alla luce dei quali valutare se sussistono presupposti per una valutazione, secondo criteri, di probabilità, e normalità, della modalità,di utilizzazione del denaro, e, quindi, degli effetti nel caso concreto della sua ritardata disponibilità; e, nei limiti degli elementi forniti dal danneggiato, il suddetto principio può comportare, in favore del creditore esercente attività imprenditoriale, la considerazione della necessità di avvalersi del prestito bancario, e quindi il calcolo forfetario del danno in questione alla luce del costo del prestito bancario (Cass. Sez. un. 5 aprile 1986 n. 2368). Posto che il ricorso al credito bancario da parte di una società commerciale, nel tempo immediatamente posteriore all’inadempimento, sia stato provato, non può invece pretendersi - in mancanza di specifici elementi che nella fattispecie non sono enunciati - un'ulteriore prova del nesso causale tra inadempimento e ricorso al credito bancario. Infatti, trova qui applicazione la presunzione semplice che al credito bancario, che comporta dei costi, gli imprenditori commerciali in tanto fanno ricorso, in quanto non sono nelle condizioni di autofinanziarsi; e che la riscossione dei crediti pecuniari, fornendo liquidità all'impresa, le consente di ridurre proporzionalmente il ricorso al credito bancario, e di sottrarsi ai relativi costi.

La sentenza impugnata, che è affetta dal vizio di legittimità sopra indicato, deve essere pertanto rimessa alla medesima corte territoriale, in altra composizione, perché - anche ai fini delle spese del presente giudizio di legittimità - proceda ad un nuovo giudizio, nel quale deciderà in conformità del principio di diritto per il quale, in caso di mora nelle obbligazioni pecuniarie, ai fini del riconoscimento del maggior danno previsto dall'art. 1224 cpv. c.c., l’imprenditore commerciale che abbia dimostrato di aver fatto ricorso al credito bancario per periodo immediatamente successivo alla mora non deve dare la prova ulteriore, che tale ricorso è conseguenza dell'inadempimento, dovendosi tale nesso causale ritenere provato in base ad una presunzione semplice.

PQM

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata in parte qua, e rinvia la causa alla stessa corte, in altra composizione, anche per la spese del presente giudizio di legittimità.

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