L'obbligazione di risarcimento del danno, sebbene derivante da inadempimento contrattuale, costituisce debito di valore

L'obbligazione di risarcimento del danno, sebbene derivante da inadempimento contrattuale, costituisce debito di valore, come tale quantificabile tenendo conto, anche d'ufficio, della svalutazione monetaria sopravvenuta fino alla data della liquidazione. In applicazione di tale principio, la S.C. ha confermato la sentenza di merito, che, nell'accogliere la domanda di condanna di una banca al risarcimento del danno per inadempimento agli obblighi anche informativi, derivanti da un contratto di conto corrente bancario, aveva liquidato la somma dovuta tenendo conto della svalutazione monetaria, ritenendo che la domanda non fosse mirata alla mera restituzione delle somme indebitamente detratte al correntista.

Corte di Cassazione Sezione 1 Civile, Sentenza del 10 marzo 2010, n. 5843



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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CARNEVALE Corrado - Presidente

Dott. SALVAGO Salvatore - Consigliere

Dott. CECCHERINI Aldo - Consigliere

Dott. NAPPI Aniello - Consigliere

Dott. CULTRERA Maria Rosaria - rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 25837-2005 proposto da:

UN. BA. S.P.A. (c.f. (OMESSO) - P.I. (OMESSO)), gia' Cr. It. s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE BRUNO BUOZZI 77, presso l'avvocato DEL BUFALO PAOLO, che la rappresenta e difende unitamente all'avvocato SCORZA GIUSEPPE, giusta procura a margine del ricorso;

- ricorrente -

contro

FO. GI. , FO. RO. , F. F. , D'. CA. ;

- intimati -

sul ricorso 29180-2005 proposto da:

FO. GI. (c.f. (OMESSO)) in proprio, FO. RO. , F. F. , tutti nella qualita' di eredi di CA. MA. , elettivamente domiciliati in ROMA, VIA POMPEO MAGNO 2/B, presso l'avvocato GUZZI RODOLFO, che li rappresenta e difende unitamente all'avvocato LEVATO BIAGIO FRANCESCO, giusta procura a margine del controricorso e ricorso incidentale;

- controricorrenti e ricorrenti incidentali -

contro

UN. BA. S.P.A., gia' Cr. It. s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE BRUNO BUOZZI 77, presso l'avvocato DEL BUFALO PAOLO, che la rappresenta e difende unitamente all'avvocato SCORZA GIUSEPPE, giusta procura a margine del ricorso principale ;

- controricorrente al ricorso incidentale -

contro

D'. CA. ;

- intimati -

avverso la sentenza n. 3 795/2004 della CORTE D'APPELLO di ROMA, depositata il 06/09/2004;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 10/12/2009 dal Consigliere Dott. MARIA ROSARIA COLTRERA;

udito, per la ricorrente principale, l'Avvocato FILIPPO TORNABUONI, con delega, che ha chiesto l'accoglimento del ricorso principale, rigetto dell'incidentale;

udito, per i controricorrenti e ricorrenti incidentali, l'Avvocato BIAGIO FRANCESCO LEVATO che ha chiesto il rigetto del ricorso principale, l'accoglimento dell'incidentale;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. APICE Umberto che ha concluso per l'accoglimento del quarto motivo del ricorso principale e rigetto dei restanti motivi dello stesso ricorso; per l'accoglimento del ricorso incidentale.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO I coniugi Fo. Gi. e Ca. Ma. con atto 29 gennaio 1988 citarono innanzi al Tribunale di Roma il Cr. It. s.p.a. e D'. Ca. , funzionario della banca addetto alle relazioni col pubblico, per ottenere la condanna della banca, previo rendiconto, alla restituzione della somma di lire 450.000.000 pari agli importi di due ammanchi di complessive lire 450.000.000, di cui lire 150.000.000 riscontrato sul conto corrente ordinario n. (OMESSO) cointestato, ed il residuo sul conto deposito titoli n. (OMESSO), di cui era titolare il solo Fo. Gi. . In alternativa chiesero condannarsi in solido entrambi i convenuti, per quanto riguarda la banca sotto il duplice profilo della responsabilita' contrattuale per inadempienza e della responsabilita' extracontrattuale ai sensi dell'articolo 2049 c.c. al ristoro del pregiudizio patito in lire 500.000.000.

