Per la messa in mora della PA non basta la fattura ma serve la richiesta scritta

Per la messa in mora della PA non basta la fattura ma serve la richiesta scritta. I pagamenti si effettuano presso la tesoreria dell'amministrazione, l'obbligazione è "querable" e non "portable".(Corte di Cassazione Sezione 1 Civile, Sentenza del 15 gennaio 2009, n. 806)



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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VITRONE Ugo - Presidente

Dott. PANEBIANCO Ugo Riccardo - rel. Consigliere

Dott. CECCHERINI Aldo - Consigliere

Dott. SCHIRO' Stefano - Consigliere

Dott. GIUSTI Alberto - Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

MINISTERO DELL'INTERNO, in persona del Ministro pro tempore, domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso L'AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;

- ricorrente -

contro

FO. TR. S.R.L.;

- intimata -

avverso la sentenza n. 120/2004 della CORTE D'APPELLO di ROMA, depositata il 12/01/2004;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 14/11/2008 dal Consigliere Dott. UGO RICCARDO PANEBIANCO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SORRENTINO Federico che ha concluso per il rigetto del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto notificato in data 29.3.1990 la s.r.l. Fo. Tr. conveniva avanti al Tribunale di Roma il Ministero dell'Interno, esponendo che dal (OMESSO), su richiesta dell'Amministrazione convenuta - Direzione Generale dei Servizi Civili - aveva ospitato nel camping "(OMESSO)" in (OMESSO), i profughi stranieri che avevano richiesto asilo politico e che in data (OMESSO) era stata tra le parti stipulata una convenzione in virtu' della quale presso il suddetto camping sarebbe stato ospitato un numero giornaliero di profughi varianti fra un minimo di 150 ed un massimo di 400 dietro versamento della somma di lire 22.338 al giorno per ogni assistito oltre al rimborso delle spese mediche; il tutto da effettuarsi previa presentazione di fattura alla fine di ogni mese. Aggiungeva che il rapporto si era rinnovato fino al (OMESSO) alle medesime condizioni nonostante l'aumento dei costi e che a causa dei notevoli ritardi fatti registrare dal convenuto nei pagamenti era stata costretta ad instaurare rapporti di factoring con la s.p.a. Ag. e con la Me. Fa. In. s.p.a. con costi per oltre 700 milioni.

Chiedeva quindi la condanna del convenuto al risarcimento del danno oltre al pagamento di un'indennita' ex articolo 2041 c.c. per compensare il mancato aumento delle tariffe originariamente pattuite.

Si costituiva il Ministero dell'Interno che contestava la fondatezza della domanda, osservando che non poteva configurarsi una mora colpevole dell'Amministrazione e che il ritardo era dipeso dalla necessita' di rispettare le norme sulla contabilita' pubblica.

Prodotta dall'attrice la documentazione relativa al rapporto in esame ed espletata la C.T.U., il Tribunale con sentenza del 4.12.2000 condannava il Ministero al pagamento delle seguenti somme: lire 95.053.315 con gli interessi dal 5.4.1990, lire 569.103.031 con gli interessi dal 31.10.1998 e lire 964.741.665 con gli interessi dal 31.10.1998, oltre al pagamento delle spese processuali, mentre rigettava le richieste di rivalutazione e di indennizzo ex articolo 2041 c.c. perche' non riproposte in sede di precisazione delle conclusioni.

Osservava al riguardo che l'emissione delle fatture costituiva atto di messa in mora e che il C.Testo Unico aveva distinto gli interessi sulle fatture non coinvolte nei rapporti di cessione, quantificati in lire 95.053.315 e gli importi spettanti in conseguenza del rapporto di factoring.

Proponeva impugnazione il Ministero ed all'esito del giudizio, nel quale si costituiva la controparte contestandone la fondatezza, la Corte d'Appello con sentenza del 9.12.2003-12.1.2004 rigettava il gravame condannando l'appellante alle spese del grado.

