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E' richiesto l'atto scritto per il traferimento di azienda anche nel caso di piccoli imprenditori
Pubblicata il 29/12/2010
Cass. civ. Sez. III, 11-07-1987, n. 6071
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Cass. civ. Sez. III, 11-07-1987, n. 6071
Massima
L'art. 100, 4° comma, disp. att. c. c., che esclude (fino all'attuazione del registro delle imprese) che gli imprenditori individuali siano soggetti a registrazione, non postula anche l'inapplicabilità, nei loro confronti, del 1° comma, art. 2556 c. c., che richiede ad probationem l'atto scritto per i trasferimenti della proprietà o del godimento di un'azienda relativa ad un'impresa soggetta a registrazione (esclusi i piccoli imprenditori, a norma dell'art. 2202 c. c.).
Con atto 19-3-1977 i locatori intimavano al Mascolo sfratto per finita locazione, deducendo che il Mascolo non solo non aveva rilasciato l'immobile, ma aveva immesso nei locali una società.
Il conduttore assumeva che il rapporto era soggetto a proroga legale, in quanto egli, titolare di ditta individuale, ma praticamente in società di fatto con i propri figli per la vendita di mobili, aveva ceduto ai sensi dell'art. 5 della legge 27-1-1963 n. 19 il contratto della società in nome collettivo che era solo la trasformazione della detta società di fatto.
Il Pretore accoglieva la tesi del conduttore, con decisione che era confermata in appello dal Tribunale di Salerno sulla base delle seguenti considerazioni:
a) la prova del contratto avente ad oggetto il trasferimento dell'azienda dal Mascolo alla società non doveva essere data per iscritto, ai sensi dell'art. 2556 CC. che dispone solo in tema di rapporti tra le parti del contratto;
b) di conseguenza il trasferimento poteva desumersi da numerosi elementi presuntivi, che venivano partitamente elencati;
c) da questi elementi presuntivi discendeva con sufficiente grado di certezza che il Mascolo aveva inteso costituire una società alla quale apportare il conferimento del rapporto di locazione con i Bonito.
Per la cassazione di questa decisione i Bonito propongono tre censure, alle quali resiste il Mascolo con controricorso.
Le parti hanno presentato memorie illustrative.
Motivi della decisioneInfondata è la prima censura, con la quale i ricorrenti denunciano l'errata applicazione nella specie della normativa di cui all'art. 5 della legge n. 19-63 anziché dell'art. 3 n. 2 della legge n. 250-53, sotto il profilo che il comportamento del Mascolo - che nessuna comunicazione aveva mai dato del preteso trasferimento dell'azienda - concretava il trasferimento di mero fatto del locale ad un terzo e non la cessione o sublocazione dell'azienda.
Infatti, quale che fosse stata la causa dell'atto traslativo, esso era fuori contestazione e, di conseguenza il giudice di merito ha applicato la normativa in relazione alla situazione di fatto che era stata prospettata in contraddittorio tra le parti ed accertata nel giudizio, essendo irrilevante, sotto il profilo in esame, la mancata comunicazione al locatore prevista dalla stessa normativa, in quanto la cessione o la sublocazione non deve necessariamente essere preceduta, a pena di invalidità, da tale comunicazione.
Col secondo motivo e con la prima parte del terzo motivo si denuncia la violazione dell'art. 2556, 1° comma, CC., per avere il Tribunale ritenuto non necessaria nella specie la forma scritta della cessione, prescritta ad probationem da questa norma, nei confronti delle imprese soggette a registrazione, per i contratti aventi per oggetto il trasferimento della proprietà o il godimento della azienda, ed ammissibile quindi anche la prova per presunzioni, sotto il profilo che tale prescrizione vale solo riguardo alle parti dei predetti contratti ed è invece inoperante rispetto ai terzi.
La censura è fondata.