Contumace il D'. , la banca contesto' la propria responsabilita' contrattuale eccependo la tacita approvazione degli estratti conto, e quella extracontrattuale, che imputo' in via esclusiva al proprio dipendente per avere operato nell'ambito di rapporti personali intrattenuti con gli attori.

Il Tribunale respinse la domanda con sentenza 29 aprile 1992.

La statuizione, impugnata dagli attori innanzi alla Corte d'appello di Roma, venne confermata con sentenza 28 marzo 1995 che sostenne la tesi, gia' affermata dal primo giudice, secondo cui l'omessa tempestiva impugnazione dei conti trimestrali in cui figuravano le poste controverse, avendone comportato tacita approvazione, aveva precluso qualsiasi successiva contestazione, ed escluse altresi' la responsabilita' extracontrattuale della banca, derivando dalla condotta mantenuta dai correntisti ratifica dell'operato del suo funzionario.

Gli attori proposero quindi ricorso innanzi a questa Corte di Cassazione che, con sentenza 11 agosto 1998 n. 7869, casso' la decisione impugnata con rinvio degli atti al giudice d'appello, cui rimise l'indagine sulla fondatezza delle contestazioni mosse dagli attori. I supremi giudici sostennero che, dal momento che la stessa banca aveva eccepito l'estraneita' delle appostazioni controverse al rapporto bancario, le risultanze contabili in discussione, di fatto incluse negli estratti conto, erano sottratte alla rigorosa disciplina dell'articolo 1832 c.c., riferibile al conto corrente ordinario in cui erano confluite anche le operazioni sui titoli. L'azione esercitata, volta a contestare gli atti dispositivi posti a base delle poste del conto per vizi che ne comportavano invalidita' o inefficacia, non era pertanto coperta dall'effetto confessorio dell'approvazione tacita degli estratti conto, con conseguente obbligo del giudice di merito di verificarne la fondatezza attraverso accesso al procedimento di verificazione della falsita' delle sottoscrizioni disconosciute, che erroneamente non era stato ammesso nelle fasi pregresse.

La Corte territoriale, con sentenza n. 3795 depositata il 6 settembre 2004, ha quindi accolto parzialmente il gravame dei coniugi Fo. - Ca. , pronunciando condanna nei confronti solo dell' Un. , nelle more subentrato al Cr. It. , al pagamento della somma originariamente chiesta convertita in euro 232.405,60 oltre accessori, nonche' alla refusione delle spese del doppio grado di giudizio in favore del Fo. e degli eredi della Ca. , costituitisi in giudizio in seguito al decesso di quest'ultima, intervenuto nelle more del giudizio. Tale decisione e' stata infine impugnata dall' Un. Ba. s.p.a. col presente ricorso per cassazione affidato a quattro mezzi. Hanno resistito Fo. Gi. in proprio e unitamente ai germani Fo. Ro. e F. in qualita' di eredi di Ca. Ma. con controricorso contenente ricorso incidentale, a sua volta articolato in tre motivi resistiti dalla ricorrente principale. Entrambe le parti hanno depositato memoria difensiva ai sensi dell'articolo 378 c.p.c..

MOTIVI DELLA DECISIONE

In linea preliminare si dispone la riunione del ricorsi ai sensi dell'articolo 335 c.p.c. in quanto sono stati proposti avverso la medesima decisione.

Ancora in limine devesi dichiarare l'ammissibilita' del ricorso incidentale.