Dopo aver evidenziato che l'atto di appello non conteneva delle chiare censure alla sentenza impugnata, non comprendendosi se fosse stata censurata nella parte in cui aveva disatteso le contestazioni relative alla mancanza di una formale costituzione in mora ovvero in relazione all'omessa valutazione della non imputabilita' del ritardo nel pagamento per l'inadeguatezza degli stanziamenti di cassa, osservava in primo luogo la Corte d'Appello che l'appellante aveva omesso di confutare le argomentazioni svolte dal Tribunale in ordine alla soggezione del contraente pubblico alle regole ordinarie in tema di adempimento ed alla qualificazione come "portable" dell'obbligazione di pagamento in quanto da assolvere sul conto corrente della creditrice.

Rilevava in ogni caso che anche nei confronti della P.A. e' applicabile il principio contenuto nell'articolo 1218 c.c. in base al quale spetta al debitore che non ha eseguito esattamente la prestazione provare che l'inadempimento od il ritardo siano dipesi da cause a lui non imputabili, con conseguente ulteriore applicabilita' dell'articolo 1224 c.c., comma 1 che identifica la decorrenza degli interessi dal giorno della costituzione in mora.

Per quanto riguarda poi il dedotto difetto di prove sul nesso fra il ritardo nell'adempimento da parte dell'Amministrazione e la necessita' della societa' di dar luogo alle operazioni di factoring, nesso che dal Tribunale sarebbe stato ravvisato sulla base di una "idonea e copiosa documentazione" senza alcuna specificazione del contenuto, riteneva corretto la Corte d'Appello un tale generico riferimento in un contesto caratterizzato dalla produzione di oltre duecento documenti, costituiti da fatture e da contratti di factoring indicati in modo specifico nell'atto di citazione e menzionati, sia pure genericamente, in sentenza nella parte relativa all'esposizione dello svolgimento del processo, osservando che, oltre tutto, la C.Testo Unico aveva proceduto alla verifica della concreta incidenza che il ricorso alle predette operazioni di factoring aveva avuto sulla situazione patrimoniale della debitrice senza alcuna contestazione da parte dell'Amministrazione.

Riteneva infine del tutto generiche e, come tali, inammissibili le ulteriori deduzioni in ordine al calcolo degli interessi ed al riconoscimento degli interessi sugli interessi.

Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione il Ministero dell'Interno che deduce tre i motivi di censura.

La controparte non ha svolto alcuna attivita' difensiva.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo di ricorso il Ministero dell'Interno denuncia insufficiente, omessa e contraddittoria motivazione nonche' violazione dell'articolo 342 c.p.c.. Lamenta che la Corte di merito abbia ritenuto che dall'atto di appello non si comprende se si sia inteso censurare la sentenza nella parte in cui aveva disatteso le contestazioni relative alla mancanza di un atto formale di costituzione in mora ovvero se le doglianze dell'appellante abbiano investito la mancata valutazione della non imputabilita' nel ritardo dei pagamenti, malgrado la stessa Corte sia stata in grado di riferirne il contenuto. Sostiene che la Corte di merito, incorrendo in errore, ha ritenuto evidentemente inammissibile la possibilita' di inserire piu' argomenti in un solo punto. Deduce poi che in realta' la Corte d'Appello, nell'affermare che l'emissione delle fatture, pur senza l'indicazione di un termine di pagamento, comportava la messa in mora, ha finito per non esaminare un motivo assolutamente chiaro proposto al riguardo, cosi' come non aveva esaminato la doglianza relativa al mancato assolvimento da parte della societa' dell'onere di provare la sussistenza di un inadempimento incolpevole da parte dell'Amministrazione in presenza di una situazione caratterizzata da un numero di profughi nettamente superiore a quello preventivato e della accettazione da parte della societa' del rinnovo della convenzione nonostante i tempi di pagamento si fossero rilevati soggetti ad una certa variabilita'.

La censura prospetta una questione di ordine processuale riguardante l'atto di appello che, a giudizio della Corte di merito, non presenterebbe un chiaro contenuto, non consentendo di individuare "le statuizioni concretamente impugnate" ne' "le ragioni sulle quali si fonda il gravame" in quanto non esposte con sufficiente grado di specificita'.