In proposito sembra opportuno confermare preliminarmente - sebbene nessuna questione in proposito sia stata sollevata da alcuna delle parti - l'applicabilità - in astratto - della disposizione in esame: vero è, infatti, che, non essendo stato ancora attuato il registro delle imprese previsto dall'art. 2195 C.C., il Mascolo, siccome imprenditore individuale, non era soggetto, ai sensi dell'art. 100, 4° comma, disp. att. C.C., a registrazione, ma tale norma non postula anche (confr. Cass. 14 febbraio 1963, n. 317), l'inapplicabilità nei confronti pienamente operante, (ovviamente esclusi, a norma dell'art. 2202 c.c., i piccoli imprenditori, categoria, questa, nella quale, però, non risulta, né è stato affermato, essere compreso il Mascolo). Ciò premesso, va osservato che il giudice di merito ha affermato che la forma scritta per i contratti che hanno per oggetto i trasferimento della proprietà o il godimento dell'azienda è prescritta ad probationem tra le sole parti dei relativi contratti, mentre rispetto ai terzi la prova non è soggetta ad alcun limite e può anche ricavarsi per presunzione; ed ha in proposito richiamato la sentenza di questa Corte del 12-3-1975 n. 930, nella quale è escluso alcun limite probatorio in favore dei lavoratori subordinati dell'azienda trasferita, in relazione all'art. 2112 CC.
La decisione impugnata non ha, però, tenuto conto che nella specie era proprio una delle parti chiamata a dare la prova del trasferimento e non era il terzo a dover sostenere l'onere probatorio. Infatti, in applicazione dell'art. 5 della legge n. 19-63 e dell'art. 36 della legge n. 392-78, il contratto di locazione può essere ceduto anche senza il consenso del locatore, ma vi è dubbio che il cedente sia tenuto a provare l'esistenza e la legittimità della cessione allorché gli venga contestato che questa non è avvenuta ovvero è avvenuta al di fuori della previsione normativa, in favore di un soggetto non legittimato a riceverla.
Questa prova - che deve provenire dalla parte stessa che ha effettuato il trasferimento o che lo ha ricevuto - doveva sostanzialmente essere diretta a dimostrare non già che il Mascolo, evocato in giudizio, aveva diritto alla proroga del rapporto, ma che, per effetto dell'atto traslativo, il beneficio del regime vincolistico si era trasferito in capo all'altro soggetto dello stesso atto.
Non si trattava, ripetesi, di prova da proporsi da parte di terzi nei confronti dell'imprenditore, ma di prova che le parti dell'atto traslativo erano tenute a fornire a dimostrazione della trasmissione della titolarità del beneficio vincolistico.
La prova del trasferimento non è quindi soggetta ad alcun limite "rispetto ai terzi", come afferma la decisione impugnata, ma "da parte dei terzi", in quanto estranei al rapporto. Se l'onere probatorio grava sulle parti, è invece operante la disposizione dell'art. 2556 CC., poiché attiene ad un rapporto interno, relativo alle sole parti, che assume una rilevanza esterna unicamente in relazione ad un effetto conseguente al contratto tra esse.
Risulta, conseguentemente, assorbita, la doglianza espressa con la seconda parte del terzo motivo sulla valutazione compiuta dal Tribunale della prova presuntiva.
Il ricorso deve quindi essere accolto in relazione al secondo e, per quanto di ragione, al terzo motivo.
Il giudice di rinvio procederà al riesame della controversia attenendosi al principio che l'onere probatorio in materia di contratti che hanno per oggetto il trasferimento della proprietà o il godimento dell'azienda, allorché gravi sulle parti del contratto stesso, è regolato dal primo comma dell'art. 2556 CC.
Il giudice di rinvio provvederà anche alla liquidazione delle spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.Rigetta il primo motivo del ricorso proposto da Bonito Plinio, Sergio ed Ivo.
Accoglie il secondo e per quanto di ragione il terzo motivo e cassa in relazione la sentenza del Tribunale di Salerno dell'8 ottobre 1982;
rinvia la causa ad altra sezione dello stesso Tribunale, che provvederà anche alla liquidazione delle spese del giudizio di cassazione.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della terza sezione civile il 18 novembre 1986.
DEPOSITATA IN CANCELLERIA IL 11 LUGLIO 1987