E' infatti infondata l'eccezione del ricorrente principale, che ne ha dedotto l'inammissibilita' per tardivita' in quanto, avendo ad oggetto motivi autonomi rispetto alle censure mosse nel ricorso principale, avrebbe dovuto proposto entro il termine ordinario previsto per l'impugnazione della sentenza de qua, che alla data della sua notifica era ormai spirato.

L'articolo 334 c.p.c. consente alle parti contro le quali e' proposta impugnazione di proporre impugnazione incidentale anche se per esse e' decorso il termine o hanno fatto acquiescenza. La ratio della disposizione sta nell'opportunita' di consentire alla parte anzidetta d'accettare la decisione, in condizione di reciproca soccombenza, solo se l'abbia accettata anche controparte, e di attenderne quindi l'iniziativa senza dover proporre impugnazione. In difetto di limitazioni oggettive, essa opera in relazione a qualsiasi capo della sentenza. L'interesse all'impugnazione incidentale tardiva sorge infatti solo dall'impugnazione principale e puo' ritenersi soddisfatto solo se il soccombente puo' impugnare qualsiasi parte della sentenza a lui sfavorevole, sia essa quella gia' investita dall'impugnazione principale, sia essa esterna a tale ambito. Come si assume in dottrina, d'altronde, "il soccombente pro parte misura l'esito del giudizio esercitando una valutazione complessiva ed unitaria di tutte le pronunce, sfavorevoli e favorevoli, costituenti il contenuto della sentenza".

Tale esegesi, ormai consolidata nell'orientamento di questa Corte a partire dalle decisione delle S.U. n. 4640/1989, indi riaffermata ancora dalle Sezioni Unite n. 6 52/98 nonche' dalle pronunce a sezioni semplici nn. 5550/04, 12920/04, 19155/05, 2127/07, 8212/07, 14969/07, ha ricevuto ulteriore conferma nella recente decisione n. 9741/2008 delle Sezioni Unite che, dirimendo (contrasto sorto in ordine all'ambito applicativo del disposto dell'articolo 370 c.p.c..

E' indiscusso che questo termine nel caso di specie e' stato rispettato. Il ricorso incidentale e' stato notificato il 18 novembre 2005, tempestivamente rispetto alla data del 19 ottobre precedente di notifica del ricorso principale. L' Un. , ricorrente principale, denuncia col primo motivo violazione e falsa applicazione degli articoli c.c. degli articoli 346, 383, 384, 389, 392 e 394 c.p.c, e vizio d'insufficiente e contraddittoria motivazione su punto decisivo della controversia.

Deduce omessa pronuncia sulle eccezioni e le difese argomentate in primo grado che, non riproposte con impugnazione incidentale ne' nel primo giudizio d'appello ne' in cassazione . in quanto assorbite dalla pronuncia d'inoppugnabilita' degli estratti conto incontestati, erano state tuttavia integralmente richiamate in sede di rinvio, ed investivano questione decisiva, avente ad oggetto l'indagine sulla riferibilita' del denunciato ammanco al rapporto personale tra gli attori ed il D'. . Prosegue asserendo che la Corte territoriale ha altresi' disapplicato il principio dell'unita della giurisdizione, che consente al giudice civile di porre a base del suo convincimento fatti ed atti acquisiti in sede penale, laddove ha affermato l'irrilevanza dei documenti all'uopo prodotti, rappresentati dalla sentenza del Pretore di Roma 27.1.89 che pronuncio' sul reato di truffa ai danni della banca ascritto al D'. , e dalla sentenza della Corte di Cassazione del 22.4.2003, che respinse analoga domanda proposta da tale C.G. . La Corte di merito inoltre ha errato nel ritenere sia che la prima decisione coglie solo un riferimento al rapporto di amicizia tra il predetto ed i coniugi Fo. , sia che l'altro precedente riguardasse un caso ben diverso. Le emergenze accertate dal giudice penale, puntualmente riferite, avrebbero di contro disvelato che gli attori, cosi' come i sigg. C. e c. , avevano affidato la gestione dei loro risparmi al D'. il quale aveva agito, in forza di tale rapporto personale, in concorrenza con la banca, ed al di fuori del rapporto bancario.