Al riguardo va in primo luogo dissipato il dubbio che trattasi di questione di interpretazione dell'atto di appello, riservato certamente al giudice di merito. Risolvendosi sostanzialmente la statuizione della Corte d'Appello nel convincimento della mancanza di un'effettiva censura alla decisione del Tribunale, la questione si pone senza dubbio sotto il profilo processuale in quanto riguarda il problema dell'idoneita' dell'atto, ai sensi dell'articolo 342 c.p.c. espressamente richiamato, ad espletare il suo effetto devolutivo ed a far conoscere quindi al giudice di secondo grado i termini dell'impugnazione per decidere su di esso.

Orbene, dalla lettura dell'atto di appello, consentita appunto in virtu' della natura processuale del contenuto della censura, risulta chiaramente che il Ministero aveva in quella sede dedotto l'erronea valutazione da parte del Tribunale delle eccezioni sollevate dalla stessa Amministrazione, riguardanti la mancanza di un formale atto di costituzione in mora, erroneamente individuate invece nell'emissione delle fatture, nonche' l'omessa valutazione delle cause che avevano determinato i ritardi nei pagamenti.

Del resto, come correttamente dedotto dalla Amministrazione con il ricorso, la stessa Corte d'Appello, nel riferire il contenuto del gravame per evidenziarne le lacune, da atto nei termini sopra esposti delle censura prospettate e, pur precisando di non comprendere se le doglianze si riferissero all'una od all'altra singola censura (alla validita' dell'atto di costituzione in mora ovvero all'imputabilita' nel ritardo), le esamina ugualmente, mostrando in tal modo, contrariamente alle premesse, di averle comprese.

L'accoglimento del presente motivo di ricorso consente di esaminare il secondo, riguardante la questione di diritto sostanziale che, a giudizio della Corte d'Appello, si opporrebbe all'accoglimento della domanda.

Con il secondo motivo infatti il ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione del Regio Decreto n. 2440 del 1923 e dei principi in materia di contabilita' dello Stato nonche' omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione. Deduce che la Corte d'Appello non ha considerato che i ritardi nei pagamenti erano dipesi dal rispetto della normativa sulla contabilita' oltre che dalla carenza di fondi ne' ha tenuto conto che per i debiti pecuniari della P.A. i pagamenti si effettuano, in deroga al principio di cui all'articolo 1182 c.c., comma 3, presso gli uffici della tesoreria dell'Amministrazione debitrice, con la conseguenza che, trattandosi di obbligazioni "querable", il ritardo non determina automaticamente gli effetti della costituzione in mora ex re prevista dall'articolo 1219 c.c., comma 2 ma e' necessaria la richiesta fatta per iscritto ai sensi dello stesso articolo 1219 c.c., comma 1.

La censura e' fondata.

La questione sottoposta all'esame di questa Corte con il presente motivo costituisce il punto nodale per la soluzione della controversia avente ad oggetto la richiesta di pagamento degli interessi e di risarcimento del danno per i ritardati pagamenti, accolta dai giudici di merito sui presupposto dell'applicabilita' dell'articolo 1219 c.c., comma 2, n. 3, secondo il quale, ai fini della costituzione in mora del debitore, non e' necessaria alcuna intimazione o richiesta per iscritto allorche', scaduto il termine, la prestazione debba essere eseguita al domicilio del creditore (cd. mora ex re).

Nel pervenire a tali conclusioni non ha considerato pero' la Corte d'Appello che, nell'ipotesi in cui il debitore sia la P.A., il luogo del pagamento di una somma di denaro, in deroga all'articolo 1182 c.c., comma 2 ed in osservanza della disciplina sulla contabilita' generale dello Stato, debba essere individuato nella sede dell'ufficio di tesoreria dell'Amministrazione interessata, con la conseguente natura "querable" anziche' "portable" del debito.

Pertanto, non essendo nel caso in esame l'obbligazione eseguibile nel domicilio del creditore ma del debitore, non puo' trovare applicazione il principio della "mora ex re" fissato dal richiamato articolo 1219 c.c., comma 2, n. 3 al quale erroneamente la Corte d'Appello ha invece fatto riferimento.

Ai fini della costituzione in mora sarebbe stata necessaria quindi un'intimazione o richiesta fatta per iscritto, come espressamente prevede il primo comma dello stesso articolo 1219 c.c..

Di tale intimazione la Corte d'Appello sembra dare atto con il richiamo alla decisione del primo giudice nella parte in cui all'emissione delle fatture era stata attribuita tale efficacia. Una tale qualificazione e' pero' giuridicamente errata, non potendosi attribuire un contenuto del genere al semplice invio mensile delle fatture qualora non contengano o non siano accompagnate da una precisa domanda di pagamento (Cass. 10434/02; Cass. 5363/97).

Ne' l'emissione delle fatture potrebbe considerarsi rilevante sotto altro profilo, vale a dire come atto coincidente con la scadenza del termine per l'adempimento in quanto, a parte l'impossibilita', per le ragioni che saranno fra poco esposte, di individuare una tale coincidenza, si riproporrebbe in ogni caso, ai fini della configuarabilita' della "mora ex re", il problema della necessita' che la prestazione sia eseguibile nel domicilio del debitore e non gia', come nell'ipotesi in esame, del creditore.

La mancanza, sotto entrambi i profili, di una costituzione in mora comporta l'impossibilita' di riconoscere gli interessi moratori.

La diversa richiesta di risarcimento del danno, che dalla costituzione in mora puo' anche in linea di principio prescindere, richiede pero' la presenza almeno di un ritardo colpevole. A tale ultimo riguardo si osserva che, non risultando dalla sentenza impugnata che fosse stato fissato un termine per l'adempimento (dal riferimento contenuto alla pag. 1 della sentenza sulla previsione contrattuale risulta l'indicazione circa l'emissione delle fatture che doveva avvenire alla fine di ogni mese ma non anche la scadenza del termine per l'adempimento che non puo' del resto (certamente coincidere con il primo termine), trova applicazione l'articolo 1183 c.c. in base al quale in tal caso il creditore puo' esigere immediatamente la prestazione. Ma in tale diverso ambito, caratterizzato dalla mancata previsione di un termine, e' pur sempre necessario, ancora una volta, l'invio di una richiesta che, come si e' sottolineato, non puo' individuarsi nell'emissione della fattura, la cui funzione e' solo quella di evidenziare documentalmente gli elementi relativi all'esecuzione del contratto, con la conseguenza che non puo' integrare da sola una domanda se non espressamente in essa contenuta.

Pertanto anche la domanda di risarcimento del danno, derivato dalla insorta necessita' di instaurare rapporti di factoring in conseguenza del preteso ritardo nei pagamenti, non puo' trovare accoglimento in mancanza, appunto, di un ritardo colpevole.

L'accoglimento del presente motivo, escludendo in radice la fondatezza della domanda, comporta l'asorbimento del terzo, riguardante le modalita' di accertamento del danno che sarebbe stato liquidato senza la precisa indicazione dei documenti da cui la Corte d'Appello aveva tratto le proprie conclusioni sulla sua entita', confermando la sentenza del Tribunale.

L'impugnata sentenza deve essere pertanto cassata.

Risultando dalla stessa sentenza non solo che le somme dovute a titolo di rimborso sono state corrisposte prima della proposizione della citazione introduttiva del presente giudizio la quale costituisce l'unico atto di messa in mora, ma anche che i contratti di factoring sono stati stipulati in epoca precedente a qualsiasi richiesta di pagamento enucleabile nell'articolo 1183 c.c., ricorrono certamente le condizioni per una decisione nel merito ai sensi dell'articolo 384 c.p.c., comma 1, nel senso dell'infondatezza della domanda e, conseguentemente, del suo rigetto.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo in relazione anche ai giudizi di merito.

P.Q.M.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

Accoglie il primo ed il secondo motivo di ricorso. Dichiara assorbito il terzo. Cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta la domanda. Condanna la societa' controricorrente Fo. Tr. s.r.l. al pagamento delle spese processuali dell'intero giudizio che liquida, quanto al giudizio avanti al Tribunale, in euro 4.000,00 per onorario ed in euro 900,00 per diritti oltre alle spese prenotate a debito, quanto al giudizio avanti alla Corte d'Appello, in euro 4.500,00 per onorario ed in euro 1.500,00 per diritti oltre alle spese prenotate a debito e, quanto infine al giudizio di legittimita', in euro 7.000,00 per onorario oltre alle spese prenotate a debito.

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