I resistenti chiedono il rigetto del motivo , rilevando che la Corte territoriale ha esaminato tutte le avverse eccezioni e difese, motivandone, con pronuncia nel merito, l'infondatezza. Nel resto il motivo ripropone indagine sui fatti, inammissibile in sede di legittimita'.

Il motivo devesi dichiarare privo di fondamento.

La Corte territoriale ha circoscritto il thema decidendum, interpretato alla stregua del principio espresso nella pronuncia della Cassazione, entro il limite dell'accertamento della responsabilita' contrattuale della banca nella gestione di entrambi i conti, dunque teso a verificare se le poste impugnate fossero valide in base agli atti dispositivi costituenti la base di ciascuna posta. Ha ritenuto percio' preclusa l'indagine, sollecitata nelle sue difese dalla banca, sui rapporti personali tra gli attori ed il D'. , che lo avevano asseritamente legittimato ad operare sui conti al di fuori del rapporto bancario. Nondimeno ha apprezzato nel merito le risultanze ... emergenti dalle decisioni prodotte a sostegno della sua tesi difensiva dalla banca, reputandole irrilevanti alla luce delle ragioni puntualmente riferite. Difatti, la sentenza penale del Pretore di Roma 27.1.89 che assolse il D'. dal reato di truffa ai danni della banca, conteneva infatti mero riferimento ad un suo rapporto d'amicizia con i coniugi Fo. , ma non certo ad un'intesa che lo legittimasse ad operazioni d'investimento. La sentenza della Corte d'appello di Roma del 22.4.2003 che aveva rigettato analoga domanda proposta da tal C. , aveva ad oggetto un caso diverso.

Nel merito ha affermato che l'espletata consulenza grafica ha accertato che ben 10 documenti, specificamente descritti, contenenti appostazioni passive, recavano la sottoscrizione apocrifa Fo. Gi. , e le ha pertanto dichiarato mille ed inefficaci, escludendole dal conto. Tale decisione tratteggia correttamente i limiti del giudizio di rinvio, circoscrivendoli al mero accertamento della validita' delle poste contestate sulla base dell'enunciato della sentenza della cassazione. Ed invero, seppur non fosse tenuta a proporre ricorso incidentale non potendosi ravvisare la sua soccombenza in ordine all'eccezione dichiarata assorbita, la banca ricorrente aveva comunque l'onere di riproporre siffatta eccezione, di cui ora lamenta omesso esame, sollecitandone il riesame al giudice delle pregresse fasi impugnatorie, ove invece essa stessa ammette di non averla affatto richiamata. Ha pertanto consumato palese violazione del disposto dell'articolo 346 c.p.c. a tenore del quale le eccezioni non accolte nella precedente sentenza, e tra queste devono intendersi anche quelle sulle quali non sia intervenuta pronuncia espressa perche' assorbite, se non siano state espressamente riproposte, s'intendono rinunciate (cfr. Cass. nn. 2146/06 e 8854/07). Il corollario ne ha comportato la presunzione d'abbandono, come del resto ha statuito, seppur implicitamente, questa Corte di Cassazione con la sentenza sopra indicata, e; su tale tracciato la Corte territoriale in sede di rinvio con la sentenza in esame.

Nel resto la denuncia in esame investe un passaggio logico della decisione impugnata che, secondo il suo articolato percorso argomentativo, non ha rilievo decisivo in quanto attiene a questione, dichiarata preclusa, comunque esaminata e verificata nel merito evidentemente solo per esigenze di completezza. La sua definizione, ancorche' risultasse conforme alla tesi sostenuta dalla banca, non potrebbe percio' influire, ne' del resto ha influito, sul decisimi conclusivo, che ha ben diverso fondamento giustificativo.

Resta da osservare peraltro che il motivo mira ad una nuova lettura dei fatti, inammissibile in questa sede. Il principio dell'unita' della giurisdizione, che si assume violato, consente al giudice civile d'attingere dagli atti del processo penale elementi idonei alla formazione del suo convincimento, procedendo anche ad esame diretto del materiale probatorio acquisito in quella sede e sottoponendolo a valutazione critica, che resta comunque autonoma e svincolata da quella gia' data dal giudice penale. L'interpretazione del giudicato, infatti, rappresenta sempre e comunque un apprezzamento di fatto che, se puntualmente motivato, non puo' essere sindacato in questa sede - Cass. 4404-2006. Nel caso di specie, il giudice d'appello ha apprezzato nel merito le risultanze emergenti dalle decisioni emesse in altra sede e prodotte a sostegno della sua tesi difensiva dalla banca, reputandole irrilevanti alla luce delle ragioni puntualmente riferite, dunque illustrando con adeguata motivazione la sua sintesi conclusiva.

Col secondo motivo l'istituto ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli articoli 1823 e 1832 c.c. nonche' dell'articolo 2697 c.c. e correlato vizio d'omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su punti decisivi della controversia. Assume che la decisione impugnata sarebbe errata avendo fondato sulle risultanze della c.t.u. la pronuncia di condanna alla somma richiesta dagli attori, lievitata, per effetto della rivalutazione monetaria attribuita, all'importo di euro 776.386,04. Riepiloga con particolare specificita' i movimenti dei conti intestati agli originari attori, e riferisce che questi ultimi disposero la chiusura del conto aperto presso l'agenzia (OMESSO), ubicata nei pressi della loro abitazione, e l'apertura di altro conto presso altra agenzia, la n. (OMESSO) ove prestava servizio il D'. , per inferirne che i predetti, tenendo per buone le poste attive, pretenderebbero contestare solo quelle a debito, che pur avevano conosciuto attraverso gli estratti conto, non contestati, e ratificati. Ed infatti il c.t.u. ha riscontrato che le scritture esaminate recavano sono in parte sottoscrizioni apocrife. I fatti possono trovare giustificazione solo alla luce del loro rapporto personale col D'. , che poteva raccoglierne la firma ovvero contraffarla, come accertato dal c.t.u. in relazione all'operazione di cui al documento n. (OMESSO) recante ordine d'acquisto di 5000 azioni Montedison, con firma autografa, e del conseguente fissato bollato - doc. (OMESSO), recante firma falsificata. Le risultanze, che la Corte territoriale avrebbe dovuto esaminare nella loro sintesi e non 14 atomisticamente dimostrano in sostanza che i coniugi Fo. hanno preso il saldo attivo del conto al (OMESSO) e ne hanno disposto destinandolo alle gestioni patrimoniali, tornando all'ordinario circuito bancario.

Il motivo e' collegato al primo mezzo. Mira infatti a dimostrare che gli attori vennero a conoscenza delle operazioni perche' erano in rapporti personali e di fiducia col D'. ed in ragione di cio' non ne contestarono l'operato, sicche' nulla possono pretendere dalla banca. Il tutto esponendo un coacervo di fatti e circostanze che vengono riproposte al vaglio critico di questa Corte, cui e' precluso ogni accertamento di merito, che ineriscono, come si e' gia' rilevato, a un profilo d'indagine ritenuto precluso dalla Corte territoriale, dunque irrilevante. Devesi percio' dichiararne l'infondatezza.

Col terzo motivo la ricorrente ascrive alla Corte territoriale omessa pronuncia sull'eccepita rilevanza del comportamento tenuto dai correntisti in ordine alla conduzione; del conto incidente ai sensi dell'articolo 1227 c.c..

Il motivo e' inammissibile. Non riferisce infatti con la necessaria autosufficienza in quale fase processuale venne formulata l'eccezione, ne' tanto meno indica l'atto in cui venne rappresentata.

Siffatta genericita', che contravviene al principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, non puo' essere colmata attraverso indagine diretta di questa Corte. Col quarto motivo si deduce violazione e falsa applicazione degli articoli 1782, 1823, 1834, 1218, 1223, 1224, e 2697 c.c. e degli articoli 112, 115 e 116 c.p.c. e correlato vizio di motivazione.

Assume la ricorrente che sarebbe errata la qualificazione del credito in termini di credito di valore, laddove e' pacifico che l'obbligazione discendente dal contratto di deposito irregolare, nel cui paradigma, secondo la richiamata dottrina, rientra il deposito bancario, rappresenta tipica obbligazione pecuniaria.

I resistenti deducono infondatezza del motivo.

Il motivo e' infondato.

Il decisum in parte gua e' espresso nella sintesi conclusiva con la quale la Corte territoriale ha affermato che il credito e' di valore, siccome discende da inadempienza contrattuale dell' Un. .

Il titolo fondante la responsabilita' della banca, in coerenza con la premessa sostenuta in tesi, e' dunque ravvisato nell'inadempimento da parte del banchiere agli obblighi discendenti dal contratto di conto corrente, in cui sono confluite anche le operazioni gravitate sul conto titoli.

La definizione del contratto proposta dalla ricorrente non e' errata, ma piuttosto riduttiva e comunque; semplicistica. Il contratto di conto corrente bancario previsto dall'articolo 1703 c.c., in forza del quale si assume l'obbligo di agire con diligenza eseguendo pagamenti ovvero riscuotendo crediti su ordine del cliente, fornendo in sostanza un servizio di cassa di cui e' obbligata nel contempo a compiere fedele e regolare annotazione sul conto corrente. Per altro verso, come si sostiene da parte della ricorrente, consente il deposito del risparmio del correntista, ed impegna quindi la banca alla restituzione delle somme ivi confluite. Contiene altresi' elementi tipici della delegazione, ovvero degli altri contratti tipici, identificabili con riferimento alle singole operazioni bancarie in esso confluite, le cui norme si applicano all'occorrenza.

In prospettiva correlata alla sua prima e senz'altro preminente funzione, tipica del mandato, la banca, come si e' rilevato, si assume pertanto in qualita' di mandataria un obbligo di facere, consistente nel registrare correttamente sul conto le operazioni eseguite su ordine del correntista, che si concreta, laddove si accerti che talune di esse non siano riferibili a sue precise istruzioni, l'obbligo di eliminarle, ricostituendo la posizione contabile corretta senza considerarle. Se cio' non avviene, la banca contravviene a preciso obbligo contrattuale e deve rispondere del conseguente illecito compiuto. Inquadrata in sostanza la fattispecie esaminata in tale paradigma, la Corte territoriale, avendo riscontrato che sul conto intestato al Fo. erano state registrate a debito le poste risultate falsificate, per cio' solo non riconducibili a sue dirette disposizioni, e che non di meno esse non erano state annullate, ha ritenuto provata la colpevole non corretta esecuzione dell'obbligo gravante sulla banca di eliminarle dal conto, affermandone la responsabilita' contrattuale per non essersi altresi' attivata, anche vigilando sul dipendente che esegui' infedelmente le operazioni controverse, per informarne il cliente. La conseguente condanna, assunta in accoglimento della domanda risarcitoria, non mirata dunque alla restituzione mediante accredito delle somme controverse indebitamente detratte, ha pronunciato pertanto su credito di valore, come tale quantificabile, tenendo conto anche d'ufficio della svalutazione monetaria sopravvenuta fino alla data della liquidazione- Cass. n. 18299/2003.

Il ricorso incidentale si articola in tre motivi:

1.- Si denuncia violazione degli articoli 112, 183, 184, 345 e 395 c.p.c. e vizio di motivazione.

Si assume da parte del ricorrenti incidentali che, sebbene gli atti dispositivi recanti firma falsificata, dunque dichiarati nulli, abbiano dato luogo a poste passive per un importo di lire 1.551.130.000 pari ad euro 801.091,070, la Corte territoriale ha pronunciato condanna nei limiti delle somme chieste in citazione nel minore importo di euro 232.405.60, ritenendo nuova e percio' inammissibile la domanda di condanna ai pagamento della somma accertata in causa perche' formulata solo in comparsa conclusionale.

L'affermazione trova smentita nelle conclusioni rese, con cui si chiese l'altrui condanna al pagamento anche delle maggiori somme che sarebbero risultate dovute all'esito del rendiconto. In aggiunta si osserva che non vi e' domanda nuova laddove immutati i fatti costitutivi si modifichi il quantum debeatur.

2. Si denuncia violazione dell'articolo 2697 c.c. e vizio di motivazione.

Si sostiene che la decisione impugnata sarebbe errata anche laddove assume che in ogni caso non e' possibile farsi luogo al rendiconto dell'insieme delle operazioni, per la mancata disponibilita' della documentazione bancaria ormai destinata al macero, il che impedisce di riscontrare se le poste passive siano state elise da poste attive. Cosi' argomentando, la Corte avrebbe erroneamente invertito l'onere probatorio, ricadente invece sulla banca.

3. - Si censura la parziale compensazione delle spese processuali, disposta nonostante la totale soccombenza del Cr. It. .

I primi due motivi, meritevoli d'esame congiunto perche' logicamente connessi, sono privi di fondamento. La Corte territoriale ha affermato che benche' risultassero attestato indebiti movimenti per importi ben superiori a quello preteso in giudizio, nondimeno la domanda meritava entro il limite degli ammanchi originariamente denunciati in citazione, essendo nuova e percio' inammissibile la richiesta, formulata dagli attori in comparsa conclusionale, di restituzione di tutte le somme corrispondenti alle poste falsificate.

E' inoltre impossibile farsi luogo al rendiconto delle complessive operazioni, poiche' l'impossibilita' di reperire la documentazione, ormai destinata al macero, impediva il raffronto tra le poste passive falsificate ed eventuali corrispondenti poste attive, che le avessero elise. Siffatta decisione e' immune dalle critiche esposte nei motivi in esame.

L'espletata consulenza grafica consenti' di determinare con esattezza l'importo delle operazioni falsificate, dunque delle poste passive erroneamente addebitate sul conto, ma non ascrivibili al correntista. Parte attrice ebbe dunque contezza sin da quel momento dell'importo delle somme cui in astratto avrebbe potuto ancorare la sua richiesta di danni, che ritenne invece di formulare nella giusta sede, di precisazioni delle conclusioni, richiamando le somme indicate nell'originario atto introduttivo o comunque in via generica in quelle maggiori eventualmente dovute che, pur essendo ormai in condizione di quantificare, preferi' invece lasciare indeterminate. Di qui l'inammissibilita' della domanda, correttamente ravvisata dalla Corte territoriale.

Ne discende l'inutilita' dell'indagine sul secondo mezzo. Il terzo motivo e' inammissibile siccome la Corte territoriale ha motivato la decisione sul governo delle spese con argomentazioni puntuali e logiche rilevando il parziale accoglimento della domanda, effettivamente non accolta integralmente.

La decisione non e' percio' sindacabile in questa sede. Entrambi i ricorsi devono per l'effetto essere rigettati. L'esito della lite, che rappresenta la prevalente soccombenza della ricorrente principale, giustifica la compensazione nella misura di un terzo delle spese del presente giudizio con aggravio sulla ricorrente principale del residuo, liquidato come da dispositivo.

P.Q.M.

Riunisce i ricorsi e li rigetta. Compensa per un terzo le spese del presente giudizio e condanna la ricorrente principale al pagamento del residuo che liquida in euro 6.000,00 oltre euro 150,00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge.

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